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lunedì 26 dicembre 2022

Cronaca dell’Insolito 18: demoni, grifoni, angeli etruschi e gigantessa di Teramo

 

Cronaca dell’Insolito 18

demoni, grifoni, angeli etruschi e gigantessa di Teramo

 


 

   Una gentile signora, mi ha scritto ridendo, che lei si vaccinata due volte ed era ancora qui. Ne sono felice e lo dico sul serio.

Ma da parte mia, non ho fatto NESSUNA vaccinazione imposta e SONO ANCORA QUI.

Per questo naturalmente ho ricevuto dall’Ufficio Riscossioni, la multa per non essermi vaccinato. Non la pagherò e - nonostante il nuovo governo italico di destra che avrebbe sospeso il pagamento della multa - fra due mesi mi preleveranno di forza, minimo 3000 o 6000 euri. Una pratica una volta partita deve arrivare alla fine.

 

   Ma sono dello stampo di Robin des bois, di Blek.

Anche se a Robin "Hod", hanno spezzato il collo con una catena...

   Se metto l’auto in sosta vietata pago (e ancora non mi è successo) perché ho fatto una cosa che non dovevo fare, ma questa volta non pago!
   La vaccinazione obbligatoria è stata una forzatura degna di "gente" (anzi bestie) che vogliono la morte.

  E io sono loro nemico, anche se abito in un buco. Un buco di petit ville [nata sopra l’antica collocazione dell’Aquisgrana di Carlo Magno], dove “sembra” che nessuno sta male per le vaccinazioni...

   Bà, Tony Antony [Roger Petitto, secondo Marco Giusti[1] sulla pellicola “Lo straniero di Silenzio” [rivisto in lingua yankee e con sottotoli in spagnolo], dove un pistolero straccione arriva a Osaka in Giappone (che donne, ragazzi!) esclama «Ci sono due cose da cui non si può scappare: La morte e le imposte [o tasse]». Dagli anni ’70 non è cambiato nulla; più si va avanti e più non si guadagna una lira [a proposito, quand'è che si ritorna alla lira? Ho capito, Mai!]  s.p.!

 


   Vabbé, vi ho "rotto le scatole" abbastanza, con le mie storie. iniziamo con altre storie.

 



I teneri Cucciolo & Beppe bambini di Rino Anzi

 

   Il caro Tiramolla fu creato da Rino Anzi [padre di Cucciolo & Beppe, non dimentichiamolo mai!], e poi “qualcuno” lo passò a Renzi che ci creò una storia sopra e ne passò i testi al caro Giorgio. E Rino Anzi, mai ricevette nemmeno una telefonata di ringraziamento – almeno quello – da questo signor “qualcuno”.

    Per la stampa cattolica, Tiramolla esigeva un sospetto di cattiva educazione, perciò non doveva essere letto. Si era detto che forse perché la sua figura aveva un carattere “fallico”, o cose del genere.

Grazie al Giornale dei Misteri, ho avuto il vero perché. Seguitemi: nel numero 21 a pagina 11, il Padre Romano De Roma (calma! Non me lo sto inventando, si chiama proprio così[2]) scrisse un articolo per la rubrica de Le potenze invisibili. L’articolo si intitolava “L’azione [non cattolica, ma] demoniaca” e le prime righe sul capitoletto La possessione, mi ha – come si dice – illuminato.

Dall’edizione italica de La ville du soleil,  kiwi n.354 dell’ottobre del ’84(Spiacente non sono riuscito a trovare il mio Kiwi) di André Amoriq

 


Il momento in cui a Lino Ventura, legato con una catena a una colonna, stanno per bruciargli il viso con una fiamma ossidrica.

Con notevole disperazione le spezza!

Un vero e proprio “Gorilla”, come Blek!

(da Il gorilla vi saluta cordialmente, del ‘58)

 

   Il Padre scriveva «La possessione si ha quando il demonio invade e domina il corpo umano comprese le facoltà sensitive. Sotto questa azione l’uomo compie atti che denotano una forza estrema o una sorprendente agilità (possiamo considerarci anche Yannick Le Roc – chiamato dai Pellerossa Blek, sotto questo aspetto). Egli può rimuovere pesi enormi o spezzare grosse catene (come il gorilla interpretato da Lino Ventura), compiere salti acrobatici (come ho detto proprio Yannick) o (ed ora leggete bene, ci metto pure il corsivo) passare attraverso aperture strettissime.» e non proseguo oltre.


   Eccolo il perché; il caro Tiramolla era considerato un vero e proprio demonio!

Il più caro e tenero amico dei bambini che eravamo!  


Ancora su demoni, grifoni e angeli.

 

   Nel mondo degli Etruschi venivano raffigurati dei geni con le ali. Nel numero 20, 1972 del GdM vi è una bella foto (in bianco e nero) di un genio alato come dei Cherubini, il quale porta un papiro nella mano destra e (da quel che scriveva Solas Buoncompagni a pag. 13) una misteriosa pigna, simbolo di vita; poi aggiunge che ha un secchiello per le lustrazioni, sarà… ma dov’è?

 



Altra bella illustrazione è nella pagina seguente, in cui lascio la nota originale della rivista.


Dispiace che questi geni alati siano molto simili a delle ragazze, ma la mancanza di tette e la presenza dei testicoli, non lascia spazio a nessun dubbio.

Guardate quest’altra raffigurazione, sarà la curvatura del vaso in cui sembrerebbe un corpo femminile ma i soliti testicoli e la mancanza di un bel petto pronunciato non lascia dubbi.

 



   Succede, anche se demoni femminili, le demonesse e angeli femminili ci sono, basta solo pensare a Lilith (non capite male, non parlo della moglie di Tex), come si vede in questa copertina.


Peccato per quei piedacci brutti e pericolosi. Per il resto… che corpo!

   Tutto questo per parlarvi della tavoletta votiva, scoperta ripostiglio di santuario presso Locri, in cui viene raffigurato come la dea Persefone viene rapita da un carro trainato da due esseri alati simili, sì, agli angeli, ma nudi. Uffa! Ragazze, no, vero?

Comunque scriveva Solas Buoncompagni “[…] Omero… descrive un Olimpo avvolto da «sacra nube» con «eteree porte», da cui sortivano le dee coi loro cocchi e i loro destrieri [3]. 

Prosegue “Così pure la letteratura ellenistica ci descrive un Alessandro immerso in un magico mondo di prodigi e di visioni, di straordinari fenomeni naturali, di popoli di strana figura, di sirene; un Alessandro che si fa calare negli abissi marini con una botte di vetro e che viene trasportato in cielo da un carro, guidati da grifoni [4]”.


Alessandro Magno trascinato in cielo da grifoni. Arazzo del secolo XV, a Palazzo Doria, Roma.

 

   Da pagg. 159-161 de I nobili fatti di Alessandro Magno romanzo storico tradotto dal francese a cura di Giusto Grion, Bologna 1872

«Et quindi si parti Alessandro colla sua oste e venne al mare Rosso, e quivi misse il campo allato a una grande montagna, si che Alessandro parea che toccasse il cielo. E incontanente pensò in suo cuore di fare uno ingigno, collo quale elli potesse andare infino al cielo. E incontanente comandò alli suoi maestri di legname, che facessono una gabbia, là dove elli stesse in mezzo. Poi fece legare a ciascuno canto della gabbia quattro uccelli grifoni, e sopra loro vi fece legare quattro quarti di carne di bue legati in grande partiche; e anche prese due lance , e missevi ispugna d’acqua. E quando Alessandro fu dentro della gabbia con tutte queste cose, li grifoni ch’erano affamati, viddono la carne, si levarono in volo per

prenderla, e così portorono la gabbia con tutto Alessandro su inell’arie si alto, che Alessandro che guardava inverso la terra, li parea come una aia, o come una piccola piazza; e l’acqua li parea ch’avvolgesse la terra come uno dragone. E quando Alessandro fu andato tanto in alto, come li piacque , prese le pertiche della carne, e abbassolle inverso la terra; e li grifoni volarono in verso la carne , tanto che puosono Alessandro lontano dalla sua oste bene una giornata sanza nullo male. Poi si misse alla via a piedi, con gran travaglio venne alli suoi cavallieri; e quando lo viddono, fècionne grande allegrezza; e adoravano come si fosse Iddio..

 

Come Alessandro volle cercare il fondo del mare.

 

Et quando Alessandro s’ebbe fatto portare alli grifoni nell’aria , elli disse , che volea cercare il fondo del mare, dove più cupo fosse. Allora comandò alli suoi ingegneri, che facessono una gabbia di vetro molto splendiente, sicchè potesse vedere di fuora tutte cose chiaramente. E comandò che la legassono con catene di ferro. E così com’elli comandò, fu fatto.

Allora montò Alessandro in una nave , e missesi in alto mare, poi intrò nella gabbia, e fecesi calare intro il profondo del mare alli suoi cavallieri, di quelli di cui più si fidava. E quivi vidde Alessandro di diverse maniere pesci, e di diversi colori, e molti che

si assimigliavano a bestie terrene, e andavano per lo fondo del mare quelle bestie, venieno ad Alessandro, poi fuggivano immantenente. E anche vi vidde altre maravigliose cose, che io non voglio dire, imperciocchè non sarebbono credevoli alli uomini. E quando ebbe tutto questo veduto, si si fece tirare su incontanente che crollò la catena ; e quando fu su, sì n’andò alla sua oste in terra, che molto ebbono gran gioia, quando il viddono.»

 

  E infine non poteva mancare Frate Francesco. “Narra San Bonaventura nella «Vita di San Francesco» che a «Rivotorto (in Umbria), una notte, mentre alcuni frati dormivano e altri vegliavano in orazione, apparve loro un carro di fuoco di mirabile splendore. Su di esso, aureolato da celesti fulgori, a guisa di nuovo Elia, era assiso Santo Francesco[5]»

 



   Ci sono carri celesti ed anche comete, però come scrive Bianca Capone, nell’articolo Luci dallo spazio, la cometa di Halley, nel famoso arazzo sull’invasione dei Normanni nel 1066 in Inghilterra, che è un vero e proprio fumetto… senza fumetti, è raffigurata in modo insolito. La regolarità geometrica del disegno potrebbe farla apparire piuttosto come una “macchina” più che come “corpo” celeste. V. pag. 61 del GdM 21.


Passiamo ora a una gigantessa

 

   Va bene, basta con storielle de fantascienza e passiamo al ritrovamento di una tomba di gigantessa, non in Sardegna, ma in una grotta sulle montagne della Laga, praticamente sul confine tra Abruzzo e Marche. Insomma nella Francia delle origini... per chi - come me - ci crede.

Non per niente l’epoca è su per giù quella, scrive infatti il bravo Peter Kolosimo in risposta ad una lettera di Delfino Fregonese di Teramo «Una donna bionda, bellissima, (? E da che lo hanno capito? Bò!) con gli occhi azzurri: così Il Mezzogiorno quotidiano abruzzese, descrive il reperto del Gruppo Archeologico Teramano, diretto appunto da Delfino Fregonese.

Fin qui nulla di strano. Curioso è il fatto che si tratti di una “gigantessa” alta 2,20 metri, morta tra il 1100 ed il 1200 [Quando ormai Aquisgrana era ormai traslata in Germania…], sepolta in maniera assolutamente inconsueta. Nella mano sinistra, infatti, stringe una sbarra di ferro e rame, recante all’estremità un uncino, avvolta da una reticella metallica ossidata.

Le circostanze del suo decesso rimangono misteriose. La donna (d’età tra i 22 e i 25 anni) – Kolosimo prosegue seguendo lo scritto di Fregonese – fu colpita da un corpo acuminato, forse da una spada, in mezzo alla fronte, ma il colpo non la uccise. Morì più tardi per una seconda, tremenda ferita, forse provocata da una scure. Al cadavere fu asportata la materia celebrale. La calotta cranica venne troncata con un taglio rozzo. La ragazza fu quindi sottoposta ad un’operazione terribile, probabilmente mentre stava agonizzando. Perché?»

e qui mi fermo, sennò sarei costretto a trascrivere tutto tutte le ipotesi di Kolosimo (e non sarebbe giusto) su questo “giallo medievale”.



Dal GdM n. 20 di novembre del ’72, pagg. 68-69

 

Strega, guerriera? Bòòòò! Qualche professorone d’università avrà pure dato il suo responso definitivo.

A me comunque mi ha ricordato

 

Foglia di pino (Pine Leaf)

 

Una condottiera dei Corvi, catturata all’età di dieci anni nel suo accampamento dei Grande Ventre, e cresciuta poi come una donna dei Corvi.


Era conosciuta come una feroce guerriera e divenne capo di guerra e cacciatrice, tanto da essere conosciuta come “Donna capo” e, come molti dei suoi colleghi capi maschi, ebbe diverse mogli, si dice fino a quattro spose.

   La gran figliola morì in un agguato, durante (se ben ricordo da quel che ho letto in rete) un consiglio di capi, a cui andò disarmata.



[1]V. Dizionario del western all’italiana, pag. 508, Oscar Mondadori 2007.

[2] Dal Giornale dei Misteri n. 19 – ottobre 1972, pag. 56 «Padre Romano De Roma Francescano Conventuale è Rettore dello Studio Teologico per laici di S. Croce in Firenze. Ha pubblicato su varie riviste specializzate articoli e ricerche su argomenti teologi e letterari. Si interessa da diversi anni di occultismo e su questo tema ha tenuto cicli di conferenze in varie località.»

[3] Omero, Iliade, libro VIII, (dalla traduzione del Monti). V. pag. 33, GdM n. 21.

[4] Vari. «Dizionario letterario delle Opere e dei Personaggi», vol. I, pag. 68 – voce: Alessandro Magno – Bompiani. (citato sempre in GdM.)

[5] San Bonaventura: «Vita di San Francesco», cap. IV, n. 4. sempre citato dal GdM.

 

Marco Pugacioff

[Disegnatore di fumetti dilettante

e Ricercatore storico dilettante, ma non blogger

(Questo è un sito!)]

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

26/12/'22

 articoli

 

venerdì 2 dicembre 2022

Bernat I de Vilamarí Corsaro e Ammiraglio

Bernat I de Vilamarí

Corsaro e Ammiraglio

nel Mediterraneo 

 

Nacque nella potente famiglia catalana dei Vilamarí. Era il figlio di Joan Vilamarí i Sagarriga, signore di Buadella (nell’attuale provincia di Gerona, in Catalogna) ed è molto probabile che sia nato nel castello di famiglia di detta città.

   Le prime attività marittime a Vilamarí di cui si hanno notizie sono di natura mercenaria o corsara. Nel 1443 andò ad aiutare il despota di Arta[1].

   Nel 1450 il re Alfonso V il Magnanimo (1396-1458) d’Aragona, il cui regno fu caratterizzato da una politica navale aggressiva attraverso la concessione di numerose lettere di marca[2], affidò a Vilamarí il comando di una spedizione nel Mediterraneo orientale, approfittando della caotica situazione prevalente nell’area prima dell’inarrestabile avanzata ottomana verso Costantinopoli, per molestare le navi delle potenze marittime nemiche.

Dovette anche soccorrere i Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme assediati dai Turchi nell’isola di Rodi.

 



    Vilamarí navigò lungo le coste dell’Asia Minore, Cipro e Rodi e attaccò navi veneziane, genovesi, egiziane e ottomane. Nel 1450 si impadronì di Kastelorizo ​​​​(Castellroig in catalano, “castillo rojo” in spagnolo, en greco Καστελλόριζο, Kastellórizo, e in italiano Castelrosso e anche chiamata Megisti), un isolotto situato a meno di un chilometro e mezzo dalla costa della Licia, e che sarebbe stata la posizione più orientale dell’Aragona nel Mediterraneo. Già appartenuta e poi abbandonata dai Cavalieri Ospitalieri, i quali protestarono tramite il loro Gran Maestro Jean de Lastic (fu Gran Maestro dal 1437 fino alla sua morte nel 1454), tanto che fecero giungere le loro lamentele anche a papa Niccolò V (pontefice dal 1447 al 1455) e l’imperatore Federico III (1415-1493). Tuttavia, era stato proprio il papa ad autorizzare Alfonso V ad occupare l’isola.

   Vilamarí fece ricostruire la fortezza di Castellroig, che era stata distrutta nel 1444 dalle truppe del Sultano d’Egitto durante la sua guerra contro i Cavalieri di Rodi. Questa fortezza ebbe il nome di Castello Alfonsí, dove si stabilì una guarnigione catalana.

Divenne una base operativa dell’isola dalla quale svolse costanti attività di pirateria per i successivi quattro anni, contro navi di varia provenienza, oltre che contro porti e coste dell’Anatolia, della Palestina, della Siria e del delta del Nilo.

Nel 1449 da Napoli andò con le galee in aiuto del duca Luigi I di Savoia.

   Militarmente parlando, gli attacchi alle coste mamelucche erano dovuti al fatto che il Sultano stava aiutando Mehmed II[3], che era allora il più grande nemico della cristianità. In uno di questi scontri presso la città di Damieta sul delta del Nilo nel 1451, gli uomini di Vilamarí ottennero un’importante vittoria, a seguito della quale il Sultano dovette firmare un trattato che permetteva agli aragonesi la libera navigazione attraverso l’Egitto.

Come capitano generale della marina, intervenne in diverse azioni sulle coste italiane al servizio di Alfonso IV, e nel 1453 costrinse alla capitolazione il castello di Vada.

   Nel 1454, l’ammiraglio fu convocato da Alfonso V e fu sostituto da suo nipote Joan de Vilamarí a Castellroig.


    La sua destinazione successiva fu il Mediterraneo occidentale (1454-1459), dove – alla stregua del futuro pirata barbaresco Dragut (1485 – 1565), anche lui ammiraglio e corsaro ma ottomano – combatté con successo contro Genova, attaccando sia obiettivi militari come la Corsica sia i suoi interessi commerciali.

Nel 1454 distrusse quasi completamente un convoglio di mercantili genovesi nel Tirreno, presso Ponza.

Aveva ereditato in quello stesso anno il castello di Palau-saverdera e la casa di Vilamaniscle per successione di Ramon de Palau.

Nel 1457 comandò una flotta di 60 velieri e con essa attaccò le coste nemiche, conquistando Noli in Liguria e preparandosi poi a fare altrettanto con la capitale della repubblica.

Tuttavia, la morte del Magnanimo (Alfonso V morì il 27 giugno 1458) fece sospendere le operazioni navali che lo riguardavano. La Pace fu fatta nel 1459 con la cessione, da parte di Genova, di Calvi e Bonifacio.

Passò anche dal servizio di Ferdinando I di Napoli a quello di Giovanni II di Catalogna-Aragona, per il quale, come al tempo di Alfonso, fu governatore del  Rossiglione. Con la flotta a Barcellona inutilizzata a causa della crisi del principe Carlos de Viana nel 1461, agì poi, un po’ indeciso, a favore del re a Tarragona e Roses (1462).

   Nella guerra civile catalana[4] (1462-1472) tra Juan II (il successore di Alfonso V) e la Diputación del General, Vilamarí non volle schierarsi e andò in Italia nel 1462; qui era il Capitano della galea dove, a Porto Pisano [sede delle galeazze della Repubblica di Firenze], fu stipulato l’accordo tra Alfonso IV di Catalogna-Aragona e il duca Filippo Maria I di Milano.  

Sposato con Eleonor de Castre-Pinós y de So, non ha lasciato figli.

 

Tra le sue qualifiche ebbe vi era quella di Ammiraglio [Almirall], signore di Palau-saverdera e Boadella.

 

Scrive Benedetto Croce nel suo libro La Spagna nella vita italiana durante la rinascenza, Laterza & figli, 1922, pag. 24,…

«Anche capitani marittimi e corsali catalani erano spesso al soldo degli stati italiani; e famoso fu nel secolo seguente Bernardo Villamarino, che servì per qualche tempo Firenze contro Genova.» e in nota «Alla morte del Villamarino si riferisce un racconto contenuto nelle Facezie del piovano Arlotto (ed. Baccini, Firenze, 1884), pp. 108-10.»

   Cosa scrisse l’anonimo autore delle novelle di Arlotto, in quanto il simpatico pievano fu autore solo di un indice e non di una novellistica? Nella novella 29 (vedi l’edizione curata da G. Folena del 1953) un suo amico fabbricante di candele si trova nei guai per aver preparato dei candelieri con cera non buona. Ceri destinati…

«Per certa suspecione di guerra che avevano e’ Fiorentini co’ Genovesi, non era sicuro il mare di Pisa, né di tutta ispiaggia romana, in modo non poteva venire alcuno navilio sicuro; di che risultava danno assai a’ Fiorentini e Pisani, e a tutto il paese era grande incomodo.

   Per questa cagione presono al loro soldo messer Bernardo Villamarina capitano marittimo e corsale [leggi corsaro] in quelli tempi famoso, il quale aveva una buona armata di navi e di galee e, per buono soldo aveva dai Fiorentini, teneva sicura tutta quella spiaggia, che ogni navilio, quantunque piccolo fussi, a Pisa sicuro veniva incolume.

   Dalli fiorentini sono mandati alcuni uficiali come è Capitano, Podestà, Proveditore di gabelle e altri tra’ quali vi viene uno magistrato più eccellente di tutti e questi sono i Consoli del mare[5], il quale è uno ufizio di tre uomini di grande autorità e hanno la cura di tutta la città, appartenente in mare e in terra.

   Istando le cose in questi termini avenne che messer Bernardo Villamarina detto malò d’una grave infermità. Intesosi in Firenze il caso fu in dispiacere a tutti i cittadini perché istimavano il detto capitano assai e di subito si mandò per quelli magistrati e medici e medicine e remedii e quanti si puote, e mandoronli a Pisa e iscrissono alli tre Consoli che con ogni diligenzia si sforzassino d’adoperare l’uomo guarisse e non guardassino in danari né in alcuno ispendio, e così feciono.

   Poté più la malattia grave che li remedii si facevano, in modo passò di questa vita e morì in galea in Arno in Pisa, né mai volle iscendere in terra e dicevasi che era istato più che anni .XXX. [30] che mai non aveva dormito in terra.

   Aùto [avuto] i fiorentini la siconda novella della morte feciono fare quattro ricche bandiere con le arme del populo e comun di Firenze e mandoronle a Pisa per onorare il corpo e iscrissono a’ Consoli che adoperassino con ogni loro isforzo di farli uno ossequio bellissimo, per quanto si poteva fare in quello luogo, sanza alcuno rispiarmo di danari e così fu fatto per li detti Consuli in modo che saria istato bastante a uno imperadore.»

 

   Secondo la wiki spagnola, anche suo figlio, Bernat II († 1512), fece carriera come marinaio, eccellendo nell’ammiragliato della marina napoletana. Se non che, non avrebbe avuto figli!

 

   Di lui il DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI scrive…   

   VILLAMARINO (Villamarina), Bernardo (Bernat de Vilamarí). – Figlio di Berenguer de Vilamarí e di Costanza, di cui s’ignora il casato, nipote dell’omonimo ammiraglio della Corona d’Aragona (1403/1411-1463), nacque verosimilmente a Barcellona nel 1462.

La data di nascita si ricava in maniera indiretta dall’epigrafe apposta al monumento funebre collocato nel monastero di Montserrat, andata perduta, la quale, secondo alcune testimonianze, ne datava la morte a 54 anni nel 1516. La raccolta di epigrafi di Gregorio de Argaiz, redatta nel 1677, basata in buona parte sull’opera di Mathieu Olivier, risalente al 1617, riporta la data del 1512. Si tratta, però, d’un errore palese, giacché le notizie riguardanti l’ammiraglio proseguono oltre quest’anno.

 

Sepolcro di Bernat II de Vilamarí, Monasterio de Montserrat.

 

   Morì verosimilmente il 1° dicembre 1516. Il giorno dopo fu sepolto nella chiesa di S. Maria di  Piedigrotta, a Napoli.

Nell’abbazia di Montserrat è possibile ammirare il mausoleo in marmo a lui dedicato. Il suo testamento, redatto a bordo di una galea il 16 settembre 1512, fu aperto e letto il 16 dicembre 1516.

   Da notare che questo secondo Bernardo Villamarina, ebbe dalla moglie Isabel de Cardona, sorella del grande almirante e viceré di Napoli dal 1509 al 1522 Ramón Folch de Cardona, due figlie.

Una, Maria, morì a soli tredici anni e le sue ossa dovrebbe riposare con quelle del padre a Montserrat, ma l’altra Isabella fu letterata e nobile italiana, ultima principessa di Salerno, che in vita venne accusata di eresia.



[1] Il despota era Carlo II Tocco (morto nel 1448); fu il sovrano dell’Epiro dal 1429 fino alla sua morte. Sua moglie fu Raimondina di Ventimiglia [in fondo un riferimento di sapore salgariano ci voleva], Carlo II Tocco ebbe quattro figli.

Il despotado dell’Epiro sorse nella regione dell’Epiro nel 1204 dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei crociati e la creazione dell’Impero latino di Costantinopoli. Esistete tra 1205 e 1358.

[2] Una lettera di corsa, detta anche lettera di marca o patente di corsa, era un documento emesso dalle autorità di un territorio, mediante il quale il proprietario di una nave aveva il permesso dall’autorità di attaccare navi e popolazioni di nazioni nemiche. In questo modo il proprietario entrava a far parte della marina del paese o della città distributrice. Le lettere di marca erano ampiamente utilizzate nel Medioevo e nell’età moderna, quando le nazioni non potevano permettersi le proprie marine o non erano abbastanza grandi. In questo modo Francia, Inghilterra e Spagna ne fecero ampio uso. Sono stati utilizzati anche dalle nazioni americane durante le guerre di indipendenza. Furono aboliti nel 1856 con il trattato di Parigi, che pose fine alla guerra di Crimea. Fino al 1994, la Costituzione Nazionale dell’Argentina ha mantenuto una clausola che attribuiva al Congresso Nazionale: 22. Concedere lettere di marchio e di rappresaglia, e stabilire regolamenti per le dighe .

Attualmente, - notizia scovata sulla pagina wiki spagnola, ma naturalmente non in quella italiana – il Congresso degli Stati Uniti ha autorizzato il presidente a rilasciare licenze corsare per attaccare le navi russe.

v. https://es.wikipedia.org/wiki/Patente_de_corso

[3] In turco moderno: Fatih Sultan Mehmed, anche conosciuto come “il conquistatore”, 1432 - 1481.

[4]La guerra civile catalana, che durò una decina d’anni, fu il conflitto che ebbe luogo nel Principato di Catalogna tra i sostenitori del re Giovanni II d’Aragona oltreché di Sicilia e Navarra (1398- 1479) e conte di Barcellona, ​​e quelli delle istituzioni catalane ribellatesi al re guidate dalla Diputación del General del Principato di Catalogna e del Consiglio del Principato.

Lo storico catalano e professore all’università di Barcellona Francesc Xavier Hernández Cardona, (classe 1954) ha scritto che «da un punto di vista tecnico e tecnologico, la guerra civile catalana è stata l’ultima guerra medievale, ma anche la prima guerra moderna».

[5] I Consoli del mare furono istituiti con Provvisione del 13 dicembre 1421 allorché la Repubblica Fiorentina, in conseguenza dell’acquisto di  Livorno e di Porto Pisano, poté intraprendere una politica marinara, cui la nuova  magistratura era chiamata a sovrintendere. I Consoli del mare, prima eletti dai Consigli e in un secondo tempo estratti a  sorte in numero di sei, duravano in carica un anno ed avevano inizialmente il loro quartier generale a Firenze; nel giugno del 1423 si stabilì che due di loro a rotazione  si trasferissero a Pisa, numero portato a tre dal 1426. I Consoli del mare di Firenze furono soppressi nel 1481, allorché entrò in crisi l’intero sistema delle galere; alcune delle loro competenze furono ereditate dai Capitani di Parte Guelfa.

Notizie riprese in rete dall’archivio di stato di Firenze.

 

Fonti:

-        https://www.enciclopedia.cat/gran-enciclopedia-catalana/bernat-de-vilamari-0

-        https://es.wikipedia.org/wiki/Bernat_I_de_Vilamarí

-        https://es.wikipedia.org/wiki/Carlo_II_Tocco

-        d i z i o n a r i o biografico degli italiani, 2020, pagg. 323-325

e Le novelle di Arlotto

Marco Pugacioff

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