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domenica 30 giugno 2019

Dante a Camerino


Dante a Camerino


Una scena da Vita di Dante del 1965

   Camerino mi ha sempre attratto. Colpa forse delle piccole vacanze che ci facevano – quand’ero regazzino – nella casa al di sotto della “rocca Borgia”, alle “Conce”; colpa forse della suggestione che ne aveva mio fratello, che era nato in quella antica città, antica quanto Roma e altrettanto suggestiva; della leggenda – ormai solo una voce – che mi narrò, molti anni fa, di alcuni studenti che negli anni ’50 entrarono nei sotterranei di quel enorme castello (ha l’ampiezza di un campo di calcio) chiamato Rocca Borgia e ne uscì solo uno, dopo molto tempo e coi capelli bianchi, tanto che dovettero murarne l’ingresso (e nella mia mente fantasticavo che fosse stato mio zio muratore). Del film in bianco e nero, che fu girato all’interno delle sue mura e che mio fratello – sempre lui – aveva visto in televisione, in cui la scena clou era la tortura del cavo degli occhi di un malcapitato e poi si scoprì poi essere solo dei piccoli frutti.
    Suggestioni che continuarono passeggiando tra le sue vie di sera, mentre magari mio cugino girava in ronda coi suoi colleghi. Erano strade che in autunno con la nebbia – bisogna ammetterlo – sembravano quasi tenebrose, degne della mitica Londra dove girava Holmes, tanto che ridendo dicevano cogli amici, di girarci un film sui vampiri. Passeggiate che oggi non si possono fare più se non si vuole che un pezzo di tetto ci finisca in testa.


Ammiro di spalle una via di Camerino nel 2014

    Eppure questa suggestione non finisce qui. Della storia che mi raccontò il tabaccaio qua a Macerata, di quello studente che prese in affitto un appartamento a poco prezzo perché nessuno voleva andarci; l’appartamento era stato abitato da un professore che teneva nel suo studio organi e animaletti vari sotto spirito e lo studente in seguito scoprì a sue spese la ragione del fitto così basso. Nello studio vi era un campanello che il professore suonava per chiamare i familiari o i domestici e che suonava ancora di notte. Lo studente fece staccare il campanello, ma il fenomeno continuò. Sembra una vicenda legata al televisivo Segno del Comando…


    Storielline buone per esser narrate intorno al focolare (come dovevano fare i miei nonni) direte voi e come direbbe mio cugino, eppure – non me ne vogliano i camerti – qualcosa c’è.
Un centro di studi metapsichici che settimanalmente si riunivano – prima del terremoto che del 2016 – per ascoltare il medium che dava messaggi dall’aldilà.
Questa associazione era nata, non molti decenni fa, dalla scoperta dello spirito inquieto di un legionario romano del III secolo, che in vita massacrò dei cristiani, e che infestava una casa a Camerino e che attraverso il medium ebbe poi la pace. Dopo di lui si fecero sentire altre persone, ma cosa particolare, in una trance ad incorporazione si manifestò Dante Alighieri e il medium assumeva un atteggiamento austero. Il busto si irrigidiva e nello stesso tempo, le mani si incrociavano lentamente sovrapponendosi per infilarsi (nel limite del possibile) nelle maniche della giacca. Il medium prendeva poi ad esprimersi con una voce leggermente nasale, pacata e virile – scriveva Claudio Pretolati[1] – e parlava nel linguaggio trecentesco fiorentino. In ventitre sedute medianiche tra il ’48 e il ’49 dettò l’opera Dalla Terra al Cielo composta da undici canti.  

Dante in una splendida illustrazone di Michele Arcangiolo Iocca per
l'album Girtondo intorno al tempo allegato a Lupettino Tascabile
    
   Ma come mai Dante non si è manifestato a Firenze? Eppure non mancano i medium a Firenze, mi basta ricordare le numerose cronache sul Giornale dei Misteri del gruppo “Cerchio Firenze 77” che ha svolto le sue inchieste per più di 40 anni; non solo, ma dopo di Dante si è manifesto il professore ottocentesco Giambattista Giuliani (Asti 1818 – Firenze 1860), con voce, accento e espressioni totalmente differenti che nel sentire i nuovi versi di Dante si commuoveva e ne dava una corretta analisi.


Il duomo e l’università negli anni ’50.

    La risposta potrebbe essere una sola: Dante è stato a Fonte Avellana, ha visto le rovine di Urbisaglia (probabilmente proprio quelle a Pian di Pieca) e quindi non può che esser stato anche a Camerino, e presumibilmente proprio nell’antica Università che di sicuro esisteva prima dell’atterramento del 1259… un’università indicata da Guido Piovene nel suo libro Viaggio in Italia, come «…quel centro dell'occultismo che è l’università di Camerino» e ancora «un università seria, con il vantaggio dell’intimità dell’ambiente e della conoscenza stretta tra i professor e gli studenti, quale si può ottenere in un piccolo centro tra la collina e la montagna[…] tranquilla, adatta all’isolamento studioso, sembra rientrare all’idea degli studi come la si coltiva più in Inghilterra che in Italia.[2]»

 A meno che, con i piedi per terra, non consideriate queste storie solo adatte ad essere narrate intorno al focolare.  
Marco Pugacioff
 


  






[1] Vedi il quarto capitolo di L’altra realtà, a cura di Paola Giovetti, ed. Meditteranee 1990.


[2] Un libro Giunti del Luglio 2017. 

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lunedì 24 giugno 2019

Yannick le roc (BLEK): Tutto ha fine !


Yannick le roc (BLEK): 
Tutto ha fine !































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sabato 1 giugno 2019

RITRATTO DI CARLO MAGNO Del sassone Eginardo

RITRATTO DI CARLO MAGNO
Del sassone Eginardo

Ettore Manni impersona uno splendido Carlo Magno nell'Orlando furioso televisivo

Era re Carlo di corporatura massiccia e robusta, di statura alta che pur tuttavia non eccedeva una giusta misura, dato che misurava sette volte la lunghezza del suo piede. Aveva testa tonda, occhi grandissimi e vivaci, il naso un po' più lungo del normale, bei capelli bianchi, volto sereno e gioviale che gli conferiva, seduto che fosse, o diritto in piedi, una grandissima autorità e pari dignità d'aspetto. Quantunque avesse un collo grasso e troppo corto, ed il ventre un po' sporgente, purtuttavia l'armoniosità delle altre membra celava questi difetti. Sicuro nell'incedere, emanava da tutto il corpo un fascino virile: aveva una voce chiara che non aderiva, pur tuttavia, al suo corpo. La salute era eccellente ma, negli ultimi quattro anni di vita, andò frequentemente soggetto alle febbri, ed infine finì con lo zoppicare da un piede. Ma faceva a testa sua e non si curava del parere dei medici, che aveva preso in grande uggia, perché gli consigliavano di abbandonare, per le carni lesse, gli arrosti ai quali era, invece, abituato. Si esercitava di frequente alla equitazione e alla caccia, ed era questa una passione che aveva sin dalla nascita, perché non è possibile trovare al mondo chi possa paragonarsi ai Franchi in tali esercizi fisici. Amava anche molto i bagni minerali e spesso si esercitava al nuoto. Eccelleva talmente in questo esercizio, che nessuno riusciva a sorpassarlo. Per tale ragione costruì una reggia in Aquisgrana; ivi trascorse gli ultimi anni della sua vita, abitandovi in permanenza. Invitava al bagno con lui, non soltanto i figli, ma anche i grandi del regno e gli amici e talora persino tutte le proprie guardie del corpo. Avveniva così che, qualche
volta, scendessero in acqua con lui oltre cento uomini.
Vestiva sempre nel costume nazionale dei Franchi: sul corpo indossava una camicia ed un paio di mutande di lino; su di esse poneva una tunica orlata di seta e i pantaloni : portava fascie alle gambe e calzari ai piedi.... Rifuggiva dai costumi d'altri paesi, ancorché bellissimi, e non amò mai indossarli, meno che a Roma, una prima volta su richiesta di papa Adriano e una seconda per preghiera del successore di lui, Leone. Allora acconsentì a portare una lunga tunica e la clamide ed i sandali alla moda dei Romani....
Era assai sobrio nel mangiare e nel bere; nel bere sopratutto. Detestava l'ubriachezza in qualsiasi uomo e massimamente in sé e nei suoi. Del cibo però faceva poco volentieri a meno e spesso si lagnava, dicendo che il suo corpo sopportava male i digiuni. Banchettava molto di rado.... : il suo pranzo quotidiano si componeva di sole quattro portate, non contando l'arrosto, che i cacciatori solevano presentargli sugli spiedi e che egli mangiava più volentieri di qualsiasi altro cibo. Mentre cenava gli piaceva udire qualche musica o qualche lettore. Gli leggevano le storie degli antichi, ma amava ascoltare anche le opere di S. Agostino, e specialmente quella intitolata «De civitate Dei»...
Aveva facile e copioso l'eloquio e sapeva esprimere con molta chiarezza il proprio pensiero. Non contento di conoscere la sola lingua patria, si dette ad apprendere anche le straniere, e tra queste imparò tanto bene il latino, che era solito esprimersi in quell'idioma con la stessa facilità che nel proprio; il greco lo comprendeva meglio di quanto non lo parlasse...
Tentò anche di scrivere, e, a questo scopo, aveva l'abitudine di tenere sotto i cuscini del letto alcune tavolette ed alcuni fogli di pergamena, per esercitarsi, quando ne aveva tempo, a tracciare di propria mano, varie lettere. Ma poco gli fruttò questo lavoro disordinato e iniziato troppo tardi.


EGINARDO, Vita Karoli (trad. A. CUTOLO), cap. 22-25


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