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sabato 3 ottobre 2020

Spettri

Spettri

 

I fantasmi di casa mia non li ho mai visti, ma li conosco lo stesso.

Sono tutti Roviano, crepati di morte violenta.

Eh  già, perché se uno se ne muore tranquillamente,

nel letto di casa sua, può fare i salti mortali,

fantasma non ci diventa !

Eduardo De Filippo, Fantasmi a Roma.

 

 

     Il presente scritto era stato preparato più di un anno fa, a fine settembre, da inserire in occasione del due di novembre. Ma la traduzione di una storia, ha fatto slittare la realizzazione al 2020, ora lo inserisco in anticipo sulla festa resa universale da Papa Gatto Silvestro [il II, solo lui mi è simpatico] di che parlo? Vedi il mio scritto precedente su Arlecchino e Pulcinella. Puga

 


Credi nei fantasmi? Potresti credere che gli spiriti dei soldati defunti si ritrovino a combattere tanti anni dopo essere morti ?

Ebbene, che ci crediate o no, nel corso della Storia sono stati segnalati sinistri avvistamenti sugli scenari di famose battaglie, dove figure spettrali rievocano la sfida a lungo dimenticata. Quindi continua a leggere a tuo rischio e pericolo.
Secondo antiche leggende, il campo di battaglia di Maratona, dove i Greci hanno combattuto i persiani nell'anno 492 a. E. V., è infestato[1]. Chiunque visiti il ​​sito dopo il tramonto può sentire lo scontro delle spade e le grida dei feriti. La gente locale crede che se sei abbastanza sfortunato da assistere alle figure spettrali, morirai entro un anno!

Dopo la battaglia tra Oliviero Cromwell e il principe Rupert a Edghill nel Warwickshire il 23 ottobre 1643, i pastori locali affermarono che molti dei 5.000 morti erano tornati in forma spettrale, completi di cavalli e armature. Il re mandò due ufficiali a indagare queste sinistre voci. Anche loro videro gli spettri e in realtà riconobbero gli amici che erano morti nella battaglia.

Una truppa confederata spettrale perseguita il sito della battaglia di Shiloh nel Tennessee. Durante questa famosa battaglia della guerra civile americana oltre 24.000 soldati morirono in due giorni di spaventosi combattimenti nel 1862.

Nel corso degli anni ci sono state molte segnalazioni di persone spaventate  mentre i fantasmi dei Confederati venivano caricando attraverso gli alberi che segnano il sito della battaglia.

Durante la prima guerra mondiale molti militi anglosassoni che combattevano nelle trincee nella battaglia di Mons sostenevano di aver visto degli arcieri spettrali, vestiti come al tempo della battaglia di Agincourt, che lanciavano frecce silenziose contro le trincee tedesche[2].

Un plotone di soldati britannici che si ritiravano verso Dunkerque durante la seconda guerra mondiale, furono isolati in un bosco per tutta la notte dal forte fuoco dei Panzer che li circondavano. Al mattino ogni uomo aveva addosso un violento senso di sventura, ognuno avvertiva una strana presenza nel bosco. Non appena si ritirarono, questa sensazione li lasciò. Più tardi si è scoperto che lì, in quel bosco,

 vi era stata una sanguinosa battaglia tra inglesi e francesi, oltre 500 anni prima!

 

Vignetta tratta da “Flying wild”, apparso sul fumetto britannico Commando n. 985 del 1975

 

Ci sono migliaia di tali eventi segnalati da tutto il mondo. Ancora oggi c'è un resoconto di come il suono di uno Spitfire con il motore bloccato che tenta di atterrare a Biggin Hill nel Kent, sede di un famoso aeroporto al tempo della II guerra mondiale.

Chi ti dice che non sia un pilota da caccia perduto da tempo che sta ancora cercando nello spirito di far atterrare il suo aereo spettrale?

Articolo apparso nella rivista a fumetti britannica Battle Picture Weekly Annual del ‘78

 

Questo ciò che è scritto su quell’articolo.

Esiodo parla dei Daímones, gli spiriti degli uomini vissuti dell’oro e che vegliano benevolmente sui mortali, così come fanno i Fantasmi a Roma dell’omonima, incantevole pellicola del ’61.

Esiodo narra che: Un'aurea stirpe di uomini mortali crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull'Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come dèi passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro, ma sempre con lo stesso vigore nei piedi e nelle mani godevano nelle feste, lontani da tutti i malanni. Essi morivano, come colpiti dal sonno; tutte le cose belle essi avevano: la terra feconda recava i frutti, spontaneamente, in gran copia, senza risparmio; essi quindi contenti e tranquilli si godevano i beni, con molte fonti di gioia [ricchi di bestiame, diletti agli dèi beati]. Quindi, al­lorché questa stirpe fu nascosta sotterra, essi da allora sono i dèmoni, per volere del grande Zeus; i dèmoni buoni, ter­restri, custodi degli uomini mortali, che stanno a guardia delle opere giuste e delle opere inique, che giran sulla terra dappertutto, vestiti di tenebra, e sono dispensatori della ricchezza: anche questo dono regale essi ebbero![3]

Daímon si divulgherà poi semplicemente come “defunto”; infine nei testi magici si conierà il nekydaímon, il “morto-demone” per indicare lo spirito del trapassato. Questo perché – secondo lo studio di Scotti (Massimo non Tino che fu interprete del fiabesco La stanza n. 13[4]) – vi si riflette sia memoria e rimorso, sia rispetto e paura. «I manes del pantheon italico, prima di diventare “spiriti dei defunti”, e perciò ombre tutelari come i lares (spiriti degli antenati), custodi della casa e della discendenza, erano divinità infere o demoni dell’oltretomba. I lemures, invece, prima di trasformarsi entità temibili, sono attestati come generici “defunti”. È interessante – continua Scotti – la possibile derivazione […] del termine lemure da lamuròs (vorace) e da làmia, con possibile mediazione etrusca: si ritorna così alle schiere che infestano la notte, mostri e demoni[5]»

Interessante ciò che leggo in Finucane[6]. Nell’antichità vi era un motto, quasi una piccola preghiera per coloro che non ci sono più: Sit tibi terra levis abbreviata in STTL, ovvero Che la terra sia lieve su di te. Questo dovrebbe averlo scritto Euripide (Salamina 480 a. C. - Pella 406) sul suo Alcesti.

Una certa idea del corpo ancora senziente anche se sepolto, dovrebbe aver originato la credenza che lo spirito del defunto si aggirasse nelle vicinanze del cadavere. E questo in particolar modo di morte violenta – come per i guerrieri – o  addirittura prematura come nel caso dei suicidi.

Nei Dialoghi, Platone descrive dei malvagi che per punizione, hanno i loro spettri che si aggirano attorno alle tombe e ai sepolcri.  

«- E il corpo, amico, si ha a reputare pesante, grave, terreo e visibile; e però una tale anima è dalla paura dell'invisibile Ade raggravata e tratta novamente verso ai visibili luoghi, aliando attorno ai monumenti e sepolcri, secondoché raccontasi: presso ai quali furon già vedute delle fantasime, quasi ombre di anime; nelle quali si celano propriamente coteste anime non monde né sciolte da ciò che è visibile, ma a quello appigliate; e però si vedono.

- Egli è verosimile, o Socrate.

- Sí, o Cebete, e verosimile è ancora che tali anime non siano quelle dei buoni, ma sí quelle dei cattivi; le quali sono necessitate di vagare attorno a cotesti luoghi, pagando la pena di loro passata vita malvagia; e vagano insino a che, traendoli il corporale desiderio che è in loro, non s'avviluppino novamente in un corpo.» [7]

   Infatti, in seguito venne la pratica di evitare le tombe, in particolare nelle ore notturne; anche perché le streghe e altre gente crudele si diceva istigavano i cadaveri più recenti affinché il loro spirito potesse assecondare le loro richieste. Si narra che durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo (nel 49 e. V.) ad una strega della Tessaglia, la feroce Eritto che abitava nelle tombe abbandonate ed occupava i sepolcri, dopo averne cacciato le ombre, grazie ai favori accordatile dalle divinità infernali, venne chiesto dal figlio di Pompeo di scoprire l’esito finale del conflitto. La negromante andò sul campo della battaglia più recente e frugò tra i poveri resti uno che avesse i polmoni intatti di modo che la voce venisse chiara e non grida indistinte di labbra in decomposizione. Trovatone uno fresco con le viscere di fuori, lo portò nel suo antro sotterraneo situato sotto l'alta rupe di una montagna incavata, gli riempì il petto con sostanze stregate e dopo una cantilena chiese alle potenze dell’aldilà che gli mandassero un anima anch’essa fresca – «[…] uno che, appena morto, sta scendendo nell'oltretomba» – e il fantasma comparve… ma il soldato doveva aver avuto un anima buona e gentile, perché vedendo il corpo mutilato si rifiutò di entrare in esso. La strega prese a frustare il cadavere con un serpente vivo e, attraverso le fenditure, che la terra – obbedendo all'incantesimo – ha provocato, abbaia contro i Mani, infrangendo così i silenzi del regno d'oltretomba; come ho detto il soldato doveva essere un’anima gentile infatti entrò in quei poveri resti che si raddrizzarono e soprattutto si misero a piangere («Il cadavere, triste, rispose tra le lacrime»).  La povera anima – ahò, manco da morti si può star tranquilli –  rispose ai quesiti della negromante. La strega una volta soddisfatto il suo cliente – ma dico se era bella poteva soddisfarlo in altra maniera, no? No! In quanto era una megera di una magrezza spaventosa con il viso, circondato da chiome scarmigliate e che non aveva mai conosciuto il cielo sereno, tanto che vi gravava orribilmente un pallore infernale; ebbene, la megera eretto un rogo, vi accompagnò il soldato e ne bruciò i poveri resti. E questo lo ha esposto Marco Anneo Lucano (Cordova 39 – Roma 65 e.V.) alla fine del libro sesto di Farsalia[8].    

   Nel mondo classico dopo la sepoltura, si eseguivano cerimonie commemorative sulla tomba nei giorni appositamente riservati. Per tradizione questi riti avevano luogo nel terzo, nel settimo, e nel quarantesimo giorno.

Gli antichi Greci onoravano i morti durante la festa detta Antesteria, tra la fine di Febbraio e l’inizio di Marzo. Gli spiriti dei defunti venivano inviatati nelle case a condividere il pasto, ma poi venivano fermamente pregati ad andarsene e non ritornare se non alla ricorrenza successiva. A volte si facevano riti magici come spargere le porte di pece per esorcizzare la presenza degli spettri.


   Nell’antica Roma la festività degli spettri era chiamata Lemurie. Cadeva all’inizi di maggio e durava tre giorni; poi l’ultima notte, il paterfamilias si alzava dal suo talamo a mezzanotte e camminava scalzo per la casa facendo il gesto tipico delle corna. Infine, dopo essersi lavato con acqua pura di fonte le mani, prendeva dei fagioli neri (coltivati in Africa) e se li lanciava alle spalle, ripetendo per nove volte «Con questi libero me stesso e i miei cari [Haec ego mitto; redimo meque meosque fabis] avendo cura di non voltarsi perché le ombre dovevano star a prendersi i fagioli. Per ultimo rilavatosi le mani e fatto suonar dei piatti di bronzo, prendeva commiato dai defunti ripetendo ancora per nove volte «Spiriti dei miei padri, andate via [Manes exite paterni].» come riferisce Ovidio nei libro V dei Fasti[9].

Nel sito https://www.romanoimpero.com/2018/05/lemuria-9-maggio.html si parla di questa festività fosse molto allegra e quindi da ricondurre oggi alla festività dei morti messicana, dove il ricordo di chi non c’è più viene svolto quasi come un carnevale.

Nell’antichità una processione di ceri attraversava l’abitato di notte, (un po’ come ricordo con suggestione, la processione dei lumi durante la corsa della spada a Camerino); fuori delle case si lasciavano torce accese ai lati delle porte con dei piccoli dolci in offerta ai defunti.

   La figura di Zeus – come anche degli altri dei – era collocata sui monti, difatti sul Gargaro – la vetta più alta del monte Ida – vi sorgeva un tempio di Zeus; ma tutta la vetta come dice il dio stesso a Ganimede, è l’altare del dio che piove, tuona e produce i fulmini[10]. Un culto connesso ai luoghi alti «nella regione delle folgori e dei venti», e se mancavano le alte quote si costruivano edifici oppure delle Altae Arae, cioè degli altari. Giove diviene pertanto il dio delle vette.

Insieme ai monti, sacre divennero anche le grotte – Giove, il dio romano assimilato a Zeus, del resto era nato nella grotta di Rea sul monte Taumasio a Creta – che potevano essere «dimora, talamo e tempio» nel mondo religioso dei nostri antichi Padri.

Stranezze geologiche come fessure, caverne o grotte in Grecia e Roma, erano ritenute luoghi che condussero all’Ade, come la grotta di Rea che servì – dopo aver rapito la giovane Europa – da talamo ai piaceri extraconiugali dello stesso Zeus, il quale «prendendola per mano, condusse nell’antro Ditteo, Europa, che tutta rossa guardava a terra: sapeva ormai perché veniva condotta lì[11]», oppure l’antro dell’Idra di Lerna situata nella palude cretese dove vi era un solenne e antico santuario[12]. A Lebadea, nella regione greca della Beozia, vi era l’oracolo di Trofonio. Il supplice doveva purificarsi per alcuni giorni, sacrificare appunto a Trofonio, nutrirsi di carni sacre e alloggiare nell’edificio della Buona fortuna e del buon genio. Era poi lavato e unto e beveva al Lete il fiume dell’oblio, per dimenticare se stesso, e in seguito alla fonte della Memoria. Indossata una tunica di lino e una rete, si avvicinava alla voragine che assomiglia a un forno, giunto al fondo, infilava le gambe in un’apertura dove subiva uno strattone alle caviglie ed entrava con in mano un pane d’orzo, a questo punto gli veniva predicato il futuro[13].

A Roma vi era il Mundus, Plutarco (Vita di Romolo, 11, 1-2) narra che Romolo scavò una fossa di forma circolare nell’area del Comizio, da tutti chiamata mundus e dalla quale si tracciò il perimetro della città, di cui ne costituiva il centro. Fu detto dopo il medioevo Umbilicus Urbis Romae[14].

A questo proposito c’è un quesito in grado di distruggere il cervello – molto di più di come riuscire oggi [evviva la lira, che se almeno c’è l’avessimo faremo, come il neroniano Pippo Franco, con essa, ’na cantata] a far uscire dall’unione europea l’itaglia – è questo: se dopo che si è riempito di terra il mundus, alzato un altare sul quale venne accesso il fuoco sacro [ne parla Ovidio nei fasti secondo quando scrive Alfredo Cattabiani nel 1990 a pag. 15 del suo Simboli, miti e misteri di Roma, Newton edizione 2016]. Il focolare di Roma, poi spostato successivamente nel Foro, ebbene in centro Romolo traccia regolarmente il perimetro sacro, il sulcus primigenius, che deve difendere magicamente la città… allora perché si è sempre detto che la prima Roma era quadrata? Per alleggerire il più possibile questi argomenti con noterelle che facciano al più sorridere direi che qualunque sia la risposta è inevitabile che i romani antichi trovarono la quadratura del cerchio!

Ad agosto, ottobre e novembre veniva permesso che «tre volte all'anno, il ventiquattresimo del mese di agosto, il quinto del mese di ottobre e l'ottavo di novembre, una cerimonia particolare aveva luogo: veniva aperta la porta dell'inferno e i morti avevano libero accesso  nell’atmosfera. In questi giorni erano quindi sacri, religiosi, e tutti gli affari venivano sospesi. » ma anche se questa visione negromantica piace molto al mondo cattolico[15], in realtà doveva essere solo una esposizione di oggetti di culto; sembra che «Secondo un rito preso in prestito dai Romani dagli Etruschi, fu scavata una fossa nel centro della città – quando furono gettate le fondamenta di quest'ultima – per far comunicare gli Inferi con il mondo superiore. I primi frutti e altri doni furono gettati nella fossa, così come una zolla della terra del paese natio dei coloni. Molto interessante il fatto che forse «Altre fosse utilizzate per il culto dei morti, esistevano in altre parti della città.»[16].

Oppure vi era sempre nella città di Roma, il «Tarentum» dove venivano svolti i «ludi saeculares»[17]

Erano porte in cui gli uomini a volte vi si recavano personalmente per entrare nel regno dell’aldilà; in genere questi luoghi sacri erano custoditi da sacerdoti o sacerdotesse che dietro adeguato compenso erano disposti a far da medium.

Ma si poteva contattare anche un negromante locale per entrare in contatto con il mondo dei morti. Un sistema era comunque quello della “trincea di sangue” usata nell’Ade da Ulisse «Io l’acuto coltel tratto dal fianco, / Fossa cavai d’un braccio, e quinci, e quindi. / E intorno, libamenti ne libammo / A tutti i morti, pria col vinomele, / E poi con dolce vin: terzo con acqua: / E vi spruzzai della farina bianca. […] Le pecore prendendo, tagliai ’l collo, / E ’l negro scuro sangue discorrea […] Io l’acuto coltel tratto dal fianco / Mi sedea, nè lasciava i frali capi / De’ morti al sangue avvicinarsi, pría / D’udir Tiresia.»[18]; secondo il sarcastico Luciano si può tuttavia usare il giardino di casa «Tu, ripresi io, tu hai veduto l’Iperboreo volare, e camminare su l’acqua? - Io sì, rispose: anzi aveva gli zoccoli, come li usano colà. Oh, ma queste cose son niente: ei faceva altro, ispirava amore, evocava gli spiriti, risuscitava le persone morte da più tempo, tirava su Ecate dall’inferno, faceva scender la Luna in terra. Io vi voglio contare ciò che gli vidi fare in casa di Glaucia figliuolo di Alessicleo. Poco dopo che Glaucia, mortogli il padre, divenne padrone assoluto del suo, s’innamorò di Criside figliuola di Demeneto. Io ero suo maestro in filosofia; e se quell’amore non me lo avesse sviato, egli ora saprebbe tutta la dottrina del Peripato; chè di diciotto anni sapeva l’analisi, ed aveva percorsa la fisica tuttaquanta; ma perduto di questo amore, confidò a me le pene sue. Io, come conveniva a maestro, gli conduco a casa quel mago iperboreo, al quale ei diede quattro mine subito (chè qualche cosetta si doveva anticipare pei sacrifizi), e ne promise altre sedici, se giungesse ad avere la Criside. Il mago, aspettata la Luna piena (chè allora quest’incantesimi riescono meglio), cavò una fossa in un atrio della casa, e a mezza notte ci chiamò prima Alessicleo, il padre di Glaucia, morto da più di sette mesi: era assai sdegnato il vecchio per questo amorazzo, e infuriava, ma infine dovette chetarsi e consentire. Poi tirò su dall’inferno Ecate che conduceva Cerbero, e fece scender giù la Luna che ci apparve in molte forme diverse, prima prese aspetto di donna, poi divenne una giovenca bellissima, poi si cangiò in cagna. Infine l’Iperboreo, rappallottolato un Amorino di creta, Va’, disse, e menaci Criside. L’amorin di creta volò: ed indi a poco ecco battere alla porta, ed entrare la giovane, che come pazza d’amore abbraccia Glaucia, e stassi con lui fino a che udimmo cantare i galli. Allora la luna rivolò in cielo: Ecate sprofondò sotterra, tutto le fantasime sparirono, e noi rimenammo Criside a casa che quasi rompeva l’alba. Se tu avessi vedute queste cose, o Tichiade, ti dico io che ora crederesti nella virtù degl’incantesimi.» [19].

In riferimento al fatto che Ulisse caccia via le anime dalla pozza di sangue con la spada, alcuni esperti di tradizioni popolari, riferisce sempre Finucane, asserivano che in molte culture oggetti appuntiti come coltelli e spine, erano considerate in grado di respingere gli spiriti. 

  Diversamente da Ulisse ad un saggio uomo come Apollonio di Tiana – che la famigerata e più che malfidata wikipedia riferisce «che Apollonio e Paolo di Tarso siano stati in realtà la stessa persona» – basta in realtà una preghiera per fa uscire Achille fuori dal suo tumulo «Poiché tutti lo supplicavano di parlare e desideravano ascoltarlo, egli prese a raccontare. «Non ho dovuto scavare una fossa come Odisseo né esorcizzarlo con sangue di agnelli, [Allude appunto a Ulisse] per venire a colloquio con Achille; ma gli ho rivolto la preghiera, che secondo gli Indiani si deve rivolgere agli eroi. "O Achille," ho detto "la maggioranza degli uomini afferma che tu sei morto, ma io non credo a questo discorso, al pari di Pitagora da cui proviene la mia sapienza. Se dunque siamo nel vero, mostrami il tuo aspetto: grande vantaggio puoi trarre da miei occhi, se li farai testimoni della tua esistenza". A queste parole la terra si scosse un poco presso il tumulo, e uscì un giovane alto cinque cubiti [Un cubito equivaleva a circa 44 centimetri.], abbigliato con la clamide tessalica: [la clamide, era una specie di mantello usato da guerrieri e viaggiatori] ma non aveva l'aspetto tracotante che alcuni attribuiscono ad Achille, bensì appariva terribile senza perdere di splendore. Anzi, a me pare che la sua bellezza non sia stata ancora lodata si conviene, sebbene Omero ne abbia parlato a lungo: essa è indicibile, e chi la celebra non può che farle torto, anziché avvicinarsi alla sua realtà. Alla prima vista era grande come ho detto, poi crebbe del doppio e anche di più: quando raggiunse la sua statura completa, mi parve alto dodici cubiti, e la sua bellezza cresceva insieme alla statura. Diceva di non essersi mai tagliato la chioma, ma di conservarla intatta per lo Spercheo, poiché questo era il fiume che per primo aveva conosciuto; e sulle sue gote cresceva la prima lanugine. » [20]. Eh! Quando si è una persona santa…



Di una grande impresa di un italiano antico narra Pausania, vedendo le statue degli atleti delle Olimpiadi:

Qui non mi pare di tacere quanto appartiene alle vittorie, al rimanente della gloria d'Eutimo, valente giuocatore alle pugna [nel Ginnasio d'Olimpia]. Fu Eutimo di nazione di Locri d'Italia, il cui territorio è vicino al promontorio Zefirio, suo padre si chiamava Asticle, ancora, che i paesani dicessero Eutimo essere figliuolo, non di lui, ma del fiume Cecino, il quale spartendo il contado Locrese da quello di Regio, hà una proprietà meravigliosa nelle cicale ..Percioche le cicale, che sono nel Locrese, fin’al Cecino, cantano come fanno tutte l'altre. Varcato il Cecino, niuna cicala si trova in tutto il paese di Regio, che Vittorie hamandi pure fuori la voce. Di questo fiume adunque dicono essere figliuolo Eutimo.

Il quale havendo riportato la palma in Olimpia del giuoco delle pugna, nella sestantesimaquarta Olimpiade; nella seguente poi non hebbe il medesimo successo. Percioche volendo Teagene Tasio riportare nella medesima Olimpiade la vittoria del gioco delle pugna, & di quello delle pugna, & de' calzi; egli vinse bene Eutimo alle pugna; ma non potè già Teagene guadagnare la corona dell’olivastro contendendo alle pugna, & à calzi con esso lui, come quello, che nella contesa havuta con Eutimo era stato da lui prima superato. Per la qual cosa i giudici, ò Presidenti de' giuochi condannarono Teagene à pagare un talento à Giove per la sacrata pena, & un'altro ad Eutimo per ricompensa della ricevuta ingiuria, poi ch'erano chiari, che malamente gli haveva intercetto il premio della contesa delle pugna, & perciò giudicarono ch'egli dovesse sodisfare ad Eutimo dè proprij denari. Così nella settantesima sesta Olimpiade, Teagene pagò giustamente a Giove que’ denari, in che l'haveano condannato, & trafugandosi non comparse poi al giuoco delle pugna. Onde, & in quella Olimpiade, & nella Seguente, Eutimo riportò la corona della contesa delle pugna. La sua statua è di mano di Pitagora, & dignissima d'essere veduta. Costui essendo passato in Italia, combattè con vn'heroe, quello che di lui si racconta è questo. Dicono che andando Ulisse errando, doppo la presa di Troia, fù da’ venti trasportato in molte città, sì d'Italia, come di Sicilia, tra l'altre capitò à Temessa con l'armata, dove uno de' suoi compagni di nave, essendo ebbro  sforzò una fanciulla, per la quale ingiuria fù da gli huomini del paese, lapidato. Et Ulisse senza tenere un conto al mondo della morte di costui, dato de’ remi in acqua, s’andò con Dio. Ma lo spirito di quell’huomo, che havenano lapidato, non cessava mai da tempo alcuno d'ammazzare quelli di Temessa, & di perseguitare le persone d'ogni età. In tanto, che stavano homai per partirsi al tutto d'Italia, ma dal l'Oracolo non fù loro conceduto ch’abbandonassero Temessa, anzi comandò loro, che placassero quell'heroe, col consecrargli un luogo, dove gli edificassero un tempio, & ogn'anno li dessero una fanciulla vergine delle più belle di Temesso. Così non mancando essi di fare quanto dall'Oracolo era stato loro imposto; non patirono più per l'avvenire alcuna noia da quello spirito. Ora essendo Eutimo capitato à caso à Temessa, à punto nel tempo, che secondo l'usanza facevano sacrifizio allo spirito; domandò che cosa ciò fosse, venendogli gran desiderio di entrare in quel tempio, dove entrato, tosto, che la fanciulla fu da lui veduta; prima egli fù preso da pietosa compassione, poi da ardente amore di lei, la quale con giuramento gli promise, che salvandola, sarebbe sempre sua. Onde Eutimo armatosi, Stette aspettando l'assalto di quello spirito, e con lui venuto à battaglia, non solamente il vinse, ma il cacciò fuori di quel territorio, & quell'heroe gittatosi in mare disparve. Le nozze poi d'Eutemio furono fatte splendidissime da gli huomini  del paese, per essere stati da Eutimo liberati dalla molestia di quello spirito. Questo hò anche udito dire d'Eutimo, che egli arrivò alla vecchiezza, vivendo lunghissima vita, & che per fuggire la morte; si parti in un cert'altro modo, dall'humana vita. Et un mercatante, che co' suoi traffichi v’havea navigato, mi disse che Temessa era, anche al mio tempo, habitata. Questo m'è stato detto. Ma poi mi sono abbattuto à vedere una cosi fatta dipintura, la quale era fatta alla maniera antica. Il giovanetto Sibari, il fiume Calabro; il fonte Calica. Et di più v'era Giunone, & la città di Temessa, & tra
loro era lo spirito, che fù scacciato da Eutimo. Egli era di colore molto nero, la sua figura tutta spaventevole fuor di modo, & avvolto in un vestimento di pelle di Lupo.
[21]

 



Eutemio raffigurato su un vaso dipinto del V secolo a. E. V.

Da Calabria meravigliosa di facebuk

 

il medioevo è iniziato. Dalla caduta della gloria di Roma è nata un epoca di invasioni di gente più che barbara che ricordano  tempi odierni e sul suolo italiano vige una sola legge: quella nociva del papato.

E i grandi eroi – sia detto sarcasticamente – sono gente di Chiesa.

Parroci, come nella seguente storia che lo scrittore dell’orrore britannico Montague Rhodes James rintracciò durante il suo lavoro di bibliofilo. Dodici storie di fantasmi medievali che non sono accessibili, se non a pagamento oppure riscritte in forma di racconti odierni.

James le ritrovò in un vecchio manoscritto redatto da un monaco dell’abbazia Byland (oggi in rovina) nello Yorkshire, intorno al 1400 e le ripubblicò in English Historical Review n. 37 (1922), pp.413-22, la rivista che si trova – come vi ho riferito – a pagamento.  Secondo lo scrittore i racconti gli ricordavano fortemente le leggende danesi il che è possibile poiché lo Yorkshire fu zona dell'insediamento vichingo.

Se un Polite viene affrontato e vinto da un eroe vero come Eutimo, qui avviene qualcosa di assurdo, difatti Il fantasma del terzo racconto è un "cadavere ambulante" chiamato Roberto il giovane, figlio di Robert de Bolteby di Killeburne, sepolto nel cimitero adiacente alla chiesa. Egli, aveva il brutto vizio di abbandonare il suo sepolcro di notte per terrorizzare i cittadini; tutti i cani di città lo seguivano, abbaiando rumorosamente. Nelle sue scorribande notturne si metteva a spiare dietro porte e finestre (forse semplicemente – umana debolezza – cercava una ragazza con cui divertirsi)

Le uman debolezze di Bob de Killeburne

finché una banda di giovinastri andò al cimitero per fermarlo, ma Roberto il Giovane riuscì a spaventar tutti. Tutti tranne due che furono abbastanza coraggiosi da resistere quando apparve. L’agile Robert Foxton, vincendo la paura, afferrò il morto vivente che aveva il suo stesso nome e lo spinse contro il cancelletto della chiesa, gridando al compagno di andare dal sacerdote. E il parroco del paese – a bordo di una bicicletta come Don Matteo? – arrivò e ordinò a Roberto il Giovane, in nome della Trinità e di Gesù Cristo, di spiegargli le sue strane passeggiate nel villaggio. E il povero morto vivente diede la sua risposta non dalla bocca, ma dalle viscere che risuonarono come una grande giara vuota, confessando i suoi peccati. Alla fine “Don Matteo” lo assolse e con questo gli diede finalmente la pace; comunque gli è andata bene che a Roberto il giovane la penitenza non gliela data Piedone lo sbirro! E così, dopo che il parroco ordinò ai due giovanotti di non raccontare a nessuno la vicenda, poterono tornare tutti felici a far sogni tranquilli.

   Gli annali dell’abbazia di Fulda, un abbazia situata nella tenebrosa Foresta Nera, ci hanno lasciato un resoconto di una manifestazione diabolica all’anno 858 dell’Era Volgare, circa 44 ani dopo la morte de Carlomagno.

Un certo villaggio che si trova  non lontano dalla città Grassa [urbe Pinguia], chiamato Capodimonte [Caput-montium vocata], colà dove hanno  inizio i monti confinanti con l’alveo del fiume Reno [fluminis Rheni],  che il popolo suole chiamare Capemonte [Capmundi], dove un manifesto spirito maligno mostrò la sua protervia.

Infatti si manifestò dapprima tirando pietre e picchiando quasi come con un martello le pareti delle case agli uomini di quel posto; poi in verità parlando apertamente e nascondendo a qualcuno gli arnesi; per cui seminava discordia fra gli abitanti del luogo.

Infine eccitò gli animi contro un solo uomo, come se agli altri questo sembrasse succedere a motivo dei suoi peccati.

E affinché inducesse a maggior odio contro costui, in qualsiasi casa egli entrasse subito lo spirito maligno scuoteva quella casa.

Quindi costretto dalla moglie e dai figli si ridusse a vivere nei campi, perché tutti i suoi familiari avevano paura di prenderlo sotto il loro tetto.

Ma neanche lì gli fu permesso di stare tranquillo; infatti tutti i frutti che raccoglieva e ammucchiava, lo spirito maligno venendo all’improvviso tutto gli bruciava.

Per poter placare gli animi dei vicini, desiderosi di ucciderlo, lo stesso a ferro caldo  (forse mentre la cosa succedeva) lo stesso si dimostrò estraneo ai crimini che gli si rinfacciavano.

Furono mandati perciò dalla città di Magonza  preti e diaconi con reliquie e croci per scacciare da quel luogo lo spirito maligno.

Ma in qualsiasi casa dove infuriava di più essi facessero litanie e spargessero acqua santa, l’antico nemico ( il diavolo) tirando pietre ferì a sangue non poche persone del paese.

Tuttavia per un poco di tempo si calmò dalla sua infestazione. Quando se ne andarono gli esorcisti che erano stati mandati, il diavolo fece sentire a molti discorsi di malaugurio. Infatti un tale prete confessò apertamente di stare sotto il mantello ( controllo ) del diavolo, in quello stesso momento in cui l’acqua santa veniva aspersa nella casa.

A quelli che si facevano il segno di croce per la paura lo stesso demonio disse del medesimo prete: “ E’ mio servitore; da chi infatti è superato, di questi è servitore; perché poco tempo fa, da me istigato, andò a letto con la figlia del fattore di questo villaggio”.

Questo fatto non lo sapeva nessuno dei mortali, eccetto i due che avevano perpetrato il misfatto.

E’ chiaro perciò che niente che sia nascosto riguardo alla verità non sia rivelato.

Così lo spirito ribelle nel sopraddetto luogo per tre anni  non cessò di manifestarsi, finché  non furono distrutti quasi tutti gli edifici.[22]

Ma se pensate che questi folletti sia naturale che agiscano in Germania, sbagliate di grosso. Da una ricerca scrupolosa di Rual Paciaroni[23] sono venuto a sapere che i Mazzamurelli – come sono chiamati nella più che antica Camerino, distrutta prima nel 1259 e poi nel 2016 – in Abruzzo Mazzamarelle, che corrisponde al famoso Monaciello napoletano derivano il nome dai Lemures romani di cui abbiamo parlato più sopra.

 


Un vicolo di Roma dedicato ai mazzamurelli, da: http://www.trastevereapp.com/aneddoti-e-leggende/vicolo-mazzamurelli-fantasmi-a-trastevere/

 

Le ricerche di Paciaroni hanno attestato che la più antica attestazione del Mazzamurello è umbra. Infatti degli abitanti di un villaggio dell’area di Perugia, nel 1276 devono costruire un ponticello nella località «Macçamorellum, in flumine Genne».

  E per concludere:

Un’episodio tratto da

Storie di Fantasmi e di Demoni

che si sono mostrati fra gli uomini.

di

Collin de Plancy, 1819.

 

Traduzione e libero adattamento di Marco Pugacioff

VISITA CONIUGALE DI UN RITORNANTE

   Filippo Melancthon racconta che sua zia aveva perduto suo marito allorché era incinta e stava ormai per partorire. Costei, pochi sere dopo, mentre è davanti al fuoco vede due persone entrare nella sua casa. Una ha la forma del suo defunto sposo, l’altro quella di un francescano di grande stazza. Dapprima si spaventa, ma il marito l’assicura e gli dice che aveva qualcosa d’importante da comunicargli poi fa segno al francescano di passare nella camera accanto in attesa di far conoscere la sua volontà alla moglie.

   Allora la prega di farle dire delle messe e l’esorta a darle la mano senza timore. Ma la povera vedova ha ancora delle difficoltà, allora l’assicura che non sentirà alcun male. Alla fine lei mette la sua mano in quella del marito, poi la ritira senza aver sentito alcun dolore a dir la verità, ma se la ritrova talmente bruciata che le resterà nera per tutta la vita. Dopo di ciò il marito chiama il francescano e i due spettri scompaiono.  



[1] Sembra che a riferire questa notizia sia stato Pausania

[2] Artur Machen scrisse il racconto Gli arcieri [The Bowmen] il 29 settembre 1914 sull’Evening News (come riferisce Giuseppe Lippi a pag. 8 de Il gran dio Pan, Oscar 1982) ma una volta pubblicato arrivarono molte lettere di chi era presente alla battaglia, riferendo il fatto come vero, stupendo l’autore di come la sua fantasia fosse creduta vera. Ma chi ci dice che Machen, a sua insaputa, non abbia scritto un fatto che era avvenuto nella realtà? Pensare sia impossibile? Leggete qua: «Sir H. R: Haggard, scrittore inglese morto nel 1925, nel suo romanzo Maiwa’s Revenge [in italiano La vendetta di Maiwa] fece una descrizione dettagliata della evasione di  Allan Quatermain, il suo protagonista. Questi è catturato dai selvaggi mentre supera una parete rocciosa. I suoi inseguitori lo afferrano per un piede: egli si libera sparando su di essi un colpo di pistola parallelo alla gamba destra.

Alcuni anni dopo la pubblicazione del romanzo un esploratore inglese si presentava a Haggard. Veniva apposta da Londra per domandare allo scrittore come aveva conosciuto la sua avventura in tutti i particolari, perché egli non ne aveva parlato a nessuno  e intendeva tener segreto quell’omicidio.» riferito da Pauwels e Bergier in Il mattino dei maghi, pag. 400, Oscar 2011.

[3] Esiodo, a cura di Aristide Colonna - Opere (UTET, 1977), pag. 255 e pag. 257

[4] Il fascino dell’ignoto – serie televisiva in bianco e nero della rai tv del 1980. Il primo episodio era tratto dall’omonimo racconto d’orrore di Montague Rhodes James. Se non lo avete mai visto, allora non perdete l’occasione, è su youtube al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=tpuNkAXvFxI&t=97s   Da segnalare, visto che siamo in tema di fantasmi, spettri e streghe che anche il secondo episodio di questa serie, l’inquietante La mezzatinta,  era tratto da Montague.

[5] Massimo scotti, Storia degli spettri, Feltrinelli 2013, pp. 35-35

[6] Ronald C. Finucane, Fantasmi,cap. 1, Avverbi 1997.

[7] Il Fedone ovvero Della immortalità dell'anima, Dialogo XXX

V.: https://www.liberliber.it/online/autori/autori-p/plato-platone/il-fedone/ 

 

[9] V.: pagg. 350-353 dell’edizione veneziana  del 1811 tradotta da Giambattista bianchi. in

https://archive.org/details/ifastiovid00oviduoft/page/350

[10] Luciano di Samosata, Dialoghi, Grandi tascabili Economici Newton 1995, pag. 225

[11] Luciano di Samosata, Dialoghi, pag. 191

[12] Vedi introduzione al libro Con Dante e la Sibilla ed Altri, di Febo Allevi del 1965.

[13] Pausania, IX, 39.

[14] Nella Urbs Remensis, così menzionata nei Faict Merveilleux de Virgille del XVI° secolo, ovvero la Nuova Roma “creata” da Carlo Magno, detta in un documento farfense del 1077 Urbs Aurea in Comitatu Camerino [città aurea, ricca nel territorio di Camerino], vi era un omphalos o ombelico e questa cosa creò la successiva confusione sulla seconda denominazione del Mundus a Roma.  

Faccio male a parlare di Aquisgrana in Val di Chienti, perché il suo spettro sarà spazzato via dagli studi universitari, ma non posso farne a meno. Se per gli altri i marchigiani devono rimanere solo dei bifolchi cornuti e senza storia, personalmente mi ribello a che la Verità Storica sia soffocata dal potere costituito.

[15] Non per niente scotti scrive «l’avvento del cristianesimo, avrebbe dovuto cancellare le vecchie credenze e le relative superstizioni. Al contrario, ne sfrutta il potenziale spaventevole ai propri fini, enfatizza la credulità e confonde ulteriormente le categorie, facendo rientrare ogni tipo di figura che appartiene al ricchissimo mondo invisibile del politeismo in un solo, ribollente calderone demoniaco» ma, continua Scotti «i più creduloni a quell’epoca non erano i vecchi pagani, ma i Padri della Chiesa, come secoli dopo lo sarebbe stato lo stesso Lutero.» V. Pag. 38.

[16] «Three times a year, on the twenty-fourth of August, the fifth of October and the eighth of November, this ceremony took place: the door of hell was opened and the dead had free access to the atmosphere. These days were therefore sacred, religiosi [in italiano nel testo], and all business was suspended on them.» «According to a rite borrowed by the Romans from the Etruscans, a pit was dug in the centre of the city, when the latter's foundations were laid, in order to make the Inferi communicate with the upper world. First fruits and other gifts were thrown into the pit, as well as a clod of the earth of the settlers' native country «Other pits used for the cult of the dead existed else where in the city.» Franz Cumont, After life in Roman paganism, 1922, pag. 71. Il tutto tradotto da Google traduttore e poi liberamente adattato; non avendo trovato il libro in francese (probabilmente non esiste), non potuto fare altrimenti. 

V.: https://archive.org/details/afterlifeinroman00cumouoft/page/n91

[17] Due parole in più le ho già spese nel capitolo Rione Monti su Piccolo campionario dell’insolito 9. V.: https://marcopugacioff.blogspot.com/2019/01/roma-tra-streghe-pasta-e-diavoli.html

[20]  V. Filostrato, Vita di Apollonio, libro IV, capitolo 16.

[21] Descrittione della Grecia di Pausania ... tradotta dal greco in ..., Volume 1,Mantova1543 pagg. 244-245.  da gogole libri

 

[22] Intrigante il fatto che il primo evento di poltergeist, malignus spiritus (citato negli annali di Fulda nel 858), sia avvenuta in una casa o fattoria sul fiume Rheni (ma và!), non lontano dalla urbe Pingua (città ricca, come – citata anche in un documento farfense del 1077 – Urbs Aurea in Comitatu Camerino molto probabilmente da identificarsi con le rovine sotto Urbisaglia dove sono i resti dei templi antichi) Caput-montium vocata […] quam vulgus corrupte Capmunti (in nota cammunti)… mi ricorda fin troppo da vicino il detto «Roma (Urbisaglia) capu de mundi  / Mondemilo (Montemilone oggi Pollenza) secundi».

Devo ringraziare il professor Enzo Mancini per la sua traduzione – la mia era non perfetta e piena di refusi, che però identifica l’Urbs Pingua con Bologna (e così fu chiamata da quando ebbe l’università, un università meno antica dell’Universitate Parisius) anche per l’indicazione del fiume Reno, fiume però che l’antico autore della trascrizione identifica con il solito fiume tedesco! Inoltre il suo spirito razionalista del professore identifica la manifestazione con le scosse di un terremoto.

De toute façon, tutto ciò mi riporta al più che giustificabile sospetto che i monaci tedeschi si siano appropriati di una vicenda non loro, ricollocandola in posti a loro famigliari; non per niente l’esorcista veniva – guarda tu! – da Magonza [Mogontiaca].    

[23] Il suo bel libro è in rete al seguente indirizzo: https://www.raoulpaciaroni.it/docs/Paciaroni-mazzamurelli-marche.pdf

 

 

Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

03/10/'20

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