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domenica 25 aprile 2021

25 Aprile 1507 L’agnizione del “Sacro Manto Geografico” 25 aprile 2021 Claudio & Diego

 

25 Aprile 1507

L’agnizione del “Sacro Manto Geografico”

25 aprile 2021,

 

Claudio Piani & Diego Baratono


La carta disegnata dal Waldseemuller nel 1507


 

Come un vasto mantello aperto, la
mappa di Waldseemüller ha rivelato
ai suoi spettatori un ordine mondiale
completamente nuovo…

(Veronica della Dora, 2021)

 

1

È stato forse il primo a concepire e ad offrirci l’estensiva metafora a fondamento di uno dei miti cosmologici più permeanti del pensiero filosofico occidentale: è il pensatore presocratico Ferecide di Siro. L’immaginifica narrazione cosmico – mitologica elaborata dal filosofo in discorso, indica con una precisione quasi assoluta sia le modalità sia i valori sottesi all’azione di svelare/velare una realtà oggettiva, con l’apposizione di un mantello.

Questo gesto tanto semplice quanto oltremodo debordante per i suoi contenuti e per il suo portato, consente di certificare ad ogni livello (figurativo, materiale, simbolico, giuridico e quant’altro) l’acquisizione irrevocabile, immutabile, incontrovertibile di quanto svelato/velato. Ferecide nel suo racconto, narra che Zeus regala a Ctoniae1 per la loro unione nuziale uno splendido mantello sacro sul quale è ricamato tutto ciò che esiste nelle vastità terranee e marine.

Dal momento in cui Ctoniae sostituisce al suo velo originario questo esclusivo sacro manto cosmico – geografico, essa si trasforma in altro. Acquisisce istantaneamente un nuovo status e, soprattutto, un nuovo nome: da adesso in poi, per sempre, sarà battezzata Gea2. Fin qui il mito. Ora, è ben attestata la poderosa azione fondante, l’autorevole atto simbolico e giuridico posto in atto in grado di fissare irrevocabilmente in modo universale un nuovo inizio, un nuovo ordine cosmico.

Il passaggio è chiaro: dalla “semplice” azione compiuta con un gesto3, si giunge ad una tracciatura concreta, visibile quindi fisicamente, di cosa ha comportato giuridicamente quel gesto irreversibile. In questo modello mitologico in altri termini, Ferecide riporta come si è potuto originare in maniera graficamente indelebile, qui è con un ricamo su di un mantello, ossia su di un tessuto, un atlas, un documento notarile, legale: è la prima “mappa mundi”.

È nel momento in cui viene indossato che questo mantello cosmico ordinante conferisce con autorevolezza una nuova identità e nuove valenze giuridiche a chi lo indossa. Si deve ricordare che una stoffa è realizzata con una trama ed un ordito. Quest’intreccio quasi indissolubile genera, ed è anche qui chiaro, un reticolo che consente al suo interno una tracciabilità, per dir così, geo - metricamente (termine non casuale) misurabile. In sostanza nel racconto di Ferecide si ha, è di nuovo ben evidente, la trasposizione di complessi concetti tecnici, scientifici e giuridici, in questo caso è la tracciatura grafica della carta geografica che rivestendo tutta la Terra, ossia Gea, la rende legalmente identificabile, in un mito narrabile ed in quanto tale trasmissibile senza tuttavia poterne alterare o, peggio ancora, poterne perdere gli ingredienti più importanti da trasmettere.

Il significato del termine “mappa mundi” è propriamente “Tessuto del Mondo” e nient’altro. Il significato riportato da eminenti enciclopedie di “Carta geografica che rappresenta il globo terrestre” è totalmente errato e senza fondamento. Si suggerisce, pertanto, la dovuta correzione.

 

2

Sembra scontato ma così non è. In effetti, la potente metafora pedagogica trasmessa da Ferecide sembra generare nella mentalità greca, ma certamente non solo in quella, un altrettanto potente visione, ossia che le qualità sacrali e le valenze cosmiche conferite al mantello, prerogative che si percepiscono nitidamente saturare l’esclusivo indumento, possano, riversandosi osmoticamente, pervadere inesorabilmente la persona che lo indossa.

Ecco allora che in ogni periodo storico le autorità quali imperatori, re, pontefici, classi sacerdotali fino ad arrivare ai nostri magistrati contemporanei, indossando il mantello, acquisiscono tutti un’aura sacra, quasi divina, d’incontestabile autorevolezza.

Il mito del sacro manto diviene però particolarmente significativo per l’immaginario dei savants del mondo antico, Eratostene e Strabone su tutti, che lo utilizzano per dare forma alla loro peculiare idea di spazio geografico. Per questi uomini di cultura l’ecumene allora conosciuto, ovvero l’area di terra abitabile di cui erano parte Asia, Europa e Libia, aveva volutamente un preciso profilo: combaciava perfettamente con la sagoma di una clamide, ossia il particolare mantello indossato dall’élite delle truppe di Alessandro Magno, incontenibile conquistatore del mondo antico.

 

3

Questa pratica dedicatoria al grande re macedone ed alla clamide, è tanto radicata che ancora il monaco bizantino Massimo Planude nel XIII secolo4, in un suo panegirico composto per celebrare il geografo alessandrino Claudio Tolemeo5, ne certifica l’indiscussa autorevolezza utilizzando proprio l’unico modo in cui poteva farlo, ossia magnificandone l’opera con un atto d’agnizione culturale proprio mediante l’autorevolezza che il “mantello” conferisce già soltanto invocandone la presenza, quindi già a partire dal momento in cui lo si chiama in causa in qualche modo6. Non è casuale, quindi, che Planude attesti, sottoscriva e certifichi che osservando le mappe tracciate secondo la ratio tolemaica sembra di poter rivedere lo splendido mantello colorato che adornava le spalle della dea Athena7. Il binomio meditativo “carte geografiche/mantelli” sembra proprio funzionare.

 

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Le mappe di Massimo Planude ed i suoi scritti giungeranno intorno al 1397 grazie al diplomatico bizantino Manuele Crisolora a Firenze. Daranno il potente abbrivo agli studi della “Geografia” di Tolemeo. È bene sottolineare qui, che l’autorevole scritto tolemaico in discorso trova dapprima nuova linfa vitale curiosamente all’interno di un monastero, probabilmente Chora, e in parallelo proprio in un altro monastero, questa volta di certo Saint-Diè des Vosges, di cui si parlerà nel punto numero 6 di questo scritto, la “Geografia” troverà poi la sua massima espressione e compimento nella straordinaria mappa mundi redatta proprio in quel complesso monastico nel 1507. In questa prospettiva, la “Geografia”, comunque si voglia intendere il termine, si direbbe essere appannaggio ed eredità delle religioni congiunte cattolica ed ortodossa. Il messaggio metaforico trasmesso dal “mantello geografico” è talmente pervasivo, influente e apprezzato che ancora nel secolo XVI, in un dialogo del fiorentino Antonio Manetti, così si può leggere: “Et così è necessario intendere un poco di astrologia almeno havere visto la sphera. Et di cosmographia, el mantellino di Tolomeo et la charta da navichare, perché l’una aiuta l’altra8.

 

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Tra i vari eruditi che si accosteranno allo studio delle “geografie a mantellino”, troviamo anche Giorgio Antonio Vespucci che vedrà partecipare alle sue esclusive e ricercate lezioni il ben più famoso nipote, allora ancora fanciullo, Americo Vespucci compagno di banco di quel Renato che in futuro ricoprirà la carica di duca di Lotharingia, ossia Renato II d’Angiò. Giorgio Antonio e Americo si possono ritrovare sotto il mantello blu della Madonna della Misericordia, voluta dal nobile casato fiorentino dei Vespucci per attestare senza equivoci la loro profonda devozione verso la Vergine.

Il dipinto in discorso, realizzato dal Ghirlandaio, è all’interno della cappella di famiglia del celebre navigatore ubicata nell’allora “Abbazia” dedicata a Maria Vergine, oggi d’Ognissanti. È particolarmente indicativo che proprio nel tempio mariano d’Ognissanti si trovino anche le spoglie mortali di Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, conosciuto con il nome d’arte di Sandro Botticelli.

Tra le straordinarie opere prodotte da questo gigante indiscusso, ancorché quasi dimenticato, dell’arte italiana, ricordiamo qui un famosissimo quadro in particolare. È titolato in maniera clamorosamente sbagliata come “Nascita di Venere”. La spettacolare figura femminile raffigurata è nuda perché, è evidente, è ancora nella condizione primigenia di Ctoniae. È trasportata su di un’imponente e preziosa conchiglia mariana sospinta dai due pneumi abbracciati del Sud e dell’Ovest, che secondo proprio le indicazioni di Tolemeo sono all’origine del vento Libeccio9. La direzione è verso una costa, per qualcuno la Toscana, dove ad accoglierla, il Botticelli dipinge specificamente un manto purpureo tempestato di fiori. È qui evidente ed indiscutibile il chiaro riferimento al mantello di Gea che, pronto ad accogliere la delicata figura femminea sotto di esso, dovrà certificarne giuridicamente oltre al battesimo anche il sacro svelamento/velamento avvenuto10.

 

6

In più che solida continuità storica, ideologica e giuridica questo enigmatico battesimo con relativo svelamento/velamento, fissato su tela in modo tanto meraviglioso negli anni a cavallo dei secoli XV e XVI dal “sofistico” Botticelli, sarà definitivamente chiarito nella Quarta Domenica post Pasqua del 25 Aprile 1507. Si tratta di un’azione tanto potente quanto coraggiosa. È abilmente concertata e risolutamente portata a termine dal “… Papato, dagli Stati Teutonici e Italici che si trovano tutti nel Regno dei Romani, sotto la corona elettiva dei Cesari Augusti di stirpe germanica, corona ora in testa a Massimiliano I degli Asburgo d’Austria insieme alle reali corone di Castiglia e Lusitania …”11. La straordinaria e potente cordata avrà il compito di permettere a Martin Waldseemüller, Matthias Ringmann e Americo Vespucci all’interno della Gran Prepositura di Saint-Diè des Vosges, (Lotharingia) direttamente all’ubbidienza del Papa Giulio II della Rovere, di realizzare l’opera cosmografica a stampa più sostanziosa e rivoluzionaria di sempre: la Cosmographiae Introductio12.

All’interno di questo documento unico, è sancita giuridicamente l’agnizione sacra di riconoscimento di un nuovo quarto continente, identificato ufficialmente pochi anni prima. Il Nuovo Mondo scoperto sarà qui battezzato “a partire” dal nome di colui che l’aveva effettivamente disvelato per la prima volta, ossia Americo Vespucci. Il sacro nome fissato per il battesimo del 25 Aprile 1507, sarà per sempre A.M.E.R.I.C.A., denominazione a lungo ricercata e a lungo meditata, qui abilmente codificata mediante l’estensiva formula linguistica dell’acronimo dedicatorio a Maria madre di Misericordia.

 

7

L’efficacia imperitura dell’operazione di agnizione giuridico - geografica più colossale e vasta di qualsiasi altra avvenuta in precedenza, ossia lo svelamento/velamento del Nuovo Mondo riletto nei termini che si sono riportati al punto precedente non sembrerebbe rientrare nei parametri fin qui stabiliti per sacralizzare un evento epocale. A mancare ancora in sostanza è il fondamento del tutto, ossia manca un “mantello”. Non è così. Anzi. La poderosa metafora del Sacro Manto Geografico come fissata da Ferecide, traspare ed emerge in maniera distinta e potentissima semplicemente soffermando l’attenzione sulla cornice che contiene in toto la più grande e celebre mappa mundi di ogni tempo, la “Universalis Cosmographia Secundum Ptholomei Traditionem et Americi Vesputii Aliorumque Lustrationes”.

È in sostanza la mappa mundi realizzata da Martin Waldseemüller attraverso i torchi dell’officina libraria del Gran Priorato di Saint-Diè, per essere allegata alla Cosmographiae Introductio, probabile dono per l’imperatore Massimiliano I ospite a pochi chilometri da Saint-Diè, tra i giorni del 25 e 27 Aprile del 1507, presso il castello di caccia di Enterbürg del conte Wolfang von Fürstemberg13. Come ormai acclarato dai nostri studi la celebre mappa mundi di Saint-Diè del 1507 riprende precisamente i profili del panneggio del sacro manto vestito dalla Madonna della Misericordia commissionata dai Vespucci al Ghirlandaio, ancora oggi ammirabile in Ognissanti a Firenze.

È un manto tra i più sacri proprio per i suoi connotati esclusivamente mariani quello scelto dai canonici di Saint-Diè in Lotharingia per contenere ed esibire il nuovo, sconvolgente ordine mondiale. È però anche il manto disegnato per i Vespucci. È quindi inevitabile e corretto pensare che la devozione di Americo e della sua potente famiglia per Maria sia più che solida. È quindi inevitabile, corretto e logico pensare che sotto la protezione del Sacro Manto Mariano quasi a certificazione, oltreché giuridica, anche sovrannaturale, sia avvenuto il disvelamento dei disvelamenti, ossia la scoperta del Nuovo Mondo.

 

8

Questo manto attesta anche un altro fatto. Certifica l’autorevolezza irreversibile della scoperta di Americo che si può così lecitamente raccordare all’antica tradizione tolemaica poiché ne assimila in toto le leggi ordinatrici cosmiche, che sono le linee guida, la trama e l’ordito di un tessuto, di un atlas cosmico, cui l’intero mondo occidentale in quel particolare periodo storico si assoggetta e in qualche modo si affida totalmente. Sopra all’elegante profilo policircolare della mappa mundi, da noi scriventi definito “pallioforme”, si osservano non già figure sacre, divine come si era soliti vedere nelle antiche mappae mundi.

Qui a fare bella mostra di sé, immersi in nuvole celestiali, si trovano i mezzi busti a sinistra di Claudio Tolemeo e a destra di Americo Vespucci. Il manto appone l’indiscutibile sigillo giuridico di “autorità” per entrambi i soggetti. Il volto di Vespucci qui ritratto come appurato dalle nostre ricerche, è perfettamente compatibile e sovrapponibile per le caratteristiche fisiognomiche riportate, a quello del volto più giovane di Americo raffigurato sotto il manto misericordioso della Madonna che campeggia tra le nuvole di un cielo paradisiaco, come dipinta dal Ghirlandaio. Nella mappa mundi vosgense dunque la presenza della partecipazione divina all’evento che ha cambiato la fisionomia del Mondo, è segnalata proprio dal profilo pallioforme mariano immerso tra le nuvole, indice della bontà misericordiosa dell’azione esploratrice e divulgatrice portata avanti da Americo Vespucci a dispetto di quella, si lascia intendere, meno nobile e ancor meno autorevole del genovese Colombo che qui non viene neppure considerato.

Questa narrazione verrà ancor più chiaramente attestata nella rappresentazione nota come Americae Retectio realizzata dall’incisore fiammingo Johannes Stradanus, operante presso la corte medicea a Firenze, alla fine del secolo XVI. Nella rappresentazione in discorso, a testimonianza di una straordinaria continuità concettuale, si può notare che solo Vespucci, patrono di una Flora/Fiorenza d’indiscutibile botticelliana ascendenza, riesce a smuovere il manto, riesce a sollevare il lembo di un atlas che ancora vela i profili del Nuovo Mondo tracciato su di un globo terracqueo, che in continuità inesorabile e logica è innestato, a guisa di perla, in una defilata ma ben presente conchiglia pecten mariana, anch’essa di evidente origine botticelliana.

La conchiglia in oggetto è a sua volta sorretta, in un lucido gioco sincretico dagli inconfondibili sapori neoplatonici, dalla figura totalmente pagana, di Oceano. Non è quindi Colombo, patrono di un Giano totalmente impotente di fronte alla realtà storica che si para a lui d’innanzi, a essere protagonista della vicenda restando anche qui figura piuttosto marginale. Il Sacro Manto Geografico, si può inferire senza grandi dubbi, non si schiera dalla parte di nessuno, ma è asetticamente deputato a certificare irreversibilmente l’autorevolezza della causa e dell’effetto di chi o cosa aderisce e si connette alla sacra tradizione di cui è indicatore. È una memoria che da sempre è parte imprescindibile di quei sottili ingranaggi costituenti il supremo motore cosmico regolatore dell’evidente ordine universale che tutto sembra reggere, cui le antiche società umane organizzate hanno sempre volto lo sguardo affidando la gestione delle loro vite.

In questa cornice, un elemento può portarci a considerare che chi ha coniato la locuzione A.M.E.R.I.C.A., molto probabilmente il canonico Matthias Ringmann, fine “scolastico” tra i più richiesti nel mondo universitario alemanno, sia stato spinto da una motivazione speciale. Abituato a giocare con le parole e chiamato a realizzare proprio per la sua bravura complicati acrostici, Ringmann è probabile abbia nascosto una dedicazione sacra, mariana nella fattispecie, all’interno del termine A.M.E.R.I.C.A.

Solida traccia di questa nostra ipotesi si trova in un documento poco considerato, forse perché poco noto. Si tratta dell’atto di fede, l’Auto da Fè, pronunciato dal presbitero Fernando de Montesiños nel 1639 a Lima davanti al Tribunale del Santo Uffizio nella persona dell’avvocato dottor Don Juan Saenz de Manozca. È quindi atto notarile più che attendibile. In questo documento si può leggere che la vergine Maria è Patrona di questi regni, tuttavia il nome Hamerica, che tante radici ha nel nome di Vespucci, rimane invece misterioso perché lo si può leggere anche come un anagramma di Maria, ovvero: Hec Maria14. Nel 1639, dunque, il potente messaggio mariano individuato dagli scriventi osservando il profilo proiettivo che fa da contenitore sacro al contenuto pragmatico ancorato alla tradizione classica di Tolemeo, è ancora accolto e soprattutto capito. A questo proposito gli scriventi hanno ricostruito per il nome A.M.E.R.I.C.A. anche l’interpretazione semantica. È il risultato di un acronimo forse elaborato a Saint-Diè, si è già accennato, dal solo Matthias Ringmann, savant estremamente versato in tali complesse tecniche scrittorie intellettuali. La nostra soluzione, estremamente coerente con tutto ciò che sin qui è stato scritto, è questa: Ave Maria Eden Regina Ianua Caeli Ave15. Qualcosa è dunque passato nonostante i feroci quanto indebiti attacchi inferti alla metafora del “Sacro Manto”, pertanto anche feroci quanto indebiti attacchi inferti all’ordine cosmico stesso, che partiranno da personaggi come Michele Serveto, Martin Lutero e continuati fino a Voltaire e andati anche oltre.

È un esempio paradigmatico, comunque, l’imponente operazione cosmica portata avanti da tutte le forze del Vecchio Mondo dispiegate per stabilire in un momento preciso della nostra Storia, ossia nella quarta Domenica post Pasqua del 25 Aprile, San Marco, del 1507, attraverso un atto giuridico sacro irreversibile e incontrovertibile, ossia l’acquisizione, più propriamente l’“agnizione”, di una nuova distesa geografica da millenni velata agli occhi del Vecchio Mondo. Quest’atto giuridico ha lo scopo, oltre che giustificare e attestare il disvelamento del Nuovo Mondo, di ancorare indissolubilmente questo evento epocale alla primordiale tradizione rappresentata proprio dal “Sacro Manto Geografico”, che da sempre si direbbe muovere gli ingranaggi dell’ordine cosmico.

Ora forse si può capire meglio il messaggio innestato dal “sofistico” Botticelli nel suo dipinto. Quella meravigliosa bionda creatura sospinta da Libeccio su di una conchiglia pecten, simbolo mariano a tutti gli effetti, è nuda perché rappresenta una terra primigenia vergine, Ctoniae. È Ctoniae pronta a indossare l’arcaico mantello cosmico ferecideo, ma è anche la Nuova Terra perfettamente attualizzata nei suoi connotati mariani se calata nel XV secolo. È pronta ad essere coperta, ordinata e disvelata al momento opportuno: questo avverrà Domenica 25 Aprile 1507. “Della misericordia di Dio è piena la terra” è, del resto, l’epigrafe che ritroviamo incisa ai piedi di Maria Misericordiosa dal protettivo manto aperto sul nobile gruppo familiare dei Vespucci, dipinta con sapienza dal Ghirlandaio. L’antico, potentissimo messaggio è ben chiaro: “tutta” la Terra è sotto il “Sacro Manto Cosmico” protettivo e lì deve restare.

Oggi l’equilibrio cosmico forse è stato ristabilito dopo secoli di oblio. Oggi è il 25 aprile 2021. Oggi forse non è ancora tutto perduto. Crediamoci.

 

Note

1 Ctoniae è la “Terra” ma ancora velata in una primigenia condizione di ammasso oscuro e indecifrabile.
2 Claudio Piani, Diego Baratono, L’origine del sacro manto geografico, in L’universo, n°2, marzo-aprile, Firenze, 2010.
3 L’atto di coprire con il sacro mantello.
4 Massimo Planude è il geografo che compilerà i primi diagrammi geografici su pergamena utilizzando le coordinate tolemaiche.
5 Si tratta della “Preghiera a Tolemeo” e degli “Eroici Versi sul Geografo Tolemeo”.
6 È un’autorevolezza tangibile, conferita a prescindere dal contesto e dalle modalità con cui si utilizza il mantello.
7 Veronica della Dora, The Mantle of the Earth, The University of Chicago Press, 2021, Chicago. Ad oggi, tuttavia, non è noto se Planude avesse a disposizione de visu mappe tolemaiche colorate originali oppure no.
8 Diego Baratono, Claudio Piani, Speciale America, della misericordia di Dio è piena la Terra, L’agnizione del Nuovo Mondo, in L’universo, n°3 maggio-giugno, 2016, Firenze.
9 È ben chiaro quindi, come abbiamo dimostrato nei nostri studi, che il vento denominato Zefiro dalla critica comune, in questo dipinto non trova alcun tipo di riscontro, Claudio Piani, Diego Baratono, Botticelli, un nuovo approccio, Jubilate Deo, omnis terra alleluia, ovvero il Battesimo del Nuovo Mondo, Wall Street International Magazine, 26 marzo 2020.
10 Claudio Piani, Diego Baratono, op. cit., Wall Street International Magazine, 26 marzo 2020.
11 Si vedano al riguardo gli studi della Professoressa Patrizia Licini.
12 Si vedano al riguardo gli studi della Professoressa Patrizia Licini.
13 Patrizia Licini, Americo Vespucci in Giochi di specchi.
14 Traducibile letteralmente con: “questi mari”. Il significato non necessita di commenti nel contesto.
15 Diego Baratono, Claudio Piani L’universo, Speciale America, 2016, Firenze.



 

Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

25/04/'21

 

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domenica 18 aprile 2021

Le avventure di Robin Hood del 1954

 


  Questa volta vorrei parlarvi di un’altra serie televisiva avventurosa. Non è un “polverone” televisivo alla Matt Dillon/zio Zeb o come l’avventurosa e poliziesca Vidocq, ma per intenderci, di una serie ambientata in piena età comunale, o medievale; più precisamente nella boscosa Inghilterra del XIII secolo: vorrei parlarvi delle

 

Avventure di Robin Hood

 


Robin e la sua fidanzata Marion

e per parlarvi di Roberto dei boschi, parliamo prima del personaggio storico e prendo a prestito le parole di Guglielmo Depping dal quarto capitolo del suo libro Le meraviglie della forza e della destrezza, stampato da E. Treves, a Milano nel 1870. 

“Secondo l’opinione generalmente accettata, Robin Hood viveva sotto il regno di Riccardo Cuor di Leone. Un epitaffio inciso sulla sua pietra sepolcrale, che venne trovata vicino a Kirklees, nella contea di York, lo dice morto il 24 dicembre 1247. Ma quella pietra e la sua iscrizione sono riguardate oggidì come apocrife.

   Il Robin Hood delle ballate sembra essere stato il più celebre di quei forestieri, conosciuti sotto il nome di outlaws (gente fuori della legge), che vivevano nelle grandi foreste d’Inghilterra, e che, prendendo parte alla causa dell’indipendenza nazionale contro i re normanni, pensavano innanzi tutto a cacciare la selvaggina ed a svaligiare i viandanti.


Illustrazioni da Robin Hood and Little John: or, The merry men of Sherwood forest

di Pierce Egan del 1850 

   La residenza ordinaria di questo contrabbandiere e celebre bandito era la foresta di Shirewood, o Sherwood (contea di Nottingham), chiamata allora Sire-Vode in lingua sassone. Essa estendevasi sopra uno spazio di molte centinaia di miglia, da Nottingham fino al centro della contea di York.

   Secondo certe versioni, egli era nobile di nascita e chiamavasi Roberto Fitz –Ooth; avrebbe avuto, dicesi, anche il diritto di portare il titolo di conte di Huntingdom; ma nella sua giovinezza avendo menato una vita dissipata e mangiato la maggior parte del suo patrimonio, egli si vide costretto a rifugiarsi nei boschi, mentre il rimanente delle sue sostanze era divorato da uno sceriffo e da un abate: da ciò l'origine del suo odio contro il clero e l’autorità civile.

   Ma non è probabile che Robin Hood fosse di alto lignaggio. Egli amava troppo il popolo, e faceva troppo bene ai poveri, distribuendo loro ciò che possedeva (non possedeva, a dire il vero, che il prodotto del suo malandrinaggio), per non esser nato nella classe povera.

   Robin Hood aveva, dunque il miglior cuore del mondo, ed era nello stesso tempo il più ardito cacciatore; ma, ciò che più importa, avea fama del migliore e più destro arciere de' suoi tempi.

La sua banda compone vasi d’un centinaio d'uomini risoluti e buoni arcieri come il loro capitano. Molti de' suoi accoliti, immortalati nelle ballate, vivono tuttavia nella memoria del popolo.

Erano Mutch, il figlio del mugnaio, e il vecchio Scathlocke; era soprattutto il suo aiutante e luogotenente favorito Little-John (Giovannino), così chiamato per derisione a motivo della sua statura atletica; e finalmente il cappellano della banda, Friar Tuck (Fra Tuch), monaco-soldato, che combatteva in tonaca, armato d’un grosso bastone. È lo stesso frate laico, buon compagnone e cuor contento, che Walter Scott rese celebre nel suo Ivanhoe, col titolo di Eremita di Kopmanhurst.

Quella coraggiosa masnada non era fatta per la malinconia; gl’individui che la componevano non uccidevano i prigionieri: essi non versavano il sangue che per difendere la loro vita e per sottrarsi ai loro nemici. Amavano meglio versarsi del vino, operazione di cui Fra Tuck specialmente s’intendeva a meraviglia.

   Lo spirito avventuroso di quel personaggio, la sua resistenza alle leggi tiranniche, la sua umanità, la sua protezione pei deboli, il suo gusto per il tiro dell’arco e la sua destrezza meravigliosa, ecco quanto e più che non bastasse a popolarizzare il nome di Robin Hood. I luoghi da lui frequentati, le fontane e le cisterne a cui soleva arrestarsi per bere, le pietre che gli servivano per riposarsi, sono anche oggidì visitate e venerate da' suoi fanatici ammiratori. Il suo corno da caccia è popolare come quello di Orlando in Francia. Altre volte celebravansi giuochi e feste in suo onore; le corporazioni d’arcieri e di balestrieri si mettevano sotto la sua tutela. I tiratori giuravano per il suo arco, il quale fino alla fine del secolo scorso fu conservato, insieme con una delle sue frecce, a Fountain’s-Abbey.

   Con quell'arma egli compiva le prodezze che hanno stabilito la sua riputazione. Ma quali sono codesti tratti di destrezza così memorabili? domanderà il lettore. Sarebbe difficile rispondere a questa domanda, perché la storia non ne dice parola. Tutto quanto essa ci tramandò a tal proposito si restringe ad alcune frasi di questo genere: «Fra i diseredati notavasi a quei tempi il famoso bandito Robin Hood, che il basso popolo ama festeggiare con giuochi e commedie, e la cui storia, cantata dai menestrelli, lo interessa a preferenza di qualunque altra» [nota: Aug. Thierry, Histoire de la conquête de l'Angleterre par les Normands. Parigi, 4 vol. in- 8.].


   Se si vogliono più minuti particolari sulla vita e le avventure di quello scorridore dei boschi, si consultino le ballate. Ma anche queste non riferiscono alcun tratto della sua abilità. Tuttavia Walter Scott ha creduto potergliene attribuire uno, che è già noto a quelli che lessero il romanzo di Ivanhoe, cioè a quanti sanno leggere. È un’invenzione del romanziere? No: egli l’ha attinto alle ballate più antiche del ciclo di Robin Hood; e si può dire, a giustificazione di Walter Scott, che se quell’impresa non appartiene a Robin Hood, è però degna interamente di lui. In ogni caso, fu opera d’un Inglese. Se non fu lui, fu certo uno de' suoi compatriotti .

   Nondimeno, prima di citar Walter Scott, vediamo ciò che la tradizione attribuisce al nostro eroe.

   Si racconta che Robin Hood e il suo fedele Little-John lanciavano più volte delle frecce, che andavano ad un miglio di distanza.

   «La tradizione c’informa, dice Charlton nella sua Storia di Whitby, che Robin Hood, assistito dal suo compagno Little-John, si recò un giorno, in una delle sue passeggiate, a desinare presso l'abate Richard, priore dell’abazia di Whitby il quale, avendo udito parlare della loro grande abilità come arcieri, li pregò, quando furono levate le mense, di darne un saggio ai convitati. Per compiacere, adunque, all'abate, essi montarono alla sommità del monastero, e di là ognuno di essi scoccò una freccia, che cadde non lontana da Whitby-bath, dall’altro canto della strada. In memoria di tale avvenimento, il priore fece innalzare, sul luogo dove furono trovate le due frecce, una colonna, che vi si vede anche oggidì: v’ha la colonna di Robin Hood e quella del suo amico Little-John. La distanza dall'abazia di Whitby è almeno d'un buon miglio, misura che sembra eccedere un tiro di freccia».

E l’onesto scrittore aggiunge con molta ingenuità: Questa circostanza scrollerà forse un tantino la convinzione di alcuni fra i miei lettori» ! [nota: History of Whitby. York , 1779 , in- 4.].

   Quanto a Walter Scott, egli introdusse, com'è noto, Robin Hood nel suo romanzo sotto il nome di Locksley. Infatti lo scorridore dei boschi prendeva talvolta quel nome, nella stessa guisa che si travestiva in mille modi per sottrarsi dalle ricerche de' suoi nemici [nota: Non è già un nome di fantasia, perché Robin Hood era nato verso il 1160 in un villaggio chiamato Locksley o Laxley. Veramente, alcuni critici pretesero che non sia mai esistito un luogo che portasse quel nome, né nella centea di Nottingham, nè in quella d'York.]

[…]

   Nulla prova meglio il gusto del popolo inglese per il tiro dell’arco, quanto la venerazione di cui fu circondata la memoria di Robin Hood nei primi anni che seguirono alla sua morte. Egli fu onorato al pari di un santo; ebbe il suo giorno di festa, durante il quale i campagnuoli si davano buon tempo, non pensando che a festeggiarlo, ballando e tirando d'arco. «Nel quindicesimo secolo, quest'usanza era ancora in voga, dice Agostino Thierry; e i figli dei Sassoni e dei Normanni prendevano parte in comune a quei divertimenti popolari, senza riflettere che essi erano un monumento dell'antica ostilità, che esisteva fra i loro antenati. In quel giorno, le chiese erano deserte, del pari che le officine; non v'era santo o predicatore, che andasse innanzi a Robin Hood, e ciò durò anche dopo che la Riforma diede in Inghilterra un nuovo indirizzo allo zelo religioso.»” [a questo proposito leggete la parte finale de La festa dei pazzi].

 



   Ovviamente un tale personaggio  non poteva sfuggire a nuove avventure, dopo la narrazione di Scott e poi di Dumas. Altri romanzi, vennero scritti, furono realizzati fumetti, drammi radiofonici e serie televisive.

Naturalmente in usa, dove per far soldi si farebbero contratti con il diavolo [oggi perfino con popolazioni aliene], si pensò all’inizio degli anni ’50 di finanziare 39 puntate di mezz’ora l’una.


Non mi interessa chi è stato a cacciar soldi. Mi interessa di più che per il ruolo del giustiziere di Sherwood fu ingaggiato Richard Greene nato a Plymouth, nel Devon, in Inghilterra il 25 agosto 1918, un attore di origini irlandesi e scozzesi. Grazie a questo ruolo Greene divenne una vera stella e nella sua carriera ritornò a interpretare Robin nella pellicola cinematografica Gli arcieri di Sherwood  (Sword of Sherwood Forest) nel 1960.

Interpretò fra gli altri anche il personaggio di Sir Denis Nayland Smith, [apparso poi anche nei fumetti americani di Shang-chi, maestro del kung-fu] irriducibile nemico del mortale Fu Manchu, prima di scomparire nel 1985 per arresto cardiaco nella sua casa di Norfolk, in Inghilterra, all'età di 66 anni.

 

 

   La serie televisiva viene girata su pellicola da 35 mm per fornire la migliore qualità dell'immagine possibile; Mentre gli interni sono stati girati presso gli studi Nettlefold, le riprese in esterni sono girati nel vicino Wisley Common, e nell’adiacente tenuta del parco Foxwarren, vicino a Cobham, tutte località nel Surrey oltre a vari edifici medievali nel Regno Unito, tra essi il bel castello di Allington nel Kent, usato anche in altre pellicole su Robin Hood.

 

    Robin Hood viene presentato per la prima volta nel Regno Unito, la domenica del 25 settembre 1955, mentre  la prima americana viene il giorno dopo. Il successo è immediato. Tanto che si girarono altre 3 serie per un totale di 143 episodi.

 

Marco il Magnifico

Robin ispirò la creazione di altre serie televisive tra cui Le avventure di Sir Lancelot, Le avventure di Guglielmo Tell, Sir Francis Drake, il Conte di Montecristo oppure La spada della libertà Sword of Freedom (1957/58). Credendo fosse la versione televisiva di una serie a fumetti splendidamente illustrata da Alberto Giolitti l’ho cercata e ho scoperto ben altra cosa.

In questa serie (nota anche come Marco il Magnifico) l’attore Edmund Purdom interpreta Marco del Monte, un giovane artista repubblicano che vive in una casa/studio sul Ponte Vecchio nella Firenze  del Cinquecento, dominata dai Medici.

Mastro Marco nel suo studio... non sà che è in pericolo

La fidanzata di Marco è Angelica, una bella ex borseggiatore. Oltre a lei vi è Machiavelli che è il consigliere del duca e il capitano Rodrigo che è il capo delle forze dei Medici. La serie di 39 episodi descrive le lotte dei repubblicani per combattere i tentativi del Duca di rafforzare la sua posizione e diventare un dittatore. Anche questo è un bel personaggio con cui poter sognare, se non fosse che, una musica di sottofondo è con un mandolino (gli italiani sono considerati solo spaghetti, mandolino e fiaschi di vino) totalmente inadeguata; gli attori inglesi hanno bella presenza e gli occhi azzurri e nel caso di Marco, direi totalmente inadatto a rappresentare un italiano… a meno che non si voglia fare Giulio Cesare.

Intrigante il sesto episodio. Davanti al Banco De Medici, Marco schizza una bella popolana e un uomo ammira il suo disegno e prima d’entrare al banco quest’uomo rivela il suo nome: Vespucci, capitano Vespucci.

Fatta amicizia, nella casa di Vespucci, il capitano spiega all’artista come messer Colombo sia andato in un nuovo mondo pensato di andar in India e così facendo ha aperto una via [In Irlanda o in Scozia, non ricordo più dove, vi è una chiesa dove vi è la tradizione che messer Colombo ascoltò messa prima di partire a scoprir l’America. Leo dixit (mio latinorun alla Petrolini) che «nel 1476 è a Bristol e l’anno dopo a Galway in Irlanda, non si sa con quale compito e pagato da chi.» ovvio, non un’ipotesi, ma solo una suggestione].

 

Sotto le mani di Vespucci una cartina un po’ troppo “moderna”

ma assai simile alla carta affrescata di Palazzo Besta in Valtellina.

 

Ma lui vuole dimostrare il contrario, che c’è un nuovo mondo, con delle ricchezze, da gestire senza far nuovi accordi con Venezia. E Machiavelli vuol portare una prova di questo nuovo mondo da mostrare al gran consiglio Direttivo del Banco De Medici a Firenze, presentato una prova: una fanciulla pellerossa che Vespucci considera ormai come una figlia e una piccola bellezza chiamata Piccolo Cerbiatto [Luciana Paoluzzi… le sapevano scegliere bene le attrici, una volta] che viene rapita per ordine del banchiere Bastiano [Patrick Troughton, il secondo Dottor Who], legato per interessi economici a Venezia.

 

La fanciulla pellerossa Piccolo Cerbiatto

 

Ma nel magazzino dove è richiusa riesce a schizzare con il carboncino donategli da Mastro Marco, due dardi incrociati sopra un cerbiatto in corsa sul mantello di Bastiano. Marco riesce a vedere lo schizzo, capisce che è un messaggio della fanciulla e attraverso Machiavelli viene a sapere che c’è una piccola via dei dardi incrociati adibita a magazzini. La spada della giustizia libera la fanciulla e Vespucci può presentare la prova vivente dei suoi viaggi. La commissione decreta così che il nome del nuovo mondo sarà America da Amerigo.

 

Vespucci (John Gabril), Piccolo Cerbiatto, Marco e Machiavelli (Kenneth Hyde)

  Torniamo a Robin Hood. In questa serie televisiva ovviamente ci sono un po’ di anacronismi come la ragazza con il rossetto e l’acconciatura un po’ troppo moderna nel quarto episodio "Frate Tuck" [chissà quali erano i titoli italiano], oppure cartelli da taverna scritti quando la maggior parte delle persone era analfabeta; credo che bastava una frasca per indicare una taverna come sottolinea Carlo Goldoni nelle sue memorie alla fine del cap. XLVI, in mezzo alle sue disavventure tra Pesaro e Rimini [“una frasca attaccata a una rustica abitazione ci annunciò il mezzo per rinfrescarci; vi trovammo latte e uova fresche.”]; e un bardo nell’episodio de “La sfida” ["The Challenge"] che canta nell’Inghilterra del XII secolo una melodia detta il “Lillibullero“ composta dal compositore inglese Henry Purcell che divenne popolare in Inghilterra al tempo della Rivoluzione del 1688; e nella seconda guerra mondiale divenne la marcia non ufficiale dei popolari e pericolosi Commandos dell’esercito britannico.

Ma sono piccole imprecisioni, nessuno viveva in quegli anni, se non forse in un altro abito.

Come possono ingannare di notte le forme degli alberi,

qui il ragazzo viene scambiato per il figlio del diavolo ne l’Alchimista.

 

È bello vedere che Robin e suoi uomini non cacciano solo per mangiare le creature della foresta, ma ne utilizzano ogni singola parte come doveva avvenire nella realtà. Infatti nell’episodio de “Gli stivali dello sceriffo” tornando dalle crociate, il giustiziere di Sherwood aveva appresso «dagli infedeli, in Arabia» come rendere più morbide le pelli utilizzando le uova. Oppure quando fra’ Tuk parte in pellegrinaggio per Cantebury [13° episodio della seconda serie], Robin lo segue per procurasi del miele che usavano per prevenire le malattie nei mesi invernali. O ancora utilizza gattini neri e aquiloni per provocare la superstizione popolare dei soldati nell’episodio de “l’Alchimista”.

Poi nell’episodio "un anno e un giorno", il chirurgo Caleb  spiega che, secondo la legge inglese, un contadino o un anche un barbiere – come era lui – che sfugge alla servitù e vive in una città per "un anno e un giorno" è un uomo libero, a condizione che l’uomo viva apertamente, non in clandestinità. Quando Robin aiuta Caleb a spostarsi per la città, lo sceriffo ordina che ogni uomo del borgo di Nottingham deve abbandonare le sue faccende e aiutare ad arrestare il criminale; il bello è che per nasconderlo nelle ultime ore del giorno il giustiziere di Sherwood lo occulta proprio tra coloro che chiedono udienza allo sceriffo.

Viene citata la Scuola medica di Salerno, insomma è bello, si sente la Storia, ma siamo ben lontani dalla precisione data da Jean-Claude Deret in Thierry la Fronde, ma va bene così.

È bello vedere nel 27° episodio che seppur gravemente infermo pur di salvare la ragazza che ama, Robin affronta una pericolosa ordalia…

Messer Robin, l’uomo dal cappuccio, è tornato! 

Ma la cosa più bella è stata nel secondo episodio. Qui Robin è ormai fuggiasco nella foresta, [ora è Robin dal cappuccio, Robin Hood], accusato ingiustamente di aver ucciso sir Roger de Lisle, l’usurpatore della sua casa di famiglia, il maniero di Locksey. Il suo primo amico, o meglio compagno è Edgard [l’attore Alfie Bass]. Insieme fermano uno strozzino interpretato dal buffo Leo McKern [che aveva impersonato l’usurpatore nel primo episodio]. Gli rubano gli stivali dove teneva il suo disonesto bottino e lo costringono a tornar in città a piedi nudi.


Negli stivali il giustiziere di Sherwood trova anche una lista di coloro che avevano chiesto un prestito dall’infame usuraio; vede che costui aveva preteso, protetto dalla legge, di esigere il doppio di ciò che aveva prestato. Robin non può che cercare i poveri salassati e restituire loro il denaro che avevano pagato in più. Non per niente una madre lo chiama Gentiluomo e tutti rimangono sorpresi che Robin e Edgard vivano nella foresta di Sherwood e Robin risponde a questa povera gente «Avrete probabilmente sentito che siamo ladri e fuorilegge e non va bene!». I due salassati rispondono che così li dipingono gli uomini dello sceriffo e il giustiziere  non può che rispondere «Questi sono tempi strani, Hawkins (uno dei due salassati) in cui uno sceriffo protegge chi ruba e contrassegna come ladro, chi restituisce la merce rubata!»

La leggenda è nata!

Lo sceriffo di Nottingham vuole preparare una trappola per Locksey: un barile di vino sarà la trappola per la banda di fuorilegge dove sono rifugiati Robin e Edgard, ma il giustiziere fiuta la trappola e sventa dal grande arciere qual è, l’insidia dei balestrieri in divisa.

 

Robin spezza la spada del glorioso capo dei banditi e

in uno dei film di montaggio, un’area da eroe lo avvolge interamente

Purtroppo Nailer (l’attore Willoughby Gray), il capo dei banditi è ferito a morte e al loro campo, capisce che Robin è una brava persona e muore affidagli i suoi uomini. Allora il giustiziere di Sherwood spezza la sua spada perché «la spada di un uomo coraggioso non dovrebbe sopravvivergli!».

    L’argomento trattato in questo secondo episodio è davvero pesantissimo e pericoloso da trattare, infatti l’attività del prestito può essere gratuita o ad interesse. Nel primo caso si deve restituire solo quando ricevuto, ma nel secondo caso… il prestito ad interesse è vecchio quasi quanto il mondo; per agevolare il commercio serve del danaro da tenere da parte per poi essere utilizzato per il prestito e quindi soprattutto per avere potere. I soldi sono il potere che parte dal banco sul quale si effettuano le operazioni di cambiavalute, si quotano metalli preziosi e... si presta a usura.

Infatti questo episodio non fu replicato nella sua ultima comparsa alla televisione italiana; tema troppo scottante.

 


Robin di Locksey a destra, due inglesi di fede ebraica, padre e figlia e Much il ragazzo che

Robin considera suo fratello

 

Ha provato a parlare di questo argomento anche lo sceneggiatore Richard  Carpenter nel 1980, nell’ottavo episodio dello sceneggiato Robin di Sherwood “I figli di Israele”, dove lo sceriffo di Nottingham deve una grossa somma di denaro ad un ebreo e quindi lo sceriffo è diventato un suo servitore! «Avete ricevuto un prestito da me. Il debitore diverrà servo del creditore», ma il giovane Robin dello sceneggiato [Michael Praed], nato nel villaggio (distrutto) di Locksey, non ha certo la statura del Robin Hood di Richard Green, infatti morirà per salvare sua moglie e il ragazzetto che considera suo fratello.

No! Il Robin del 1954 ha la statura morale dell’Eroe, il vero Eroe delle leggende.

   Non mi stupisce poi che nelle prime sei settimane di proiezione in usa dai titoli di coda non comparvero i nomi degli sceneggiatori, tra essi Ring Lardner Jr., Waldo Salt, Robert Lees, Adrian Scott e Howard Koch.

Gli unici che potevano trattare argomenti così scabrosi nella patria delle libertà non potevano essere che autori inseriti nella famigerata lista nera di Hollywood. Era il termine con cui si indicava un’ampia lista nera dell’industria dell’intrattenimento messa in vigore nella metà del XX secolo in amerika durante i primi anni della Guerra Fredda. A chi era stato iscritto nella lista nera era negato il lavoro perché ritenuti comunisti o comunque dei simpatizzanti. Non solo attori, ma anche sceneggiatori, registi, musicisti e altri professionisti dell’intrattenimento americano. 

 

Il primo scontro su un ponticello dei due amici

 

   Alla terza puntata arriva Giovannino (o anche Giannetto come nella bella pellicola La spada di Robin Hood The men of Sherwood forest del 1954), insomma Little-John. Interpretato dall’attore Archie Duncan che era già entrato nel mondo cinematografico di Robin Hood in Robin Hood e i compagni della foresta del 1952 in cui faceva Gill il Rosso, uno sbirro dello sceriffo che ucciderà a tradimento il padre di Robin nella foresta.

 


Archie fu brevemente sostituito da Rufus Cruikshank per dieci episodi dopo che lo stesso Duncan rimase ferito quando un cavallo si precipitò verso gli spettatori, per lo più bambini, che stavano osservando le riprese dell’episodio “Scacco matto” (Checkmate) il 20 aprile 1955. Archie – come avrebbe fatto il vero Giovannino – afferrò la briglia, fermando il cavallo, ma il carrello che stava trainando lo investì, provocandogli una rotula fratturata, tagli e contusioni. Per questo atto di valore ha ricevuto L’Encomio della Regina per il coraggio [Queen's Commendation for Bravery] un riconoscimento in forma di una foglia di alloro in argento riservata sia ai civili in condizioni di pace sia a tutti i ranghi delle forze armate britanniche per azioni non in presenza di un nemico. Oltre a 1.360 sterline di danni dalla produzione.

Ducan aveva già interpretato Dugal MacGregor, uno dei compagni di Rob Roy nella pellicola della Disney del 1953 e un simpatico ispettore Lestrade nella bella serie televisiva su Sherlock Holmes del 1954; altro mio bel ricordo da regazzino.

Nella pellicola cinematografica di Robin Hood del 1960, Duncan sarà sostituito da Nigel Green; Green era già stato un simpatico cavaliere pauroso nel sesto episodio della seconda serie “L’impostore” e poi sarà Ercole ne Gli argonauti del 1963.

   Dal quinto episodio Robin ritrova la sua compagna d’infanzia Marion Fitzwalter (Bernadette O'Farrell) quando un corriere dello sceriffo viene fermato. Costui ha con sé una forte somma di denaro che viene proprio da Marion. A questo punto la ragazza incavolata per l’oltraggio fa catturare Robin proprio quando ritornava dalla sua casa dove era stato a restituire il denaro. Ormai Marion ha capito l’errore fatto e aiuta il giustiziere di Sherwood a fuggire dalla galera dello sceriffo, ma deve pagare la sua colpa… con un bacio ardente. Ahò, Robin? Ma c’hai una fortuna… Acciderba!

 


Il ruolo di Marion fu poi affidato all’attrice Patricia Driscoll nella terza e quarta serie e al cinema a Sarah Branch.

 

 

   Oltre a tanti amici compare Will lo Scarlatto (Will Scarlet) ma solo per 4 episodi. Quando compare la prima volta nell’episodio a lui dedicato, ha il volto di Ronald Howard (poi sostituito da Paul Eddington), che ricordo come operatore televisivo nello splendido L’astronave atomica del dottor Quattermas e poi negli anni 80 come capo dei Professionisti (the professionals). Entra in scena come un amatore nella taverna del Cinghiale blu (Blue Boar Inn), dove lavora Joan (Simone Lovell) amica dei fuorilegge di Sherwood, e la seduce provocando l’ira di Giovannino, calmato a malapena da Robin. L’arrivo però dei soldati forma una iniziale amicizia tra i tre. Però lo Scarlatto non vuole unirsi alla banda e si dirige in città in cerca di un’altra ragazza [Ma quante ne vuoi?]. Purtroppo per lui, la trova ma è la nipote dello sceriffo (in realtà la sua amante). Sarà Robin ha cacciarlo fuori dai guai e a quel punto lo Scarlatto entra nella banda.

 


  Lo sceriffo di Nottingham, il classico nemico di Robin, è un barone normanno, attratto da Marion ed è interpretato da Alan Wheatley mentre al cinema – dove muore assassinato dai suoi complici – ha il volto del popolare  Peter Chusing.

Una vignetta inedita del Piccolo conte e il suo cavallino Virgilio

mentre scalano il  monte Broken 

Tra i registi vi è anche il visionario Terence Fisher che ha diretto 11 episodi tra cui quello del fantasma di Thorhil, ambientato la notte di Ognissanti. La comparsa del fantasma dalle scale interne del maniero infestato è veramente bella e mi affascina oggi, come tanti anni fa.

 

   Dai primi episodi della serie televisiva, nel 1991 venne realizzata una pellicola cinematografica intitolata “Robin Hood, l’eroe di Sherwood”. Oltre ad essere stati restaurati, questi episodi sono stati pitturati con bei colori fiabeschi, perlomeno da quel poco che si vede nei spezzoni.

Secondo la wiki inglese, addirittura le pellicole sarebbero ben tre:

- Robin Hood: The Movie (1991) - con materiale ripreso dagli episodi: 1, 2, 3, 5, 8 e 27. In particolare, Will Scatlock che muore alla fine del secondo episodio della serie (trasferendo così il comando dei fuorilegge a Robin), non viene ucciso fino alla fine della pellicola di 90 minuti.

- Le più grandi avventure di Robin Hood (Robin Hood's Greatest Adventures) del 1991

- Robin Hood: Alla ricerca della corona (Quest for the Crown) sempre del ‘91

 

   La sigla della serie televisa, su parole di Carl Sigman e cantata da Dick James – sembra ancor oggi ricordata con affetto nel Regno Unito – era:

 

 

Robin Hood, Robin Hood, Cavalcando attraverso la valle
Robin Hood, Robin Hood, Con la sua banda di uomini
Temuti dai cattivi, Amati dai buoni
Robin Hood, Robin Hood, Robin Hood

Ha chiamato i più grandi arcieri in una taverna nella foresta
Loro hanno promesso di aiutare il popolo del re
hanno gestito tutti i problemi sulla scena del paese inglese
e hanno ancora trovato un sacco di tempo per cantare

   

 

   In Italia alla fine del 1961, uscì edito dalla casa editrice Dardo (che stampava i popolarissimi Blek & Miki) un albo a fumetti dedicato a Robin Hood. Nei frontespizi dei primi numeri era scritto «…»; possibile? Nella famigerata Wiki italiana dove si dice di tutto e il contrario di tutto, riferisce che venne trasmessa solo sulle reti locali, niente altro.

 


   Sono così partito alla ricerca dei numeri del Radio corriere Tv, che si trovano in rete e ho avuto la fortuna di trovarlo.




   Le avventure di Robin Hood presero il posto di Rintintin & Rusty e debuttarono quasi contemporaneamente agli episodi radio del Commissario Maigret impersonato dalla voce dell’attore Angelo Calabrese, che iniziarono la sera di nove giorni dopo sul Secondo Canale radiofonico. (registrazioni perdute? Me sa de sì…)


Robin insieme a Felix Mio Mao,  Le marionette di Supercar,

Scaramacai e altri conduttori della Tv dei ragazzi

 

La voce di Robin era quella di Natale Ciravolo e quella di Giovannino mi sembra essere quella di Riccardo Garrone.

 




   E dopo tante chiacchiere, andiamo a…

 

Gli episodi

 

Domenica 24 settembre 1961: Rintitn & Rusty, L’arma segreta

Lascia il posto a

 

-          Robin Hood: Il ritorno di Robin (Domenica 1 ottobre)

1 -The Coming of Robin Hood

Visibile in lingua italiana su:

https://www.youtube.com/watch?v=B3cKvGCkpSc&t=244s

 

- L’usuario (Domenica 8 ottobre)

2 - The Moneylender

 

- Il suddito traditore (Domenica 15 ottobre)

Un episodio con Alexander Gauge (fra Tuk), regia di Terence Fisher

Forse è il 35 della 2°serie - The Traitor

 

- La pagnotta (Domenica 22 ottobre)

Forse il 10 della 2° serie – The Haunted Mill (il mulino infestato)

 

- Missione segreta (Domenica 29 ottobre)

32 episodio della 1° serie – Secret Mission

 

- Un gioco da Ragazzi (Domenica 5 novembre)

34 episodio della 1° serie – Tables Turned

 

- Il fuggiasco (Domenica 12 novembre)

Regia di Dan Birt con John Rutland

Incredibilmente fuori cronologia

è il 3° episodio Dead or Alive dove compare Giovannino [little-John] 

 

- Il prigioniero (Venerdì 24 novembre)

Regia di Bernard Knowles con Donald Pleasance come Pricipe Giovanni

Robin cede cavallerescamente il posto alla 1° puntata de La Nonna del Corsaro nero

e cambia serata

39° episodio della prima serie -The Prisoner 

 

- Il piccolo arciere (Venerdì 1 dicembre)

Uno degli undici episodi con Rufus Cruickshank nel ruolo di Giovannino

Forse il 13° episodio della 1° serie - The Youngest Outlaw

 

La settimana dal 3 al 9 dicembre mi sembra che Robin Hood non sia stato trasmesso

 

- La Regina Eleonora (Venerdì 15 dicembre)

Con Jill Esmond (la regina) 8° episodio della 1° serie - Queen Eleanor

 

- I ragazzi di Greenwood (Venerdì 22 dicembre)

28° episodio della prima serie - Children of the Greenwood

 

- Il segreto dello scienziato – (Venerdì 29 dicembre)

Regia di Terry Bishop (ha girato ben 35 episodi)

forse il 2° episodio, 2°serie - The Scientist

 

(Venerdì 5 gennaio 1962)

dopo Scarmacai e la befana viene trasmesso l’episodio

- Riccardo Cuor di Leone

Regia di Bernard Knowles con Patrick Barr

22° episodio della 1° serie - Richard the Lion-Heart

 

   A questo punto la programmazione si ferma qui. Robin cede ancora una volta il posto a una bambina che cavalca un cavallo scuro, mentre fa capolino un telefilm su Lancillot.


  Cade anche, la buona ipotesi che per la prima programmazione di Thierry la Fronde sia stata solo di poche puntate per non distogliere il pubblico dalla visione dello splendido sceneggiato “La Freccia Nera” con un Glauco Onorato

 

 

[che già aveva interpretato in  La rivincita di Ivanhoe del 1965, un capo dei banditi dallo strano nome di Locheed… molto simile a Locksey, vero?] e di cui rimarrà da antologia la scena in cui – come capo delle Frecce Nere – salva Joan da un matrimonio imposto sfondando il vetro della cappella e uccide con una freccia l’odioso pretendente della fidanzata di Dick Shelton.

   Un’ultima chiacchiera: ripeto non sempre ci si può fidare della wiki – tranne forse, per le indicazioni geografiche – infatti su quella inglese è scritto «In Italia, Rai 1 ha trasmesso lo spettacolo dal 1959 al 1964 e Rai 2 dal 1965 al 1967.»

Se fosse così perché radiocorriere tv ne parla come di una nuova serie? Dovrei tirar giù tutti i numeri dal ’59 e vederli tutti… non me la sento. Credo di aver fatto abbastanza e poi mi fido abbastanza della scritta sugli albi della Dardo, cioè che si potevano vedere le avventure del Giustiziere di Sherwood ogni settimana… scritta che scompare già al terzo numero.

   Basta così con il chiacchiericcio.

 

finale dal film del '51




Suggestiva scena da Il figlio di Robin Hood del 1946

 

- https://en.m.wikipedia.org/wiki/The_Adventures_of_Robin_Hood_(TV_series)

- https://en.m.wikipedia.org/wiki/Lillibullero

- https://en.m.wikipedia.org/wiki/Richard_Greene

- https://en.m.wikipedia.org/wiki/Sword_of_Freedom

- https://en.m.wikipedia.org/wiki/Hollywood_blacklist

- https://www.antoniogenna.net/doppiaggio/telefilm/leavventuredirobinhood.htm

Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

18/04/'21

 

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