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giovedì 3 marzo 2022

L’Enchirioridio, o Enchiridion

 

L’Enchirioridio, o Enchiridion 


  Questo scritto – che pomposamente chiamo articolo – doveva apparire nel mio secondo ed ultimo libro di Cronaca dell’Insolito. Ma avendone ben poca voglia di farlo, questo articoletto e altri due o tre inediti, velo presento nel mio sito.

Il primo libro era dedicato al dottor Del Oso, il secondo avrei voluto dedicarlo a Robert Charroux e a Peter Kolosimo. Eccoli insieme in un mio disegno.


 

 

Leone III in un disegno tratto dal Dizionario infernale del 1863

 

    Secondo John Dickson Carr, giallista americano, vissuto in prevalenza in Gran Bretagna, amante della Storia, con cui ci cuciva intorno i suoi libri, l’Enchiridio era una raccolta di preghiere magiche scritta dal papa Leone III e dedicata a Carlo Magno nell’800; «Questo nome, nell’imbastardito latino medievale di cui ci siamo già lagnati, significa appunto Drago Rosso» spiega Sir Henry Merrivale.

V. Carter Dickson, I delitti della Vedova rossa, collana i classici del giallo Mondadori n. 1151 del 8/2-/2007, pag. 33 e 255, nella traduzione di A. M. Francavilla.

    Non parliamo dei draghi che in questi tempi sono davvero funesti, e seguiamo le tracce così come c’è le ha donate lo scrittore spagnolo Andrés Vázquez Mariscal… chissà se era imparentato con la madre del grande attore spagnolo José Luis López Vázquez, che lavorò con gli attori italiani Paolo stoppa, Pietro De Vico, Franco & Ciccio e con il caro Totò… forse no.

 

José Luis Lopez Vasquez pretore e Pietro De Vico cancelliere devono fronteggiare nel ‘63 due imbroglioncelli come Ciccio & Franco. Non centra niente ma c’è la metto lo stesso.

 

Ma lasciamo da parte i miei ricordi infantili, ora non posso fare a meno di parlare un po’ dell’origine della magia. Per far questo mi baserò sulle ricerche che fece Charles Nisard per il terzo capitolo del suo libro Historie des Livres populaires ou de la littérature du colportage, tomo I, stampato a Parigi nel 1864.

   Sembrerebbe che l’inventore della magia sia stato Zoroastro, contemporaneo di Nino, re dell’Assiria, e lui stesso re di Battria. I due sovrani hanno lottato l’uno contro l’altro sia con le armi che con la magia.

È anche certo che Zoroastro non fu mai re, che la sua nascita era oscura. Se dunque non fu l’inventore della magia, fu almeno – scrive Nisard – il restauratore di questa scienza che, per diversi secoli, era stata la religione dominante dei Persiani.

Nabucodonosor, re di Babilonia, cercando l’interpretazione di un sogno, porta alla sua corte gli indovini, i maghi, gli stregoni e i Caldei. Questi, secondo Diodoro di Sicilia, ricoprivano presso i Babilonesi lo stesso rango dei sacerdoti presso gli Egiziani, presiedendo al culto degli dèi, studiando soprattutto l’astrologia e da qui a prevedere il futuro. La magia era quindi solo un’estensione della religione, e coloro che professavano di evocare i fantasmi, tra Caldei, Egizi e Greci, avevano la guida dei sacri misteri.

Ma in nessun luogo la magia era più onorata che tra i Persiani, che includevano sotto questo nome diverse buone discipline. È certo, però, che la cattiva magia non era esclusa. Ostane [Osthanes] la diffuse in tutto il mondo dopo re Serse [vedi Plinio, l. XXX, cap. I.].

   Pausania, re degli Spartani, si recò espressamente ad Eraclea per evocarvi, in un tempio destinato a questo scopo, un’anima dalla quale era perseguitato, questo secondo gli scritti di Plutarco. Per placare i fantasmi di questo stesso Pausania, che infestava il tempio dove l’avevano fatto morire di fame, i Lacedemoni (in pratica i primi spartani) portarono dall’Italia o dalla Tessaglia, secondo Euripide, persone che facevano professione di evocare o di rinviare le anime [de Sera numinis vindicta.]. Plutarco cita parecchie altre caratteristiche di questo genere, aggiungendo che c’era una legge che riguardava queste cerimonie, che quindi erano autorizzate.

   Abbiamo anche versi di Empedocle [in Diogene, VIII.], dove ci fa sapere che si faceva forte di eccitare i venti o di placarli, di far bello il bel tempo oppure la pioggia, e anche di risuscitare un uomo.

 

Tutte le pozioni con cui si evitano la vecchiaia e la malattia ,

Li conoscerai , perché a te solo li comunicherò tutti ;

Calmerete così l' ira dei venti instancabili che sopra ogni cosa

Infuriati , devasta i campi con i loro respiri,

E al contrario , potrai a tuo piacimento sollevare venti benefici ,

Farai in modo che il bel tempo riesca alle nere piogge

E donerai agli uomini , invece nelle calde estati ,

Le benefiche docce agli alberi, che vengono d' estate,

E tu richiamerai il morto dagli inferi per ristabilire le sue forze .

 

V. http://ugo.bratelli.free.fr/Laerce/Pythagoriciens/Empedocle.htm

 

Nisard continua citanto Platone che prese in prestito dai Traci, cioè da Zamolxis, schiavo e discepolo di Pitagora, le formule degli incantesimi che guarivano i malati. Atene lo convocò per scacciare la peste. Si dice che fu il primo autore delle cerimonie con cui si purificavano le case e le campagne, e pare – secondo Diogene quando parla di Epimenide – che compose diversi esorcismi che le donne anziane, tra gli altre la madre di Epicuro, andarono a leggere nelle case.

   La Tessaglia era così fertile di streghe che il nome di Tessagliana [come si possono chiamare gli abitanti della Tessaglia? Personalmente da ignorante qual sono, così li ho definiti. Puga] era quello dato in Italia a una donna che esercitava questo mestiere. È molto probabile – dice sempre Nisard – che sia stata Medea, moglie di Giasone, re di Tessaglia, ad insegnare alle Tessagliane la stregoneria, di cui lei stessa aveva appreso il segreto alle estremità di Pont-Euxin o Ponto Eusino, il Mar Nero.

 

Eusino, Ponto (lat. Pontus Euxinus; gr. Πόντος Εὔξεινος) Antico nome del Mar Nero; secondo una tradizione, il nome E. (gr. «ospitale») avrebbe sostituito il primitivo nome di ῎Αξεινος «inospitale», dopo il passaggio degli Argonauti. Sembra probabile che il nome ῎Αξεινος sia un adattamento e un rifacimento per etimologia popolare del precedente nome scitico confrontabile con l’aggettivo avestico akhshaēna «oscuro, nero».

V. https://www.treccani.it/enciclopedia/ponto-eusino/


 Là, dove Giasone andò a cercar il vello d'oro...

 

   Naturalmente anche a Roma conoscevano la magia; Orazio riferisce su molte delle sue operazioni. Ovidio propone alcune delle sue formule e ricette. Eccone una infallibile per le fratture, tratta dal trattato Re rustica di Catone il Censore, capitolo CLX: “Prendete una canna quando è ancora verde; dividetela longitudinalmente al centro, gettate in aria il contenuto, unite le due parti della canna, legatela sulla parte slogata o fratturata, e scrive: Motas Væta Daries Dardaries Astartaries Drissunapiter, oppure: Huat, Hanat Huat, Ista Pista Sista, Domiabo, Damnaustra.

   Plinio osserva che anche i Galli erano stati contagiati dalla magia, e che regnò così tanto in Britannia che si potrebbe pensare che i Persiani avessero tratto le loro conoscenze da là. Dice anche che Tiberio ne aveva spurgato i Galli, sopprimendo i Druidi e altri indovini e guaritori consimili [Namque Tiberii Caesaris principatus sustalit Druidas eorum, et hoc genus valum medicorumque.].

Disquistionum magicarum libri sex - Martinus Antonius del RIO -  Proloquio pag 3
 

   Charles Nisard cita poi Martin del Rio, nelle sue Disquisitiones Magicæ [nota 2: In Proloquio.]. questa volta ho voluto cercare direttamente la fonte e lo trovata. Eccola…

«Legimusmus, post Sarracenicam per Hispanias illuvionem, tantùm invaluisse Magicam, ut cùm litterarum bonarum omnium, summa ibi esset inopia & ignoratio, solae fermè daemoniacae artes palàm Toleti, Hifpali, & Salmaticae docerentur. In hac quidem ciuitate, bonarum nunc artium matre, cum degerem, ostensa mihi fuit crypta profundissima gymnasij nefandi vestigium, quam virilis animi mulier Isabella Regina,  Ferdinandi Catholici uxor, vix ante annos centum, caementis saxisque iusserat obturari.»

 

Ed ecco un mio adattamento molto maccheronico, dopo una insana traduzione in rete. Spero sia molto vicino a ciò che era scritto in latino.

«Abbiamo letto che dopo l’alluvione dei Saraceni in Spagna, la magia prevalse a tal punto che, visto la più grande scarsità e ignoranza di tutta la buona letteratura, quasi solamente le arti demoniache furono insegnate apertamente a Toledo, Siviglia e Salamanca. In questa città infatti, ora la madre delle belle arti, quando ci vivevo, mi fu mostrata una cripta molto profonda dove era quel famigerato ginnasio, che la donna dallo spirito virile, la regina Isabella, moglie di Ferdinando il Cattolico, aveva ordinato appena cento anni fa di chiuderla con macerie e pietre.»

 

Un menestrello, un putto e un gattino da Colin de Plancy

 

  Torniamo nei meandri delle leggende, anzi delle fiabe medievali, condite con un po’ di Storia. Vi ricordate della dinastia dei Merovingi, che derivava da un umanoide marino, tal Meroveo? Bè, a dir la verità si dice anche derivassero dal figlio di Maria Maddalena che ebbe da suo marito Gesù, o qualcosa del genere… insomma scegliete voi.

    Fatto è che i merovingi fino a Childerico III erano infusi di un’aurea magica che gli attribuiva poteri quasi sopranaturali. Si vociferava che essi conoscessero le scienze arcane e che praticassero le arti esoteriche.

Interessante è ciò che Colin de Plancy, nel suo dizionario infernale scrive su Childerico terzo: «ultimo dei re della prima razza. Nel 742, pubblicò un editto contro gli stregoni, in cui ordinava che ogni vescovo, assistito dal magistrato che difendeva le chiese, facesse ogni sforzo per evitare che la gente della sua diocesi cadesse nelle superstizioni pagane. Egli proibisce i sacrifici agli spiriti, gli incantesimi, le filastrocche, gli auguri, gli incantesimi, le divinazioni, e altro ancora.» sesta edizione del 1863, in rete.

Venivano chiamati i Re maghi, o Re stregoni (Vázquez infatti scrive «los reyes brujos», ma di certo non portavano doni a natale…), grazie a un misterioso potere presente nel loro sangue, appunto i primi re taumaturghi.

Erano chiaroveggenti ovvero – secondo la Treccani – che vedevano e intendevano ciò che gli altri non vedevano, o che prevedevano eventi futuri; erano capaci di curare le infermità imponendo le loro mani (chissà se prima le lavavano), a volte addirittura solo toccando i vestiti, i malati guarivano.

Comunque i Merovingi non venivano considerati dei re nel senso stretto della parola, ma come re-sacerdoti, incarnazioni dirette delle divinità.

In più come caratteristica del loro potere ostentavano una lunga capigliatura… e sai, i pidocchi! Che aveva sicuramente Romolo ma non Giulio Cesare, e non perché era calvo ma perché si lavava spesso. Si vede che i Merovingi volevano emular Sansone, infatti quando Childerico III fu deposto e incarcerato nel 754 – scrive ancora Vázquez – lo stesso papa (che era all’epoca Stefano II) ordinò che lo rapassero.

In quell’anno, (una storia che ormai ben conosco, essendo quella della mia terra) il papa passò il montem Jovis [Col di Giove ad Appennino nel camerinese?] e in Francia pervenit in Aquisgranis palatio come è scritto nella Cronica di Benedetto.

Come spiego questa mia scemenza, visto che Aquisgrana in Val di Chienti è frutto delle fantasie di un vecchio professore, oramai in Paradiso? Ecco qua:

Col di Giove, oggi ricordato come nome solo da un agriturismo, è nominato come castello. Scrive Aristide Conti nel 1873, a pag. 3 del suo Camerino e dintorni «Fra i molti castelli presentemente diruti e abbandonati, che guardavano una volta tutta la linea del Chienti, uno ve n’era chiamato Giove il quale, se pur meritasse questo nome, doveva esser di tutti il principale. Sovrastava di molto a quel villaggio che ha lo stesso olimpico nome […]». È chiaro – per la mia stupida mente da ignorante – che il castello deve aver avuto nome dalla stessa altura su cui era edificato. V. https://blog.libero.it/Appenninopaese/  

Inoltre se volete conoscere altri luoghi dedicati al dio Giove nel Camerinese vi suggerisco di dare un’occhiata alle prima pagine di Febo Allevi nel suo Con Dante e la Sibilla ed altri, dagli antichi al volgare del 1965, e ne troverete un bel po’ elencate. Questo a dimostrare come le odierne università propagano vere e proprie menzogne!

Carlo detto poi Magno, era solo un ragazzino quando andò incontro al papa per accompagnarlo dal padre a Ponticone, oggi Sant’angelo in Pontano.

Nella pasqua di quell’anno Stefano II consacrò l’intera famiglia di Pipino, che aveva nelle sue vene sangue merovingio in quanto discendenti dei maggiordomi dei Merovingi.

Fu in quella occasione che il papa esibì un documento falso come Giuda, la Donazione di Costantino e creò dei veri e propri burattini nelle mani della Chiesa.

E burattini rimasero. Nell’anno 800, il papa di quegli anni Leone III fu pestato a sangue dal popolino infuriato e dovete fuggire da Roma. Il bello è, che malridotto com’era, passò le Alpi e arrivò a Paderbon, in Germania, che in quell’anno ancora non esisteva… che con Padeborn il Poeta Saxo volesse indicare delle acque termali? Mi sa che il luogo sia ben un altro.

Soccorso dal re Carlo, che lo riportò a Roma, Leone decise a sorpresa di consacralo Imperatore Romano d’Occidente, diretto successore di Romolo Augustolo; era la notte di natale. In questa maniera ebbe ancor più potere su questa stirpe di re, perché creata di fatto da un papa.

Come dice Malanga “Son forti questi del Vaticano”, bé, insomma del papato… E contemporaneamente gli fece un dono molto particolare. Insomma eccoci al succo del racconto.

    Un libro che sicuramente era realizzato in pergamena, scritto con una penna di canna sapientemente tagliata e affilata, in minuscola carolina (iniziavano proprio allora a usarla) con un inchiostro a base d’una mescolanza di acido gallico, solfato di ferroso e gomma arabica; con copertine di legno foderate di pelle di mucca e incastonate di gemme.

Un’opera degna di un regalo di un papa a un imperatore, per di più suo suddito. Un dono prezioso che avrebbe dovuto eguagliare, e quindi superare le virtù dei re-sacerdoti merovingi. Un libro che raccoglieva tutta la sapienza... o sicuramente così si è sempre creduto.

 


La copertina del libro (come mi ha fatto notare Leo) ha parole in ebraico

 

   L’enchiridion du pape Léon, nell’edizione del MDCLX, dopo alcuni salmi – in mio adattamento maccheronico – inizia così:

 

    Inviato come un raro presente al Serenissimo Carlo Magno Imperatore.

 

   San Leone, Papa, ha raccolto e messo in ordine l’Orazione seguente delle stesse parole e degli stessi precetti di nostra Madre Chiesa, e l’invia a Carlomagno, dicendo: se Voi credete fermamente, senza alcun dubbio, che ogni giorno reciterete con devozione l’Orazione seguente e la porterete su di Voi con rispetto, sia in casa, sia in guerra, sia sul mare o in qualunque luogo dove sarete, nessuno dei vostri nemici avrà supremazia su di voi; sarete invincibile e liberato dalle più malvagie infermità e da tutte le avversità.

   Al nome di Nostro Signore Gesù Cristo, E così sia: e in favore e memoria dello stesso Re Carlo, egli la fece scrivere in lettere d’oro, e la porterà su di lui con gran cura, rispetto e devozione. Così nessun mortale potrà pronunciare le virtù di questa orazione. Se gli uomini conoscendo la grandezza e la virtù, la reciteranno ogni giorno con grande devozione, e la lasceranno sopra di essi, e non troveranno nessuno che l’abbia recitata, sia abbandonato da Dio sui suoi bisogni e necessità, senza arrivare al suo scopo, finisca felicemente i suoi giorni; l’esperienza incontestabile l’ha fatta conoscere a molti, così che colui che la recita ogni giorno con devozione e la porterà su di sé con onore e rispetto, senza alterazione di corpi alla  gloria e alla lode di Dio onnipotente, e la gloriosa Vergine Mara sua Madre, e tutta la Corte celeste, sarà preservato ogni giorno dal ferro, dall’acqua, dal fuoco e da una morte improvvisa.

Il diavolo stesso non avrà alcun potere su di lui e non morrà punto senza confessione, il suo nemico non avrà alcun vantaggio su di lui, sia dormendo, né nel suo cammino, né in alcun luogo sia, egli non sarà né vinto e né fatto prigioniero: essa è meravigliosa sia contro la tempesta, la folgore e il tuono; se la si recita su un vaso d’acqua benedetta, dove si asperga l’aria in forma di croce, subito la tempesta e il tuono cesseranno.

Se si è sul mare e ognuno la recita tre volte, non gli verrà alcun infausto accidente né tempesta in quel giorno; e dite anche tre volte su una persona posseduta dallo spirito maligno, sia per lui stesso o per qualcun altro, con una candela benedetta accesa, egli sarà liberato immantinente, se qualche donna e in pericolo nel lavoro, e si recita tre volte con una candela benedetta accesa questa orazione, essa sarà libera all’istante: e se qualcuno vuole partire, o la si recita davanti a lui e la porta su di lui, durante il viaggio, sarà liberato da tutti gli accidenti e da ogni peccato; e se egli muore di qualche malattia, egli sarà salvo.

    Questa orazione degna di fede, è stata provata da molte persone.

    Qui iniziano le misteriose orazioni del Papa Leone.      

 

Infatti la preziosa ed unica copia era il segno di una tradizione segreta della conoscenza dei misteri di Madre Natura e riservata, secondo Vázquez, esclusivamente ai pontefici sovrani e ai maestri temporali del mondo.

Chi avrebbe avuto in mano questo libro e sapendo come decifrare i suoi disegni e i suoi scritti doveva diventare padrone del mondo… chissà cosa sarebbe successo se l’avesse avuto Giulio Cesare? Siamo seri, anzi sono serio! Il sor Giulio non ne aveva bisogno!

   Carlo Magno, da quel giorno, divenne il vero principe degli incantesimi e dei sortilegi, di una tale grandezza che ricordava il biblico Salomone.

Persino gli uccelli gli parlavano per guidare le sue truppe sulla strada giusta per la battaglia.

Alla morte di Carlo Magno, Eginardo, un monaco e storico che viveva a corte insieme con altri dotti come Alcuino di York, ed autore della Vita Caroli Magni, fece sparire il prezioso libro e i discendenti dell’imperatore non lo ebbero mai in mano.

 

 

   Questo finché non entrò in scena, un mio buon amico: papagatto Silvestro secondo, cioè Gerberto, il grande erudito che fu “scoperto” dalla dinastia degli Ottoni e che li seguì fino alla scomparsa della loro dinastia.

Sempre Colin de Plancy ha narrato «Martinus Polonus ha narrato che Silvestro II aveva un drago che uccideva tutti i giorni seimila persone.. » pag. 543, edizione del 1863.

   Peccato che questa favola (vedendo ciò che fanno certi dragoni oggi, non mi pare più una favola, anzi...) messer Polono la attribuisce a Silvestro I, infatti dice [da un edizione presente in rete stampata a Praga nel 1859] «Silvester I, natione romanus ex patre rufino. sedit annis XXIII mensibus X diebus XI [...] Silvester a draconis pestilentia roman liberaravit. Maxima pars urbis baptizata fuit. Cottidie [oppure Quotidie] draco VI milia hominum flatu suo interfecit»

In una traduzione ed adattamento maccheronico: «Silvestro liberò Roma dalla pestilenza del dragone. E battezzò la massima parte dell’Urbe. Ogni giorno, il drago uccideva con il suo respiro seimila persone. »

   evvabbé, tanto la distanza tra i due papi è all'incirca di... 666 anni, più o meno.

immagine tratta da Nisard dall'Almanacco dei pastori del XVII° secolo

 

Il povero pastorello Gerberto, entrato da bambino al monastero di Aurillac, ne uscì per andare in Spagna… Si sussurra che apprese da maestri arabi l’arte della negromanzia con cui evocava i morti, l’interpretazione del canto e del volo degli uccelli e che fece anche il classico patto con il diavolo che lo fece diventare un mago onnipotente… alla faccia di Mandrake! Non è che invece che in Spagna e Marocco, Gerberto è andato a studiare nel collegio della Magia in Tibet, dove insegna da un paio de secoli, il babbo de Mandrake? 


   Secondo la leggenda, in ogni  caso, il giovane Gerberto sarebbe riuscito ad avere un libro prodigioso rubandolo ad un vecchio saggio… e questo libro potrebbe essere proprio l’Enchiridio. Comunque papagattoSilvestro II, è stato detto in una fonte scovata dal mio amico Jean-Yves, era anche a conoscenza del segreto celato a Rennes-le-Chateau, collegato alla supposta tomba di Cristo e quindi ad una delle presunte origini della dinasta Merovingia, perciò poteva anche sapere come ritrovare il grimorio di Leone III.

Con esso poteva creare cerchi magici filtri amorosi, carri mossi dalla forza del diavolo (novello Leonardo, eh? Forse, potrebbe essere), evocazioni di demoni (Meridiana doveva essere davvero bella), mantelli che davano l’invisibilità,  navi incantate che potevano volare in cielo, una testa meccanica che rispondeva alle sue domande. Insomma tutto ciò che poteva aiutarlo ad ottenere un alto potere era dovuto agli effetti delle invocazioni e degli scongiuri dell’Enchiridio.

 

La splendida Melusina, una vera e propria fata compare al giovane Gerberto in Spagna, lo accompagnerà per tutta la vita e anche oltre.

  

Vázquez ritiene che Gerberto intimorito dalla potenza del libro malefico, fece in modo di restituirlo alla biblioteca da dove lo aveva recuperato, pochi giorni prima della sua fine.

Il suo mondo stava distruggendosi dopo la morte a Paterno – nelle odierne Marche – di Ottone III e aveva ormai troppi nemici, nella sua tomba fu scritto infatti «il mondo agghiacciò, perduta la pace, il trionfo della Chiesa vacillando disimparò la quiete.»; il suo successore era già pronto, Siccone, un fermano che rimase al suo posto solo cinque mesi. Era l’anno 1003.

 

Lastra presente a Rapagnano nella Chiesa di S. Tiburzio che

certifica la natività del successore di Papagatto Silvestro

 

    Passano i secoli e, dopo molte disavventure storiche in cui sarebbe entrato anche il libro magico di Leone III (incluso le vicende dei templari, che centrano sempre ed anche il sacco di Roma), nel 1530 Carlo V sarebbe riuscito a mettergli la mani sopra e lo avrebbe passato al figlio Felipe II, che conservò il libro nella biblioteca del monastero dell’Escoriale a Madrid, che si narra sia stato costruito sopra ad un ingresso dell’Inferno.

Però ! Quale miglior luogo dove custodire questo libro?

 

ωωω

Un bel disegno dal frontespizio del

El astrologo fantasma 1740

   Ma cos’è un grimoire o grimorio? Secondo quel che scrive Costantino De Maria alla pagina 543 del suo libro Enciclopedia della stregoneria questa parola «indica il libro magico per eccellenza e contiene le formule per evocare i demoni. Fra i più famosi e quello di papa Onorio, che contiene una raccolta di rari segreti».

 Ancor più preciso è Roberto La Paglia che scrive nell’aprile 2009 su I Misteri di Hera «Anche se accomunati sotto lo stesso nome, questi antichi testi posseggono una loro ben precisa connotazione: i libri di Alta Magia erano conosciuti come “Clavicole”, (dal latino chiavi), mentre quelli che trattavano esplicitamente la Bassa Magia o Magia Nera prendevano il nome di “Grimoires”, corruzione del termina francese “grammaries”.[ p. 8]» e ancora «Lo storico Giuseppe Flavio cita un libro che circolava nei primi anni dell’era cristiana, attribuito proprio a Salomone, che serviva per evocare spiriti maligni e aveva permesso al mago Eleazar l’Ebreo di esorcizzare i demoni alla presenza dell’imperatore Vespasiano. [p. 52]»

   Torniamo ancora a ciò che scrisse Nisard a pag. 139 del suo libro…

«Secondo lo storico Giuseppe Flavio [sempre lui.. uffa! Puga] Salomone è un nome  obbligatorio per tutte le stupidate di questo genere, stampate per quattro secoli, sotto il suo nome. Giuseppe Flavio riferisce in effetti [ Antiq., VIII, ch. 11.] che Salomone usò la conoscenza che aveva delle cose naturali per comporre vari rimedi e, tra gli altri, alcuni abbastanza potenti da scacciare i demoni.

Su questa base, gli impostori pubblicarono, in questa maniera, diverse opere dei segreti della medicina, della magia e degli incantesimi. Il Grand Grimoire, che è il più popolare, se non forse il più famoso. Questo onore, però, apparterrebbe piuttosto al Vinculum spirituum. Non c'è, si dice, nessun demone che possa resistere alla forza degli esorcismi di cui è pieno.

   Qui vediamo che Salomone trovò il segreto per racchiudere in una bottiglia di vetro nero un milione di legioni di spiriti infernali, con settantadue dei loro re, di cui Bileth era il primo, Belial il secondo e Asmodeo il terzo. Salomone poi gettò la bottiglia in un grande pozzo che si trovava a Babilonia. I negromanti sono persuasi che sia stato l’insopportabile orgoglio di questi spiriti che obbligò Salomone a questa sciagurata fine.

   Fortunatamente per i prigionieri, i babilonesi, sperando di trovare qualche tesoro in questo pozzo, vi scesero, ruppero la bottiglia e i demoni liberati tornarono alla loro normale dimora. Solo Belial ha ritenuto opportuno entrare in una statua. Lì diede oracoli: questo determinò i babilonesi a offrirgli sacrifici.»

   Nisard ha tratto questa storiellina da Mémoires d’histoire, de critique et de littérature, Parigi 1749, t. I, p. 29, presente in rete, scritto dall’abate d'Artigny. 

Baculo centurione di Giulio Cesare torna da suo fratello Virgilio,

grande studioso di cose occulte. Vignetta tratta da un mio vecchio fumetto.

Ecco dove è scaturita l’idea di Virgilio giovinetto che trovò, zappando il suo orto a Mantova, una bottiglia piena di demoni. Li liberò e si fece pavimentare una bella strada per andar a studiare alla scuola di Magia a Roma…

   E naturalmente c’è anche un altro formidabile trattato d’invocazione, e come s’intitola? Il Drago rosso, tra l’altro presente in rete. E basta con ‘sti rettili!!!

 

   Ebbene cosa dobbiamo pensare? Questi grimori e le clavicole di Salomone, uno dei libri che il re di Israele avrebbe scritto, esistono davvero? Questo sì, visto che sono stati stampati e funzionano? Sono cose che non mi interessano. Se ne occupi chi ha il malefico interesse ad aprire, a scoperchiare la porta dell’Inferno.

    Personalmente vado alla ricerca di ben altri libri.

    Avete mai sentito nominare il codex patatae?

 

 

Codex Patatae

 

   Si narra che questo libro esista dagli albori del tempo, addirittura dalla mitica Atlantide. La prima stesura fu realizzata ai tempi di Re Nippur de Lagash, nell’antica terra di Sumeria. Da lì passò in Egitto; era lettura preferita della poetessa Saffo nell’isola di Lesbo alle sue ancelle; nell’antica Roma fu letto assiduamente da Caio Giulio Cesare il quale se ne servì abbondantemente per dar la caccia alle ragazze, fregandosene dell’appellativo di “regina di Bitinia”.

Anzi correva voce, nei primi anni del regno di Augusto, che l’autore di questo testo fondamentale fosse stato proprio Giulio Cesare; la prima stesura fu ai tempi in cui conobbe Poppea – splendida ninfa di Lesbo – che divenne la sua seconda moglie e che dovette ripudiare per lo scandalo  della Bona Dea.  E la redazione definitiva avvenne negli anni del pontificato.

   Uno degli ultimi possessori del manoscritto originale fu l’Imperatore Giuliano che se ne servì per far innamorar di sé la futura moglie, una delle più belle ninfe di Lesbo dell’epoca. 

    Con l’avvento del cristianesimo e successiva caduta della repubblica imperiale di Roma fu demonizzato e come tale scomparve dalla circolazione. Si mormorava che dopo le cacce della brigata di Diana, le ancelle della Dea le leggevano ampi brani per favorire il suo successivo riposo. In realtà era un libro che tutte le streghe, seguaci della Dea, studiavano prima di penetrare nei segreti delle arti occulte.

    Ma il mondo arabo ne ebbe molte copie, anche se la lettura ne era proibita. L’originale di queste copie fu trovato nella biblioteca di Alessandria e trasportato successivamente alla casa della sapienza di Istanbul. Una di queste copie arrivò rocambolescamente a Firenze e fu ritradotta in latino dall’arabo, dagli umanisti della corte medicea.

   Purtroppo la nuova diffusione fu ancora una volta interrotta dalla santa inquisizione che la fece di nuovo scomparire. Una delle ultime copie fu stampata nel 1568, tradotta nel nascente volgare italiano. Alessandro, conte di Cagliostro (non l’imbroglione Giuseppe Balsamo) dopo averlo usato per conquistare la futura moglie Serafina donò la sua copia a Giacomo Casanova, nel loro famoso incontro, dono che Casanova non annotò nelle sue memorie.

   Oggi una copia si troverebbe nella biblioteca del vaticano e la sua visione è possibile solo ai vari papi.

   Una copia del XVI secolo è stata messa recentemente in vendita dalla casa d’aste Sosteby di Londra, alla fantastica cifra di 6 milioni di sterline, anche se la sua autenticità è stata messa gravemente in dubbio.

 

     Esiste questo libro, questo grimorio? No di certo! L’avete capito. Me lo son inventato io, con la complicità di qualcun’altro.

 

Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

03/03/'22

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