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domenica 20 gennaio 2019

Il noce di Benevento, Congrega di streghe



Il noce di Benevento,
Congrega di streghe


   L’abate  Diego Zunica, napoletano di origine spagnola ed appartenente alla Compagnia di Gesù, nel suo libro La ricreazione de’ curiosi, ( Napoli MDCCXXXI ) narra – nell’italiano ampolloso del XVII secolo – la storia del noce di Benevento, e vi riassumo qui, i fatti salienti:


Le sabbat des sorciers, 1927
   Lo stile del demonio, di Satana, è quello di voler assomigliare a Dio e per arrivare a simili onori, dice Zunica, si riunisce con pochi seguaci. Primi tra tutti gli Stregoni e poi le Streghe sue spose, che sono consacrate solennemente al suo servizio col suo amore.
   Siccome l’Arcangelo Michele scelse in Siponto, una grotta consacrata col suo nome e conosciuta oggi come S. Angelo in Puglia e da sempre luogo di pellegrinaggio, allora lui si elesse il noce di Benevento perché da tutte le parti del mondo venissero le Streghe ad adorarlo e a celebrare con lui nozze impure.
   Secondo l’autore, il Demonio si diletta di quest’albero solo «perché porta nel nome di nuocere» e rammenta la vicenda della noce della via Flaminia a Roma, talmente popolata di demoni che infestavano i passanti con orribili visioni, tanto che papa Pasquale I fece ricorso alla Vergine per porvi rimedio. Estirpò così la pianta dalle radici e vi trovò le ossa dell’imperatore Nerone che fece prontamente gettare a fiume. Costruito sul luogo un altare ( una chiesa ) detta Vergine del popolo, sparirono così «le Fantasime, e le larve».


   Poi prosegue scrivendo che non lontano da Benevento, in un bosco, fra molte noci, ve ne era una era di singolar grandezza che faceva trono di Belzebucco e da famoso teatro dei festeggiamenti, dei banchetti e delle oscenità delle streghe. Zunica non sa, al tempo in cui scrive, se questa noce era ancora visitata dai demoni, ma curioso di vederla si inoltrò in quel bosco lontano da Benevento quattro sole miglia, insieme a un suo amico, il quale era padrone di un villaggio chiamato Pianca. L’abate chiese a un rustico – un contadino – di età avanzata, di condurlo sul posto ma costui non riuscì a distinguere il noce famoso tra quanti ve ne erano. Il luogo è così ritirato, scrive Zunica, e fuor di mano da apparigli melanconico anche per lo scorrere di un torrente d’acqua che si getta nel fiume Sabbato.


Raffaele Mainella, il Noce di Benevento, 1883: da
   È qui, comunque, che da remote regioni le streghe vengono portate sopra un caprone, che esse chiamano Martinello. L’etimologia del nome strega, scrive il solerte abate, si deduce da quello di un uccello chiamato Strix perché questo stride nella notte e a sua imitazione le streghe vagano per l’aria esercitando i loro malefici. Ma queste donne diaboliche sono chiamate altresì Lamiæ, non per la vita che conducono con i demoni Incubi e Succubi, ma per la crudeltà usata nei malefici contro gli uomini, infatti le Lamie sono fiere dell’Africa, col volto di donna e con petto e mammelle talmente procaci da attrarre gli uomini per poi crudelmente divorarli. 

 
Felicien Rops, tentazione di S. Antonio

    Le streghe, per diventar tali, devono rinunciare al battesimo e agli altri sacramenti per dedicarsi solo al culto del Demonio. Questa loro proclamazione avviene in due modi: una privata e l’altra solenne. La prima può farsi in qualsiasi luogo, l’altra si fa sotto al noce di Benevento davanti al Demonio, che si manifesta in trono e leggendo alle novizie i suoi statuti. Dopo averle esortate a non adorare più le immagini sacre, la Croce e tutto ciò che appartiene alla legge di Cristo, il Demonio si fa dare giuramento di fedeltà e a donarsi a lui in corpo e anima; le nuove adepte devono inoltre fornire «con qualsiasi arte» altre novizie alla loro setta, meglio è se sono vergini consacrate a Dio. Fatto questo il Demonio in forma umana, le abbraccia e si impegna a prestar loro ogni amore ed ubbidienza, in segno di ciò, porta loro un libro dalla pagine nere da usare come canone di sacri testi e poi si termina la processione. Da lì in poi la strega è obbligata ad assistere ai sacrifici notturni che si terranno alla gran noce beneventana e a ubbidire alle antiche professe. Come ultimo sigillo del patto, il principe diabolico dà alla nuova strega un demonio assistente che la servi e la soddisfi in ogni suo desiderio e che la porti sempre al noce di Benevento.


Questa splendida immagine è tratta dal libro:
SON ALTESSE LA FEMME PAR OCTAVE UZANNE.
Illustrations de Henri Gervex, J.-A. Gonzalès, L. Kratké, Albert Lynch, Adrien Moreau et Félicien Rops. Paris, A. Quantin, imprimeur-éditeur, 1885.
   Vi sono altri luoghi dove avvengono le assemblee e le congregazioni diaboliche, come in luoghi particolari dell’Inghilterra e della Norvegia, ma la più frequentata, a dir di Zunica è sempre la noce di Benevento. Le nuove streghe, le novizie, vengono festeggiate con un enormità di balli, giochi, tripudi, banchetti e lascivie. Quando il demonio assistente intima alla strega di andar alla congrega, essa si unge di un unguento superstizioso, e portatasi fuor dall’uscio, vi trova un caprone ( Martinello ) che monta e che la porta velocemente alla noce.


Illustrazione di Bernard Zuber, pubblicata nel 1926 nell'opera de Maurice Garçon intitolata
La Vie exécrable de Guillemette Babin, sorcière
come quest'altra:




Una giovane strega si fa ungere per andare al sabba.
  Qui arrivata e riunita ad altre donne, tra cui Dame, claustrali, vergini, riveriscono il Diavolo seduto in un soglio sontuoso, ma in modo diverso dal consueto, perché non gli voltano la faccia, ma le spalle; ne si inginocchiano congiungendo le gambe a terra, ma aprendole e alzandole verso il cielo come a volerlo calpestare. Quasi sempre avvengono i sacrifici e dopo di essi, Satana, alzatosi dal trono, ordina i giochi e i sollazzi carnali.



   I demoni custodi delle streghe si trasformano in Incubi e le profanano, mentre le streghe amanti dei fattucchieri si uniscono insieme, e qui chi dà di piglio alla vergine, chi alla maritata, chi alla monaca claustrale, con sonori baccani da esser uditi dai passanti. Dopo aver saziato la libidine, saziano anche la gola con mense abbondanti di cibarie e vini delicatissimi, brindando ai loro amanti. Dopo due ore di questi bagordi, si spengono i lumi e riprendono a unirsi nella lussuria. Terminata la congregazione, sul dorso dei loro Martinelli, le streghe ritornano alle loro case.


"Sabbat de sorcières" dipinto del 1909
   In tali riunioni, o congreghe che dir si voglia, non bisogna mai nominar il nome di Dio, perché tutto l’apparato della festa svanirebbe all’istante, come accade a quel marito – secondo il racconto di Paolo Ghirlando – che scoprì che la moglie era una strega e la costrinse a condurlo a una festa sotto il noce piena di uomini e donne, con un convito a dir poco generoso, ma ahimè le delicate vivande erano insipide. Dopo aver richiesto ripetutamente del sale, gli fu recato, ma gli uscì una lode a Dio dalle labbra. Tutto il convito sparì all’istante e lui rimase al buio, nudo in pieno inverno, sotto alla noce. Dopo giorni di viaggio ritornò alla casa e denunciò la moglie all’Inquisizione.  


«Hai visto il diavolo?» Scena tratta dalla pellicola Il settimo sigillo del 1957
   Spaventoso è per i demoni anche il suono della campana dell’Ave Maria. Una strega di nome Lucrezia tornava da una congrega, quando il suo Martinello svanì all’udire tale suono e si ritrovò in mezzo alle spine vicino a un fiume. Un giovane che passava di lì la riconobbe nonostante fosse scapigliata, la ricoprì col suo mantello e la riportò a casa e per questo ebbe molti doni dalla strega. Purtroppo il giovane non si tenne il fatto per sé, e dopo poco tempo la notizia arrivò all’inquisitore Paolo Ghirlando che imprigionò Lucrezia.


   La potenza delle streghe, dice Zunica, è pari quasi a quella del demonio. Esse succhiano il sangue dei bambini, prendono figure di gattini o di uccelli e volano per aria con le sembianze di asini rendendo farneticanti gli uomini e poi affascinano, ovvero colpiscono con i soli sguardi. Infatti avvenne nella città di Spira che un mercante in viaggio nella Svevia, usci dopo pranzo dal castello dove dimorava per passeggiare nella campagna. Era accompagnato da due servi, i quali alla vista di una vecchia che stavano per incrociare, lo esortarono a farsi il segno della croce perché essa era una malefica. Lui non ci credete, ma la vecchia lo guardò storto e subito sentì una tale dolore al piede che dovette rientrare servendosi di un cavallo. Fu chiamato un vecchio contadino a distruggere il malefizio, il quale lo curò in nome di Dio, prendendo del piombo liquefatto in un vaso di ferro, lo gettò in una scodella d’acqua collocata sopra il piede malato. In quell’acqua il piombo formò le immagini di ossa, di nervi e di pelle. Era la prova del maleficio e promise il vecchio di guarire il mercante in tre giorni; al che il mercante gli chiese come facesse a indovinare col piombo la sua infermità. Il vecchio rispose
   - Voi sapete, che sette sono i metalli sopra i quali dominano i sette pianeti, e poiché Saturno domina sopra il piombo, quindi la sua proprietà è tale, che se sarà liquefatto sopra il maleficiato, dimostrerà col suo influsso il suo maleficio.
   Dopo tre giorni il vecchio restituì la salute al mercante. Zunica paragona lo sguardo malefico delle streghe – di cui i fanciulli sono più facili prede – a quello del Basilisco che col veleno dei suoi occhi pietrifica all’istante, sia gli uccelli in volo, sia gli uomini che uccide con l’aria infetta dai suoi occhi; l’unica maniera per uccidere il Basilisco è con uno specchio in cui l’aria infesta al riverbero del vetro ritorna a lui e l’uccide a sua volta. E qui termina lo scritto sul Noce di Benevento dell’abate Zuniga.


Stigma diaboli, peinture anticléricale de Clovis Trouille.
   Queste erano le credenze che sarebbero state soffocate solo col secolo dei lumi e che tanta carne umana portò al rogo. L’abbate Filippo Bianco nel suo libro LESSICOMANZIA ovvero Dizionario Divinatorio-Magico-Profetico stampato a Napoli nel 1831 rispose così a Zunica «L'autore molte altre cose rapporta intorno alla Noce di Benevento, per le quali tanto risi che non distesi alcuno articolo pel corso intero di una mattinata. (V. pag. 485)». Citato in:  http://www.pontelandolfonews.com/index.php?id=3082


Luis Ricardo Falero (1878)
   Non di meno mi sembra inevitabile pensare che questi racconti fossero usati per eccitare la fantasia così come venivano usate oggi le riviste per adulti e i fumetti come Jacula.
    


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Glenfinlas - Walter Scott


Glenfinlas


   Glenfinlas o il Coronach[1] di lord Ronald è una ballata basata su una storia tenebrosa. Ecco di seguito il riassunto proposto da Water Scott[2].
   immagini tratte da: http://frankzumbach.wordpress.com/2014/09/12/glenfinlas-from-the-book-of-british-ballads1842/
   Due cacciatori delle montagne di Scozia passano la notte in un bathy[3] solitario. I due si dividono con gioia il risultato della loro partita di caccia e si versano a fiumi il liquore chiamato whisky.  Uno dei due esprime il desiderio di avere con loro due belle figliole per completare la serata.
   Ha appena detto queste parole, che due donne vestite di verde, giovani e belle, entrano dentro all’hutte danzando e ballando. Colui che ha parlato viene subito sedotto dalla sirena che s’attacca a lui di preferenza, e la segue. Il suo compagno però non si muove, diffida di queste belle incantatrici, e si mette a cantare degli inni alla Vergine Maria, accompagnandosi con la sua cetra. Infine arriva l’alba, e la sua seduttrice scompare. Non vedendo ritornare il suo amico, il cacciatore lo va a cercare nella foresta, e non ne trova più che le sue ossa. Esso era stato divorato dal demone che lo aveva fatto cadere in trappola. Il luogo che fu scenario di questi eventi si chiama da quei giorni Il vallone delle donne verdi.
    Glenfinlas è una foresta nelle Alte colline [Highlands] di Perthshire: questa faceva una volta parte del dominio della Corona, e appartiene oggi al conte di Moray. Questa contea, con il cantone adiacente di Balquidder, fu già abitato soprattutto dai Mac Grégor. Ad ovest della foresta di Glenfinlas è il lago [Loch] Katrine, e la sua entrata romantica si chiama Troshachs. Il Teith passa a Callender, al castello di Doune, e si getta nella foresta, preso Stirling. Il défilé di Lenny è immediatamente al di sotto di Callender, e conduce alle Highlands. Glenartney è una foresta presso Benvoirlich. L’insieme di questi siti forma una tavola degna dello spettacolo sublime delle Alpi.

«Gli abitanti invisibili dell’aria ubbidiscono
alle loro voci e accorono ai loro segnali. Essi conoscono
gli spiriti che creano le tempeste e, immobili di stupore,
contemplano le segrete operazioni dei fantasmi.»



   O Hone a rié! O Hone a rié[4]! Avanti, piangiamo il Capo! l’orgoglio dei figli di Albyn non è più; l’albero superbo di Glenartney copre la terra del suo tronco caduto; non rivedremo più lord Ronald.
   O tu, nobile figlio del grande Mac Gillianore, tu che non hai mai tremato davanti a un nemico! Quale valore poteva essere comparato al tuo? Chi mai poteva evitare la tua rapida freccia?
   Le vedove sassoni[5] sanno dire come i più arditi guerrieri delle pianure fecero arrestare della loro caduta le rive sonore del Teith, allorché tu calavi su di loro al défilé di Lenny.
   Ma chi dimenticherà quei giorni di festa dove ognuno vide brillare sulla collina lo stendardo di lord Ronald; al chiarore delle fiamme[6], le giovani donne delle montagne e i loro amanti danzano gaiamente.
   Animati dalla lira di Ronald, i vegliardi, essi stessi, dimenticavano i loro cappelli bianchi! Avanti! Oggi noi cantiamo l’inno funebre! Non rivedremo lord Ronald.
   Un Capo di un’isola lontana venne a dividere i piaceri del castello di Ronald, e a cacciare con lui la fiera selvatica che balzava sui fianchi scoscesi di Albyn.
   Era Moy, che lo spirito profetico[7] di Seer si illumina nell’isola di Columba, ove, brillando del fuoco dei menestrelli, egli sparge l’armonia della sua arpa.
   Egli conosce infinite parole magiche che fanno tremare che fanno tremare gli Spiriti erranti, e queste arie possenti non sono fatte per esser udite dai mortali.
   Perché si dice che queste profezie hanno delle comunicazioni misteriose con i morti, e vedono sovente il fatale lenzuolo che dovrà avvolgere un giorno coloro che vivono ancora.
   Ora, avvenne che un giorno i due Capi erano insieme a bersagliare i caprioli nei loro ripari. Essi erano lontani dalla loro dimora, e percorrevano i folti boschi di Glenfinlas.
   Alcun vassallo era con loro per aiutarli nella partita di caccia, per difenderli nel pericolo, o che gli preparassero i loro pasti. Il semplice scialle delle Highlands copriva i due Capi; le loro fedeli spade dette claymores le sole loro guardiane.
   Durante tre giorni le loro frecce scoccavano attraverso le selve del vallone; e quando l’umidità della sera li riconduceva nel loro hutte, essi vi portavano le loro prede.

   La capanna solitaria era eretta nel luogo più remoto della foresta di Glenfinlas, presso dell’ombroso ruscello di Moneira, che mormora attraverso questa solitudine.
   La notte era bella, l’orizzonte calmo da più di tre giorni, e una rugiada benefica diffondeva la frescura sulla brughiera e sulle rocce tappezzate di muschio.
   La luna era mezza velata sotto i fiocchi di una nuvola d’argento lasciando cadere le sue esili e tremanti chiarori sulle onde del lago di Katrine, e sembravano dormire sul fronte di Benledi.


   Chiusi nel loro hutte, i due Capi fanno un pasto di cacciatori e di amici; il piacere anima gli occhi di Ronald e fa molti brindisi a Moy:
   - Che ci manca per completare il nostro buonumore e rispondere alle dolci emozioni che ci fanno palpitare?... I baci di una giovane e facile bellezza, con i suoi seni palpitanti e i suoi sguardi caldi.


    Le due beltà delle nostre montagne, le figlie del fiero Glengyle, hanno lasciato questa mattina il castello del loro padre per cacciare il daino nella foresta.
    Già da lungo tempo ho cercato di intenerire il cuore di Mary: lei ha visto scendere le mie lacrime, lei ha inteso i miei sospiri. Tutti gli artifizi dell’amante sono svaniti sotto la vigilanza di una sorella.
    Ma tu potrai, mio caro Moy, mentre mi intratterrò con Mary, far sapere a questa guardiana severa che deve cessare di vegliare sul cuore degli altri, visto che è già abbastanza per lei di vegliare sul suo.
    Pizzica solo la tua arpa: tu vedrai ben presto l’amabile fiore di Glengyle, dimenticare sua sorella e Ronald, restando in estasi davanti a te, con l’occhio rapito e il sorriso sulle sue labbra.
   Se lei acconsente ad ascoltare un racconto d’amore sotto il riparo di fogliame, dimmi, cacciatore dalla fronte severa, la regola del buon santo Oran[8] non sarebbe violata?  
   - Dallo scontro di Erick, dopo la morte di Morna – risponde Moy – il mio cuore ha cessato di rispondere al trasporto verso i dolci baci, hai seni palpitanti e al sorriso della beltà!
   È da allora che, cantando i miei dolori sulla mia arpa nella triste brughiera dove vidi perire colei che era la mia gloria e il mio amore, io ricevetti il dono fatale della profezia.
   L’ultima prova che il cielo mi inviò della sua collera, fu questo potere di presentire i tragici futuri, sentendo nel mio cuore tutta il loro fato con delle visioni lugubri e con note di dolori.
   Rammenti tu quei battelli che partivano gaiamente questa estate dalla baia di Oban?... Io li vedevo già incagliati e spezzati nelle coste rocciose di Colonsay.
    Fergus anche… il figlio di tua sorella… tu l’avevi visto partire come in trionfo dai fianchi scoscesi di Benmore, marciando alla testa dei suoi contro il signore di Downe.
   Tu non hai visto che le pieghe fluttuanti dei loro tartani mentre discendevano le alture di Benvoirlich; tu non hai sentito che il pibroch[9] guerriero mescolato al suono degli scudi sonori delle Highlands.
   Io sentivo già i gemiti, vedevo scendere le loro lacrime, e Fergus squarciato da una ferita mortale, dopo essersi precipitato sulle lance dei Sassoni alla testa del suo clan nello schianto irresistibile.
   E tu mi inviti al buonumore e al piacere; tu che vorresti farmi partecipe della tua gioia e chiamare il bacio di una donna, il mio cuore, caro Ronald, geme sul tuo destino.
   Io vedo il sudore della morte gelare la tua fronte; io vedo il tuo cadavere… è tutto ciò che consentito al profeta di vedere.


   - Profeta di sventura, libera a te solo i tuoi sogni funebri – risponde lord Ronald – fa dunque chiudere gli occhi alla luce passeggera della gioia perché l’uragano potrebbe cadere domani!
   Vere o false, le tue predizioni non ispireranno mai il timore al capo di Clangillian; i trasporti dell’amore faranno balzare il suo cuore, quantunque sia esso condannato a sentire il colpo delle lance sassoni.
   Io credo di sentire gli stivaletti di Mary fendere la guazza dell’erbetta: lei mi chiama nel bosco.
   Egli non dice nemmeno addio al suo amico: chiama i suoi cani ed esce gaiamente dall’hutte.


    Allo scoccare di una ora i suoi cani ritornano: questi compagni fedeli del cacciatore accorrono facendo risuonare l’aria dei loro tristi guaiti. Essi si accucciano ai piedi del profeta.
   Ma Ronald ancora non si vede! È mezzanotte. Moy è agitato da neri presagi, mentre che, piegato sulla fiamma morente, cerca di ravvivare il fuoco mezzo spento al centro della capanna.
   Improvvisamente i cani drizzano le loro orecchie; improvvisamente il loro abbagliare è cessato: essi si pressano attorno a Moy, ed esprimono il loro terrore col tremore delle membra e con i loro guaiti soffocati.
   La porta si apre dolcemente: le corde dell’arpa vibrano esse stesse e lanciano un suono a qualunque passo leggero che calpesta il suolo.


   Il menestrello vede alla luce del fuoco una donna brillante di beltà, in costume da caccia e il vestito bagnato dalla rugiada disegna i contorni graziosi del suo corpo.
   La sua fronte sembra gelata; lei scopre l’avorio arrotondato del suo seno e si piega verso la fiamma vacillante per tergere le trecce umide dei suoi cappelli.
   Essa arrossisce come una vergine timida, e chiede con dolcezza:
   - Amabile menestrello, non hai tu incontrato nella radura di Glenfinlas una giovane cacciatrice in tenuta verde?
   Vi è con lei un valente Capo delle nostre montagne. Le sue spalle sono cariche della faretra dei cacciatori; una daga scozzese orna la sua cintura; il suo tartano fluttua al trasporto della breccia.
   - E tu chi sei? Chi sono coloro che cerchi? – risponde Moy guardandola con occhi spaventati – Perché vai errando anche tu al chiaro di luna nella foresta di Glenfinlas?
   - Il castello di nostro padre proietta la sua ombra sul lago profondo di Katrine che circonda molte isole dei suoi flutti azzurri. Noi siamo le figlie del fiero Glengyle.
   Partimmo questa mattina per venire a cacciare i caprioli nella foresta di Glenfinlas, l’azzardo ci ha fatto incontrare il figlio del grande Mac Gillianore.
   Aiutami dunque a cercare mia sorella e lord Ronald, smarritesi senza dubbio nel bosco. Io non oso azzardarmi sola nei sentieri dove si trovano, dicono, dei fantasmi crudeli.
   - Sì – dice il menestrello – vi sono dei fantasmi da temere: io devo compiere il mio voto e iniziare qui la preghiera notturna che ho giurato di pronunciare durante il sonno degli altri uomini.
   - Ah! Degnati innanzitutto, in nome della dolce pietà, di guidare una cacciatrice solitaria! Io devo attraversare il bosco e raggiungere prima del giorno il castello di mio padre.
   - Ma certo; ma ripetete con me tre Ave e tre Pater; baciate la santa croce, e allora noi potremo procedere nel nostro cammino in tutta sicurezza.


   - Onta a te cavaliere! Va a coprirti la testa con il cappuccio di un monaco: questo ornamento conviene al tuo voto strano!
   Una volta, nel castello di Dunlathmon, il tuo cuore non era pieno di ghiaccio per l’amore e il buonumore; allora la tua lira armoniosa cantava le bellezze seducenti di Morna, e tu avresti fatto tutto per i suoi sorrisi.
   Gli occhi del menestrello si incendiarono, esprimendo volta a volta la collera e lo spavento. I suoi neri cappelli si arruffarono sulla testa, e il suo viso cambio varie volte di colore.
   - E tu, dimmi, mentre io cantavo a Morna, il mio amore presso il focolare di Dunlathmon, planavi tu sopra lo scuro fumo del focolare oppure sulle ali della tempesta?
   No, no, tu non sei di razza mortale, ne la figlia del vecchio Glengyle; tua madre è al fata dei torrenti, tuo padre il re delle miniere.
   Moy ripete tre volte l’ammonimento di San Oran, e tre volte ancora la potente preghiera di san Fillan[10]. Si gira poi verso l’orizzonte orientale agita la sua chioma nera.
   Subito dopo, piegato sulla sua arpa, ne fa uscire gli accordi più seducenti; l’eco sorpreso ripete questa armonia misteriosa e magica che si sposa al mormorio dei venti.


   Lo Spirito irritato cambia di forma, e la sua taglia diventa gigantesca; poi, si mescola all’uragano che comincia a cadere, e scompare dopo aver gettato un grido lamentoso.
   Le nuvole si aprono e la grandine e l’uragano assediano l’hutte, la spezzano e coprono la terra dei suoi resti; ma il menestrello non aveva un solo dei suoi cappelli sollevato dal vento o bagnato dalla pioggia.
   Dei rumorosi scoppi di risa si mescolano ai ruggiti dell’uragano; il menestrello li sente al di sopra della sua testa; ma già essi si spengono dalla parte del nord.
   La voce del tuono invade la foresta nel momento in cui quei gridi soprannaturali cessano, e una pioggia di sangue viene ad estinguere i tizzoni già consumati.
   Il menestrello vede cadere un braccio la cui mano stringe una spada, e poi una testa separata dal tronco: vi sgorga ancora del sangue tiepido.
   Il cimiero di Benmore aveva sovente ornato questa testa nei combattimenti; quella mano aveva colpito con dei terribili colpi, allorché il sangue dei sassoni tingeva di porpora le onde del Teith.
   Sventura agli oscuri ruscelli di Moneira! Sventura al funesto vallone di Glenfinlas! Mai i figli delle montagne di Albin rivedranno più la sua faretra.       
   Il pellegrino affaticato eviterà sempre quelle ombre all’ora ardente del mezzogiorno: egli temerà sempre d’essere la preda delle crudeli fate di Glenfinlas.
   Per noi, così è! Non troveremo più un asilo dietro lo scudo del capo di Clangillian; egli non guiderà più i nostri guerrieri al combattimento; e noi siamo condannati a cantare il suo inno funebre.
   Avanti! Piangiamo un Capo valoroso; l’orgoglio dei figli di Albin non è più. L’albero superbo di Glenartney copre la terra del suo tronco caduto. Noi non rivedremo più lord Ronald.
Traduzione e adattamento dal francese di Marco Pugacioff


  

 

[1] Si dice Coronach, il canto funebre di un guerriero. Sono i vegliardi del clan che cantano il Coronach.
[2] Vedi Œuvres de Walter Scott, Romans poetiques et poesies divers, tome I, Paris 1930, opere scelte, ecc. ecc.
[3] L’Hutte è un capanno utilizzato per la caccia.
[4] Queste parole galliche sono spiegate dalla frase che segue: Helas [Avanti!], ecc.
[5] Le vedove sassoni. I Sassoni di cui si parla sono gli abitanti delle piane, Lowlanders [ letteralmente le lande basse ], chiamati così dai loro vicini delle montagne ( the Highlanders ).
[6] Gli Highlanders accendono dei fuochi sulle alture il primo giorno del mese di maggio. È un’usanza che viene dai tempi del paganesimo, e che si ritrova anche nel principato del Galles.
[7] Dotato dello spirito profetico. È ciò che si chiama in inglese la seconda vista ( the second sight ). Non si può che ripetere la definizione che gli dona il dottor Johnson, che la chiama «un’impressione dello spirito sull’occhio oppure dell’occhio sullo spirito, per mezzo del quale gli avvenimenti lontani e futuri sono percepiti e visti come se si fosse presenti. » Aggiungerei solamente che le apparizioni dei fantasmi presagiscono ordinatamente delle sventure, che questa facoltà è pena per coloro che ne sono dotati, e che questi l’acquistano generalmente allorché essi stessi sono sotto l’influsso di un temperamento melanconico.
[8] La regola del buon santo Orano. Sant’Oran era l’amico e l’accolito di santa Columba, e fu interrato a Icolmkill. I suoi diritti alla canonizzazione sono un po’ dubbiosi. Secondo la leggenda, egli consentì ad essere interrato vivente per rendere propizi certi demoni indigeni che s’opponevano ai pietosi disegni di santa Columba, e si ostinavano ad impedire di battezzare una cappella.
   Alla fine di tre giorni, Columba fa esumare il corpo del suo amico Sant’Orano, e con grande scandalo degli spettatori, egli dichiarò che non vi erano ne Dio, ne giudizio finale, ne inferno, ne paradiso. Egli avrebbe senza dubbio fatto rivelazioni ancor più singolari; ma Columba non gliene dette il tempo, e lo fece al più presto reinterrare. La cappella e il cimitero conservano ciononostante il nome di Reilig Ouran; e in memoria del rigido celibato che aveva fatto il santo, alcuna donna non poteva a venire a pregare, ne a farsi interrare. È questo il regime di continenza a cui si fa allusione.   
[9] Aria nazionale e guerresca adattata alle cornamuse ( bagpipe ) delle Highlands.
[10] La possente preghiera di San Fillano. San Fillan ha donato il suo nome a numerosi cappelle e santuari in Scozia. Vi era, secondo Camerarius, un abbate di Pitlenween, nella contea di Fife; funzione da cui si dimette per andare a morire nelle solitudini di Glenrchy, l’anno del Signore 649. Mentre che egli era occupatola trascrivere le Scritture, la sua mano sinistra gettò un lampo di luce così vivo, che egli vedeva a sufficienza senza altro chiarore: questo miracolo fa economizzare molte candele al convento, e il santo passa delle notti intere a scrivere. Il 9 di gennaio è dedicato a questo santo, che ha lasciato il suo nome a Kilfillan, nel cantone di Renrew, e a San Fillans [ Saint-Phillans ], a Forgend, nella contea di Fife. Lo storico Lesley, liv. VII, ci narra che Robert le Bruce aveva in possesso il braccio miracolosamente luminoso di san Fillan chiuso in una cassa d’argento e che lo portava alla testa della sua armata. Prima della battaglia di Bannockburn il cappellano del re, uomo di poca fede, s’impadronisce di questa reliquia, e la nasconde in luogo sicuro, per paura che cadesse nelle mani degli Inglesi. Ma d’improvviso, mentre Robert indirizza la sua preghiera alla cassa vuota, la vede aprirsi e poi rinchiudersi subito, e ognuno riconosce che il santo aveva riposto il suo braccio nella cassa come un pegno della vittoria. Quantunque Bruce non avesse affatto bisogno che il braccio di san Fillan venisse in suo soccorso, egli gli dedica in riconoscenza una abbazia a Killin, sul lago Tay.
   Nello Scots Magazine del luglio 1802 ( rivista periodica che viene continuata con grande talento ) si trova la copia di una curiosa carta della corona, datata al 11 luglio 1487, per la quale Giacomo III conferma a Malise Doire, abitante di Srathfilian nel Perthshire, il possesso pacifico di una reliquia di san Fillan chiamata il Quegrich, che aveva ereditato dai suoi antenati dal tempo di Robert le Bruce. Siccome il Quegrich serviva a guarire dei malati, questo documento è probabilmente la patente più antica accordata a un rimedio da ciarlatano ( quack-medicine ). L’ingenioso corrispondente che la fornita aggiunge che si possono leggere dei particolari più dettagliati su san Fillano in il Boece di Bellenden, tom. IV, fol. CCXIII, e nel Viaggio di Pendant in Scozia, 1772, pag. 11 e 15.  

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La veglia di San Giovanni [The eve of St. John] - Walter Scott


La veglia di San Giovanni
[The eve of St. John]



   La torre di Smaylho’me o di Smalholm, che fu il teatro dell’aneddoto seguente, è situata nel nord di Roxburgshire, in mezzo ad un ammasso di rocce che fa parte del dominio di Hugh Scott di Harden. Questa torre è un edificio quadrato circondato da un muro esterno, oggi in rovina. La cinta della prima corte, difesa da tre parti da un precipizio e una palude, non è accessibile che dal fianco di occidente per mezzo di un sentiero nella roccia. Gli appartamenti, com’è d’uso in una fortezza di Scozia, si elevano gli uni sopra gli altri, e comunicano attraverso una scala angusta, ecc.


   È in questa antica fortezza e nelle sue vicinanze che l’autore – sir Walter Scott[1] – ha passato la sua infanzia, e questi luoghi a lui cari hanno molti diritti sugli omaggi della sua musa.
   La catastrofe di questa storia è fondata su di una tradizione irlandese.


Il volumetto originale della Veglia di San Giovanni, scritto di pugno dalla moglie di Scott, Charlott.
altre immagini tratte da:

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   Il barone di Smaylho’me si alza con il giorno, e guida il suo destriero, senza fermarlo, nel sentiero roccioso che conduce a Brotherstone.
   Egli non va con il bravo Buccleuch a schierare il suo largo vessillo; egli non va a riunirsi alle lance scozzesi per sfidare le frecce degli Inglesi.
   Tuttavia egli è rivestito della sua cotta d’armi; il suo elmo ornava la sua fronte, e portava una corazza di buon acciaio. Al pomello della sua sella è legata una ascia d’armi che pesa più di venti libbre.
   Il barone di Smaylho’me ritorna dopo tre giorni; la sua fronte è triste e oscura; il suo destriero è affaticato e proseguiva lentamente.
   Egli non torna da Ancram-Moor[2] dove il sangue inglese era scorso a torrenti; Acram-Moor, che fu testimone delle imprese del fedele Douglas e  del bravo Buccleuch contro lord Evers.
   Eppure il suo elmo è ammaccato e spezzato, la sua cotta d’armi è forata e lacerata. Il sangue colava dalla sua ascia e dalla sua spada; ma non era sangue inglese.
   Scende presso la cappella; e, sdrucciolando contro il muro, fischia tre volte per chiamare a sé il suo giovane paggio che porta il nome di William.
   - Vieni qui, mio piccolo paggio, vieni a metterti sulle mie ginocchia; tu che sei ancora in giovane età; ma spero che non voglia ingannare il tuo signore.
Dimmi tutto ciò che hai visto durante la mia assenza, e soprattutto cura di dirmi la verità!... Cosa ha fatto la tua padrona da quando io ho lasciato il castello di Smaylho’me?
   - Ogni notte – rispose William – la castellana si recava al chiarore solitario che brilla sulla cima di Watchfold, perché da un’altura all’altra i segnali ci informavano dell’invasione inglese.


   I gufi gemevano, il vento soffiava nelle cavità delle rocce; tuttavia lei non mancava una sola notte di percorrere il sentiero che conduce all’alta cima della montagna.
  Io spiavo tutti i suoi passi e mi avvicinavo in silenzio alla pietra dove essa era assisa. Nessuna sentinella era appresso al fuoco dei segnali.
   Ma la seconda volta i miei occhi la seguirono ancora, e mi accorsi… lo giuro sulla santa Vergine!... mi accorsi di un cavaliere armato vicino alla fiamma solitaria.
   Questo guerriero si intrattenne con la mia padrona; ma la pioggia cadeva e l‘uragano urlava in maniera tale che io non potevo udire nulla delle loro parole.
   La terza sera, il cielo era calmo e puro, il vento si era calmato… io spiavo ancora il cavaliere, e la vostra dama lo veniva ancora a trovare misteriosamente.
   Io sentii nell’aria lo scoccare della mezzanotte per la veglia della nostra santa festa. – Vieni – diceva essa – domani all’appartamento della dama dei tuoi pensieri; non temere il barone mio sposo.
   Egli combatte sotto lo stendardo del bravo Buccleuch, e io sono sola; la mia porta si aprirà per il mio cavaliere fedele alla veglia di San Giovanni.
   - Io non posso – risponde il guerriero – io non oso venire da voi; io devo andar da solo alla veglia di San Giovanni.
   Onta alla tua viltà – rispose lei – timido cavaliere; tu non puoi dirmi di no, perché la notte di San Giovanni è il giorno più bello dell’estate quando presta la sua ombra a due amanti.
   Metterò alla catena il mastino. La sentinella non ti farà nessuna domanda; stenderò una treccia di giunco sulla scala; nel nome della croce nera di Melmose e del beato San Giovanni, io ti scongiuro, amore mio, di piegarti ai miei voti.
  - Invano i cani spezzeranno il silenzio della notte e la sentinella non suonerà il suo corno. Un prete dorme nel padiglione di oriente; egli udirà il rumore dei miei passi malgrado la treccia di giunco.
   - Ha! Non temere che quel prete possa scoprirti; egli è al monastero di Driburg, dove deve celebrare, per tre giorni, il sacrificio della messa per l’anima di un cavaliere trapassato.
   A quelle parole il guerriero scuote più volte la testa aggrottando le ciglia, e subito dopo, sorridendo con disprezzo, dice
   - Colui che celebra la messa per l’anima di quel cavaliere potrebbe anche ben celebrarla per la mia.


   All’ora solitaria di mezzanotte, quando gli spiriti malefici volteggiano nell’aria, io verrò presso di te. – così disse – fece il paggio – e poi scomparve. La mia padrona rimase sola e io non vidi più niente.
    La fronte oscura del barone s’infiamma e s’arrossa di colera.
    - Fammi conoscere – domanda egli – il temerario, perché, per santa Maria, egli perirà!
   - Le sue armi brillavano al chiarore della fiamma, - rispose William – il suo pennacchio era scarlatto e blu; ho intravisto sul suo scudo un levriero in argento, e il suo cimiero era un ramo d’albero di tasso.
   - Tu mi stai mentendo, mio piccolo paggio, tu mi stai mentendo: il cavaliere che tu mi hai descritto a cessato di vivere; egli è deposto nella sua tomba sotto l’albero di Eildon.
   - Io mi appello al Cielo, o mio nobile signore! Ho inteso pronunciare il suo nome: la vostra dama lo ha chiamato sir Riccardo di Coldinghame.
   Il pallore ricopre ora tutta la fronte del barone.
   - La tomba è oscura e profonda – fa egli – il cadavere immobile e ghiacciato… io non posso credere al tuo racconto.
   - là dove il Tweed frange le sue onde al di sotto del sacro convento di Melmose, e dove l’Eildon discende dolcemente fino alla pianura, sono ormai tre notti che un nemico segreto a reciso i giorni del cavaliere di Coldinghame.
   Il riflesso della luce ha abusato dei tuoi occhi; il vento hanno ingannato le tue orecchie; io sento ancora suonare le campane di Driburgh, e i monaci Prémontrés cantano l’inno dei morti per sir Riccardo.
   Il barone varca la soglia della cancellata; si inoltra per la scala stretta, e si reca alla piattaforma, dove si trova la sua dama circondata dalle ragazze che la servono.


   Egli nota come essa sia triste, e che essa porta i suoi sguardi attraverso le colline e le vallate; sulle onde del Tweed e i boschi di Mertoun nella ricca piana di Teviot.
   - Salve, salve amabile e tenera castellana!
   - Salute mio buon e fedele barone! Che novità mi porti dal combattimento di Ancram e del valente Buccleuch?
   - La piana di di Ancram-Moor è rossa di sangue; mille inglesi hanno morso la polvere, e Buccleuch ci ha ordinato di vegliare a nostri segnali più che mai.
   La castellana arrossisse, ma non risponde, e il barone non aggiunge altro. Ben presto essa si ritira nel suo giaciglio, dove è seguita dall’afflitto barone.
   La castellana geme nel dormiveglia, e il barone di Smaylho’me, inquieto e agitato, mormora a bassa voce:
   - I vermi serpeggiano sul suo cadavere; la tomba atroce è chiusa su di lui; la tomba non può far sfuggire la sua preda.
   È ormai l’ora del mattino: la notte fa spazio all’aurora, allorché un sonno penoso appesantisce gli occhi del barone.
   La castellana guarda in tutti gli angoli dell’appartamento; alla luce di una lampada morente, essa riconosce non lontano da sé un cavaliere, sir Riccardo di Coldinghame.


   - Ahimé! – fa lei – allontanatevi, per l’amore della santa Vergine!
   - Io so – risponde egli – chi dorme al vostro fianco; ma non temete; egli non si risveglierà.
   Sono tre lunghi notti che io sono disteso in una tomba atroce, sotto l’albero di Eildon! Hanno cantato per il riposo della mia anima le messe e gli inni dei morti, ma invano.
   È stato il perfido braccio del barone di Smaylho’me che mi ha squarciato il cuore sulle sabbiose rive del Tweed, e la mia ombra è condannata a errare per anni sulla cima di Watchfold.
   Era il luogo del nostri incontri; e lì mi si vedrà apparire ogni sera: ma non sarei mai potuto arrivare fin qui senza le vostre pressanti suppliche.
   L’amore supera il timore della castellana; essa si segna la fronte:
   - Caro Riccardo, - fa essa – degnatemi di farmi sapere se la vostra anima è salva oppure è ancora senza riposo.
   Il fantasma scuote la testa.
   - Dite al vostro sposo – risponde egli – che colui che sparge sangue perde la vita per la spada. Ma l’amore adulterino è un crimine in un altro mondo. Si riconosce in ciò un pegno irrecusabile.
    Egli appoggia la sua mano sinistra su una tavola di quercia, e la destra su quella della castellana, che freme e viene meno sentendo la pressione bruciante della sua stretta.
   La traccia nera delle quattro dita resta impressa sulla tavola, e la castellana porterà sempre la sua mano coperta.  
   Vi è nell’abbazia di Dryburgh una religiosa[3] che non volge mai i suoi occhi verso il sole; vi è un monaco nel monastero di Melmose che proferisce mai una parola.
   Questa religiosa, che non vede mai il chiarore del giorno, è la castellana di Smaylho’me; quel monaco, che vive in un tetro silenzio, è il fiero barone suo sposo.
Traduzione e adattamento dal francese di Marco Pugacioff



[1] Vedi Œuvres de Walter Scott, Romans poetiques et poesies divers, tome I, Paris 1930, opere scelte, ecc. ecc.
[2] La battaglia di Ancram-Moor è uno degli avvenimenti più importanti della storia di Scozia.
   Il luogo che ne fu teatro è chiamato Lyliard’s Edge, dal nome di una amazzone scozzese che vi si era distinta. Vi è in mostra ancora il suo monumento in rovina oggi in rovina. Su di esso vi si legge questa iscrizione: <<La bella Lyliard è sepolta sotto questa pietra; la sua taglia era piccola, ma la sua gloria era grande, e gli Inglesi sentirono la forza del suo braccio. Quando le sue gambe furono colpite, essa combatte sulle sue coscia.>>
[3] La circostanza di questa religiosa che non vede mai la luce del giorno non è del tutto immaginaria. Sono passati circa cinquant’anni che una sventurata discese in un oscura caverna sotto le rovine dell’abbazia di Dryburgh, ed essa non usciva mai durante il giorno. Solo quando calava la notte, essa usciva dal suo miserabile ritiro, per recarsi alla dimora del signor Haliburton di Newmains, o a quella del signor Erskine di Sheffield, due proprietari del vicinato. Essa otteneva dalla loro carità tutto le provisioni che desiderava; ma quando essa sentiva suonare la mezzanotte, accendeva la sua lanterna e ritornava alla sua caverna, assicurando i suoi vicini benefattori che, durante la sua assenza, il suo ritiro era guardato da uno spirito chiamato Fatlips, [letteralmente Grandi labbra; in francese grosses lèvres]; essa lo descriveva come un piccolo uomo con delle scarpe di ferro, con le quali egli dissipava l’umidità delle volte calpestando il selciato. La gente saggia guardava con pietà una donna che a loro sembrava esser stata privata della ragione; ma il volgo non pensava ad essa che con un sentimento di terrore. Essa stessa non volle mai spiegare la causa di un genere di vita così straordinario; si è immaginato che essa vi sia stata indotta, per un voto, a non rivedere mai il sole tanto quanto durava l’assenza del suo amato. Il suo amato perì nella guerra civile che durò dal 1745 al 1746, e questa donna rinunciò per sempre al chiarore del giorno.
   La caverna porta ancora il nome del preteso spirito che teneva compagnia a questa solitaria. E più di un contadino del vicinato non vi osa penetrarvi. 


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