La veglia di San Giovanni
[The eve of St. John]
La torre di Smaylho’me o di Smalholm, che fu
il teatro dell’aneddoto seguente, è situata nel nord di Roxburgshire, in mezzo
ad un ammasso di rocce che fa parte del dominio di Hugh Scott di Harden. Questa
torre è un edificio quadrato circondato da un muro esterno, oggi in rovina. La
cinta della prima corte, difesa da tre parti da un precipizio e una palude, non
è accessibile che dal fianco di occidente per mezzo di un sentiero nella
roccia. Gli appartamenti, com’è d’uso in una fortezza di Scozia, si elevano gli
uni sopra gli altri, e comunicano attraverso una scala angusta, ecc.
È in questa antica fortezza e nelle sue vicinanze che l’autore – sir Walter
Scott[1] – ha passato la sua infanzia, e questi
luoghi a lui cari hanno molti diritti sugli omaggi della sua musa.
La catastrofe di questa storia è fondata su di una tradizione irlandese.
Il
volumetto originale della Veglia di San Giovanni, scritto di pugno dalla moglie
di Scott, Charlott.
altre immagini tratte da:
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Il barone di Smaylho’me si alza con il giorno, e guida il suo destriero, senza
fermarlo, nel sentiero roccioso che conduce a Brotherstone.
Egli non va con il bravo Buccleuch a schierare il suo largo vessillo;
egli non va a riunirsi alle lance scozzesi per sfidare le frecce degli Inglesi.
Tuttavia egli è rivestito della sua cotta d’armi; il suo elmo ornava la sua
fronte, e portava una corazza di buon acciaio. Al pomello della sua sella è
legata una ascia d’armi che pesa più di venti libbre.
Il barone di Smaylho’me ritorna dopo tre giorni; la sua fronte è triste e
oscura; il suo destriero è affaticato e proseguiva lentamente.
Egli non torna da Ancram-Moor[2]
dove il sangue inglese era scorso a torrenti; Acram-Moor, che fu testimone
delle imprese del fedele Douglas e del bravo Buccleuch contro lord Evers.
Eppure il suo elmo è ammaccato e spezzato, la sua cotta d’armi è forata e
lacerata. Il sangue colava dalla sua ascia e dalla sua spada; ma non era sangue
inglese.
Scende presso la cappella; e, sdrucciolando contro il muro, fischia tre volte
per chiamare a sé il suo giovane paggio che porta il nome di William.
- Vieni qui, mio piccolo paggio, vieni a metterti sulle mie ginocchia; tu che
sei ancora in giovane età; ma spero che non voglia ingannare il tuo signore.
Dimmi
tutto ciò che hai visto durante la mia assenza, e soprattutto cura di dirmi la
verità!... Cosa ha fatto la tua padrona da quando io ho lasciato il castello di
Smaylho’me?
- Ogni notte – rispose William – la castellana si recava al chiarore solitario
che brilla sulla cima di Watchfold, perché da un’altura all’altra i segnali ci
informavano dell’invasione inglese.
I gufi gemevano, il vento soffiava nelle cavità delle rocce; tuttavia lei non
mancava una sola notte di percorrere il sentiero che conduce all’alta cima
della montagna.
Io spiavo tutti i suoi passi e mi avvicinavo in silenzio alla pietra dove essa
era assisa. Nessuna sentinella era appresso al fuoco dei segnali.
Ma la seconda volta i miei occhi la seguirono ancora, e mi accorsi… lo giuro
sulla santa Vergine!... mi accorsi di un cavaliere armato vicino alla fiamma
solitaria.
Questo guerriero si intrattenne con la mia padrona; ma la pioggia cadeva e
l‘uragano urlava in maniera tale che io non potevo udire nulla delle loro
parole.
La terza sera, il cielo era calmo e puro, il vento si era calmato… io spiavo
ancora il cavaliere, e la vostra dama lo veniva ancora a trovare misteriosamente.
Io sentii nell’aria lo scoccare della mezzanotte per la veglia della nostra
santa festa. – Vieni – diceva essa – domani all’appartamento della dama dei
tuoi pensieri; non temere il barone mio sposo.
Egli combatte sotto lo stendardo del bravo Buccleuch, e io sono sola; la mia
porta si aprirà per il mio cavaliere fedele alla veglia di San Giovanni.
- Io non posso – risponde il guerriero – io non oso venire da voi; io devo
andar da solo alla veglia di San Giovanni.
Onta alla tua viltà – rispose lei – timido cavaliere; tu non puoi dirmi di no,
perché la notte di San Giovanni è il giorno più bello dell’estate quando presta
la sua ombra a due amanti.
Metterò alla catena il mastino. La sentinella non ti farà nessuna domanda;
stenderò una treccia di giunco sulla scala; nel nome della croce nera di
Melmose e del beato San Giovanni, io ti scongiuro, amore mio, di piegarti ai
miei voti.
- Invano i cani spezzeranno il silenzio della notte e la sentinella non suonerà
il suo corno. Un prete dorme nel padiglione di oriente; egli udirà il rumore
dei miei passi malgrado la treccia di giunco.
- Ha! Non temere che quel prete possa scoprirti; egli è al monastero di
Driburg, dove deve celebrare, per tre giorni, il sacrificio della messa per
l’anima di un cavaliere trapassato.
A quelle parole il guerriero scuote più volte la testa aggrottando le ciglia, e
subito dopo, sorridendo con disprezzo, dice
- Colui che celebra la messa per l’anima di quel cavaliere potrebbe anche ben
celebrarla per la mia.
All’ora solitaria di mezzanotte, quando gli spiriti malefici volteggiano
nell’aria, io verrò presso di te. – così disse – fece il paggio – e poi
scomparve. La mia padrona rimase sola e io non vidi più niente.
La fronte oscura del barone s’infiamma e s’arrossa di colera.
- Fammi conoscere – domanda egli – il temerario, perché, per santa Maria, egli
perirà!
- Le sue armi brillavano al chiarore della fiamma, - rispose William – il suo
pennacchio era scarlatto e blu; ho intravisto sul suo scudo un levriero in
argento, e il suo cimiero era un ramo d’albero di tasso.
- Tu mi stai mentendo, mio piccolo paggio, tu mi stai mentendo: il cavaliere
che tu mi hai descritto a cessato di vivere; egli è deposto nella sua tomba
sotto l’albero di Eildon.
- Io mi appello al Cielo, o mio nobile signore! Ho inteso pronunciare il suo
nome: la vostra dama lo ha chiamato sir Riccardo di Coldinghame.
Il pallore ricopre ora tutta la fronte del barone.
- La tomba è oscura e profonda – fa egli – il cadavere immobile e ghiacciato…
io non posso credere al tuo racconto.
- là dove il Tweed frange le sue onde al di sotto del sacro convento di
Melmose, e dove l’Eildon discende dolcemente fino alla pianura, sono ormai tre
notti che un nemico segreto a reciso i giorni del cavaliere di Coldinghame.
Il riflesso della luce ha abusato dei tuoi occhi; il vento hanno ingannato le
tue orecchie; io sento ancora suonare le campane di Driburgh, e i monaci
Prémontrés cantano l’inno dei morti per sir Riccardo.
Il barone varca la soglia della cancellata; si inoltra per la scala stretta, e
si reca alla piattaforma, dove si trova la sua dama circondata dalle ragazze
che la servono.
Egli nota come essa sia triste, e che essa porta i suoi sguardi attraverso le
colline e le vallate; sulle onde del Tweed e i boschi di Mertoun nella ricca
piana di Teviot.
- Salve, salve amabile e tenera castellana!
- Salute mio buon e fedele barone! Che novità mi porti dal combattimento di
Ancram e del valente Buccleuch?
- La piana di di Ancram-Moor è rossa di sangue; mille inglesi hanno morso la
polvere, e Buccleuch ci ha ordinato di vegliare a nostri segnali più che mai.
La castellana arrossisse, ma non risponde, e il barone non aggiunge altro. Ben
presto essa si ritira nel suo giaciglio, dove è seguita dall’afflitto barone.
La castellana geme nel dormiveglia, e il barone di Smaylho’me, inquieto e
agitato, mormora a bassa voce:
- I vermi serpeggiano sul suo cadavere; la tomba atroce è chiusa su di lui; la
tomba non può far sfuggire la sua preda.
È ormai l’ora del mattino: la notte fa spazio all’aurora, allorché un sonno
penoso appesantisce gli occhi del barone.
La castellana guarda in tutti gli angoli dell’appartamento; alla luce di una
lampada morente, essa riconosce non lontano da sé un cavaliere, sir Riccardo di
Coldinghame.
- Ahimé! – fa lei – allontanatevi, per l’amore della santa Vergine!
- Io so – risponde egli – chi dorme al vostro fianco; ma non temete; egli non
si risveglierà.
Sono tre lunghi notti che io sono disteso in una tomba atroce, sotto l’albero
di Eildon! Hanno cantato per il riposo della mia anima le messe e gli inni dei
morti, ma invano.
È stato il perfido braccio del barone di Smaylho’me che mi ha squarciato il
cuore sulle sabbiose rive del Tweed, e la mia ombra è condannata a errare per
anni sulla cima di Watchfold.
Era il luogo del nostri incontri; e lì mi si vedrà apparire ogni sera: ma non
sarei mai potuto arrivare fin qui senza le vostre pressanti suppliche.
L’amore supera il timore della castellana; essa si segna la fronte:
- Caro Riccardo, - fa essa – degnatemi di farmi sapere se la vostra anima è
salva oppure è ancora senza riposo.
Il fantasma scuote la testa.
- Dite al vostro sposo – risponde egli – che colui che sparge sangue perde la
vita per la spada. Ma l’amore adulterino è un crimine in un altro mondo. Si
riconosce in ciò un pegno irrecusabile.
Egli appoggia la sua mano sinistra su una tavola di quercia, e la destra su
quella della castellana, che freme e viene meno sentendo la pressione bruciante
della sua stretta.
La traccia nera delle quattro dita resta impressa sulla tavola, e la castellana
porterà sempre la sua mano coperta.
Vi è nell’abbazia di Dryburgh una religiosa[3] che non volge mai i suoi occhi verso il
sole; vi è un monaco nel monastero di Melmose che proferisce mai una parola.
Questa religiosa, che non vede mai il chiarore del giorno, è la castellana di
Smaylho’me; quel monaco, che vive in un tetro silenzio, è il fiero barone suo
sposo.
Traduzione
e adattamento dal francese di
Marco Pugacioff
[1] Vedi
Œuvres de Walter Scott, Romans poetiques et poesies divers, tome I, Paris 1930,
opere scelte, ecc. ecc.
Il luogo che ne fu teatro è chiamato Lyliard’s
Edge, dal nome di una amazzone scozzese che vi si era distinta. Vi è in
mostra ancora il suo monumento in rovina oggi in rovina. Su di esso vi si legge
questa iscrizione: <<La bella Lyliard è sepolta sotto questa pietra; la
sua taglia era piccola, ma la sua gloria era grande, e gli Inglesi sentirono la
forza del suo braccio. Quando le sue gambe furono colpite, essa combatte sulle
sue coscia.>>
[3] La circostanza di questa religiosa che
non vede mai la luce del giorno non è del tutto immaginaria. Sono passati circa
cinquant’anni che una sventurata discese in un oscura caverna sotto le rovine
dell’abbazia di Dryburgh, ed essa non usciva mai durante il giorno. Solo quando
calava la notte, essa usciva dal suo miserabile ritiro, per recarsi alla dimora
del signor Haliburton di Newmains, o a quella del signor Erskine di Sheffield,
due proprietari del vicinato. Essa otteneva dalla loro carità tutto le
provisioni che desiderava; ma quando essa sentiva suonare la mezzanotte,
accendeva la sua lanterna e ritornava alla sua caverna, assicurando i suoi
vicini benefattori che, durante la sua assenza, il suo ritiro era guardato da
uno spirito chiamato Fatlips, [letteralmente Grandi labbra; in francese
grosses lèvres]; essa lo descriveva come un piccolo uomo con delle scarpe di
ferro, con le quali egli dissipava l’umidità delle volte calpestando il
selciato. La gente saggia guardava con pietà una donna che a loro sembrava
esser stata privata della ragione; ma il volgo non pensava ad essa che con un
sentimento di terrore. Essa stessa non volle mai spiegare la causa di un genere
di vita così straordinario; si è immaginato che essa vi sia stata indotta, per
un voto, a non rivedere mai il sole tanto quanto durava l’assenza del suo
amato. Il suo amato perì nella guerra civile che durò dal 1745 al 1746, e
questa donna rinunciò per sempre al chiarore del giorno.
La caverna porta ancora il nome del preteso
spirito che teneva compagnia a questa solitaria. E più di un contadino del
vicinato non vi osa penetrarvi.
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