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lunedì 27 aprile 2020

Colonnello Mikoyan: una nuova vita maledetta


Colonnello Mikoyan:
una nuova vita maledetta


I contenuti del racconto de Il Colonnello Mikoyan: Una nuova vita maledetta  di Marco Graziosi, in arte Marco Pugacioff pubblicato su questo blog non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all'autore, che ne detiene tutti i diritti.
La copia e la riproduzione dei contenuti sono vietate in qualsiasi modo o forma.
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Copyright 2020 by Marco Pugacioff. All rights reserved.

   l’ufficio è quasi al buio, dietro una scrivania siede un personaggio indossate una divisa, e che un certo chiarore alle sue spalle fa indovinare essere blu come quelle delle forze americane. Parla irritato al giovane davanti a lui in giacca e cravatta nera.
-        In tutti questi anni non siete riusciti ad attivare la sua copia?
-        No signore! Ci abbiamo provato numerose volte da quando lo catturammo e gli innestammo i meccanismi di controllo nel suo cranio. Ma quella volta riuscì solo con la forza di volontà ha distruggerli e fuggì.
-        Ma non è possibile che non si riesca ad attivarla. Abbiamo bisogno di quella copia.
-        Ogni volta la copia sembra rigurgitare l’anima ospite. Crediamo che le proprietà di quel metallo vivo riescano…
-        Non mi importa ! Dovete raddoppiare i vostri sforzi.

  Gli occhi si riaprono quasi a fatica. Gli sembra di vedere una scritta davanti a sé. È al contrario, in caratteri latini, ma indica un nome. E questo nome lo riconosce; Sa che è il suo!
Poi si avvede che respira attraverso un respiratore come quello del suo Mig. Il suo mig? Ma è stato sabotato e si trova abbattuto in Ucraina e… un momento si trova… sembra in una sorta di doccia.. No, è una capsula, immerso in liquido verde. E davanti a sé vede altri uomini e donne terrestri in altre capsule.
Ora sa dov’è! Era già stato in questi luoghi infernali, ma… da vivo! Lui è morto! Ricorda all’improvviso… e la respirazione si fa più agitata, incomincia a muoversi pazzescamente e con i suoi pugni prende a tempestare la struttura trasparente, e con la forza delle sue braccia di metallo vivo la capsula si fracassa. Il liquido verde fuoriesce con forza dalla capsula e lui si proietta al di fuori per trovarsi in ginocchio. E mentre si strappa il respiratore ricorda; gli avevano strappato i suoi bracci e l’ultima cosa che ricorda che la vita se ne andava veloce mentre una gran quantità di sangue, il suo sangue bagnava il pavimento.
E allora urla! Un lungo urlo angosciato, mentre un lamento inizia a percorrere quel magazzino di capsule. Sempre respirando a fatica, inizia a comprendere che è in pericolo! Presto qualcuno o qualcosa verrà ! In alto, deve fuggire in alto.

Nello stesso istante nell’ufficio al buio un telefono squilla. Il giovane risponde subito e quel sente gli fa scendere un lungo brivido freddo lungo la schiena.
-        Signore! La… copia, la copia ha preso vita e sta cercando di scappare dalla base !
-        Che cosa? – mentre lancia l’urlo l’uomo in uniforme fa uscire la sua lingua è spaventosamente simile a quelle dei rettili – Dovete fermarla ad ogni costo !

   La salita è lenta, sfibrante, per arrivare a quel condotto e in seguito quel pozzo enorme, ha dovuto farsi largo tra militari umani e creature aliene. Ha dovuto colpire con forza con i suoi arti di metallo vivo; quegli stessi arti, le cui facoltà rendevano inerti le armi degli avversari.
Ha orrore di ciò che ha fatto, di ciò che ha spezzato, arti, teste, armi finché ecco il condotto che fornisce aria a quella base da incubo. Ora la salita è faticosa; non è nemmeno a metà strada ed è già sfinito, ma la fatica lo aiuta a non pensare a ciò che si è lasciato dietro.
Su ! Su ! Senza fermarsi mai ! E davanti a sé finalmente fa capolino una leggera luminescenza, quella stessa che si ha quando le tenebre sono illuminate dalla luna.
    La luna, sì, la luna è lassù. Un ultimo sforzo…
    L’aria fresca della notte colpisce le sue narici mentre esce dal gigantesco pozzo. Un pozzo da cui il popolo apache si tiene ben lontano. A quattro zampe respira affannoso il profumo del deserto e davanti a lui avverte una presenza non ostile che gli avvicina.
-        Ben tornato alla vita, figlio !
  Il vecchio uomo della medicina avvolge Leonid in una coperta, poi lo aiuta a rialzarsi e lo accompagna nei primi passi della sua libertà.

    Il fuoristrada proveniente dall’Arizona, avanza veloce nella riserva apache in Nuovo Messico. Al suo interno ci sono un uomo, un nativo navajo, sua moglie, una splendida donna di razza bianca e dietro due bambine fissate sui dei seggiolini; una ha circa sette anni e l’altra nemmeno due.
Sono passati più di due anni da quando il colonnello Mikoyan li aveva liberati in Ucraina.
-        Non posso credere a quello che tuo cognato Miguel mi ha detto al telefono. – da quando erano partiti dall’Arizona, la donna era rimasta in silenzio. – Tuo padre ci aspetta presso un vecchio stregone apache chiamato Nube Roja. Ma da quando è tornato dall’India ?
-        Non lo so di preciso. Ma so che vi si era recato per delle indagini su una nuova arma chimica che era stata realizzata da medici sauditi nel 2012. I campioni di questa arma furono in seguito portati a Winnipeg in Canada per essere studiati e attivati. A maggio le Giubbe Rosse hanno condotto un’indagine sulla sparizione di alcuni campioni di quest’arma da Winnipeg e i sospetti si sono concentrati su due ricercatori cinesi.
-        Ricercatori… cinesi. – La donna inizia ad aver paura…
-        Amici di mio padre della polizia a cavallo lo hanno avvertito e questo lo ha condotto a sua volta ad una sua indagine che lo portato nel nord est dell’India, nello stato del Nagaland e ha scoperto che quest’arma chimica è stata sperimentata sulla popolazione locale e… è tornato con i primi segni del male !
-        Per questo non si è fatto più vedere !
-        Purtroppo è così ! Si è ritirato nel luogo dove è morta mia madre durante la loro ultima indagine più di vent’anni fa.
-        Ma chi è vorrebbe scatenare una simile mostruosità ?
-        I soliti noti del potere mondiale. Hanno scatenato questa arma chimica per colpire la fascia più debole della popolazione umana: anziani e persone con problemi fisici. La mortalità è tra i 10 e il 30% delle persone. Questa genia malefica è la stessa contro cui ha lottato per anni il colonnello Mikoyan.
-        Mikoyan. L’uomo che è morto per salvarci. H-ho paura di quello che ci aspetta e contro questa crudeltà nemmeno un angelo come lui ci potrebbe salvare.
-        Né un angelo, né un demone…
-        Miguel, tua sorella e i loro ragazzi sono già in quel villaggio. Ci vuole isolare ?
-         Non è solo per questo ! C’è qualcosa di cui non mi ha parlato; qualcuno che dobbiamo vedere.
  Il fuoristrada entra nel piccolo villaggio, e i due vedono Miguel con sua moglie ad attenderli al di fuori della loro casa, un piccolo rancho.
Le bambine vengono affidate alla sorella dell’uomo liberato dal colonnello Mikoyan; d’ora in poi e per parecchio tempo, quella sarebbe stata la loro casa.
   Miguel accompagna suo cognato insieme alla moglie in un boschetto lì vicino. In una radura vi è una capanna per i ritiri spirituali e al di fuori vi sono l’anziano stregone apache e suo padre ancora duro come una roccia, ma con una mascherina che gli copre bocca e naso.
-        Bene arrivati ragazzi ! – Il vecchio poliziotto federale parla visibilmente con fatica. – D’ora in poi, per parecchi mesi vivremo isolati qui… ma non è solo per questo che vi ho chiamati.
-        Che vuoi dire, padre ?
-        Non è nemmeno una settimana che da un pozzo senza fondo… è uscito un uomo !... Vorrei che mi diceste chi è… perché ho un brutta notizia per lui… se mi confermate la sua identità !
  In quel momento si apre la tenda della piccola capanna usata per ritiro spirituale e da essa sbuca un uomo avvolto da un asciugamano alla vita. Ha agli occhi degli occhiali da sole e – cosa che spaventa al solo sguardo – delle braccia che sembrano metalliche. Il metallo sembra vivo e cambia colore ininterrottamente dal rosso al blu, in maniera raggelante.
-        Colonnello ! Ma lei… lei era morto !
-        Sono felice di vedervi liberi e… vivi !
Il vecchio poliziotto federale si rivolge al figlio.
-        Andate dalle bambine… Devo parlare di una cosa… molto grave con il colonnello !
Allontanati i due, Leonid viene accompagnato a vestirsi dal poliziotto.
-        Colonnello, deve sapere… – inizia con lentezza l’uomo – che il suo amico Popesco è diventato generale e oggi… è un uomo chiave della difesa del suo paese !... Ma è successo un fatto grave… sono riusciti a rapire la sua figlia più piccola… per avere l’accesso alla sicurezza nazionale ! – Leonid si blocca raggelato, nel sentire la cosa – Il presidente del suo paese ha momentaneamente sospeso l’incarico del generale… ma il KGB non riesce a ritrovare la bambina! … Da quel poco che ho saputo ci sono dietro… la stessa genia contro cui lei lottava !
-        Signor T. devo tornare al più presto a Mosca !
-        Sapevo che mi avrebbe risposto così… È già tutto pronto per la sua partenza… con canali non usuali !          

     Il giardino della vecchia villa zarista alla periferia di Mosca non è ben tenuto. Tutti se ne tengono ben lontani. Di notte si vedono girare strane e alte creature… di quella stessa razza della creatura apparsa in alta Italia nel 2012. Una volta tre poliziotti che indagavano su di una sparizione provarono ad entrare. Solo uno riuscì ad uscire e quel che raccontò ai suoi superiori – delle strane creature che vigilavano il luogo, degli alti balzi che facevano per superarli – li convinse a tenersi lontani da quel luogo.
   Nadezda si trova proprio in quel luogo, del tutto stordita. Vestita di un lungo abito bianco, viene fatta entrare in un vasto locale illuminato da molte candele, dove delle colonne reggono una cupola. Al centro vi è un altare e davanti ad esso persone con cappucci a punta e un lungo abito sacerdotale.
Alcuni di questi abiti sono neri, altri bianchi, se Nadezzka riuscisse a ragionare capirebbe che sotto agli abiti scuri ci sono degli uomini e sotto quelli bianchi delle donne.
Fatta passare attraverso gli incappucciati, nella semicoscienza Nadezka si vede avvicinarsi all’altare. Poi dall’alto, dalla cupola una gran luce bianca inizia a illuminare l’ara. E al centro della luce compare lo stesso personaggio che all’interno della base in America voleva far attivare – senza esito – la copia di Leonid.
   La bambina è stordita dalla droghe che gli hanno fatto ingerire, ma dentro di sé ancora reagisce. E parla!
-        Voglio tornare a casa, dal babbo; da Ilenia!
  Una risata sinistra gli risponde… Ma all’improvviso una voce conosciuta, a lei cara, gli risponde:
-        Nadezda! Chiudi gli occhi tesoro, Presto!
-        Zio Leonid ! Sei qui! Portami via, ti prego! – e contemporaneamente, con lentezza, si serra gli occhi con i suoi braccini.
   L’essere venuto dalle stelle, prova a impartire degli ordini, ma nel buio una mano d’acciaio gli serra la gola da dietro, costringendolo ad aprire la bocca e a tirar fuori la sua lingua spaventosa da rettile e una voce gli sussurra:
-        E’ venuto il tuo turno di morire, ma tu non tornerai in vita!
   Questa volta è l’essere a cadere preda del terrore! La sua lingua è afferrata da Leonid è strappata con violenza.
   I servi dell’essere lo vedono cadere a terra soffocando nel suo stesso sangue.     È il loro turno di piombare nel terrore. Nella sala buia illuminata solo al centro dalle candele, come marionette impazzite a cui sono stati tagliati i fili, i servi corrono scontrandosi tra di loro mentre sinistri rumori di ossa rotte si alzano nell’aria.
Spietatamente Mikoyan non risparmia nessuno. Né uomini, né donne e senza versar sangue, lentamente mette fine alle loro esistenze.
    Infine un silenzio sinistro cala sulla sala. Leonid si avvicina alla bambina e gli fa:
-        Non aprire ancora gli occhi, tesoro. Ora andiamo via!
-        Sì zio!
   Mikoyan, alza la bambina in alto, la serra a sé e si avvia verso l’uscita. Questa volta le porte si apriranno.

   La sala d’entrata dell’ospedale è buia. La donna esce dal suo ufficio con delle carte in mano. È stressata, sfibrata dai continui turni imposti dalla nuova, malefica emergenza che incombe sul mondo e… trattiene a stento un grido, ma non riesce a tenere in mano le carte.
Leonid è davanti a sé con tutta la sua stazza, ma la donna si calma quasi subito quando scorge tra le sue braccia la bambina addormentata.
-        Questa è la figlia del generale Popesco. È stata drogata; curatela e avvertite la sua famiglia!
   Con una delicatezza inaspettata l’ex colonnello colloca Nadezda nelle braccia dell’infermiera. Da quel momento la donna ha occhi solo per la bambina che colloca in una barella che dirige verso l’infermeria.
   - Ci occuperemo subito di lei, non si preoccu…! – la donna gira un attimo la testa verso l’uomo, ma Leonid è già scomparso come un fantasma.   

    Ivan e sua figlia accompagnati dagli uomini di scorta sono all’ospedale e mentre una infermiera guida Ilenia dalla sorella, Popesco interroga l’infermiera che per prima ebbe fra le braccia Nadezka.
-        Mi sono ritrovata davanti a me quell’uomo all’improvviso. È un miracolo che non abbia gridato dalla paura, ma mi sono calmata appena mi ha messo fra le braccia, con tenerezza, la bambina.
-        Mi descriva quell’uomo, signora !
-        Non ho potuto notarlo bene. Era buio, ma aveva la sua stessa altezza, cappelli neri, brizzolati; vestiva con giacca e cravatta… non so perché ma mi dava l’impressione che era un militare, credo addirittura un ufficiale… ho almeno è la sensazione, sì, la sensazione che ho avuto.
-        Ma non ricorda altro ?
-        Solo una cosa strana: portava dei guanti alle mani e degli occhiali neri !
  Un lungo brivido percorse la schiena del generale. L’immagine data dalla precaria descrizione dell’infermiera era quella di Leonid.
Ivan ringrazia l’infermiera e si dirige verso la camera dove erano le figlie con l’anima ancora sconvolta.
Leonid, non può essere. Leonid è morto si diceva fra sé… Ma, appena supera la porta dove i suoi uomini di scorta sono di guardia, la scossa ai suoi nervi è allucinante.
-        Lo zio Leonid, Ilenia ! È stato lo zio a portarmi via  ! – diceva la bambina alla sorella sconvolta da quelle parole.
  Ivan si ritrova da solo fuori dall’ospedale, da solo, a respirare l’aria viziata di Mosca. Il buio è appena rischiarato dai lampioni stradali… e sotto uno di essi lo vede. Vede Leonid ! E gli corre incontro. Sì. È lui !
-        Leonid ! Sei tu, veramente tu ?
-        No Ivan. Io sono… morto !
-        Non è vero ! Sei qui davanti a me, in carne e ossa !
-        No, Ivan ! Io sono… una copia ! – e la paura esplode in Popesco. Alla sua mente ritornano gli allucinanti racconti di Leonid sulle attività mostruose degli alieni.
-        Nonostante tutto volevo… salutarti, prima di andarmene.
-        Ma cosa dirò alla tua famiglia, a... a Grigori ?
-        Non devi dire niente ! Alle tue bambine potrai dire che… uno spirito benefico si è occupato di Nadezka. È meglio così.
-        Ma dove andrai, ora ?
-        Ancora non lo so ! Addio Ivan !
-        Leonid !
  Ma Ivan non riceve nessuna risposta… vede solo, con gli occhi accecati dalle lacrime, un’ombra che si immerge nel buio.

Fine.


Genesi iniziale del racconto.



   Quanto terminai il romanzetto, sempre Erik mi disse che gli sarebbe piaciuto leggere altre avventure del colonnello. Ma ormai Mikoyan aveva cessato la sua vita terrena. Era riuscito ad avere la pace che aveva sempre cercato anche se in maniera tragica.
Ma la mia mente non riesce a star ferma e come per le mia seconda avventura di Chiodino di notte mi sono sognato il seguito (e ancora adesso non sto scherzando).
   Vi era un’unica maniera per far ritornare il colonnello. Dalle allucinanti ricerche del dottor Corrado Malanga ho trovato la maniera per la spaventosa resurrezione di Leonid. E spaventosa lo è davvero: una sua copia come in uno specchio, che si attiva perché una creaturina è in pericolo. Già proprio come uno spirito benigno, come un angelo sterminatore che combatte i demoni malefici nel nostro mondo.  


Una creatura vivente di metallo da Mandrake
    


Marco Pugacioff
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martedì 14 aprile 2020

Colonnello Mikoyan: preda e cacciatore


Colonnello Mikoyan: preda e cacciatore


I contenuti del romanzo breve de Il Colonnello Mikoyan: Preda e cacciatore  di Marco Graziosi, in arte Marco Pugacioff pubblicato su questo blog non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all'autore, che ne detiene tutti i diritti.
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Copyright 2020 by Marco Pugacioff. All rights reserved.

   L’ufficio è sinistro, come il luogo dove situato, nel più oscuro corridoio dell’antica sede del KGB, la famigerata Lubjanka in piazza Dzerdzhinsky a Mosca. L’ufficio è denominato la Tana dello stregone, e così è conosciuto perfino al Cremlino; un’alta finestra con un’inferriata alla sinistra dell’entrata è l’unica fonte di luce naturale della stanza; al soffitto vi è una lampada oscura che illumina il tavolo centrale e all’intorno ci sono vecchi scaffali arrugginiti che contengono fascicoli su tutto ciò di sinistro che avviene nel nostro pianeta. Stregonerie, diavolerie, rapimenti alieni. Ovviamente non è che un dipartimento staccato da altri uffici che indagano sugli stessi fenomeni. Il suo abitante è forse ancora più sinistro, è un uomo prossimo ai sessant’anni, con i gradi di colonnello. Si chiama Leonid, Leonid Vladimir Mikoyan e di lui si dice che abbia discendenze mongole; ma sono solo voci.
   Ma le voci più sinistre spiegano perché anche al buio porta occhiali scuri e anche nel caldo più intenso indossi dei guanti alle mani. Alla fine degli anni ’80 era stato trasferito come giovane sottufficiale in Antartide nella base sovietica sul lago Vostok;  in quella gelida località avvenne un misterioso incidente provocato ad arte da un vecchio scienziato nazista prigioniero da anni dell’armata rossa. Il giovane Mikoyan aveva perso la mano destra, l’intero braccio sinistro e la vista nel salvare lo scienziato e questi, con fredda  e spietata riconoscenza si dice che gli avesse sostituto le due braccia con arti bionici e gli organi visivi con quelli di una tigre. Voci, solo voci, e tecnicamente impossibili ma è vero che il colonnello può effettivamente vedere al buio come i gatti e abbia una forza straordinaria.
Per entrare nel suo ufficio bisogna passare una porta a vetri che immette nel corridoio scarsamente illuminato, ed è sempre con un brivido alla schiena che il colonnello Popesco lo percorre. Quando l’ufficiale dai capelli grigi e di origini ungheresi arriva alla fine dell’androne, prima che apra la porta, la lampada centrale dell’ufficio si illumina in maniera meno sinistra. Per Popesco, anche se sa che è solo scienza tecnologica, resta sempre un’opera di magia.
Mikoyan sta mettendo nello schedario un fascicolo in cui Popesco riesce a leggere in caratteri latini ”Mortegliano”.
-        Salve Ivan, mettiti pure comodo. – Mikoyan accolse l’amico con un sorriso quasi sinistro
-        Ciao Leonid. – dice Popesco mettendosi a sedere.
-        Da tempo ho compreso bene che difficilmente mi verresti a trovare per invitarmi alla “bella Napoli” a gustarmi un buon piatto di pasta… –  dice, mettendosi a sua volta a sedere.
-        Tu e l’Italia, devi avere sangue latino nelle vene – Popesco esita a parlare, non gli va di mettere il vecchio amico in pericolo ed esita a entrare in argomento – Vedo che tua zia tiene sempre la tua tana pulita e ordinata.
-        Naturalmente, ma sarebbe ora che andasse in pensione e io con lei! Perché ogni volta che mi fai visita significa che hai una patata bollente tra le mani…
-        È così ! mi dispiace darti questo incarico ma l’ordine viene dall’alto.
-        Non poteva essere altrimenti.
-        Leonid, la richiesta viene dagli ex compagni di Kiev…
-        Perdio! Chi è penetrato nella zona rossa?
-        Hai già capito che la patata è incandescente. Del resto nella zona rossa non entrano più nemmeno i reparti specializzati dell’esercito. Ma è successo un fatto nuovo. Una giornalista statunitense è entrata ieri nella zona e…
-        Non ha dato più sue notizie di sé, vero?
-        Sembra che sia nipote di un pezzo grosso e a Kiev hanno rimbalzato la patata al Cremlino chiedendo il tuo personale intervento.
-        Così dovrei rischiare la vita per la nipotina del “vagabondo”? Non basta agli yankee essersi comprati mezza Ucraina? Comandano un po’ troppo quella gente!
-        È quello che dicono ancora di noi in tutta Europa… ma come hai capito che quella sciagurata è la nipote dell’attuale presidente degli Usa a cui hai proprio rifilato un bel sopranome?
-        Dì pure di tutte e due le Americhe, come dell’Italia è il Pontefice gesuita e dell’Europa la banca tedesca. Sai bene che anch’io ho i miei personali canali che mi informano su ciò che succede nelle zone calde del nostro pianeta; immagino che per il mio intervento abbiano già chiesto una sontuosa contropartita.
-        Credo proprio di sì, ma tutto è dipeso da te…
-        Incomincio ad invecchiare per queste missioni, ma non posso certo tirarmi indietro. Me ne frego di quella “sciagurata” – come l’hai chiamata tu – che probabilmente è già carne da macello, ma scommetto che per farmi intervenire farebbero pressioni sulla mia famiglia.
-        Leonid, io…
-        Buono Ivan! In fondo avevi ragione tu, non avrei dovuto salvare quel nazista a Vostok. Ora non sarei così… – gli occhiali neri di Mikoyan, guardano in basso e un sinistro sorriso piega le sue labbra –  …”equipaggiato” e adatto a questi lavori, tanto che in molti vorrebbero capire le mie funzioni. Ma puoi esser certo che se dovessi fallire, farò in modo che non ritrovino più il mio corpo! E ora andiamo, non c’è da perdere troppo tempo. Puoi accompagnarmi tu al mio mig?
-        Ma certo! Andiamo !

   Entrando nell’auto di Popesco, Leonid si colloca nel sedile accanto al guidatore e trova sotto ai suoi piedi un paio di anfibi sporchi di terra.
   - Diavolo ! Scusami, ieri sono stato in campagna con i miei uomini e…
   - Per così poco, non mi danno certo fastidio… anzi. Abbiamo le stesse misure di calzatura. Posso prenderli?
   - E come no?
   Leonid si cambia le scarpe con gli anfibi, poi sistema le scarpe dietro al sedile e lì trova due libri per l’infanzia, posati sul sedile posteriore. Con insolita delicatezza li prende in mano. Popesco è vedovo da alcuni anni e sua moglie gli ha lasciato due figlie; Ilenia di quindici anni e la più piccola Nadezda di sei anni di età.
-        Ah! Nadezda li voleva portare a scuola stamattina, ma Ilenia gli ha fatto cambiare idea. – Mikoyan li sta spogliando con cura. Cercando di non piegare i fogli. – Stasera devo portarli a casa !
-         


Il Pinocchio di Tolstoj in una edizione della Germania Orientale



Chiodino in una versione russa

-        Sono Burattino e Chiodino al circo!  – fa Leonid – Sono quelli che gli avevo regalato. Ancora ricordo come mi chiese se Chiodino fosse il mio fratellino più piccolo…
-        E tu non l’hai smentita!
-        Non potevo! Dimmi, Ilenia è sempre così vicina alla sorella?
-        Sì! È lei che la va a prendere a scuola quando io non posso e questo capita spesso… troppo spesso per i miei gusti!
  L’auto di Popesco, finito il tragitto, passa i controlli all’aeroporto e infila la pista di decollo, dove il vecchio mig di Leonid è già pronto al decollo.
Leonid si infila la tuta di volo con una strana, serena, tranquillità, sale sulla scaletta e si infila nell’abitacolo. Indossa il casco e parla un’ultima volta all’amico.
   - Avverti Grigori che sto per arrivare ! – Un veloce saluto con la sua mano, poi accende il motore.
   Il mig infila pista di decollo e si alza in volo poi sotto gli occhi di Popesco lo vede girare verso l’ovest. In quel momento si sente una angosciosa stretta al cuore, ma dentro di sé si dice:
    - No! Se c’è mai stato un uomo d’acciaio questo è lui. Tornerà, sì! Tornerà!

I primi guai

   Al controllo aereo dell’Ucraina avevano visto il mig del colonnello passare il confine e dirigersi verso l’aeroporto più vicino alla zona rossa, ma uno dei controllori nota subito delle imperfezioni nella direzione di volo e chiama il suo ufficiale, un uomo sui cinquant’anni, il maggiore Grigori Borzov.
-        Signore! Il mig del colonnello ha dei problemi! Ha anche cambiato direzione per…  per dirigersi risolutamente verso la zona rossa!
-        Che cosa? All’inferno! Leonid! – nel maggiore spunta subito un’enorme tormento. Era stato lui a far chiedere il suo aiuto da Kiev a Mosca.
-        Mettetemi in contatto con il colonnello Mikoyan… – ma non riesce a finire la frase che la voce di Mikoyan si sente alla radio
-        Qui Mikoyan, centro di controllo mi sentite?
-        Forte e chiaro colonnello! Ha dei problemi con il suo aereo?
-        È così! ho cambiato rotta perché il mio mig sta avendo gravi problemi strutturali, inoltre la cloche oramai è diventata pesante e non mi risponde quasi più. È sicuramente un sabotaggio! – la parola risuona come un esplosione al centro di controllo.
-        Colonnello, si butti ! Manderemo degli uomini a recuperala, non è ancora nella zona rossa… – ma il maggiore viene immediatamente fermato dalla voce di Mikoyan
-        Negativo Borzov! Ho una missione da compiere, me la caverò da solo. Chiudo!
-        Colonnello ! Colonnello !
-        Inutile, maggiore. Ha interrotto il contatto.
Intanto sullo schermo il mig prende lentamente la direzione del suolo.
-        Ma signore… mandare i nostri uomini, rischiare la loro vita per recuperare un russo, un nemico… – fa il controllore, ma il maggiore risponde subito:
-        Conosco personalmente quel colonnello. Se c’è un uomo da salvare, questi è proprio lui ! Chiamatemi subito il colonnello Popesco a Mosca!
   Lentamente il segnale del mig scompare dallo schermo, ormai è a terra. Non è trascorso nemmeno un minuto che il maggiore è messo in comunicazione con Popesco.
-        Il mig è caduto e Leonid non si lanciato. Secondo me dobbiamo assolutamente recuperarlo!
-        Aspetta Grigori. Che cosa ti ha riferito nell’ultimo contatto? – chiede Popesco
-        Non vuole essere recuperato ma…
-        Allora – fece Popesco con profondo sospiro – dobbiamo seguire le sue volontà; non c’è altro da fare !
-        Ivan ! dovresti sapere che al confine con la zona rossa vi è quella che è considerata la sua anticamera. Non possiamo lasciarlo lì. È stata sinistramente chiamata dal suo padrone Ship-trap!
-        Grigori, ascolta. Leonid conosce tutti i luoghi oscuri del pianeta. Sa sicuramente cosa l’aspetta… – un ulteriore esitazione poi Popesco prosegue – potrebbe anche farcela. Dobbiamo avere fiducia in lui, come abbiamo già fatto in passato, quando venne catturato ma riuscì a liberarsi da solo. Tieni sempre pronta ad intervenire la squadra di recupero solo per il compimento della sua missione alle porte della zona rossa. Questa notte resterò qui, mi raccomando chiamami per qualunque novità. 

   I due uomini correvano nella massa verde. Hanno le tute mimetiche dei spetnaz, i corpi specializzati dell’ex armata rossa. Non avevano armi ed erano già scampati a due trappole solo grazie al loro addestramento e alla loro esperienza. Ma era inevitabile; non avrebbero resistito a lungo. Sentivano i cani dietro di loro.
-         Maledetti cani! Capitano, quando potremo ancora sfuggirli? Quel pellerossa è davvero un formidabile cacciatore.
-        Ma è anche uno schiavo, come la donna con la bambina. – risponde l’ufficiale.
-        Loro saranno le prossime vittime. Sono riuscito a parlato con lei. È rassegnata e teme più che altro per la figlia.
-        Dobbiamo raggiungere quelle basse colline là in fondo. Questa notte ho visto delle luci, come di una città. Una volta arrivati potremo metterci in contatto con la polizia locale e farle liberare… Guarda!
-        Ma è un mig! Sta letteralmente cadendo a terra, però il pilota lo sta ancora governando dannatamente bene. Diavolo! Non ho mai visto una simile abilità.
  Infatti il mig è letteralmente scosso nel tenere una direzione planando verso terra – segno della cloche praticamente non governabile – questo indica una potenza non comune del pilota. L’ufficiale capisce immediatamente chi è alla guida.
-        No! Non è solo abilità. C’è solo un… uomo, sì uomo, che può far questo! Dobbiamo raggiungerlo e metterlo al corrente del pericolo che correrà qui. E poi dovrebbe essere armato e questo sarà un aiuto per noi. Andiamo.  


  Mikoyan riesce a far planare con diabolica abilità un mezzo ormai praticamente incontrollabile. L’impatto è tremendo ma il colonnello si tira fuori dalla carlinga senza grandi problemi, salvo il sudore sulla sua fronte.
   Poi si libera dalla tuta di volo e rimane in divisa, giacca e cravatta; era partito così in fretta che non si era cambiato. Si lascia gli anfibi e indossa gli occhiali scuri; prima di partire per le basse colline che sono a poche distanza e che sono il limite della zona rossa, si gira un attimo verso il suo fedele mig e gli fa:
-        Se riuscirò a tornare a Mosca, ti farò recuperare. Ne abbiano viste troppe insieme.
  All’improvviso risuona un colpo d’arma da fuoco, seguito da un urlo lacerante. Mikoyan preferisce seguire la nuova direzione. Sullo sfondo si può intravedere una sontuosa costruzione che il colonnello giudica simile a un grosso rancho tipico dei territori statunitensi vicini al Messico. È sicuramente quello – pensa Leonid – che il suo proprietario ha definito Ship-trap, trappola di navi.

   Il capitano corre verso un possibile riparo sotto la piccola rupe alle sue spalle, ma a un metro dal riparo un colpo risuona nell’aria e l’uomo cade lentamente a terra. Negli ultimi istanti vede un uomo davanti a sé, nella boscaglia.
   Dall’alto della rupe un altro uomo si erge vittorioso con un fucile da caccia alle sue mani. Alto, occhi azzurri, cappelli rossi e con un sorriso beffardo sul viso lentigginoso. Ha al suo fianco, oltre a tre doberman, un altro uomo taciturno i cui tratti lasciano indovinare l’origine in un pellerossa, forse un Navajo o un Apache, con al collo un medaglione come i cani; ma il medaglione è spesso, metallico e possiede una piccola luce intermittente. Lo “schiavo” indica al “padrone” davanti, verso la boscaglia.
   Mikoyan emerge dal verde, calmo e si dirige verso l’uomo morente, incurante del cacciatore sulla rupe. Si inchina verso lo spetnaz, lo gira con delicatezza verso di lui, e l’uomo inizia a parlare con estrema difficoltà visto che non riesce più a respirare.
- Colonnello, quello lassù è solo un pazzo assettato di sangue… al ranch c’è anche una donna con una bambina e… e…
  Sono le sue ultime parole. Leonid lo aveva già visto, era uno dei più abili uomini dei corpi speciali, ufficialmente disperso in azione da pochi mesi. Con calma gli chiude gli occhi e…
Una pallottola di grosso carico lo colpisce al braccio strappando la sua divisa, ma ribalzando subito come se avesse colpito un’armatura. Con calma si tira in piedi, alza lo sguardo e fissa il cacciatore.
-        Era solo un colpo d’avvertimento ! Chi siete ?
-        Colonnello Leonid Mikoyan. Vengo da Mosca!
-        Ma certo; l’aereo che è caduto a poco meno di un chilometro da qui. Spiacente colonnello ma a casa mia si gioca secondo le mie regole. La mia passione è la caccia all’uomo e mi sono creato un parco divertimenti. L’ho chiamato Ship-trap in onore dello romanziere Richard Connell che ha scritto il racconto La partita più pericolosa.
-        Mi è giunta voce dei suoi sinistri “tornei di caccia” mister Cheney. Chi riesce a fuggirvi, entra nella zona rossa e non fa più ritorno.
-        Siete bene informato, ma non vi servirà a niente! Ho una lunga esperienza, acquisita prima con i pellerossa e poi con voi russi. – Cheney infila, in maniera eloquente, un nuovo proiettile nel fucile da caccia – Vi odio mortalmente e…
-        Ho una missione da compiere. Devo entrare nella zona rossa e sono già in ritardo. Provate pure a fermarmi!
   Detto questo il colonnello gira le spalle e si inoltra nella macchia verde, lasciando sbigottito Cheney, che non reagisce subito. Dentro di lui, per un attimo, ma solo per un attimo, nasce una gelida sensazione di terrore.

   Cheney reagisce troppo tardi e inizia a sparare verso Mikoyan, ma il colonnello penetra nel verde con gelida calma. Il polso inizia a tremargli e una rabbia furiosa esplode in lui e la rivolge al Navajo.
-        maledetto porco, perché non gli hai sparato. – ma il pellerossa resta in silenzio a fissarlo – Mandagli dietro i cani. Deve morire sbranato!
Lo “schiavo” fa un fischio ai tre doberman e li scaglia dietro al colonnello, poi si mette sulla loro scia.
   Leonid ha percorso altro terreno verso le basse e sinistre colline, quando sente dietro di sé i doberman. Con un’enorme distensione si ferma; non può sfuggirli, lo sa, perciò si gira e li aspetta. Dal fogliame sbucano i tre molossi, sembrano creature infernali, neri come la notte. L’unica cosa di bianco che hanno sono le fosse degli occhi e i loro denti.
   Il più vicino a lui, il più veloce dei tre, spicca un balzo per azzannarlo alla gola. Il colonnello lo aspetta fermo come una statua di pietra e reagisce all’ultimo istante possibile. Il pugno al suo muso è tremendo e il cane cessa di vivere all’istante; il suo corpo cade a terra mentre il secondo è pronto a scagliarsi sull’uomo, ma un robusto manrovescio lo spinge indietro a terra, avvitandosi su se stesso.
   Il terzo doberman si ferma sbigottito da ciò che ha visto, sente il suo compagno guaire dal dolore. Si avvicina piano all’altro cane che si rialza a fatica, ma ormai ogni bestialità in loro si è fermata e all’improvviso si danno  una fuga pazzesca dominata dalla paura.   
   Il Navajo si vede tornare indietro i cani, letteralmente impauriti e in cerca di carezze. Un sinistro presagio nasce in lui, e sente su di sé la sinistra ala della morte ma dopo aver calmato i  cani li lascia indietro e si dirige verso il colonnello con funesta rassegnazione.
Le tracce lasciate dopo l’albero hanno qualcosa di strano. Nonostante la sua esperienza, non riesce a ragionare. Eppure all’improvviso capisce ! Le tracce sono troppo profonde rispetto a prima, il russo è tornato indietro, calpestando le sue orme per salire sull’albero… il tempo di rendersi conto della cosa, girare la testa in alto e si vede piombare l’uomo su di lui.
    Leonid lo stordisce mentre lo butta a terra. Il Navajo ormai ha la certezza di essere ormai morto. In fondo è una liberazione; da quando fu fatto schiavo da Cheney si sente più morto che vivo, non era vita quella. Malgrado ciò gli sembra di sentire una voce che gli parla nella sua lingua, quella dei Navajo.
- Pensa tu alla donna e alla bambina. Liberale e poi fuggite !
Il pellerossa si rialza stordito, con la testa che gli duole e ci mette un po’ a rendersi conto… che non ha più il collare al collo. Con sua enorme sorpresa lo vede a terra spezzato e comprende subito che solo il russo può averlo spezzato; ricorda le sue parole e si mette a correre felice come un pazzo verso il rancho. 
     Cheney vede correre poco lontano da sé il suo schiavo; gli urla contro, e poi si accorge della sua aria felice e che è senza collare. La paura ritorna in lui e la sensazione di avere qualcuno non molto lontano alle sue spalle gli fa tremare i polsi.
Si gira e vede il colonnello fermo che lo fissa da dietro quei sinistri occhiali scuri. D’istinto prova a sparargli, ma il colpo non colpisce Leonid e il terrore si impadronisce di Cheney. Lascia cadere il suo fucile e nell’oscurità che precede la notte, inizia una fuga senza una direzione precisa, come aveva fatto sempre fare alle sue prede. Preda! Ora capisce di essere diventato una preda, lui, il cacciatore. E nella sua fuga impazzita finisce verso uno stagno e non si ricorda più delle mortali sabbie mobili che vi sono all’interno, finché non s’accorge delle braccia che sinistramente spuntano fuori dalla melma fangosa. Nello stesso tempo sente le sue gambe arrestarsi in un terreno fangoso e una voce urlare aiuto. Ma si rende conto che è lui a chiedere aiuto. Dietro di sé c’è il russo con il suo fucile in mano.
-        Aiutami ! aiutami ! Non posso morire così !
Il colonnello gli lancia al fianco il suo fucile.
-        Eccoti la tua arma, Cheney ! Difenditi !
  
  Al rancho, in una stanza da letto ermeticamente chiusa, una bambina, di sei anni come Nadezda, è seduta a terra su un tappeto con una bambola. La sua giovane madre, uno splendido esemplare femminile di pelle bianca, allontana un attimo lo sguardo da lei e guarda impaurita fuori della piccola finestra, verso le sinistre colline. Presto sarebbe tornato Cheney a tormentala, ad abusare di lei, di fronte alla sua bambina, come già avevano fatto altri. Sapeva anche che era l’ultima notte. Domani tutte e due avrebbero subito la caccia.
Mentre calde lacrime le scendono silenziose dagli occhi, una botta improvvisa scuote la porta, poi una spallata energica ha ragione della sua serratura e l’uscio si spalanca. È il guerriero Navajo che entra veloce verso la bambina. La madre si lancia verso di lei.  
-        No! La lasci stare…!
Ma si ferma subito, anche al buio riesce a vedere che l’uomo non ha più il collare al collo. L’apache prende in braccio la bambina e mette un braccio dietro la donna portandole fuori della stanza.
Arrivati vicino al cortile, il Navajo si dirige verso due fuoristrada, uno nuovo di zecca e l’altro una vecchia Lada Niva. L’uomo apre la portiera del fuoristrada nuovo e fa salire la madre per poi mettergli la figlia in braccio, poi corre verso il posto di guida, monta e mette in moto l’auto e parte in direzione opposta alle colline.
  Improvviso si ferma. Sia lei che la donna hanno visto la Lada Niva mettersi in moto. In lui nasce la curiosità di chi possa essere l’uomo alla guida, mentre la donna ripiomba nel terrore.
Ma il vecchio fuoristrada, uscito dal viale d’ingresso del rancho, imbocca deciso la direzione delle colline.
-        È lui! È il russo che mi liberato.
-        Ma dove va? Laggiù c’è la morte che lo aspetta! 
-        Forse lo sa, e se ci va, ne deve esservi costretto. Per questo mi aveva detto di salvarvi. Una cosa che comunque sapeva avrei fatto. Ma è un uomo eccezionale, e anche se ciò che lo aspetta è terribile, in cuor mio gli auguro buona fortuna!
  
   Popesco non crede alle sue orecchie, a ciò che gli sta dicendo Borzoff. La sinistra Ship-trap non esiste più.
-        Ma come lo hai saputo?
-        Tu sai che oltre la squadra di recupero per Leonid abbiamo da tempo installato altri sbarramenti che impediscono a chiunque di inoltrarsi alla zona fatale delle basse colline.
-        Certo! È una prassi regolare per le zone pericolose, ma che è successo?
-        Una di queste squadre ha fermato un fuoristrada e all’interno vi era un uomo, un pellerossa nordamericano e una donna con la figlia! 
-        Non mi dirai che…
-        Sì! Sono liberi grazie a Leonid. Ora li stanno portando qui in elicottero.
-        Peste! Leonid è vivo, lo sapevo. Non si sa chi sono quelle persone? Che cosa hanno riferito ai tuoi uomini?
-        L’uomo è il figlio di uno degli uomini più brillanti del F.B.I. americano che da un anno sta cercando disperatamente il figlio. Abbiamo già fatto informare la sua famiglia. Mentre la donna con la figlia non era ufficialmente scomparsa che da una settimana. Erano degli schiavi, così hanno detto, del proprietario del rancho. Con loro vi erano anche due spetnaz russi  e che il loro padrone li ha uccisi in una caccia spietata. Ma poi comparve Leonid e il loro padrone deve essere  ormai morto!
-        Come è morto, è stato Leonid?
-        L’apache ritiene che sia stato lui, anche se non sa assolutamente cosa sia successo. Mi hanno riferito che dietro di loro, mentre lasciavano il rancho, una Lada Niva è partita dirigendosi verso le colline e tu sai che solo lui può aver preso quella strada sinistra.
-        Grigori, ormai è chiaro. Leonid sta per giocare la sua partita più pericolosa, ma è strano. Questa volta avverto un funesto presagio…     

Nella zona rossa

   La Lada Niva ha già superato le colline e si inoltra nella strada rettilinea e ormai maltenuta alla periferia della città. Il colonnello intravede sullo sfondo una figura conica al centro della cittadina. La strada è sinistramente illuminata mentre ai bordi a volte scorge qualche auto ferma da anni.
Poi al disopra del fuoristrada compaiono delle piccoli luci, piccole forme simili a dei soli bianchi, di pura energia che prendono a seguirlo. La sua auto dovrebbe fermarsi, con l’energia prosciugata, ma ciò non avviene. E allora un piccolo lamento inizia a farsi sentire, Leonid lo conosce bene; è un allarme!
Immediatamente le luci scompaiono e al loro posto compaiono altri oggetti volanti di circa tre metri di diametro. Lampi di energia partono micidiali verso l’auto, ma il fuoristrada con una sinistra, diabolica abilità riesce a evitarli con manovre ardite, mantenendo miracolosamente l’assetto e il lamento si fa più forte. 
Gli oggetti allora si allontanano. Ora il colonnello può vedere bene la sinistra forma conica davanti a sé. È uno ziggurat a quattro gradoni, assomiglia a uno ziggurat, ma non a pianta quadrata, la sua base è circolare; sembra una cosa innaturale sorta in mezzo ad altri edifici e davanti ad esso è rimasto grottescamente un monumento dedicato a Lenin che sembra fronteggiarlo. Delle enormi figure umanoidi sono a guardia dello ziggurat, creature alte sui quattro metri con gambe leggermente incurvate in avanti che sembrano attenderlo in maniera minacciosa.
 Qui ora avviene la parte più impressionante. Il colonnello ferma il fuoristrada di fronte a loro all’imbocco della piazza e con calma glaciale scende dalla vecchia Lada e va incontro alle creature, in un silenzio che sarebbe assoluto se non per quel lamento allucinante mentre i lampioni illuminano la scena. L’unica cosa che tradisce il suo stato d’animo è la sua fronte sudata mentre i cappelli ondeggiano al vento.
Mikoyan alza i suoi bracci in direzione degli ostili umanoidi, allarga le dita di ogni mano e nello stesso istante delle onde di energia partono dai suoi arti di metallo.
   Gli umanoidi, tentennano, si sbilanciano, come se non potessero tenersi in piedi e poi lanciano grida sinistre per infine fuggire terrorizzati in un batter d’occhio, lasciando la piazza vuota.
   Leonid si piega su stesso, il corpo squassato dalla paura, paura di quegli esseri, paura di se stesso. Respira forte, boccheggia affannosamente, eppure lentamente alza la testa, davanti a lui, la statua di Lenin sembra sorridergli. Si rialza in piedi, è troppo, troppo vecchio per quelle missioni, ma sempre respirando forte inizia a salire sullo ziggurat.  
     
  Una porta gigantesca è dissimulata nella parete del primo gradone; eppure il colonnello la vede, anzi la sente. Rialza i suoi arti e di nuovo delle onde partono da essi… con lo straziante lamento che incessante continua alle sue orecchie. Con la sensazione di essere un topolino di fronte alle porte di un cattedrale, Mikoyan vede la porta aprirsi di fronte a sé. Ai suoi occhi si delinea una specie di grotta dalla quale escono dei vapori solforosi, tanto da fargli credere che si tratta della bocca dell’Inferno.
E l’inferno è davvero quello che si ritrova davanti, appena percorso un oscuro corridoio. Da delle gradinate può intravedere nell’oscurità, rischiarata da una debole luce, sotto di sé i vari gironi, o meglio i vari ambienti dove il bestiame deve essere sospinto per fare la sua tragica fine, essere disossato e trasformato in carne per nutrimento.
Tutto intorno delle celle, dei recinti, dove il bestiame aspetta il suo turno e da dove vede la sua prossima orribile fine; coloro che li tengono rinchiusi si alimentando anche con le loro paure.
Il colonnello, sempre con un respiro affannato, teme di essere arrivato troppo tardi, tutte le celle sono vuote, un momento. Una ha la porta attiva, segno che è popolata. Cercando di resistere alla paura, al fetore di quel luogo, al suo stomaco che non c’è la fa più, Leonid discende da una serie di scaffalature nella parete che con i suoi vuoti e i suoi pieni gli consente una veloce e facile discesa, e arriva alla cella della morte ancora popolata.
Una porta, in cui fa argine una rete elettrica, si schiude su uno stretto recinto in cui sono ammassati tre donne e sette bambini, tutti orribilmente sporchi e sudati che alla vista del colonnello si agitano non sapendo come interpretare il nuovo venuto. La faccia stranita dell’uomo in divisa però sembra momentaneamente calmarli. Leonid rialza i suoi bracci e riesce a spegnere l’argine elettrico e subito penetra nel recinto suscitando nuove grida di paura.
-        Calmatevi, sono qui per liberarvi! – Le donne non credono alle loro orecchie, eppure Leonid, nonostante i suoi occhiali scuri, ha un viso franco e aperto.
-        Chi di voi è la giornalista Barbara Hill? – continua Leonid, ora solo in inglese.
-        Sono io, ma chi siete? Cosa fate qui?
-        Sono il colonnello Mikoyan e vengo da Mosca per liberarvi, e ora anche loro con voi. Abbiamo poco tempo, ma voglio sapere come siete stata catturata.
-        Questa mattina, prima dell’alba, stavo cercando di passare, di eludere gli sbarramenti che impediscono l’accesso alla zona rossa. – la ragazza parla con una voce prossima al pianto – Quando all’improvviso ho visto sopra di me un oggetto sferico che emanava delle luci gialle e rosse a intermittenza e poi… poi non ricordo altro. Ricordo solo di essermi ritrovata qui e ognuno di loro aveva subito la stessa cosa.
-        E abbiamo visto il massacro! – fa la giornalista con occhi sbarrati dal terrore – poi quelli esseri, che sembravano dei… dei coccodrilli in piedi, hanno preso tutta la carne e sono scomparsi! Io… io…
-        Va bene, ho capito! Allora c’è una cosa da fare, anche se il tempo stringe!
Il colonnello con il braccio sinistro abbraccia la giornalista e poi posa la sua mano destra sulla fronte della ragazza scansando i suoi capelli. È in quel momento che avviene un contatto fra i due, una fusione mentale. Barbara in quell’istante ricorda ciò che ricorda Leonid. E uno di quei ricordi è sempre stampato nella sua mente.
Ricorda una vasta distesa ghiacciata in cui si intravede una base. Un’allucinante esplosione, una risata sinistra di un anziano in camice bianco, un medico o uno scienziato in mezzo a delle fiamme, un giovane viso che cerca di fermarlo e che  l’americana non sa che essere quello di Popesco e poi dolore, dolore immenso; una vista offuscata che vede lo scienziato vivo e pronto per una operazione chirurgica che gli parla ridendo «he, he, he! Mi hai salvato la vita, giovane bolscevico, una vita che ormai non mi appartiene più! E per questo hai rischiato la tua esistenza perdendo i tuoi bracci. Ma non preoccuparti, so come rimediare!» e indica dietro di sé un robot dissezionato non terrestre e continua con i suoi occhi arrossati da pazzo «sai, sembra metallo vivo; sarà interessante vedere i risultati dell’impianto su di te!» e Barbara sente un terrore incredibile tanto da svenirne. Ma Mikoyan riesce a chiudere la mente ai suoi ricordi.
Leonid cerca l’apparecchio localizzatore impiantato nel cranio della ragazza. Lo trova dove in genere è, sulla fronte, un piccolo oggetto rotondo di tre millimetri di plastica e silicio usato da militari e da alieni per monitore gli spostamenti delle persone.
E con solo la sua volontà lo fonde. Ora non sarà più ritrovata.
Fa la stessa cosa in fretta per le altre donne e i bambini.
Poi con enorme difficoltà ripercorre a ritroso lo stesso percorso, deve rifare la stessa scalata di prima, ma ripetendola ogni volta quasi per tutti gli altri. Non ha timore di chi possa essere al di fuori dello ziggurat ma di ciò che potrebbe arrivare.
Il gruppo guidato dal colonnello percorre l’oscuro corridoio e finalmente rivede il cielo nero della notte. Ognuno degli adulti ha in braccio o tiene per mano dei bambini. Discendono in fretta gli scaloni trovandosi di fronte la statua di Lenin e poi una fuga pazzesca verso la Lada.
Ma è inevitabile, qualcosa li aspetta prima del fuoristrada. Una massa oscura davanti ad esso, che si alza lentamente in tutta la sua statura superiore ai cinque metri con gambe leggermente incurvate in avanti.
Le donne urlano e stanno per fuggire via, ma Leonid le ferma esclamando risolutamente
-        State tutti fermi!
Mentre parla si butta veloce in ginocchio, accuccia le bambine vicino al collo e alza le braccia. Subito delle onde partono dirette verso la creatura che sta quasi per afferrarlo.
Essa barcolla, stenta a stare in piedi, e poi butta le sue braccia verso la testa. Un urlo spaventoso esce dalla sua piccola bocca e nell’arco di un secondo fugge via nella notte. Leonid inizia respirare affannosamente, usare le proprietà del metallo vivo innestato in lui non è solo spaventoso ma sfibrante e non c’è la fa più. È mortalmente stanco e sente a malapena le parole dell’americana
-        Lei non è umano, è… è un mostro come… come…
-        Non è vero, lui è buono! – fa una delle due bambine strette alla sua divisa, la più piccola, e sottolinea le sue parole mettendogli le mani intorno al collo  – ci ha salvato a tutti noi!
Leonid si riprende lentamente e a rilento pronuncia
-        Andiamo!
Il colonnello fa salire nello spazio angusto del fuoristrada tutti. Poi entra anche lui al posto di guida e accende il motore. La Lada costruita anni prima a Togliatti, fa inversione a u e decisa prende la strada per le basse colline.

Nella lenta corsa verso la salvezza, l’americana non riesce a trattenersi, e accarezzando la bambina che tiene in braccio si rivolge al colonnello
-        Io… io le chiedo scusa, mi perdoni. Se non c’era lei… Non posso crederci, da anni girava una leggenda… ne ho sentito a Hong Kong, a Parigi, a Londra… di un russo, un militare che penetrava in zone pericolose e ne usciva salvando vite umane. Ma non poteva essere… non uno dell’”impero del male”…
-        Questa zona rossa, è nata con l’esplosione della centrale atomica, ma l’esplosione è stata fatta avvenire volutamente, come quella più recente verificata in Giappone!
-        Signore Onnipotente!
-        È stata voluta dalla stessa genia che governa il mondo e che sono riuniti principalmente in Europa e negli Stati Uniti. Il suo presidente, che ha battezzato in maniera così elegante il mio paese, era un servo di questa genia.
-        Non… non ci credo!
-        Fa male! Questa stessa genia è ha sua volta serva di un popolo delle stelle che da millenni controlla il mondo e che lotta contro altri popoli delle stelle. Alcuni di questi popoli chiedono anche di poter vivere sulla Terra, come avrebbero fatto la popolazione dei Darkos all’Italia. Avrebbero creato una base nelle profondità del mare tra Sardegna e Liguria, facendo intese anche con la Francia. Con altri si arriva anche ad accordi scellerati. Materiale tecnologico superiore in cambio di oro ed anche… cibo.
-        No! no!
-        Per questo come il conte di Cagliostro ormai mi cibo di pasta, frutta e vegetali. Per non far distruggere la loro fattoria umana la tecnologia aliena fermò un’enorme meteorite che nel 2012 doveva colpire il sole che avrebbe scatenato una gigantesca tempesta magnetica che avrebbe colpito la Terra, procurando una catastrofe planetaria.
-        Non ci credo, non… non… – poi con triste rassegnazione – non potete mentirci!
Finalmente le basse colline sono superate, in lontananza Leonid intravede i minuscoli profili dei mezzi militari ucraini e le loro luci.
-        La sinistra genia che ci comanda ha ormai terminato di tessere la sua intricata ragnatela sul mondo. Poche persone che comandano delle sterminate moltitudini di cui vogliono una mescolanza forzata delle razze. Ormai ci aspetta un futuro di pura dittatura tecnologica di stampo squisitamente nazista velato da un illusoria democrazia, con un dio buono che ama il suo gregge e che dietro la sua maschera c’è solo un alieno.
-        Ma ci siete voi, se… se potete affrontare simili creature potete...
-        Sono stanco, debole. È ormai inutile continuare a lottare. È venuto il tempo della sconfitta!
-        Cosa… cosa volete dire ?
-        Semplicemente non occupatevi più di queste faccende misteriose! – il colonnello guarda in alto fuori dal finestrino, poi si rivolge a tutte le donne – Ormai non vi prenderanno più. Già un'altra donna con sua figlia è in salvo, insieme a un uomo Navajo, unitevi a loro. Se non ritroverete i genitori di questi bambini, allora saranno vostri; vostri figli.   
La vecchia Lada Niva percorre gli ultimi metri con il suo carico umano ammassato all’inverosimile, mentre i soldati ucraini comunicano a Kiev l’arrivo del colonnello.
-        Deve essere il colonnello di Mosca. Ma perdio… – l’ufficiale non crede  a ciò che vede con il suo binocolo a raggi infrarossi – Avvertite i nostri superiori. Doveva tornare con una persona e invece ne ha altre con sé. Accendete i motori e pronti a partire !

  La frenata è brusca, poi, aperte le portiere Mikoyan e la giornalista iniziano a far scendere donne e bambini.
L’ufficiale si presenta a Leonid mentre i suoi uomini si avvicinano alle donne per aiutare a prendere in braccio i bambini; il tutto avviene con molta fretta. Il terreno scotta sotto i loro piedi.
  -    Signore, vi aspettavano solo con l’americana !
-        Ed ora qui avete un bel campionario umano, tenente. – poi con gran sorpresa dell’ufficiale, Mikoyan gli volta le spalle e si dirige verso il centro della strada – Sbrigatevi a portale via!
-        Signore, ma cosa fa? Venga via prima che sia troppo tardi!
-        È già troppo tardi ! – dice Leonid voltandosi verso di lui e indicando in alto.
  Tutti hanno sentito le parole del russo e si fermano gelati. Nessuno, tranne Mikoyan che ormai ha accettato il suo destino, è esente dalla paura.
   Poi tutti i motori si spengono insieme ai fari delle auto e la scena piomba nel buio più assoluto; e gli urli delle donne, i pianti dei bambini iniziano. Al di sopra del colonnello una luce è comparsa all’improvviso; un enorme, smisurato disco è sospeso in volo e una voce si diffonde nell’aria.
-        Colonnello Mikoyan! La aspettavamo da tempo. Venga!
Leonid si rivolse un ultima volta all’ufficiale ucraino
-        Badate a che nessuno entri più nella zona rossa!
Dopo, l’ultima immagine del colonnello per il tenente è che alza il braccio sinistro in segno di saluto mentre scompare risucchiato dall’ordigno in aria.  

Epilogo

   Borzoff fregandosene degli ordini ricevuti (ma nessuno lo aveva fermato) era volato a Mosca nella notte e ora ha appena finito di riferire tutta la storia così come l’aveva sentita dalla giornalista. È con loro la zia di Mikoyan, venuta come sempre quella mattina per pulire l’ufficio del nipote. Ma quando qualcuno era venuto a chiamarla per accompagnarla nell’ufficio di Popesco, avevano visto i suoi occhi arrossiti dalle lacrime.   
I riscaldamenti sono accesi ma l’ufficio, dopo la narrazione, è freddo.
-        Questa mattina mi sono svegliata con la forte sensazione che Leonid era morto, ma che finalmente era in pace e sono certa che anche per mia sorella è stato così!
  La donna prende dal tavolino una delle foto che vi sono sopra. In una, vi è raffigurata la famiglia di Popesco e nell’altra ci sono Popesco, Borzoff e Mikoyan insieme in tuta mimetica che mangiano una frugale cena.
Con la sua mano accarezza la parte della foto dove è raffigurato il nipote. 
-        I militari rispondono a due mortali facoltà: ubbidire e uccidere. Leonid non fu mai così; anche prima della tragedia in Antartide, disubbidiva a queste facoltà e voi due, che eravate suoi amici, avete appreso la stessa virtù! – si ferma un attimo colpita da un pensiero – Il peggio è che sua madre e io non avremo una tomba su cui potremo piangerlo.
Poi fissa in volto i due amici del nipote.  
-        Io… io non me la sento di andare da sola da mia sorella, vorreste venire con me?
   I due si alzano e con calma, aspettano che la donna riappoggi la foto sulla scrivania, e poi la seguono verso la porta.

Fine.


Genesi iniziale del romanzo breve.


   Da quanti anni avevo in mente questo personaggio ? Da molti. Probabilmente forse da sempre. Tutto era nato da un suggestivo manifesto di una pellicola anni ‘70 di Hong Kong, scaturita dalle imprese cinematografiche dell’ormai mitico e popolare Bruce Lee. Questo manifesto – enorme – portato in casa da mio fratello, lo possiedo ancora. Diceva nel sottotitolo “mani d’acciaio, occhi di tigre”. Mani d’acciaio come quelle dello scienziato di Go Nagai… Però, essendo vissuto in una famiglia comunista dove mio padre, ma soprattutto mio zio mi parlavano con passione dell’Unione Sovietica, nelle mie fantasie infantili vedevo un ufficiale dell’aviazione sovietica che lottava – come gli eroi yankee – contro pericoli di tutti i tipi e con un coraggio da leone.
   Da lì nacque Mikoyan. Da allora c’è stato il crollo dell’Urss, il predominio pressoché selvaggio degli usa nel mondo e in Italia, che come nazione non esiste più, sottoposta alle leggi della finanza europea e soprattutto angloamericana.
   Oggi non ho più fiducia nei politici italiani, pagati da questa sinistra genia e dal potere pontificio. Non ho fiducia in  niente. Salvo nei miei personaggi immaginari…  
   Su richiesta di Erik Anzi, ho scritto questo romanzetto, e il suo seguito ispirandomi alle suggestive – e terrificanti – ricerche del dottor Corrado Malanga, e del professor Antonio Chiumiento, due ricercatori autentici e per questo oggetti di un disprezzo a dir poco vergognoso.


Marco Pugacioff
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