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sabato 26 marzo 2022

Nostradamus il vampiro - saga vampirica messicana anni ‘60

 

Nostradamus il vampiro  

saga vampirica messicana anni ‘60

 

Sai che c’è?

Sai che c’è?

‘mo lo mordo,

che è meglio per me !

il Quartetto Cetra

 

  

 

   Le famose saghe messicane della cinematografia del terrore – che non hanno nulla da invidiare a quelle della britannica Hammer – è una miniera di suggestioni che ancor oggi, dopo oltre quaranta anni, hanno il potere di affascinarmi. 

 


Da quando vidi Il fantasma del convento dei primi anni ’30 in italiano in televisione, seguito da Morte in vacanza, [titolo originale Macario] (con Ignacio López Tarso nella parte del contadino nullatenente Macario, regia di Roberto Gavaldón, 1960), passando per la pellicola di Kalimán, el hombre increíble, (con Jeff Cooper, regia di Alberto Mariscal, 1972) per non dire delle pellicole di El Santo (in Italia Argos), che le televisioni private sfornavano quasi giorno per giorno, al pomeriggio di quei primi anni ’70, e che riempivano le mie giornate di fanciullo insieme ai sceneggiati francesi I banditi del re e Vidocq, e telefilm yankee come le avventure di Kociss, Matt Dillon, Maverick e Paladin.

Per questo sono affascinato dal bianco e nero, il mondo delle ombre – se non ricordo male – come fu definito in un articolo giornalistico dell’ormai defunto L’Unità. E per questo amo il bianco & nero anche nel fumetto e deploro le ultime coloriture di fumetti che dovrebbero restare in bianco e nero. Ma siccome la mia voce, odiosa per tutti, rimarrà inascoltata torniamo a questa saga di quattro pellicole.     

   L’altro giorno sono tornato su https://cineclasicodcc.com/category/cine-mudo/page/5/ e ho scoperto una vampiraccio sul tipo di Dracula, che ricorda quello interpretato da Christopher Lee [1922- 2015] (cugino del conte e archeologo, professor Andrea Carandini) per la prima volta nel ‘58.

Ne consegue che questo vampiro messicano è venuto dopo questa pellicola di Terence… Hill? No, Fisher. Comunque Lee mi piaceva di più nelle pellicole su Sherlock Holmes. Gli stessi episodi con cui sono divisi i lungometraggi dovrebbero esser  stati realizzati alla fine degli anni ’50.

 


   Il regista è Federico Curiel (Monterrey, (Nuevo León, Stati Uniti del Messico, 19 febbraio 1917 – Cuernavaca, Morelos, 17 giugno 1985) già disegnatore di fumetti [dibujante], caricaturista, compositore, cantante, attore, regista e scrittore di cinema; tanto che scrisse e diresse dal ’61 alcune pellicole del El Santo. [vedi: https://es.wikipedia.org/wiki/Federico_Curiel].

 

Robles è Nostradamus 

  L’interprete del vampiro è German Robles, (Germán Horacio Robles San Agustín Gijón, Asturias, Spagna; 20 marzo 1929 – Ciudad de México, 21 novembre 2015) attore teatrale, cinematografico e televisivo nonché doppiatore in spagnolo di alcune pellicole Disney. Più giovane di Lee, curioso anzichenò, morirono ambedue nello stesso anno.

Per colpa della guerra civile spagnola la sua famiglia emigrò in Messico dove Robles divenne attore. Ebbe un enorme successo nelle pellicole dell’orrore, in particolare in quelle dei vampiri. Ha recitato in più di novanta lungometraggi. Nel teatro di lingua spagnola recitò su I fratelli Karamazov e ne La signora delle Camelie insieme a Dolores del Río.

Robles iniziò la sua carriera con una pellicola di orrore del ’57, in cui già faceva un vampiro. Il titolo è appunto El vampiro, diretto dal regista Fernando Méndez, su soggetto di Ramón Obón Arellano, ed ebbe un grande successo. Fu seguito da El Ataúd del vampiro [la bara del vampiro], che però non ebbe il successo del precedente. [v. https://es.wikipedia.org/wiki/Germán_Robles ].

 

Dìaz è il professor Durán, Robles il vampiro e Méndez è Antonio 

  Il suo nemico è il professor Durán, cioè Domingo Díaz Pavia (Chilpancingo, Guerrero 1901 - Acapulco 1961) che interpretò perfino Pancho villa nella pellicola ¡Vámonos con Pancho Villa! Del 1936. Attore fin da una età giovanile, lavorò talmente che le sue interpretazioni inedite seguirono fino al ’63. [v. https://es.wikipedia.org/wiki/Domingo_Soler]

   Il suo assistente è Antonio ovvero Julio Méndez Alemán (Morelia, Michoacán; 1933 - Ciudad de México, 2012), mentre la figlia Anita è l’attrice messicana Aurora Alvarado (11 gennaio 1940).

 

Il volto bello e delicato della signora Alvarado 

   Il soggetto è opera di Alfredo Ruanova (Buenos Aires 1919 - 1977) [v. https://es.wikipedia.org/wiki/Alfredo_Ruanova e https://www.imdb.com/name/nm0747739/], Carlos Enrique Taboada (Ciudad de México 1929 - 1997) [https://es.wikipedia.org/wiki/Carlos_Enrique_Taboada] e lo stesso Federico Curiel.

 

La famiglia al completo: il professore, Antonio e Anita dalla seconda pellicola

 

01 - La maldicion de Nostradamus 1960

 

   Nostradamus è un vampiro aristocratico, figlio del famoso visionario, nonché uccellaccio del malaugurio, Nostradamus [in italiano e spagnolo sarebbe Nostradamo], con l’aiuto del suo servo gobbo Leo, si dedica a lottare contro i suoi nemici.

Disegno del primo Michele Nostradamo tratto da

Museo scientifico, letterario ed artistico del 1842

 

    Nostradamus ebbe infatti dei figli tra cui «Michele detto il Giovine per distinguerlo dal padre, che tentò inutilmente di pronosticare l’avvenire; L’evento non era mai d’accordo con le sue predizioni. Aveva detto che la piccola città di Pouzin nel Vivarese, assediata dalle truppe reali, sarebbe perita per incendio;  e volendo aver ragione almeno una volta, appiccò egli stesso il fuoco a più case quando quella città fu presa. Ma St. Luc, avendolo sorpreso in ciò fare, gli passò addosso col cavallo e così lo uccise l’anno 1574. Si ha di Nostradamo il Giovine un Traité d’astrologie, Parigi 1563.» Da Nuovo dizionario storico, ovvero, Biografia classica universale ..., Volume 3, Torino 1835

 

  La prima pellicola appartenente alla saga messicana di Nostradamus, è composta da tre episodi.

1 – El deto del destino [Il dito del destino]: il professor Durán festeggia con sua figlia Anita, il suo fidanzato nonché assistente del professore, Antonio, ed altri colleghi il successo del suo nuovo comitato per combattere le credenze e le superstizioni irrazionali [tipo quello di coloro che ci-capiscono tutto].

Il veggente Nostradamus appare nel sarcofago a suo nipote

Nello stesso momento, Nostradamus il vampiro, fedele all’ombra dell’eternità che ha oppresso ben quattro secoli, invoca il padre (che in realtà lo chiama figlio del suo figlio, quindi suo nipote), padrone della vita e della morte e il suo antenato dalla tomba gli ordina di vendicare la sua memoria e di ristabilirne il suo culto.

Da lui riceve le pergamene del caos e se i mortali vorranno luce e scienza saranno sterminati. Quindi che cada sui mortali la maledizione di Nostradamus: fame, miseria, odio, peste e morte.

Così Nostradamus si presenta dopo il ricevimento di fronte a Durán e gli consiglia, anzi esige  che il professore glorifichi il nome del suo celebre padre;

Durán risponde con disprezzo che alchimia, magia nera e simili aberrazioni morirono insieme al veggente, quattro secoli prima. Nostradamus allora minaccia di assassinare un collega di Durán.

L’ultima scena allucinante, sono le dita dell’amico del professore che escono dalla bara disseppellita dove era stato interrato vivo.

2 – Il libro dei secoli: Per cercare di salvare sua figlia, il professore gli fa indossare l’antica croce di Antiochia, regalo di un suo amico. Ma Nostradamus ipnotizza quell’amico, un bibliotecario di libri antichi, che è diretto alla casa di un collezionista, a cui vuole vendere una copia de Le profezie di Nostradamus, un libro stampato nell’anno 1545, un anno chiamato da maghi e alchimisti l’anno magico, famoso per le profezie del veggente; qui vi è scritto che «[…] è possibile che uno spirito può proiettarsi verso un’altra persona e che allo stesso tempo cheil suo corpo astrale sia esso stesso influenzato». Ed è quello che Nostradamus fa! Prende il controllo del corpo astrale del bibliotecario e lo obbliga ad eseguire i suoi ordini. Infatti subito dopo il bibliotecario spara a un celebre collezionista. Il giorno dopo la polizia, trova il bibliotecario che non ricorda nulla.

3 – Le vittime della notte: il vampiro stavolta vuole uccidere un agente della polizia, un certo Angel Mendieta; in realtà un agente segreto. Intanto rapisce Anita ma ormai suo padre Durán e Antonio, entrano nel nascondiglio del vampiro, un luogo chiamato il castello del marchese, con una croce e pallottole d’argento e credono di uccidere Nostradamus. 

 

 

2 Nostradamus y el destructor de Monstruos

  1 – Il distruttore dei mostri. Due ragazzini cadono in un buco e si avventurano in una tetra catacomba. Qui vengono perseguitati da Leo, ma i due ragazzini riescono a sfuggire e Leo ritrova vivo il corpo del suo padrone semisepolto dalla terra.


Nostradamus vuole un’altra vittima e questa volta è un bambino, ma stranamente lo lascia portar via dal suo rifugio dal professore e da Antonio.

    2 – Lo studente e la forca: Nostradamus stavolta ripiega come vittima su di un assassino condannato alla forca, tutto questo mentre due studenti di medicina chiedono il permesso al direttore della prigione di poter utilizzare il suo cadavere per un esperimento, ma dopo il suo divieto, cercano di rubare il cadavere. Ma l’assassino è stato impiccato già trasformato in servo di Nostradamus. Della visita al sanatorio dove sono i cadaveri, il nuovo vampiro uccide prima il custode e dei due studenti rimane in vita uno solo, che sarà eliminato nel successivo capitolo.

Il professore e Antonio in casa di Igor cacciatore di vampiri

 

 3 – la bara vuota: Igor, è l’ultimo discendente del conte Kravez, che dal XIII secolo ha creato una famiglia di cacciatori di vampiri, il quale si mette in contatto con il professore e Antonio e tutti vanno alla ricerca di Nostradamus e del suo nuovo servo, l’assassino impiccato. Igor grazie al suo bastone, dà la pace eterna all’assassino ormai vampiro e contemporaneamente anche Nostradamus muore in altra parte della cripta che viene data alle fiamme.

 


3 Nostradamus el genio de las Tinieblas – 1962

 

1 – Oltre la vita

2 – Il figlio della notte

Il vampiro chiede aiuto al suo fedele servo Leo; quando Leo arriva nel nascondiglio del vampiro, che trova in fiamme e salva il corpo incosciente del suo padrone.

Intanto Igor si trova nel laboratorio del professor Durán, che gli spiega come utilizza i suoi strumenti contro i vampiri umani. Igor spiega al professore, sua figlia e Antonio come l’esistenza è legata a una vecchia pergamena che  appartiene ai suoi antenati e che fu interrata per la seconda volta con il fondatore della dinasta nel 1490. Durán ricorda di aver letto in un libro che questa pergamena si ipotizzava fosse nascosta o in Italia [mi sembra che Durán dica Pietracanna, ma l’unico luogo con questo nome è uno scoglio vulcanico vicino l’isola di Felicudi, l'antica Fenicusa] oppure in Ungheria. Igor aggiunge anche la Transilvania, da dove arrivò, e nella città dove vive il professore. Comunque il libro di cui parla Durán era stato scritto dal nonno di Igor. Comunque se si riuscisse di distruggere la pergamena si priverà il vampiro delle sue facoltà e del suo potere.

 

 

Igor non è totalmente in forze, tanto che potrebbe soccombere, sarà quindi la scienza del professor Durán ad annientare il vampiro; è in fondo un passaggio di compito dal più giovane rappresentante degli antichi cacciatori di vampiri ad un saggio e maturo erudito del XIX secolo.  Interviene Rebecca la strega, madre di Leo, la quale conserva la vecchia e micidiale pergamena. Il vampiro riesce a mette Rebecca in trance e bruciarla nella sua casa.

Nostradamus ipnotizza Antonio, perché uccida Igor, ma il cacciatore di vampiri riesce a liberare Antonio dall’influsso di Nostradamus e poi và ad affrontare il vampiro…

ma l’intervento di Leo, fa decidere sull’esito della lotta e Antonio in casa dei Durán sente la fine dell’ultimo ammazzavampiri.

   Anita convince Antonio a ricorrere all’aiuto di un mago/fakiro per ricordare il percorso per il nascondiglio del vampiro, ma nel corso della seduta, il fakiro viene impossessato da Nostradamus e rivela che la sua prossima vittima sarà chi abita ad un certo indirizzo, subito dopo il fakiro muore.

 
 

Allora il professore e Antonio entrano di notte in una villa cittadina e tutta la vicenda si svolge alla luce soffusa delle candele e la conclusione di questo capitolo giustifica in pieno il titolo di Mas allá de la vida [Oltre la vita].

   L’ultimo capitolo inizia per strada, dove Antonio urta per distrazione un pittore e fra i suoi quadri vi è dipinta la facciata del nascondiglio del vampiro. Allora corre a casa del professore che è riunito con i rappresentanti del comitato. Ora Antonio ha ritrovato  la memoria e porta tutti nella funesta cripta. Troppo tardi! Leo ha risvegliato il suo padrone e Nostradamus può così fuggire.

A Durán non rimane altro che raccogliere all’interno del feretro le ceneri degli antenati del vampiro su cui deve per forza riposare; inoltre fa portare via il feretro/sarcofago.

Ma commette un errore: fa analizzare le ceneri da un suo collega, anche se per precauzione gli lascia la sua rivoltella con pallottole d’argento.

Mentre Leo recupera il sarcofago alle pompe funebri, Nostradamus penetra nel laboratorio di analisi e uccide l’analizzatore e il suo assistente.

  L’ultima  scena è quella del professor  Durán che sparge al vento le ceneri maledette.

 

 

4 La sangre de Nostradamus – 1962

 

Gli episodi sono

1 – l’uccello nero

2 – l’apparizione nel convento

3 – l’ultima vittima

   Ma le erbe cattive non muoiono mai e il figlio (anzi nipote) del famoso visionario Nostramus, l’elegante vampiro ritorna. Il suo scopo è quello di cercare coloro che furono nemici del padre, avvertendoli prima del loro destino in modo da tormentarli.


  Nostradamus nel suo rifugio, una antica cripta, si mette a suonare in maniera virtuosa un violino e si vedono le tombe aprirsi, poi gli occupanti si mettono a ballare, ma si vedono solo le loro ombre sui muri e l’unica figura reale è Leo che danza – insieme alla sua topolina bianca che vive in una saccoccia del suo abito stracciato – anche lui al suono del suo padrone. Scena suggestiva che ricorda quelle fantastiche de Il vampiro del 1928.

 

Da Il vampiro di Carl Theodor Dreyer del 1932

 

Una delle vittime prescelte del fatale annuncio è il capo della polizia locale che mette in allarme i suoi uomini per sfuggire alle minacce di Nostradamus.

 


  Poi è la volta di una graziosa cantante di cabaret, ben “fornita” di latteria, a cui  Nostradamus succhia il sangue davanti ad una terrorizzata Anita.

   Altra vittima è un uomo che tenta di nascondersi in un convento. E proprio lì, sui suoi tetti muore e con lui anche Leo.

   L’ultima vittima designata da Nostradamus è lo stesso professore, a cui il vampiro indirizza l’odio dello stesso comitato che dirige e quello del popolo che penetra nella casa per distruggerne il laboratorio e poi trasporta Duran in piazza per bruciarlo in un rogo, ma Nostradamus compare per vampirizzare il professore e gli va male, rimane infilzato dal bastone di Igor che Antonio aveva ritrovato nella cripta del vampiro, localizzato grazie agli strumenti, ormai distrutti, del laboratorio.

  La scena finale è  quella del vampiro ormai ridotto in cenere. La lotta è finalmente finita.

 

Gli episodi sono

1 – l’uccello nero

2 – l’apparizione nel convento

3 – l’ultima vittima


   Provate a vederli; lo spagnolo è una lingua tanto armoniosa e musicale che dà un buon gusto ad udirla.

Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

26/03/'22

 articoli

sabato 19 marzo 2022

Tre storielline macabre

 

Tre storielline macabre

 

Copertina di un albo di Mandrake in lingua inglese

 

   Sui vecchi numeri del Giornale dei Misteri, tra i molti che scrivevano articoli, vi era un certo Harold Riciputi. Questo autore era Aroldo Riciputi (Nuova York 1915 - Cattolica 1978), e scrisse alcuni libri tra cui La città sommersa: Conca o Valbruna, (senza data, ma probabile edizione degli anni ‘50) incentrato sull’antica città sommersa di fronte Cattolica – ne parlò pure a pag. 63 del Giornale dei Misteri n. 47 – di cui parla pure Flavio Biondo, [… sotto Fogara verso Arimino (Rimini) è un vico chiamato Catolica, presso il quale, quando il mare è tranquillo, si vede più sotto l’acque, alcune mura, e torri d’una terra, che fu inghiottita dal mare, chiamata Conca. Pag. 132 dell’edizione in lingua volgare del 1543].

Eppure scriveva anche di cose che andavano oltre la reatà! Come la vicenda de

 

Un terrificante avambraccio

 

    E questa dell’avambraccio è davvero oltre, direi un vero e proprio incubo…

Siamo in una giornata imprecisata di un anno altrettanto imprecisato della fine degli anni ’20. Ah sì, del ‘900, naturalmente; a Farmingdale in quell’isola lunga davanti a Nuova York. Riciputi la narra come se fosse capitata a lui stesso… Egli ricorda con orrore che quella mattina presto il suo bastardino Rusty [e Rinty, non c’è?] gli venne incontro con un avambraccio umano destro.

Chiamò subito il suo amico sceriffo Joe Smuthers e quando arrivò a casa sua, gli mostrò il macabro reperto; ma né i medici dell’ospedale, né quelli delle cliniche private seppero dare spiegazioni sulla provenienza del reperto.

Tornati nell’ufficio dello sceriffo, i due amici, furono informati che Stubby Perkinson – custode del cimitero situato a un chilometro dall’allora periferia della città – aveva chiesto di Smuters, ma al telefono sembrava fuori di testa.

Lo sceriffo decide di recarsi subito sul posto e si fece accompagnare dal suo amico. E lì trovarono ben diciotto bare risotterrate con furia crudele… in più ad ogni salma era stato divelto l’avambraccio destro. Ne mancava solo uno; ovvio, quello trovato da Rusty.

Letteralmente angosciante; nemmeno da morti si può stare tranquilli.

Non era finita lì: in fondo al cimitero vi era una chiesetta per le funzioni funebri. Nello spazio d’erba alla sua fronte scoprirono un cerchio bruciato di una ventina di metri, nel cui bordo trovarono una altro avambraccio destro quasi del tutto carbonizzato. Intorno al gomito mostrava una striscia circolare di qualcosa simile al cuoio, con un bel po’ di ganci, come fosse parte di una cerniera di cui mancava la parte superiore.

Esaminato nel laboratorio della Università di Columbus, l’avambraccio «non risultò appartenere alla razza umana, né ad alcun animale conosciuto sul pianeta Terra.»

    Come era prevedibile la notizia finì in pasto alla stampa ed è proprio per questo che la sinistra vicenda ebbe la sua conclusione da incubo vero e proprio.

Poche ore dopo arrivò dal Nuovo Messico una telefonata al Comando della Polizia di Farmingdale. Era lo sceriffo della città di Utaxo, che raccontò al suo collega di Nuova York della sinistra fine di Eddy Stone, morto delirante e dissanguato.

   Stone era uscito all’alba per andare a caccia di crotali nel deserto. Ad un certo punto sentì tremargli la terra sotto i piedi mentre tutt’intorno si illuminava come il sole fosse allo zenith. Alzò la testa e vide sopra di esso una enorme palla di fuoco da cui uscì una scala a telescopio. 

Dalla palla infuocata era disceso un essere simile ad un uomo gigantesco con una strana anomalia: aveva tre braccia. Due a sinistra e una a destra con al di sopra un foro nero. Stone era inchiodato al suolo e non poteva muoversi e vide con terrore come l’essere, appena toccato il suolo, si copriva il foro al lato destro del suo corpo con una delle sue mani sinistre.

Gli si fece davanti e gli tagliò a Stone suo braccio destro dall’omero.

Stone non sentì alcun dolore e non gli uscì nessuna goccia di sangue, questo almeno fino a quanto la strana palla di fuoco non sparì in cielo a velocità folle. Allora sì che sentì un dolore immenso e dalla ferita sgorgò copioso il sangue.

Dei cacciatori di mustang lo trovarono, gli fecero una medicazione di emergenza e lo portarono di corsa  all’ospedale di Utaxo, dove riferì con parole deliranti allo sceriffo, del suo disgraziato incontro con quello che possiamo definire l’alieno, prima di spirare.

     Che storia è? Una vera e proprio pesadilla come si dice in spagnolo, ma è vera o falsa? Certo, per i più È sicuramente falsa, narrata poi in una rivista a dir poco ridicola come il Giornale dei Misteri [nel n. 48 del marzo del ’75]; se però è reale, non si vada in giro a dire che i componenti dei popoli delle stelle ci vogliono bene…

 

Bella illustrazione per una copertina di albo turco di Mandrake

 

Fuochi fatui nell’Hudson

 

   Dello strano fenomeno di Shiranui o fuoco divino, non ne sapevo praticamente nulla, finché – se non ricordo male – nel vecchio e bel programma di Tele Montecarlo chiamato Stargate, linea di confine, non fecero vedere un collage di video strani provenienti da un bel po’ di luoghi del pianeta. Uno di essi faceva vedere delle sfere o stelline che uscivano dal terreno sotto a un fiume e si libravano veloci nella notte, e tutto questo di fronte a un vasto pubblico orientale totalmente entusiasta di quello spettacolo di… Madre Natura. Se non era Shiranui, doveva essere qualcosa di molto simile.

   E qualcosa del genere doveva sembrare il fenomeno che di notte, dalle torbide acque del fiume Hudson salivano delle palle di fuoco e che a pelo dell’acqua, seguivano la corrente e come in un ballo satanico si intrecciavano tra loro.

    Sempre Riciputi narra che, credo proprio all’inizio degli anni ’70, una megera (così la definisce) in evidente alterazione disse di aver visto una bambina che era riuscita a prendere una di queste fiammelle e che l’aveva inghiottita. Fin da subito la bambina ebbe l’ingrossamento del ventre e dalle labbra, anch’esse ingrossate, uscì un liquido nero e puzzolente; poi la bambina si mise a ridere come una indemoniata. La donna, prima di essere portata via all’ottavo distretto di polizia, asserì anche che il cielo notturno si era riempito spaventosamente di pipistrelli.

 

Notte inquietante, piena di pipistrelli, in questa copertina di Domenico Mirabella del 1970

 

    L’ispettore John McCullum la fece ricoverare per degli esami minuziosi e fu in questa sede che si venne a sapere che la triste figura della megera era una ex mignotta, vecchia conoscenza della squadra narcotici e che da lungo tempo, portava la scimmia sulla spalla. La miserabile creatura era stata l’amante di un losco individuo – tra l’altro padre della bambina, oggetto del delirio della donna – che l’aveva abbandonata per mettersi con una mignotta più giovane. Intanto i fuochi fatui rimasero un mistero finché…

    Un investigatore della squadra omicidi sempre del l’ottavo distretto, tale Hume Watkinson, che aveva la passione del giardinaggio passeggiava su quelle stesse rive e rimase colpito dai vasi di fiori che sporgevano dai balconi di un palazzo vicino al fiume. Ne parlò subito con una sua amica, Janet Gardiner, bibliotecaria del museo di Scienze naturali. Sorpresa, la donna si fece portare presso i balconi e visti vasi capì che si trattava di marijuana.

    Come in una classica pellicola gialla yankee venne avvertita immediatamente la sezione narcotici. Da quel momento gli inquilini che occupavano il vasto caseggiato furono sotto stretta sorveglianza con agenti di polizia che si fingevano idraulici oppure addetti delle linee telefoniche e scoprirono che non solo i balconi, ma anche i tetti, i solarium e vaste terrazze interne erano adibiti alla coltivazione della antica pianta medicinale che dai primi del ‘900 era stata usata come una droga.

    E si scoprì anche l’ingegnoso sistema usato per il trasporto, tanto da farmi pensare che l’abbia escogitato qualche napoletano! Con tre once di Marijhuana si faceva un pacchettino avvolto in tela impermeabile all’acqua e al di sotto veniva legato un altro pacchetto pieno di sale ma avvolto in un tessuto non resistente all’acqua, appena più pesante del pacchetto superiore. Infine al di sopra di tutto c’era legato un tappo di sughero, spalmato di fosforo che serviva ai destinatari – una volta scioltosi il sale – per recuperare sopra delle barche a remi, i pacchetti che danzavano sulle onde come fuochi fatui.

 

Il necromante

 

 

  Ora vorrei andar più indietro del nostro ‘900. Vi ricordate di Salimbene De Adam e della sua Cronaca o Chronicon Parmense?

   Nel suo libro parlò di un papa vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, tanto lodato ieri e oggi. Si tratta di Innocenzo III, il quale «un giorno che stava predicando al popolo, notò uno scolare che sorrideva alle sue parole. Arrivò in fondo alla sua predica e se lo fece venire solo in camera. E gli domandava perché mai avesse riso delle parole divine quando sono utili a salvare le anime. Rispose lo scolare che le parole che aveva udito erano solo parole, ma lui sì sapeva mostrare dei fatti come resuscitare i morti e comandare ai démoni. Il papa seppe che egli era un necromante e che aveva studiato a Toledo ed allora lo pregò che gli volesse resuscitare un so’ amico defunto, per aver con lui un colloquio famigliare e dimandargli dello stato dell’anima sua. Scelsero un posto deserto ed appartato in Roma, e il papa con il pretesto di una passeggiata ci arrivò e diede ordine alle persone del suo seguito che si allontanassero e lo attendessero insino al suo ritorno. Pensavano essi che scendesse giù per i suoi bisogni corporali e fecero come aveva detto. Così gli risuscitò, il necromante, l’arcivescovo di Bismantova [Monte (Petra Bismantova) presso Castelnuovo de’ Monti in provincia di Reggio Emilia] in quella pompa e vanagloria con la quale era solito venire alla corte. Ché primamente venivano innanzi i garzoni a preparare gli alberghi, poi i somari in numero grande con i tesori, indi i donzelli dotti nel servire a mensa, dappoi i cavalieri ed alla perfine lui con cappellani molti. E gli domandava il necromante dove si recasse. Rispose ch’ei andava in corte da papa Innocenzo, suo amico, che lo voleva vedere. Gli disse lo scolare “È qui Innocenzo l’amico tuo, e vuol sapere da te come ti stai”. Rispose: “Mal mi sto: ché son dannato per la me’ pompa e vanagloria e li altri peccati che ho commesso, e non ho fatto penitenza. Così son sta’ annoverato insieme con i demoni e tutti quelli che calano giù all’inferno…”. Terminati da una parte e dall’altra questi parlari, disparve la visione e il papa ritornò ai suoi compagni…»

 


Spezzone da Cronica. Testo latino a fronte. Salimbene (da Parma) Monte Università Parma, 2007 pagg. 85-87

       

      Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

19/03/'22

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venerdì 11 marzo 2022

Le SIRENE esistono ?

 

Le SIRENE esistono ?

 

Melusina

 

    E chi lo sa? Personalmente non mi interessa, però ho trovato che Boncompagni aveva dei dati interessanti perciò, ci ho scritto qualcosa…

 

Delle sirene di tipo pellerossa tentano di sedurre con la loro pericolosa bellezza, Blek.

Tavola – copertina che realizzi per il Conte Verde.

 

    Prima di iniziare vorrei rubare alcune righe da: http://gabinetedcuriosidades.blogspot.com/2010/04/el-hombre-pez.html

   «Lo storico Plinio narra dell'apparizione nella zona oceanica di Cadice di un "uomo marino" il cui corpo era interamente umano.»

Ho trovato il passo citato, eccolo

DELLA FIGURA DE' TRITONI E DELLE NEREIDI.

IV.5. Gli ambasciadori di Lisbona mandati per questo effetto a Tiberio imperadore, gli fecero intendere, come essi avevano veduto e udito in una certa spelonca un Tritone, che sonava la cornetta, ed era di quella forma, con la quale si conosce; e che anco la forma delle Nereidi non è falsa, ma solamente hanno il corpo aspro per le scaglie, ancora dove hanno figura umana. Perciocchè se ne vide una di queste nel medesimo lito, e gli uomini del paese udirono di discosto il rimmaricchio d’essa, quando moriva. L’ambasciador della Gallia scrisse anco all’imperadore Augusto, come s’erano vedute sul lito più Nereidi morte. Io ho l’autorità di cavalieri onorati, i quali hanno scritto d'aver veduto nel mar di Cadice uno uomo marino, per tutto il corpo affatto somigliante a noi; il quale di notte saliva sopra i navili, e aggravava tanto quella parte, dove ei posava, che poco più che vi fosse stato, il navilio si sarebbe affondato.

Dall’edizione del 1844.

   E in più quest’altro, di questa favola di cui ha parlato perfino Cervantes nel Don Quijote de la Mancha: Il Pesce Colao visse, tra gli anni 1166 e 1189 nei mari dell’Italia meridionale. Peje Nicolao, come era anche conosciuto, sapeva nuotare per lunghe distanze, e per questo veniva utilizzato come corriere marittimo tra i porti della terraferma e le isole. Il re Federico di Napoli e di Sicilia volle verificare la certezza delle sue imprese e lo portò al famoso gorgo di Cariddi, nello Stretto di Messina, gettò nell’acqua una coppa d’oro, dicendo a Nicolao che se l’avesse recuperata, sarebbe stata sua. "Pesce Cola" saltò in acqua e ne uscì con il bicchiere in mano, raccontando tremende visioni di mostri marini.

Aggiornamento 20-04-‘22

La leggenda di Cola Pesce

Lettera pubblicata sul Giornale dei Misteri n. 83 del febbraio 1978


Fabrizio C.. , Firenze, ci scrive una interessante lettera che pubblichiamo:
« Cara SUF, alcuni anni fa, alla televisione, di sera, fu mandato in onda un documentario su una strana leggenda che risale a molti secoli fa e che anche oggi i vecchi siciliani dell'interno dell'isola si raccontano fra di loro. Essa narra di un ragazzo-pesce che era diventato così per ragioni sconosciute. Da un ragazzo normale diventò un mostro ma un mostro benefico che veniva di quando in quando sulla terra dal mare e stava con gli abitanti della Sicilia, camminando sulla pinna inferiore. In quel tempo accadde che la popolazione dell'isola si trovò in pericolo: le colonne che si credeva che sorreggessero la Sicilia stavano per rompersi e così l'isola sarebbe affondata. Si chiese aiuto a questo mostro che accettò l'incarico e offrì la propria vita per la salvezza di quella terra e così si narra che andò giù sotto l'acqua e tenendo salde le colonne evitò il disastro e si crede che ancora sia laggiù e che quando si verifichino terremoti sia lui che cerchi di sorreggere le colonne con forti movimenti.
Ecco come una leggenda ha fatto diventare quel ragazzo-pesce un eroe per tutti gli abitanti della Sicilia ».

• La leggenda è senza dubbio interessante anche per gli studi clipeologici, se però esiste realmente questa versione, per la qual cosa non basta riferirsi ad un documentario televisivo, ma occorre effettuare delle ricerche nelle biblioteche sicule per conoscere fonti attendibili ed esatte. Si è detto « questa versione », perché ne esistono ben altre, ma sostanzialmente diverse. Esiste la leggenda napoletana di Cola Pesce, che parla di un ragazzo maledetto da sua madre, perché stava sempre in mare a nuotare, e la maledizione non lo fece più tornare sulla terra come gli altri, anche se riuscì a portare tesori al re.
Questi infine volle affidargli un'impresa talmente impossibile che rimase prigioniero del mare e non si vide più. Esiste anche una versione siciliana di Cola Pesce, versione che differisce dalla precedente perche il re Federico ordinò al ragazzo di riferirgli com’era fatta la Sicilia sotto l’acqua e il ragazzo gli disse che l'isola poggiava su tre colonne, una delle quali purtroppo era pericolante a causa del fuoco dell’Etna. Il re incredulo gli ordinò di portargli un po' di quel fuoco e il ragazzo non fece più ritorno. Fu visto solo del sangue nella zona dove si tuffò. I siciliani da allora credono che egli sostenga sempre la colonna pericolante. Quest’ultima versione, come si può notare, è simile alla leggenda narrata dal Ceccarelli, ma differisce nel particolare delle pinne, che rende il ragazzo mostruoso simile all’ « Oannes » mesopotamico. Nelle ultime due versioni, il ragazzo che sostiene le colonne fa ricordare la storia di Sansone.
Solas Boncompagni

 

   Nel 1974  Solas Boncompagni scrisse molti articoli di clipeologia sul Giornale dei Misteri, rivista dai più non considerata seria. In uno di questi, parlò dell’esistenza delle sirene. Nel numero 43 tradusse scritti del ‘900 ed anche più antichi in cui si dava conferma della loro esistenza. Iniziava così:

    «Il mare del tempo delle scoperte, il mare del principe Enrico il Navigatore e dei suoi seguaci era pieno di misteri, di dubbi e di incertezze. Leggende diaboliche correvano di bocca in bocca e colmavano di spavento le anime semplici. Il popolo credeva che il mare avesse il potere sopranaturale d’uccidere coloro che tentavano di scoprire i suoi misteri. […] Fu in questo periodo che il mito delle Sirene, sia per il suo carattere tragico che per quello poetico, impressionò fortemente l’anima popolare.» Qui Boncompagni sta traducendo ciò che Fernando De Castro Pres De Lima scrisse nel suo articolo Il mito delle sirene nel Portogallo, apparso nelle Mélanges de préhistoire, d’archéocivilisation et d’ethonologie di Gabriel Marcel Scuola pratica di alti studi – VI sezione – Centro di ricerche storiche a pag 611. E continua dicendo che in alcune leggende portoghesi, le Sirene del Mediterraneo, che erano per una metà donna e per l’altra metà volatili – come quelle descritte nell’Odissea – lasciarono il posto a quelle dell’Atlantico che erano sempre per metà donne, ma per l’altra metà erano dei peschi.

 

John William Waterhouse, Ulisse e le sirene, 1891

 

Ma soprattutto erano dei «dèmoni tentatori» che riuscivano ad ammaliare i marinai con una «voce melodiosa» con la quale «li trascinavano a nozze maledette» ed ad una «strana luna di miele» da cui non vi era ritorno. Boncompagni aggiunge che le Sirene mediterranee vinte da Ulisse «non avrebbero potuto assistere alla fondazione di Lisbona.»

   Infatti «Il crociato (Osberno), che fu testimone oculare della conquista di questa città» rimembra «ciò che sarebbe accaduto quando si consegnò al Portogallo per partecipare a questa eroica impresa.» [Sempre De Lima a pag. 612] Egli stesso testimoniò per iscritto che «La sera, allorché sopravenne una tempesta, noi fummo dispersi in tutte le direzioni. La profonda oscurità della notte e la forza delle correnti portavano alla disperazione i marinai, anche i più arditi. Si udirono allora le sirene con la loro orripilante voce, dapprima simili a pianti, poi come risate che c’insultarono che erano simili ai clamori di una festa.» [Conquista de Lisboa aos Mouros del 1647 – Narrações dos Cruzados Osberno e Arrulfo, testemunhas presenciasis do Cérco – Lisbona 1936]

   Prosegue poi con una testimonianza di Damiâo de Goes «Nei vecchi archivi del regno che dirigo, esiste un manoscritto antichissimo che è un contratto fra il re Don Alfonso III e il Maestro dei Cavalieri di Santiago, Paio Peres. Il documento precisa che l’imposta, che è dovuta per le sirene ed altri animali della stessa specie rinvenuti nelle spiagge, dovrà essere pagata al Re stesso e non al Maestro dell’Ordine. Si deve concludere che le sirene erano abbondanti nelle nostre acque, giacché fu promulgata più di una legge nei loro riguardi» [De Goes, Damiao: Lisbos de Quinherentos, Lisbona 1937] non solo ma Kastner aggiunge secoli dopo «Le ninfee del Mar delle Indie furono, a quanto si crede, oggetto di una legge ancora più curiosa. In effetti, un navigatore spagnolo ha raccontato che, data l’apparente somiglianza della conformazione fisica delle sirene con le donne, i pescatori erano tenuti a presentarsi davanti ad un magistrato per impegnarsi con giuramento a non avere alcun contatto carnale con loro» [Georges Kastner Les Sirenes Parigi 1909] Altra testimonianza viene da Antònio Galvâo il quale riferisce che «alcun portoghesi gli raccontarono che lungo la costa del Capo di Buona Speranza, verso Sofala, Quiloa e Melinda, grandi pesci che avevano il volto di donna percorrevano impettiti le acque. Quando li prendevano, i pescatori ci scherzavano e, allorché li vendevano, se essi avevano dormito con loro, dovevano farne giuramento» [Antònio Galvao Tratado dos Descobrimentos Porto 1944].

 


   Il padre Benito Feyjòo asseriva  che nel «Dictionnaire universal de Trévoux» era scritto che «nel 1560 nella costa occidentale di Ceylon, nei pressi dell’isola di Mannar, alcuni pescatori avevano catturato con una sola retata nove donne e sette uomini marini. Molti gesuiti, fra i quali il padre Enrico Enriquez, sono stati testimoni di questo fatto, come pure Dimas Bosque di Valencia, medico del viceré di Goa. Non solo l’aspetto di questi esseri era completamente umano, ma pure i loro organi interni erano perfettamente simili a quelli degli uomini. Lo si sa per il tramite dell’esame anatomico che è stato praticato.» [De Lima, op. cit. pag. 614]

Di questo fatto parla pure Alessandro Dumas nel suo I matrimoni di papà Olifur, [voltato dal francese da L. Masieri. Milano 1856, in rete] «Dimas Bosque, medico del vice-re dell’isola di Manara ne dice in una lettera inserita nella Storia dell'Asia di Bartolo, che sendo andato a passeggiare in riva al mare con un gesuita, una truppa di pescatori accorse al padre pregandolo ad entrare nella loro barca per vedere un prodigio. – Il padre fu compiacente e Dimas Bosque lo accompagnó.

   In quella barca stavano sedici pesci d’umano aspetto, nove femmine e sette maschi, che i pescatori aveano accalappiato in un sol tratto di rete. Furono tirati sulla riva e minutamente esaminati, Le loro orecchie erano eminenti come le nostre, cartilaginose e coperte d'una pelle sottile. I loro occhi somiglianti ai nostri per forma, colore e posizione, erano chiusi in orbite praticate sotto la fronte, munite di palpebre, e come quelli dei pesci non aveano assi diversi di visione. Il naso non differiva dal naso umano se non perchè un po' schiacciato come quello d'un negro, e leggermente fesso come quello del can bouldogue. La bocca e le labbra similissime alle nostre, i denti quadrati e stretti l’uno contro l'altro; petto largo e coperto d’una pelle estremamente bianca che lasciava scorgere i vasi sanguigni.

Le donne avean mamme[lle] sode e dure ed alcune allattavano, perchè premendo queste mamme[lle] ne spicciava un latte bianchissimo e purissimo. Le loro braccia lunghe due cubiti, più pienotte delle nostre, non avean giunture, e le mani erano attaccate ai cubiti: finalmente sotto il ventre al cominciar delle anche e delle cosce spartivasi una doppia coda somigliante a quella dei pesci.»

  Secondo quanto riferisce Boncompagni l’intervento chirurgico [forse sarebbe più esatto dire squartamento, Puga] sarebbe stato effettuato dallo stesso medico Dimas Bosque «che avrebbe effettuato i suoi studi all’università di Coimbra». Ancora Boncompagni asserisce che Fernando Castro Pires De Lima testimonia che «delle sirene sarebbero state viste da Cristoforo Colombo, da Carlo Quinto, da Filippo II e molti altri».

Un numero di Leyendas de America del 1979 intitolato Le sirene non si devono pescare

   Infine ancora Kastner che è scritto nella «Storia del Portogallo» che «Un giorno furono condotte al re Don Emanuele due donne-peschi, che erano le ultime sopravviventi di una compagnia di tritoni, catturati nelle Indie Orientali. Gli strani compagni di queste sirene, in numero di cinque, erano morti, gli uni appena usciti dal mare e gli altri durante il tragitto delle Indie a Lisbona. Queste infelici sirene, spaesate, erano estremamente tristi. Il re dette perciò ordine di lasciar liberamente giocare in mare, avendo però cura di tenerle legate ad una sittile catena. Fu così che le due donne marine poterono trascorrere ogni giorno qualche ora a giocare fra le onde. E grazie a questa concessione vissero molti anni nella nuova terra, ma giammai riuscirono, sia pure minimante, ad usare il linguaggio degli uomini.» [Georges Kastner op. cit. ] Ed è per questo che la popolazione lusitana credeva fino agli anni ’70, alle sirene atlantiche «compagne di Conquistatori e testimoni delle loro ineguagliabili imprese.» [De Lima, op. cit. note 1 e 7 di pag. 615]

 


   Fin qui la parte più interessante dell’articolo di Boncompagni, passiamo a un altro ricercatore Iker Ymenez, da cui traggo la storia de

 

El Hombre-Pez de Liérganes

L’uomo pesche di Liérganes

 

Il monumento a Liérganes

 

    Francisco de La Vega Casar, già a cinque anni di età aveva capacità natatorie fuori del comune che esercitava nel luogo preferito dei suoi giochi infantili, il acque del fiume [río] Miera, strabiliando tutti i suoi concittadini. Poi a sedici anni di età, nel 1672, andò a lavorare nella vicina Las Arenas come falegname, ma non mancava di immergersi al tramonto nell’estuario.

   Finché alla vigilia di san Giovanni di due dopo, si immerse davanti ad altri otto falegnami per far una escursione in un angolo della costa e non tornò più. Ogni ricerca fu inutile e la famiglia (madre e tre fratelli) dovettero piangerlo senza una tomba.

   Eppure cinque anni dopo, nel febbraio  del 1679, i pescatori della baia di Cadice [Cádiz] videro con sorpreso timore, nuotare a bassa profondità uno strano essere acquatico. Riuscirono giorni dopo a catturarlo e lo portarono sulla riva della capitale andalusa.

La strana preda risultò essere un giovane uomo di un metro e ottanta d’altezza, corpulento, dalla pelle chiara quasi traslucida, con cappelli rossi come il fuoco. Dalla gola fino allo stomaco aveva una cintura di squame come i peschi, e un'altra lungo la colonna vertebrale. Le dita delle mani erano unite da una finissima membrana come quelle delle zampe di un’anatra… [combinazione inquietante, mi ricorda ciò che scriveva Mariano Bizzarri delle popolazione che abitano nella regione di Rennes le catheau, dove tral’altro si parlava la lingua…d'oca.] La povera preda ruggiva come un animale feroce, ma fu tutto inutile e fu portato al convento di San Francisco, dove rimase tre settimane. Naturalmente furono ordinati degli esorcismi per espellere possibili demoni e spiriti maligni dal suo corpo e un frate interrogò l’uomo pesce per giorni e notti. Alla fine l’unica parola che riuscì a far dire all’uomo pesce fu Liérganes! 

Riusciti a sapere che c’era un luogo con quel nome si iniziarono subito delle ricerche e non molti giorni dopo si venne a sapere della scomparsa del giovane de La Vega. L’uomo pesche fu portato davanti alla famiglia de La Vega e la madre e due fratelli (uno mancava) lo riconobbero subito, ma colui che fu Francisco, non rispose ai gesti d’affetto della famiglia.

L’uomo pesce rimase nel paese nativo, sotto stretta sorveglianza, per due anni (qualcuno dice nove). Ma restando sempre in silenzio faccia al suolo, senza mostrar interesse a niente.

Finché in un tramonto del 1682 incominciò a gridare come un animale ferito e si slanciò verso il fiume. Vari contadini tentarono di fermarlo ma l’uomo pesce riuscì a tornare al suo mondo acquatico e nessuno lo vide mai più.  

   Questa storia fu narrata dal frate Benito Jerónimo Feijoonel suo Teatro crítico universal, opera realizzata tra 1728 e 1740.

Un utima nota: Jiménez nel suo libro enigmas sin resolver del ’99, [possiedo la ristampa del 2006] è riuscito ad avere in mano sia la carta del battesimo di de La Fega, sia un atto in cui si certifica che l’uomo pesce era Francisco de La Vega.  



Sequenza di vignette tratte da Martin Mystére n. 82

"Il canto della sirena ", su testi di Castelli

con gli stupendi disegni di Franco Bignotti, forse già aiutato nel ripasso a china da Franco Tarantola.

 

Una terrificante immagine di un uomo pesce di Angelo Maria Ricci 

sempre da Martin Mystére

n. 131 bis, speciale del febbraio ‘93

 

Il garadiávolo 


   Il noto ovnilogo [leggi ufologo], ricercatore ed ex-gesuita Salvador Freixedo Tabarés (1923-2019) descrisse già nel 1976 di una creatura marina simile all’uomo pesce e che fu denominata garadiávolo.

   Ne tracciò i primi resoconti dell’avvistamento e cattura sulla rivista spagnola Mundo Desconocido al numero 7 del dicembre del ’76, quando all’epoca viveva a Portorico e poté vedere coi propri occhi, la strana creatura.

   Dall’aspetto diabolico, infatti è stato denominato  garadiávolo – un nome che dice tutto – e che anche negli anni seguenti fece parlare di sé.

  Vi sarebbe anche una razza di pesce, all’incirca di 43 centimetri di altezza, al quale, dai pescatori locali, verrebbero praticate abilmente delle incisioni su coda e pinne, per trasformarli in piccoli mostri marini con sembianze di diavoli. Freixedo ha visto questo pesce sia quando veniva catturato dalle reti, insieme ad altri pesci, ad Acapulco, sia in vari negozi turistici della costa messicana.

   Ma vi sarebbe anche una creatura acquatica della famiglia delle mante, che senza bisogno di alcuna incisione, a davvero l’aspetto impressionante di un diavolo, che può uscire dall’acqua e… camminare eretto come una creatura umanoide!

Può muoversi con una certa abilità a balzi e la sua dimensione è molto maggiore di quella del pesce poi venduto come attrazione turistica. Può arrivare scrive Freixedo fino a più di un metro di apertura alare [más de un metro de envergadura. L’envergadura è la distanza sia tra le due punte delle ali di un uccello o di un aeroplano, sia tra le punte delle dita delle due mani di una persona quando le sue braccia sono completamente estese. ].

Inoltre per la sua posizione eretta questa creatura si affida alla sua coda, forte e cilindrica che adopera per la cattura e lo strangolamento della sua preda… compresa quella umana. In più ha delle zanne e un naso sporgente, particolari mancanti nei pesci venduti come attrazioni turistiche.

Le sue “gambe”, più precisamente le cosce sono molto arrotondate. Le creature di sesso maschile hanno gli organi sessuali del tutto esterni, una particolarità alquanto difficile da trovare nel mondo acquatico. La sua pelle dalla parte anteriore è morbida e affine a quella umana, al contrario quella sul dorso è ruvida e simile a quella degli squali.

   Salvator Freixedo poté vedere questa creatura, come ogni altro curioso portoricano, nella città di San Juan, in casa del signor Alfredo Garcia Garamendi, a cui aveva dato il nome di garadiávolo. Le immagini della creatura ormai senza vita e conservato in un grande contenitore verticale con acqua di mare, sarebbero state riprese da una televisione portoricana (Channel 2 TV).

Questo esemplare non era stato il primo ad essere catturato dal signor Garamendi; infatti almeno un anno prima aveva avvistato due esemplari adulti sugli scogli della riva, ma non riuscì a catturarli. Garamendi, che praticava pesca subacquea, riuscì però a catturare un giovane esemplare di questa specie, di circa quaranta centimetri di lunghezza e che finì all’Università di Portorico e sottoposto agli esami di un certo dottor Willian Eger per almeno otto mesi. 

Ingrandimento fotografico del primo garadiavolo in cui sono visibili il foro di ingresso praticato dall'arpione sparato da Garamendi e la ferita provocata dal coltello da caccia vicino all'ombelico.

   Garamendi catturò anche un secondo esemplare nella laguna di Aguas Prietas, presso la città di Fajardo, sempre a Portorico, ma questa stava quasi per rimetterci la vita. Difatti il garadiávolo lo attaccò improvvisamente al collo con la sua coda per impedirgli di tornare alla superficie per respirare.

Di fronte a sua moglie e ad altri due testimoni, Garamondi ingaggiò una lotta tremenda e riuscì a liberarsi trapassando il garadiávolo alla pancia con il suo coltello.

Fatto dissanguare la creatura sulla spiaggia, la carcassa del garadiávolo fu avvolta negli asciugamani per evitare lo sguardo dei curiosi e metterlo in automobile. La carcassa finì in un istituto di dissezione di Fort Lauderdale in Florida, negli usa ed era quello che poi i portoricani videro in televisione.

    All’incirca sette mesi dopo si venne poi a sapere da un giornale venezuelano che un alto funzionario del governo del Venezuela, appassionato anch’egli di pesca subacquea, era riuscito a ferire un garadiávolo in una delle sue pinne e agganciatolo all’arpione del suo fucile e con una terribile lotta, lo aveva trascinato a riva. Il resoconto  El Mundo de Caracas, continuava ancora dicendo che una volta a riva, la creatura non solo, non boccheggiò come avrebbe fatto un comune pesce, ma si eresse sulle sue due zampe e saltò sui curiosi radunati sulla spiaggia per morderli e che ringhiava come un maiale emettendo dei grandi strilli.

La fotografia della creatura era quella di un esemplare del tutto simile a quello di Portorico. Freixedo tentò inutilmente di mettersi in contatto con questo funzionario di governo, ma questi era naturalmente irreperibile; però parlò con diversi testimoni del fatto e perfino con il giornalista Pedro Estado, autore dell’articolo.

 

Fotografia a raggi X scattata al primo garadiavolo, prima di subire il deterioramento degli arti inferiori. Da notare l'anatomia ossea con caratteristiche molto simili a quelle degli umanoidi.

 

    Salvador Freixedo concludeva il suo scritto dicendo che i due esemplari del garadiávolo catturati a Portorico erano scomparsi. Circostanza molto normale in fatti che esulano dalla realtà, tanto da far sospettare a molti che i garadiávoli siano creature extraterresti o diaboliche o cose di questo tipo. Ma concludeva che forse era una specie che era molto avanzata nella sua evoluzione e che si sia poi adattata alla vita anfibia. 

Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

11/03/'22

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