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domenica 13 gennaio 2019

Roma Tra streghe, pasta e diavoli


Piccolo campionario dell’insolito 9

Roma

Tra streghe, pasta e diavoli

Il Rione Monti tra antichità e modernità ottocentesca

«Sono un po’ pazza mi scusi. Colpa del rione dove sono nata:
il rione Monti, vicino al Colosseo»
il fantasma di Lucia al professor Foster,
da il segno del comando



   In epoca romana, l'Esquilino, che era la parte centrale del rione Monti, si estendeva dal colle Oppio all'odierna via Merulana ed era per di più deserto. Era un cimitero di schiavi e prostitute, costituite da fosse dette puticoli. I corpi erano spesso abbandonati sulla terra, alla mercé di cani e corvi; dappertutto erano sparse ossa umane, teschi e caro­gne di animali. Qui, inoltre, si eseguivano sentenze capitali. Orazio così descrisse il luogo desolato nelle sue Satire, Libro primo, cap.8 «Questo era il cimitero comune che s'innalzava per la plebe miserabile, per Pantolabo il buffone e Nomentano lo scioperato. Un cippo assegnava ad esso un fronte di mille piedi e una profondità di trecento e vietava che il monumento passasse agli eredi. Ora, invece, l'Esquilino è salubre ed è possibile abitarvi e andare a passeggio sui soleggiati ba­stioni, da cui, or non è molto, ci s'intristiva a guardare quel campo sfigurato da un biancheggiare di ossa». Il quartiere includeva anche la Suburra, ovvero la parte più povera, af­follata e malfamata della città della quale così parla Giovenale nel libro terzo delle sue Satire: «Io alla Suburra preferirei anche Procida [che era un confino di ergastolani]. Quale altro posto, infatti, più misero e desolato possiamo mai aver veduto che non sia da credere cosa peggiore starsene sotto l'incubo degli incendi, del crollo continuo dei tetti e degli altri cento pericoli di questa crudele città?».




Fu Quinto Gaio Mecenate, amico e consigliere di Augusto, a tirar fuori l'Esquilino dal suo squallore, lo risanò e ne fece un quartiere residenziale ante litteram, con sontuose ville e splendidi giardini. In queste abitazioni vi erano numerosi affreschi tra cui le Nozze aldobrandine (ora conservati nei Musei Vaticani) scoperti alla fine del Cinquecento presso l’Arco di Gallieno in quella che era ritenuta l'antica casa di Virgilio. 

Ciò nonostante l'Esquilino rimase ancora per molto tempo un luogo di riunione di affossatori e becchini. Vi si davano convegno le streghe per fare magie e sortilegi come Sagana e le sue amiche Canidia e Folia, la donna che ama le donne come un uomo; esse dice sempre Orazio si riunivano per richiamare spiriti infernali insieme a serpenti e cagne demoniache in un spettacolo talmente spaventoso che perfino la luna cercava di nascondersi dietro ai sepolcri. Anche i nuovi residenti, l'elite dell'antica Ro­ma –  secondo Filizzola e Sessa – non disdegnarono di imitarle, o almeno riportavano le leggende medievali. In una di esse, Virgilio avrebbe usato un an­tico sepolcro vicino alla sua villa per celebrare un funerale, che però altro non era che una burla. Virgilio cercò di salvare la sua proprietà dalla confisca decretata a favore dei veterani delle guerre civili che avevano combattuto sotto le insegne di Ottaviano, e inscenò lo scherzo basandosi sul fatto che si sarebbero salvati solo i luo­ghi adibiti alla sepoltura dei familiari. Con magica abilità – bè Virgilio nel medioevo venne considerato mago e stregone – eseguì un lutto familiare e, dopo aver convocato nella sua casa amici e personalità della corte di Augusto, tra la commozione gene­rale fece seppellire una mosca di bronzo. Pare che lo stesso Mecenate si fosse prestato all'inganno e con una straziante orazione funebre avesse reso onore al singolare "defunto".

La Suburra
   Qui, in una casa – scrivono sempre Filizzola e Sessa – era nato e vissuto Giulio Cesare prima di trasferirsi nella Domus Publica del Foro.
    Leggo anche che Alfredo Cattabiani nel suo Simboli, miti e misteri di Roma, Newton 2016, nel capitolo su Anna Perenna, scrive che Ovidio riferisce che Anna veniva ricordata come una vecchia di Boville, un piccolo paesino vicino Roma. A Boville si narrava che vi fossero rifugiati i sopravissuti alla distruzione di Alba Longa, fra i quali la Gens Julia. Non solo, ma siccome  era caro alla famiglia imperiale Giulio-Claudia fu fatto un culto della Gens Julia, secondo Tacito, annali, libro secondo, cap. 41 «Sul finire dell’anno fu innalzato [tra gli altri] un sacrario alla gente Giulia e una statua al divo [Dio] Augusto presso Boville.».
  Di Anna Perenna bisogna ricordare che sfamò il popolo in protesta contro i patrizi, cucinando per loro ogni mattina rustiche focacce fumanti. Erano dette libae ed erano preparate con cacio grattugiato, farina, uova e olio, e cotte al forno. Vabbè la fame, ma me sa che erano un sacco buone, per questo si eresse una statua per ricordare la sua assistenza detta Perennem opem a favore dei bisognosi. Da lì Anna divenne Anna Perenna.


  Le focacce di Anna mi fa andare invariabilmente alla pasta, in particolare alla carbonara…

  … peccato che Jean-Yves Ferri, pur essendo un francese figlio di Italiani, continui a dire che la pasta arrivi dall’Oriente, in Asterix e la corsa d’Italia.
   Dice la famigerata wiki: «Le origini della pasta sono molto antiche. Presente nelle sue forme più semplici e primordiali in diverse parti del continente euro-asiatico, fin da tempi remoti, sviluppandosi in maniera parallela, indipendente, diversificata e senza alcuna relazione reciproca, dalle valli cinesi dell'estremo oriente, alle aree mediterranee della penisola italica. […] Possiamo trovare tracce di paste alimentari, altrettanto antiche, già tra Etruschi, Greci, Romani e altri popoli italici.»


  Sulla pasta non vengo a patti, e come diceva Aldo Fabrizi «Credevo fosse una creazione latina, / invece poi, m’ha detto l’orzarolo, /che l’ha portata a Roma Marco Polo / un giorno che tornava dalla Cina. / Pe’ Me st’affare de la Cina è strano, / chissà se fu inventata da un cinese/ o la venneva Là un napoletano.»



«Abemus in cena»

Piazza della Suburra, che di malfamato ha conservato solo la sistemazione datale in epoca moderna prima dall’urbanistica umbertina e poi da quella fascista per l'apertura della prima metropolitana di Roma. L'apertura di via Cavour e la necessità di dare al piano stradale una pendenza accettabile affossò, come in via Urbana, i preesistenti edifici e la struttura stradale. Fu come se un'altra fittizia città, si fosse sovrapposta alle antiche case povere, le vie strette e scoscese, le piazze modeste, le bettole, gli spacci, le botteghe che avevano un ambiente assolutamente unico, il cui carattere plebeo risaliva dal Rinascimento alla Roma di Giulio Cesare. 
Sarebbe stato tutto da risanare e non da distruggere, questo ambiente  unico, dove confluivano le strade che por­tavano all'Esquilino, mentre da una parte e dall'altra lunghe scalina­te, vere e proprie scorciatoie pedonali, salivano a San Pietro in Vin­coli e al Quirinale.

Purtroppo tutto fu spazzato via. Nell'informe slargo a cui è stata ridotta la piazza della Suburra per la costruzione della stazione Cavour della metropolitana nulla ricorda il passato, se non una lapide malconcia con lo stemma di Alessandro VI. Delle antiche bettole sopravvisse fino all'inizio del

Novecento solo un'osteria, sulla cui insegna si leggeva un antico: «Abemus in cena Pullum Piscem Pernam Paonem». Negli anni ‘90 sulla piazza vi era solo un elettrauto.
E con la Suburra, ha perso ogni caratteristica la vicina piazza degli Zingari, luogo di sosta dei noma­di durante il governo pontificio. Gli uomini facevano i calderari e la­voravano il rame, le donne più anziane andavano in giro a leggere la mano e a chiedere l'elemosina. Con i monticiani i rapporti non erano cattivi: la gente del rione assisteva incuriosita alle loro feste. Oramai sarebbe inutile andarvi a cercare gli zingari, attualmente reperibili a Roma dapper­tutto, tranne che in questa piazzetta semi appartata.

Da Il rione monti -  Filizzola/Sessa, pagg. 10-38, Tascabili economici newton ‘97
 e da guida a misteri e segreti di Roma, sugarCo Ed., pag.105

Il Rione Ponte

 


La passeggiata comincia in piazza dell'Oro, davanti alla grandiosa facciata della chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini. Un'antica tradizione, narrava che nei pressi della piazzetta si trovava anticamente una specie di grotta dalla quale uscivano vapori solforosi, tanto da far credere agli antichi romani che si

trattasse della bocca dell'Inferno.

Il luogo veniva detto «Tarentum», e vi si svolgevano, secondo una leggenda narrata da Valerio Massimo, complicati riti agli dèi degli inferi, che venivano ripetuti ogni cento anni, ed erano infatti detti «ludi saeculares».
Strane cerimonie si svolgevano all'epoca di Augusto, intorno al 17 d.C, quando dei sacerdoti vestiti di nero sacrificarono poveri animali dal pelo nero
per tre giorni e tre notti di seguito.
La festa si concludeva con un coro formato da ventisette fanciulle e altret­tanti giovani, che intonarono il «Carmen Saeculare», composto per l'occa­sione da Orazio, davanti al tempio di Apollo Palatino.
 Da Il Rione Ponte, p. 11, Tascabili economici Newton ‘94
Guida a misteri e segreti di Roma, pag .191

Alla faccia del primo maggio

   Un primo maggio molto singolare, avveniva nella festa dei Santi Apostoli, nella loro chiesa omonima a piazza dei… SS. Apostoli. Dalle finestre del palazzo posto accanto alla chiesa che corrispondevano all’interno del tempio, si gettavano alla calca affamata che si azzuffava per conquistarsi una preda, volatili commestibili (naturalmente i poveri animali erano vivi) ed altra mangereccia. Inoltre dal soffitto si calava con una fune un maiale sicuramente terrorizzato e tutti facevano gran salti per afferrarlo; non solo ma senza preavviso dall’alto veniva gettata una gran doccia d’acqua fredda. Certo i preti ne dovevano trarre gran divertimento dalle frenesie del popolino affamato.
Guida a misteri e segreti di Roma, pagg. 270-271    

Piazza San giovanni in Laterano   




La chiesa di San Giovanni, tomba del povero pastorello Gerbert, poi diventato Silvestro II, il papa dell’anno mille, a sempre avuto forti motivi di richiamo, specie per i pellegrini dei Giubilei. S dice che la notte del 23 giugno, vigiliia di San Giovanni, nei prati intorno alla cattedrale venivano le streghe di Benevento e che li romani le mettessero in fuga con suoni di trombette. Ma sempre per i romani diveniva la loro meta il 24 giugno, festa di S. Giovanni Battista. La coincidenza con il solstizio d'estate e la relativa sequela di leggende d'origine pagana imperniate sul mondo delle streghe richia­mavano vere calche di romani. Dedicato qualche tempo alle pratiche religiose che finiva quando il Papa usciva sulla loggia a be­nedire la folla, si dava il via ad una generale baldoria. Per un intero pomeriggio e per la notte seguente correvano fiumi di vino, si consumavano gran quantità di fave col formaggio e si celebrava la sagra delle lumache cotte secondo varie ricette, sempre a base di aglio: l'aglio era anche particolarmente indicato contro il malocchio e le stre­ghe. Secondo lo straordinario Giggi Zanazzo per sbarrare il passo a queste ultime, prima di uscire di casa per andare alla festa, si doveva provvedere a lasciare delle scope in croce sulla porta e semmai anche sotto la cappa del camino. Taluni si spingevano fino all'osteria delle Stre­ghe che stava nella località Cessati Spiriti: qui vi era una zona cimiteriale antica e ci suggerisce l’esistenza di entità vaganti, prive di pace; i fantasmi, che abbiamo imparato a conoscere da “Il segno del comando” e da “Fantasmi a Roma”.


Da Armando Travagloli, Le grande piazze di Roma, Tascabili ec. Newton, ‘95
    Pag. 303


Il Colosseo


Un immagine dell’anfiteatro Flavio tratta dal libro “Delle memorie sacre e profane dell'anfiteatro Flavio di Roma volgarmente detto Colosseo...” di A. G. Capponi del 1746.


   Alcuni ritengono che l’anfiteatro Flavio derivi il suo sopranome da una statua colossale alta ben trenta metri di bronzo dorato del dio sole, con il volto di Nerone.
   Gioacchino Belli dà una suggestiva ipotesi sull’origine del nome del Colosseo, riferendosi al Teatro di Marcello: «Quell’era un Culiseo, sori Cardei. / Sti così tonni com’er culo, a Roma, / se so’ sempre chiamati Culisei» «Quello era un Colosseo, signori Cardei [stolidi=stupidi]. / Questi oggetti rotondi come il sedere, a Roma, / sono sempre stati chiamati Colossei». Non sbaglia Gioacchino, infatti lessi in una cronaca medievale che un anfiteatro – se non ricordo male, a Napoli – era chiamato anch’esso Colosseo.
  Eppure secondo una serie di racconti, intitolata la Fiorita, scritta dal bolognese Armannino Giudice l’anfiteatro era un tempio abitato da molti spiriti maligni che operavano grandi prodigi, che riempivano di stupore quanti vi assistevano; il tempio era officiato da sacerdoti i quali, dopo le manifestazioni degli spiriti, non mancavano di chiedere agli spettatori: « Colis eum? » cioè: « Lo veneri? Ovvero Veneri il capo di questi dei? ». Di qui il nome dell'immenso edificio.



   Narra, il Cellini nella sua Vita che a Roma un giorno fece amicizia con un prete siciliano che era profondamente versato in lettere greche e latine e in negromanzia. Allora il Cellini gli manifestato il desiderio di « vedere o sentire
qualcosa di quest'arte » e una notte lo portò al Colosseo ed evocò per lui una legioni di diavoli. Riuscita abbastanza bene la prima spedizione, ne fecero un'altra, con tre compagni fra cui un fanciullo vergine, e armati degli strumenti del mestiere: fuoco, profumi buoni e profumi cattivi e pentagramma, cioè la stella a cinque punte usata come amuleto e nei sortilegi.
Ma questa seconda volta, i cinque si presero un bello spavento; perché, «cominciato il negromante a fare quelle terribilissime invocazioni, chiamato per nome una gran quantità di quei demoni capi di quelle legioni... in breve di spazio si empiè tutto il Culiseo l'un cento più di quello che avevan fatto quella prima volta » e il negromante, impaurito, dovette confessare che «le legioni eran l'un mille più di quel che lui aveva domandato, e che l'erano le più pericolose ». Mentre il mago, con modi dolci e soavi, cercava di convincere i diavoli ad andarsene, mentre il fanciullo vergine si accoccolava con la testa fra le ginocchia per non vedere minacciosi giganti, milioni di creature dell'inferno e fiamme che avanzavano verso il gruppo degli incauti, il Cellini cercava di dare animo ai compagni e attendeva ai profumi, gettando sul fuoco nauseabonda « zaffetica » (cioè assa fetida). Non furono però i suffumigi a cacciare i diavoli: fu il terrorizzato Agniolino Caddi, uno della spedizione, che a un certo punto (sono parole del Cellini). « fece una strombazzata di corregge con tanta abundanzia di m… [di puffa come dicono i Puffi], la quale pòette più che la zaffetica ». E « il fanciullo, a quel gran puzzo e quel romore alzati un poco il capo... disse che se ne cominciavano a 'ndare a gran furia ». Nel Colosseo ormai quasi deserto, i cinque aspettarono che venisse l’alba; poi, con la compagnia di due demoni che gli «andavano saltabeccando innanzi, or correndo su pe' tetti et or per terra», se ne tornarono alle loro case in Banchi, si infilarono sotto le coperte, «e ciascun di noi tutta quella notte sogniamolo diavoli».
Tratto da Guida a misteri e segreti di Roma, pagg. 79-82


Piazza del Gesù
 La piazza è sempre spazzata dal vento e la tradizione popolare ce ne ha dato questa ragione: Un giorno il vento faceva due passi in giro per la città con un amico diavolo e nella passeggiata arrivarono alla dimora dei gesuiti. Il diavolo, di cui non sappiamo il nome, fermò l’amico e gli chiese di aspettarlo un attimo, che doveva entrare a sbrigare una commissione, ed penetrò nell’edificio. E il vento è ancora là ad aspettare.
Una bella metafora per i tristi tempi di oggi e gli ancor più tristi tempi futuri.  Tratto da Guida a misteri e segreti di Roma, pag.128


Cartolina della ROMA SPARITA - VIA DELLA LUNGARETTA - E. Roesler Franz

Marco Pugacioff

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