Documentario n. 264
tratto
dall'enciclopedia LA VITA MERAVIGLIOSA - Ed. M. Confalonieri Milano 1957
- pagg. 801-805.
illustrazioni (
dove non diversamente attribuito
) di
Francesco Pescador
§§§
L'intimo rimpianto d'un focolare domestico, che non conobbe mai,
rappresentò forse il motivo che avvicinò il grande scrittore con affettuosa
comprensione e verità umana al mondo infantile.
L'autore di « Pinocchio », — al secolo Carlo
Lorenzini, — nacque a Firenze, il 24 novembre 1826. Solo trentaquattro anni più
tardi egli assume lo pseudonimo di Collodi, in omaggio al paesello
toscano, — a circa sei chilometri da Pescia — in cui era nata sua madre, alla
quale era molto affezionato. Fu il primo di nove fratelli. Suo padre, Domenico
Lorenzini, era cuoco in casa dei marchesi Garzoni, dove svolgeva mansioni di
cameriera e di sarta anche la moglie Angela Orzali, donna di una certa cultura
e di grande sensibilità. Carlo fu avviato agli studi religiosi, ma gli anni
dell'adolescenza, trascorsi in seminario, non diedero i risultati che gli
educatori si proponevano.
Carlo Lorenzini compì i suoi studi in scuole di religiosi. I primi anni di scuola li trascorse
sotto la guida dei Padri Scolopi.
Entrò poi nel Seminario di Colle Val d'Elsa dove si approfondì
nella filosofia e nella teologia; ma, a vent'anni, compresa che quella non era
la sua via, ne uscì.
A vent'anni il giovane ritornò nel mondo e affrontò
le prime difficoltà di una vita che non gli sarebbe mai stata facile. A Firenze
s'impiegò presso la libreria Piatti diretta dal professor Aiazzi e brigò per
entrare nel giornalismo collaborando alla «Rivista di Firenze», che
allora recava le firme di uomini di parte democratica. Le vicende politiche lo
interessavano seriamente al punto che, nel 1848, partecipò alla guerra tra il
Piemonte e l'Austria. Tre lettere, che egli scrisse dal campo al professor
Aiazzi, ci dipingono con semplicità e franchezza lo stato d'animo del giovane
combattente: le sue prime, confuse impressioni dell'arrivo in zona di
operazioni, il disagio per le marce snervanti, la serena attesa di un
fuocherello per riscaldarsi. I suoi
scritti rivelano le doti di un buon giornalista. La chiarezza di osservazione e
la personalissima vivacità di stile rapido e disinvolto lasciano trapelare il
temperamento di un uomo che ha qualcosa da dire e che sa esprimersi bene.
Nel 1848, Carlo, smessa la veste di seminarista,
si arruolò volontario nel reggimento
Cavalleggeri di Novara, prendendo parte alle epiche e
drammatiche giornate di Curtatone e Montanara.
Tornò a Firenze dopo la parentesi militare.
Sentendosi più che mai « mazziniano sfegatato », ottenne un impiego modesto dal
governo provvisorio e fondò « Il Lampione », un giornale politico nel
quale, con estrosa vena umoristica e satira pungente criticava i « nostalgici »
del governo granducale o dava libero sfogo con articoli infiammati alla sua
cocente delusione di patriota. In seguito all'abrogazione della legge sulla
libertà di stampa, Lorenzini dovette adattarsi a scrivere soltanto di teatro e
occuparsi di innocua letteratura. Pare che risentisse parecchio di questo
disagio. Uomo di profonda e convinta dirittura morale, rifuggiva dallo
ostentare idee che non fossero radicate in lui e dal reprimere sentimenti che
esigevano prepotentemente di essere manifestati. Non era fazioso né di
mentalità limitata e quando fu di nuovo in gioco la sorte del Piemonte contro
l'Austria, nel 1859, si arruolò ancora come volontario. Dopo l'armistizio di
Villafranca si dichiarò in favore dell'annessione della Toscana al Piemonte e
dell'Unità d'Italia. Con maggiore vigore polemico, nell'anno 1860, scrisse
l'opuscoletto « Il signor Alberi ha ragione », contro Eugenio Alberi
che, per istigazione francese, aveva invitato i toscani a starsene tranquilli
nella libera Toscana senza darsi pensiero dell'Italia. In quest'occasione, per
poter meglio concentrarsi nel suo lavoro, si ritirò a Collodi e, in
riconoscenza anche alla pace del luogo che sapeva infondergli tanta
ispirazione, cominciò a firmarsi con quel nome che è passato alla storia e che
è ovunque conosciuto.
A Firenze, dopo il congedo, continuò a prendere viva
parte ai problemi e ai fatti del giorno che commentava nei suoi articoli con
elegante e sottile arguzia. Possedeva la dote innata dell'intuizione
psicologica. Anche nei confronti dei suoi avversari politici, seppe sempre contenersi
nei limiti di una misura che denota intelligenza superiore e signorilità
d'animo. Se la sua penna, mordace e precisa, arrivò a pungere, mai pervenne
all'offesa. Alcuni critici hanno parlato di pessimismo da parte di Collodi e
non a torto. Egli aveva lottato con passione perché l'Italia potesse essere
libera, unita e indipendente, assistendo nel contempo allo scatenarsi delle
piccole ambizioni, al trionfo delle meschinità e di tanti interessi celati
sotto la nobile maschera dell'ideale patriottico. Egli dunque rimase nella
sfera del pessimismo con l'atteggiamento di chi vede il male e, non avendo
nulla da suggerire per estirparlo, sorride amaramente, pronto alla critica ma
anche all'indulgenza.
Abbandonata la vita militare, Lorenzini si trovò costretto a
ricorrere al gioco per sfuggire in qualche modo alla squallida tristezza della
sua vita: egli sperperò al tappeto verde i suoi magri stipendi di impiegato.
Con il passare del tempo, sistemata la sua vita, egli si diede a
frequentare letterati, scienziati ed educatori con i quali si riuniva nella
libreria dell''editore Paggi, a Firenze.
Il meglio della sua attività giornalistica è stato
raccolto da Giuseppe Rigutini ( accademico della Crusca ) nei volumi « Note
Gaie » e « Divagazioni critico-umoristiche ». Lorenzini finì per
dissipare il suo bell'ingegno in romanzi, commedie e novelle privi di vera
consistenza poetica, basati più che altro su ambienti e personaggi
convenzionali. Inoltre sperperava al gioco tutto quanto ricavava dal suo
lavoro, dapprima come addetto alla censura teatrale, poi come segretario alla
Prefettura di Firenze e, infine, come libero professionista. Questo periodo di
tormentata inquietudine non gli fu del tutto deleterio in quanto
rappresentò l'incentivo occasionale che lo spinse a scrivere l'immortale Pinocchio.
Nel 1875, angustiato dai debiti, per incarico dell'editore Felice Paggi
tradusse e pubblicò col titolo, «I racconti delle Fate», le « Storie» e «Racconti del Tempo passato» del
Perrault e altre favole francesi. Il Paggi gli propose anche di rimodernare il
« Giannetto » del Paravicini e il Collodi, dopo vari dubbi e
tentennamenti, si mise al lavoro e scrisse il fortunato Giannettino, cui
poi seguirono Minuzzolo e una serie di libri scolastici sempre
improntati al Giannettino.
Il suo romanzo « Giannettino » segna una tappa veramente
importante nel mondo della letteratura infantile. Il protagonista, Giannettino,
è un ragazzo di buona famiglia, molto vivace, che mette lo scompiglio in casa.
Un amico di famiglia, il dottor Boccadoro, si assume il compito di
istruire ed educare Giannettino che, pur amando e stimando il suo maestro, non
gli risparmia alcuni dei suoi più riusciti scherzi.
Nel 1881, Ferdinando Martini, direttore del Fanfulla, fondò
il Giornale per i bambini, che si proponeva un compito molto chiaro e
preciso: quello di offrire ai giovani una lettura piacevole ed istruttiva e
costringere gli scrittori più illustri a degnarsi di scendere fino alle loro
menti. Collodi, invitato a collaborarvi tra i primi, poiché la necessità di
denaro vinse la sua abituale indolenza, mandò al direttore Guido Biagi alcune
cartelle intitolate La storia di un burattino, con queste parole: « Ti
mando questa bambinata, fanne quello che ti pare; ma se la stampi, pagamela
bene per farmi venire la voglia di seguitarla ». Dopo poche puntate, interruppe
il racconto e solo dopo essere stato sollecitato dal Biagi e dal vastissimo
pubblico di bambini, che avevano già imparato ad amare il burattino, continuò
sino alla fine. Intanto il Biagi stesso, nel corso della pubblicazione, aveva
cambiato il primo titolo in quello di Avventure di Pinocchio. Fu edito
in volume per la prima volta nel 1883 e il libro, accolto entusiasticamente dai
piccoli lettori, fece storcere la bocca a molte autorevoli persone che lo
giudicavano non solo stravagante, ma perfino immorale. A sette anni di
distanza, nell'ottobre del 1890, quando Collodi chiudeva la propria vita
travagliata in un modo, se non proprio tragico, perlomeno fortemente
impressionante, non era stata ancora resa giustizia al grande capolavoro,
tradotto in tutte le lingue. Il creatore della figura più simpatica e attraente
che l'infanzia abbia avuto come modello e compagno, non ebbe prima di morire
quel riconoscimento unanime e trionfale che si sarebbe meritato.
Dopo una vita intensa e punteggiata di vari avvenimenti, egli morì
una sera, come un povero viandante stanco del lungo cammino, mentre rincasava,
colpito da un improvviso malore.
Ma Pinocchio, fortunatamente, è sopravvissuto.
L'eredità preziosa di Carlo Lorenzini è stata devoluta ai bimbi e agli adulti
di tutto il mondo, avendo in sé tutti i pregi d'una ricca e feconda opera
d'arte. La varietà dei personaggi, la mobilità delle scene, il mordente di un
dialogo sempre così perfetto nelle sue infinite sfumata, riescono subito a
conciliarsi la simpatia e l'attenzione di qualunque lettore. Una vasta galleria
di figure ci passa rapidamente dinanzi, ora con la maschera degli animali, —
secondo la tradizione tramandataci dal greco Esopo, — ora con l'aspetto vero e
proprio dell'uomo. Sembrerebbe quasi impossibile che in trentasei brevi capitoli
possa radunarsi tanta vasta e varia materia. Il merito è proprio esclusivamente
del Collodi che possiede una tecnica mirabile nell'impostare le scene. Egli sa
dar vita all'azione senza soffermarsi in descrizioni inutili e noiose e senza
indugiare in commenti fastidiosi e superflui. I fatti, narrati con incisiva sapiente concisione, si illustrano da
soli. Le pennellate d'ambiente sono brevi, scarnite d'ogni sfoggio di goffa
retorica, ma egualmente efficaci. La parola ha la semplice e nativa purezza
toscana, aliena comunque dai preziosismi fiorentini. E' stato osservato, con
ragione, che Collodi, dopo Manzoni, è stato uno degli scrittori che
maggiormente hanno contribuito a rendere la lingua scritta molto vicina a
quella parlata.
Come già abbiamo accennato, non mancarono, però, le
voci discordi nel coro di consensi tributati al Collodi. Ma il caro, divertente
burattino, il migliore amico della nostra infanzia e il migliore ricordo dei
nostri anni non più verdi, è perfettamente in grado di difendersi da sé. In che
modo? Si leggano le sue avventure e il mistero sarà chiarito.
1) Le
avventure di Pinocchio. Un povero falegname, Mastro Geppetto, decide un giorno
di ricavare da un pezzo di legno un burattino, Pinocchio, che gli terrà
compagnia durante la vecchiaia. Al vederlo sgambettare il suo cuore si riempie
di gioia, ma...
2) ...il burattino, appena è terminato, scappa dalla casa paterna.
Affamato e stanco, decide però di farvi ritorno e qui vorrebbe colmare i morsi
della fame con una frittatina, ma dall'uovo ch'egli ha trovato esce un pulcino
che subito vola via.
3) A Pinocchio non resta che fare una bella dormitina e si siede
accanto al braciere su cui appoggia i piedi, che durante il sonno si bruciano.
Al ritorno, Geppetto dona al figlio le tre pere della sua colazione e subito
dopo rifà i piedi al burattino.
4) Questi, commosso per la bontà del suo « babbino », gli promette
che diverrà un buon ragazzo e andrà a scuola come tutti gli altri bimbi.
Sacrificando la sua casacca, Geppetto gli compera allora l'abbecedario e
Pinocchio, felice, esce di casa.
5) Durante il cammino, però, a Pinocchio capitano diverse
avventure che gli fruttano quattro monete d'oro. Nel ritornare a casa, egli
incontra una volpe zoppa e un gatto cieco che lo consigliano di seguirli se
desidera centuplicare le sue monete d'oro.
6) Ma, più tardi, il Gatto e la Volpe, travestiti da assassini,
assalgono il povero burattino, che in tutta fretta, nasconde le monete in bocca.
I due comparì, indispettiti,
lo impiccano ad un albero. Quasi morto di paura Pinocchio viene salvato
dalla Fata Turchina.
7) Riconoscente, il burattino promette alla Fata di metter
giudizio e intanto racconta alla «sorellina» tutte le avventure scorsegli e,
man mano che le parole gli escono di bocca, il naso gli si allunga
sempre più, in seguito alle numerose bugie ch'egli dice.
8) Nonostante le buone intenzioni espresse, Pinocchio, incontrati
nuovamente il Gatto e la Volpe, si lascia convincere a seguirli e, dopo varie
peripezie, cade nelle mani di un pescatore che vuole friggerlo in
padella. Salvato anche questa volta, promette ancora di
cambiar vita.
9) Ma poi si lascia corrompere da un compagno di scuola,
Lucignolo, che lo convince a partire con lui per il Paese dei Balocchi; giunto
il carro su cui deve salire Lucignolo, Pinocchio segue l'amico e, poiché non vi
è più posto nel carro, sale a cassetta.
1O) In quel luogo di delizie che è il Paese dei Balocchi,
Pinocchio dimentica il trascorrere del tempo e passa da un divertimento
all'altro. Una brutta mattina però si sveglia con le orecchie d'asino e a poco
a poco il suo corpo si ricopre di pelo e la sua voce, si muta in raglio.
11) Cambiato in asino, Pinocchio viene venduto al
proprietario dì un circo che gli insegna a saltare e a ballare e diviene
presto l'idolo dei bambini che frequentano la
spettacolo. Una sera, saltando un cerchio, il Ciuchino Pinocchio si azzoppa e
viene venduto per pochi soldi.
12) Il nuovo proprietario decide di farne una pelle di tamburo e,
legatogli un grosso masso al collo, lo cala in acqua per farlo morire ma,
ritirata la corda, vede un burattino che subito gli sfugge di mano; da questo
momento Pinocchio diventa un ragazzo per bene.
Marco Pugacioff
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