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domenica 31 marzo 2019

Guido del Piceno: Imperatore Romano


Guido del Piceno: Imperatore Romano


   Sento sempre e leggo del Sacro Romano Impero Germanico. 
Anzitutto chi sono gli imperatori Romani?
Tutto ebbe inizio con il più grande personaggio dell’Antichità: Caio Giulio Cesare, ben superiore a quel Alessandro che conquistò tutto il mondo ma che morendo, il suo impero si disintegrò.


Un ritratto di Giulio Cesare del 1850. Da Gallica

   Giulio Cesare non fu MAI Imperatore, ma solo dittatore perpetuo – ateo, anche se la sua discendenza veniva dalla Dea Venere, tanto da avere occhi di color azzurro – concepì un impero che durò ben tre secoli (e dieci altri con lo spezzone orientale) dopo la sua morte. Morte dovuta anche a suo figlio naturale Bruto avuto da una donna sposata, per la gelosia di aver scelto il pronipote e figlio adottivo Ottaviano come capo di quel nascente Impero.


 L’Imperatore Giuliano, Cameo del IV secolo da Antioca. Da Gallica

Si arrivò ad avere poco più di una cinquantina di imperatori romani, di cui bisogna ricordare almeno il grande Giuliano, (detto spregiativamente dai cristiani  l’apostata) soprattutto per la sua morte [461 anni dopo la nascita di Giulio Cesare, il 361 dell’Era Volgare] dovuta a un suo soldato di religione cristiana, mentre stava per piegare l’impero persiano. Dopo la sua morte, il suo posto venne preso da Giovano, che campò un solo anno e con il suo successore ci fu una prima divisione dell’impero in due spezzoni con Valentiniano, divisione divenuta definitiva con Teodosio. Un fatto importantissimo per capire le vicende successive.
Il 4 settembre 476 il generale Odoacre depone Romolo Augustolo e invia le insegne imperiali a Zenone, che gli conferisce il titolo di "patrizio" e riconosce la sua sovranità sull'Italia. Lo stesso Odoacre fa assassinare Giulio Nepote, imperatore precedente a Romolo Augustulo, il 9 maggio del 480 che si trovava esiliato a Spalato. Quindi tra il 476 e il 480 dell’Era Volgare avvenne la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.


Chiesa di Châteaudun. Abbazia reale della Magdelaine. Epoca carolingia [dessin 19° secolo] Personaggio forse raffigurante Carlomagno. Da Gallica

    Da qui ci furono circa tre secoli senza Imperatore d’Occidente. Gli imperatori d’Oriente facevano il bello e il cattivo tempo da Bisanzio, tanto che nel cercare di riprendersi i territori imperiali italiani, fecero una guerra contro i Goti, sterminando le popolazioni italiche – ormai da secoli romanizzate – e lasciando il territorio del Piceno deserto.
   A partire dal 680 dell’Era Volgare Tommaso di Morienna ricostruisce l’abbazia di Farfa, e con la pressione musulmana (tra invasioni militari e pirateria) gli abitanti dell’attuale Francia del sud, tutti di stirpe Gallo-romana (ovvero che avevano dentro di loro il sangue Romano) emigrarono in massa all’inizio del ottavo secolo in quella regione rimasta spopolata dalla lotta contro i Goti. Qui ormai erano liberi, Franchi e tra di loro vi erano i Lambertingi o Vidoni, provenienti dalla regione della Settimania.
    I dizionari storici dicono che questa famiglia arrivò in Italia con Carlo Magno, ma dovevano essere già presenti in quella che sarà ricordata come Francia dalla tradizione orale locale (ormai spazzata via dalla ignoranza tecnologica e non certo citata dai documenti), già dall’inizio della migrazione forzata per riportare a coltura il territorio che era stato devastato dalla guerra gotica e che nemmeno i Longobardi riuscirono a ripopolare.
    Ma parlavamo di Carlo Magno, un omone amante della bella vita (si sa, ebbe molte mogli e numerose amanti) e delle cacce, anche all’uomo (le famose campagne di guerra servivano solo allo scopo di reclutar braccia per coltivare la terra). I veri sovrani d’Italia (e questo anche oggi) sono i papi e Leone III (come si sa) mise la corona imperiale sulla capoccia di Re Carlo la notte di natale dell’anno 800 dell’Era Volgare; ma gliela pose come Imperatore Romano d’Occidente! Dall’assassino di Giulio Nepote e dalla deposizione di Romolo Augustolo vi era di nuovo un Imperatore a Roma e non era santo, né sacro. Con Costantino ormai la cristianità aveva preso il sopravento, tanto da far ammazzare il grande Giuliano all’apice della sua grandezza nel distruggere finalmente l’Impero Persiano.
    Carlo non era però Romano, né aveva dentro di sé sangue Romano ma quello dei Merovingi (che discendevano secondo la leggenda da una creatura umanoide venuta dal mare). Niente da dire, anche alcuni degli ultimi Imperatori dell’antica Roma erano di stirpe barbarica.
    E Carlo III detto il Grosso, ultimo discendente diretto di Carlo fu deposto nell’anno 887 da una dieta in Germania capitana da Arnolfo di Carinzia, perché malato al cervello. Infatti venne pure operato e all’epoca vi erano solo i chirurghi di Preci, in Umbria, che potevano aver fatto quell’operazione.



     Ma Arnolfo si vide ampiamente beffato dalla corsa verso il trono da un condottiero italico: Guido! Un condottiero che lottò contro avventurieri germanici e invasori musulmani. Su di lui giravano accuse infamanti che avesse fatto accordi con gli invasori musulmani della penisola italiana che trovarono posto – guarda caso – sugli annali di Fulda (un’abbazia posta nel profondo di quelle tenebrose foreste tedesche che incutevano timore perfino al grande Giuliano), redatti da monaci, di cui uno solo si puliva il sedere dopo l’evacuazione, e doveva esser molto bello visto che fu ingravidata dal suo cameriere quando arrivò al soglio pontificio, parlo della povera papessa Giovanna.



   In lui, in Guido, nella sua famiglia, si doveva sentire forte la discendenza Romana visto che sua moglie Ageltrude, principessa di Benevento e prima che Imperatrice, Regina d’Italia (e non dei Longobardi, ma di TUTTE le popolazioni che allora erano in Italia, Romani, Longobarde e Franche) nel dittico d’avorio dell’abbazia di Rambona mise la Lupa Capitolina. Sì, la lupa di cui si persero i gemelli nei suoi vari spostamenti e rifatti nel ‘500 da Antonio del Pollaiolo. Una splendida lupa non romana, ma fusa al tempo dei Carolingi, che come nel dittico digrigna i denti per difendere i suoi cuccioli.

 
 Questo per ribadire come in suo marito scorreva forte il sangue Romano. Sangue che neppure l’avventuriero Arnolfo riuscì a versare; Arnolfo era soprattutto un vigliacco che grazie a una carogna da vivo  e da morto, Formoso (un infido individuo che mangiò a sbafo per anni a casa dei Vidoni) ebbe la corona da ANTIMPERATORE.
   Il padre di Guido era duca di Spoleto, carica che ebbe anche lui insieme a quella di marchese di Camerino, ed è sempre stato considerato di stirpe spoletina. Niente di più sbagliato; le tracce della sua famiglia vengono dal Piceno e il castello sicuramente originario della sua famiglia era Castel Guido nell’alto ascolano e prima di trasferisci a Fontana Broccoli (oggi Salsomaggiore terme) sua moglie trascorse molti anni a Camerino, dove appunto Guido era stato nella sua giovinezza marchese.
   Appunto in quegli anni visse Ottone l’Illustre, funzionario di Aquisgrana, padre di Enrico l’uccellatore e nonno di Ottone I, acclamato e consacrato ai primi dell’agosto dell’anno 936 ad Aquisgrana “RE dei Romani”. Nell’anno dell’Era Volgare 962 questo Ottone fu consacrato Imperatore Romano dal nipote di un generale dell’Imperatore Guido: Alberico di stirpe camerinese e detto di Spoleto. Il papa era Giovanni XII, primo pontefice che dovette cambiar nome in quanto il suo era... Ottaviano.
   Da qui inizia per tutti il “glorioso” Sacro Romano Impero Germanico, ma ripeto, non c’è niente di sacro, né di santo. Personalmente l’unica grandezza degli Ottoni fu quella di riconosce il talento da erudito del figlio di un pastore dell’Aquitania, Gerberto di Aurillac e farlo consacrare pontefice. E poi questo“glorioso” Impero poteva aver inizio da Arnolfo, germanico anche lui, e austriaco come Hitler, no?


Barbarossa alla terza crociata. Da un manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia
   Allora quando nasce questo “glorioso” Sacro Romano Impero? Non certo con gli Ottoni, ma con Federico Barbarossa, quando a natale (ancora con questo natale, uffa!!!) del 1165 Carlo Magno fu dichiarato SANTO! Da ora in poi l’Impero è sacro. Sacro Romano Impero, sì, Romano perché si rifà all’Impero creato da Caio Giulio Cesare, ma ormai del tutto germanico che con l’Italia – ormai totalmente PREDA della Chiesa – non niente più a che fare, se non come sudditanza di un Impero che nulla ha più di Romano; in cui gli austriaci e i tedeschi l’hanno fatta da padrone fino al 900 (non dimentichiamoci delle cacce spietate a Murat e a Garibaldi) e che dal 2000 comandano i tanto enfatizzati Stati Uniti d’Europa con la loro Banca centrale.
   Se qualcuno vuol farmi le “pulci” (come si dice) per quello che ho scritto, faccia pure, ma si ricordi SEMPRE che io non sono un leccaculo dei professoroni universitari e che soprattutto sono a casa mia.   
Marco Pugacioff
  
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martedì 26 marzo 2019

Tarzan: La tierra semejante al sueño


Tarzan:
La tierra semejante al sueño
Tarzan – “Serie Àguila” Año XXVIII – n. 610 [ottobre 1978]
testi e disegni di autori sconosciuti
(la pagina 9 era di pubblicità)




















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venerdì 22 marzo 2019

Le monete di stato di Galileo Ferraresi


Le monete di stato

La moneta di stato è un biglietto cartaceo emesso dallo stato che non genera debito e che costa allo stato solo il valore della carta e dell’inchiostro utilizzati.
La banconota (la Nota del Banco) invece è emessa da una banca privata (come la BCE o Banca d’Italia),ed è moneta emessa a debito che lo stato si fa prestare dalle Banche Centrali e produce automaticamente debito obbligando lo stato a pagare il suo valore e gli interessi maturati e genera il Debito Pubblico.
Considerato che lo stato italiano NON ha mai perso o rinunciato alla propria sovranità monetaria, non si capisce perché invece di produrre moneta se la faccia prestare; è come se una gallina invece di fare un uovo lo chiedesse in prestito ad un supermercato.
A questo punto solitamente il commento è: Se è così facile lo farebbero tutti.
E allora? Che facciano; l’importante è che lo facciamo anche noi!!
Ma per fare qualcosa bisogna prima decidere, e la decisione è più facile se si è in compagnia, ed ecco la seconda domanda: Ma c’è qualche altro stato che lo fa?
Questi stati emettono moneta autonomamente, senza passare attraverso una banca centrale, indipendentemente dalla proprietà della banca centrale.

 Bermuda

 
Isole Cook 

   
Galapagos


In ordine alfabetico abbiamo i seguenti stati:

1.    Arabia Saudita
2.    Cayman Islands
3.    ChatamIslands
4.    Dubai
5.    Galapagos
6.    Georgia
7.    Gibilterra
8.    Guernsey
9.    Hong Kong
10.    Isole Cook
11. Isola di Sant’Elena
12.   Isola di Pasqua
13.   Isole Faroer
14.   Jason Islands
15.   Jersey Islands
16. Nagorno-Kharabakh
17.  Quatar
18. Salt-Spring Island
  


Hong Kong 

  
Isole Cayman


     
Jason Islands


E l’Italia?
Anche l’Italia emetteva moneta cartacea senza passare per la Banca Centrale ma dandone l’ordine direttamente alla Zecca di Stato, sia ai tempi della monarchia che della repubblica.


monete emesse dallo stato italiano
Ma allora perché l’Italia non la emette ancora?
Bisognerebbe chiederlo al governo, in particolare a Salvini che sa come si fa, visto che negli anni ’90 aveva emesso le monete delle Padania.
Se il governo emettesse moneta potrebbe pagare tutti i debiti che ha con le aziende private, rilanciare l’economia, pagare pensioni decenti e finirebbe la crisi.

monete emesse dalla Lega




© Galileo Ferraresi, 21 marzo ’19


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lunedì 18 marzo 2019

A proposito di popolazione di Galileo Ferraresi



A proposito di popolazione

Nel 1798 il reverendo inglese Thomas Robert Malthus dava alle stampe An Essay on the Principle of Population (Saggio sul principio di popolazione) nel quale sosteneva, tra le altre idee, che l’aumento della popolazione avrebbe portato ad un eccesso di offerta di mano d’opera e quindi a salari più bassi. Conseguenza dell’aumento della popolazione sarebbe quindi stata la miseria generale. La prima reazione al testo fu la legge sul censimento, tutt’ora in atto, che impegnava il governo inglese a censire la popolazione ogni dieci anni. Nel libro Malthus sostenne anche l’utilità delle guerre come valvola di sfogo per l’eccesso di popolazione. Il suo principio era molto semplice: Siccome sulla terra ci sono risorse alimentari limitate, e queste risorse sono sufficienti per alimentare solo un certo numero di persone, un aumento della popolazione porta inevitabilmente a decidere, attraverso una guerra, quali popolazioni potranno mangiare e quali dovranno morire per permettere ai vincitori di vivere. Secondo Malthus i limiti allo sviluppo umano erano la mancanza di beni ma soprattutto la miseria e il vizio che caratterizzavano le classi sociali più povere e disadattate.
Le idee di Malthus ottennero un seguito in quasi tutti i pensatori politici e non pochi videro nelle guerre una ricerca di territori nei quali dare sfogo all’aumento della propria popolazione e nei morti una “normalizzazione” dell’aumento della popolazione mondiale che all’inizio del 1900 aveva raggiunto un miliardo di persone. La mancanza di beni preoccupò per un paio di secolo anche i ricchi della terra e nel 1972 il Club di Roma commissionò ad Aurelio Peccei uno studio sui “limiti dello sviluppo” nel quale si esaminavano quante tonnellate di alimenti erano prodotti e producibili nel mondo e quante persone sarebbero potute vivere con quei prodotti. Stessi calcoli vennero fatti per il petrolio, l’energia elettrica ed ogni bene che ci circonda. Al termine di queste analisi alcuni sentenziarono che bisognava ridurre la popolazione mondiale dai cinque miliardi[1] che aveva raggiunto a un miliardo di persone[2], altri che bisognava trovare il modo di ammazzare 400.000 persone al giorno senza che nessuno se ne accorgesse[3]. I fatti dimostrarono poi che l’agricoltura avrebbe potuto produrre di più di quanto previsto[4] e che la crosta terrestre nascondeva giacimenti di metalli e petrolio neppure ipotizzati.
Dal 1948 al 1962 l’etologo Usa Calhoun condusse una serie di esperimenti su ratti grigi e topi per studiare quali comportamenti avrebbero caratterizzato una comunità soggetta a sovrappopolazione ma senza la scarsità dei mezzi di sussistenza ipotizzata da Malthus un secolo e mezzo prima. Calhoun costruì un ambiente dove la popolazione di cavie poteva riprodursi senza occuparsi di nulla perché aveva sempre a disposizione cibo e acqua in abbondanza mentre pulizia e temperatura erano costantemente sotto controllo. Lo chiamò il paradiso dei topi.
Agli inizi del 1960 iniziò l’esperimento che chiamò Universo 25. Trentadue soggetti maschi e femmine vennero inseriti in un recinto strutturato in modo da contenere 3.500 esemplari e rifornito continuamente di alimenti e con riscaldamento e pulizia. Dopo 27 mesi la popolazione adulta raggiunse le 150 unità e avrebbe dovuto aumentare molto di più ma iniziò ad aumentare anche la mortalità infantile. Lo stress sociale provocato dallo spazio ristretto stava distruggendo ogni vincolo sociale e le femmine abbandonavano sempre più i loro piccoli. Nelle settimane successive si assistette ad una variazione nella struttura sociale: si formarono gruppi dove non esisteva nessun rapporto tra numeri di maschi e femmine (ad esempio 10 femmine e due maschi o 20 maschi e 6 femmine) ed iniziarono a distruggersi i rapporti sociali come i riti di accoppiamento, la costruzione di nidi e la cura della prole. I maschi divennero sempre più aggressivi formando gruppi che assalivano i soggetti soli o indifesi, principalmente le femmine, ma anche i maschi che venivano violentati esattamente come le femmine. Si formarono gruppi di sole femmine che si rifugiavano nei nidi più alti della colonia per difendersi meglio ma, stressate dalla necessità di difendersi, vennero meno alle funzioni materne abbandonando sempre più i piccoli a se stessi e a volte attaccandoli e uccidendoli. In alcune aree la mortalità infantile raggiunse il 96% e ci furono casi di cannibalismo, ovviamente non dovuti alla mancanza di cibo che veniva fornito in continuazione.
A questo punto dell’esperimento si formarono vari gruppi. I topi deboli e rifiutati, ancora validi fisicamente ma devastati psicologicamente, si radunarono al centro del recinto dove sopravvivevano inermi e con alcuni insensati atti di autolesionismo. I bruti, che devastavano fisicamente e psicologicamente gli altri gruppi. Le femmine che si radunarono sempre più nei nidi più alti dove facevano vita solitaria e il gruppo, che Calhoun chiamò “I Belli”. Questi non si lasciavano mai coinvolgere nelle relazioni con altri, nelle lotte, ed erano completamente disinteressati alla riproduzione, erano interessati solo a se stessi e le uniche attività erano mangiare, dormire e lisciarsi il pelo. A differenza degli altri soggetti gli appartenenti a questo gruppo non avevano tracce di ferite ed avevano un pelo bianchissimo. Attorno a loro continuava l’aggressività, la violenza, il cannibalismo e il pan sessismo.
Al giorno 560 la popolazione raggiunse le 2.200 unità e al giorno 600 la crescita si arrestò. I topi non riuscivano più a superare lo svezzamento ed i cuccioli morivano. Nelle settimane successive la popolazione iniziò a calare per le morti dei soggetti e anche quando la popolazione raggiunse i livelli numerici iniziali la società dei topi non si riprese: le femmine rifugiate nei nidi e i belli sopravvissuti avevano perso le capacità sociali, non avevano più relazioni. Avevano raggiunto una “morte sociale”, come la definì Calhoun, che precedette la morte fisica. Il Paradiso dei topi era diventato La fogna del comportamento.
Negli anni successivi Calhoun analizzò a fondo l’esperimento e ne trasse alcune conclusioni. L’eliminazione delle cause esogene/naturali della morte portava ad un aumento della popolazione e questo aumento alla sovrappopolazione. In un gruppo sovrappopolato venivano a mancare i ruoli sociali per tutti e i giovani si trovavano a lottare con gli adulti per prendere i posti già occupati ma questa lotta era così violenta da portare all’esaurimento dei contendenti, sia giovani che adulti, che ad un certo punto abbandonavano la lotta abbandonando l’organizzazione sociale.
I giovani nati in queste condizioni vengono abbandonati dalle madri e dagli altri adulti mentre l’alto tasso di contatti con altri soggetti costretti in situazioni di altra concentrazione abitativa costringe i soggetti a chiudersi sempre più in se stessi, ad isolarsi, a suicidarsi.
Secondo Calhoun non importa quanto l’uomo sia sofisticato, una volta che il numero di individui in grado di ricoprire un ruolo è superiore ai ruoli a disposizione si ha la distruzione sociale, i nuovi nati sono così distaccati dalla realtà da essere impossibilitati ad inventare e costruire strutture vitali. “La creazione di idee appropriate per il sostentamento in una società post-industriale sarebbe impossibile” .
C’è qualcosa di familiare in tutto questo?
Lo so che gli esseri umani non sono come i topi, noi siamo molto più intelligenti, ma guardandoci attorno non possiamo negare che nelle nostre città, e ancor più nelle megalopoli, ci siano sempre più donne che vivono sole, ci siano sempre più violenze contro le femmine e i maschi più deboli, che nei luoghi centrali si stia formando il gruppo dei “belli” impegnati ad accudire alla propria bellezza, al proprio corpo, incuranti di quanto accade attorno. Come in Universo 25 in Italia assistiamo al fenomeno della decrescita della natalità, fenomeno che si sta allargando anche alla popolazione immigrata, e che assegna alla nostra penisola il primato mondiale di minor fertilità al mondo.
Una comunità è come un rapporto a due o più persone: dura finché c’è una tensione che tende a fare stare assieme le persone; quando la tensione finisce inizia la decadenza ed infine si ha il crollo. Nelle città, e ancor più nelle megalopoli, non esistono più rapporti interpersonali, non esistono più aiuti reciproci, tutto è demandato a qualcuno di superiore che si deve occupare di tutto. L’urbanizzazione costringe l’individuo a vivere in una società totalizzante dove non ha più possibilità di scelta, di decisione, se non quella di cambiare canale tv o modello di telefono, e dove il massimo della protesta e del dissenso è un pollice verso in un social. Che una persona esista o no non cambia nulla, la vita continua immutata. Non esistono più le ritualità collettive, i riti di passaggio, i gruppi di coetanei, i colleghi di lavoro, tutto è massificato e programmato, tutto è disumanizzante, e con l’avvento delle Intelligenze Artificiali e dei robot tutto sarà ancor più disumanizzato e alienante.
Secondo le analisi della comunità Damanur il numero massimo di persone che può vivere assieme in una comunità si attesta sulle 200, massimo 220 persone, superato questo numero calano i rapporti interpersonali e il gruppo di sfalda. Quanti centri abitati abbiamo con più di 200 persone? Quante città con più di 200 MILA persone? Oggi abbiamo 10 megalopoli con più di 19 milioni di abitanti.
·       Nel 2030 ci saranno 41 megalopoli con più di dieci milioni di abitanti
·       Queste 41 megalopoli assorbiranno il 75% dei prodotti alimentari della terra.
·       Oggi ogni settimana un milione e mezzo di persone lascia la campagna e i villaggi per andare a vivere in città.
Alla luce degli esperimenti di Colhoun e guardando quanto accade attorno a noi dobbiamo renderci conto che il problema non del futuro ma già di oggi non è solo dare un reddito minimo di sopravvivenza alle persone ma soprattutto dare un ruolo sociale, con impegni e responsabilità, altrimenti finiremo per implodere e, senza neppure bisogno di guerre purificatrici, finiremo per autodistruggerci distruggendo quanto abbiamo impiegato secoli per costruire: la nostra società.

© Galileo Ferraresi 18 marzo 2019


[1] Oggi 7,4 miliardi
[2] Filippo di Lussemburgo, consorte di Elisabetta II d’Inghilterra
[3] J. J. Cousteau
[4] Oggi i beni alimentari prodotti in occidente superano del 43% i consumi e vengono distrutti; ovviamente ciò serve per mantenere alti i prezzi al consumo, indipendentemente dal fatto che qualche milione di persone muoia di fame.

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