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sabato 19 marzo 2022

Tre storielline macabre

 

Tre storielline macabre

 

Copertina di un albo di Mandrake in lingua inglese

 

   Sui vecchi numeri del Giornale dei Misteri, tra i molti che scrivevano articoli, vi era un certo Harold Riciputi. Questo autore era Aroldo Riciputi (Nuova York 1915 - Cattolica 1978), e scrisse alcuni libri tra cui La città sommersa: Conca o Valbruna, (senza data, ma probabile edizione degli anni ‘50) incentrato sull’antica città sommersa di fronte Cattolica – ne parlò pure a pag. 63 del Giornale dei Misteri n. 47 – di cui parla pure Flavio Biondo, [… sotto Fogara verso Arimino (Rimini) è un vico chiamato Catolica, presso il quale, quando il mare è tranquillo, si vede più sotto l’acque, alcune mura, e torri d’una terra, che fu inghiottita dal mare, chiamata Conca. Pag. 132 dell’edizione in lingua volgare del 1543].

Eppure scriveva anche di cose che andavano oltre la reatà! Come la vicenda de

 

Un terrificante avambraccio

 

    E questa dell’avambraccio è davvero oltre, direi un vero e proprio incubo…

Siamo in una giornata imprecisata di un anno altrettanto imprecisato della fine degli anni ’20. Ah sì, del ‘900, naturalmente; a Farmingdale in quell’isola lunga davanti a Nuova York. Riciputi la narra come se fosse capitata a lui stesso… Egli ricorda con orrore che quella mattina presto il suo bastardino Rusty [e Rinty, non c’è?] gli venne incontro con un avambraccio umano destro.

Chiamò subito il suo amico sceriffo Joe Smuthers e quando arrivò a casa sua, gli mostrò il macabro reperto; ma né i medici dell’ospedale, né quelli delle cliniche private seppero dare spiegazioni sulla provenienza del reperto.

Tornati nell’ufficio dello sceriffo, i due amici, furono informati che Stubby Perkinson – custode del cimitero situato a un chilometro dall’allora periferia della città – aveva chiesto di Smuters, ma al telefono sembrava fuori di testa.

Lo sceriffo decide di recarsi subito sul posto e si fece accompagnare dal suo amico. E lì trovarono ben diciotto bare risotterrate con furia crudele… in più ad ogni salma era stato divelto l’avambraccio destro. Ne mancava solo uno; ovvio, quello trovato da Rusty.

Letteralmente angosciante; nemmeno da morti si può stare tranquilli.

Non era finita lì: in fondo al cimitero vi era una chiesetta per le funzioni funebri. Nello spazio d’erba alla sua fronte scoprirono un cerchio bruciato di una ventina di metri, nel cui bordo trovarono una altro avambraccio destro quasi del tutto carbonizzato. Intorno al gomito mostrava una striscia circolare di qualcosa simile al cuoio, con un bel po’ di ganci, come fosse parte di una cerniera di cui mancava la parte superiore.

Esaminato nel laboratorio della Università di Columbus, l’avambraccio «non risultò appartenere alla razza umana, né ad alcun animale conosciuto sul pianeta Terra.»

    Come era prevedibile la notizia finì in pasto alla stampa ed è proprio per questo che la sinistra vicenda ebbe la sua conclusione da incubo vero e proprio.

Poche ore dopo arrivò dal Nuovo Messico una telefonata al Comando della Polizia di Farmingdale. Era lo sceriffo della città di Utaxo, che raccontò al suo collega di Nuova York della sinistra fine di Eddy Stone, morto delirante e dissanguato.

   Stone era uscito all’alba per andare a caccia di crotali nel deserto. Ad un certo punto sentì tremargli la terra sotto i piedi mentre tutt’intorno si illuminava come il sole fosse allo zenith. Alzò la testa e vide sopra di esso una enorme palla di fuoco da cui uscì una scala a telescopio. 

Dalla palla infuocata era disceso un essere simile ad un uomo gigantesco con una strana anomalia: aveva tre braccia. Due a sinistra e una a destra con al di sopra un foro nero. Stone era inchiodato al suolo e non poteva muoversi e vide con terrore come l’essere, appena toccato il suolo, si copriva il foro al lato destro del suo corpo con una delle sue mani sinistre.

Gli si fece davanti e gli tagliò a Stone suo braccio destro dall’omero.

Stone non sentì alcun dolore e non gli uscì nessuna goccia di sangue, questo almeno fino a quanto la strana palla di fuoco non sparì in cielo a velocità folle. Allora sì che sentì un dolore immenso e dalla ferita sgorgò copioso il sangue.

Dei cacciatori di mustang lo trovarono, gli fecero una medicazione di emergenza e lo portarono di corsa  all’ospedale di Utaxo, dove riferì con parole deliranti allo sceriffo, del suo disgraziato incontro con quello che possiamo definire l’alieno, prima di spirare.

     Che storia è? Una vera e proprio pesadilla come si dice in spagnolo, ma è vera o falsa? Certo, per i più È sicuramente falsa, narrata poi in una rivista a dir poco ridicola come il Giornale dei Misteri [nel n. 48 del marzo del ’75]; se però è reale, non si vada in giro a dire che i componenti dei popoli delle stelle ci vogliono bene…

 

Bella illustrazione per una copertina di albo turco di Mandrake

 

Fuochi fatui nell’Hudson

 

   Dello strano fenomeno di Shiranui o fuoco divino, non ne sapevo praticamente nulla, finché – se non ricordo male – nel vecchio e bel programma di Tele Montecarlo chiamato Stargate, linea di confine, non fecero vedere un collage di video strani provenienti da un bel po’ di luoghi del pianeta. Uno di essi faceva vedere delle sfere o stelline che uscivano dal terreno sotto a un fiume e si libravano veloci nella notte, e tutto questo di fronte a un vasto pubblico orientale totalmente entusiasta di quello spettacolo di… Madre Natura. Se non era Shiranui, doveva essere qualcosa di molto simile.

   E qualcosa del genere doveva sembrare il fenomeno che di notte, dalle torbide acque del fiume Hudson salivano delle palle di fuoco e che a pelo dell’acqua, seguivano la corrente e come in un ballo satanico si intrecciavano tra loro.

    Sempre Riciputi narra che, credo proprio all’inizio degli anni ’70, una megera (così la definisce) in evidente alterazione disse di aver visto una bambina che era riuscita a prendere una di queste fiammelle e che l’aveva inghiottita. Fin da subito la bambina ebbe l’ingrossamento del ventre e dalle labbra, anch’esse ingrossate, uscì un liquido nero e puzzolente; poi la bambina si mise a ridere come una indemoniata. La donna, prima di essere portata via all’ottavo distretto di polizia, asserì anche che il cielo notturno si era riempito spaventosamente di pipistrelli.

 

Notte inquietante, piena di pipistrelli, in questa copertina di Domenico Mirabella del 1970

 

    L’ispettore John McCullum la fece ricoverare per degli esami minuziosi e fu in questa sede che si venne a sapere che la triste figura della megera era una ex mignotta, vecchia conoscenza della squadra narcotici e che da lungo tempo, portava la scimmia sulla spalla. La miserabile creatura era stata l’amante di un losco individuo – tra l’altro padre della bambina, oggetto del delirio della donna – che l’aveva abbandonata per mettersi con una mignotta più giovane. Intanto i fuochi fatui rimasero un mistero finché…

    Un investigatore della squadra omicidi sempre del l’ottavo distretto, tale Hume Watkinson, che aveva la passione del giardinaggio passeggiava su quelle stesse rive e rimase colpito dai vasi di fiori che sporgevano dai balconi di un palazzo vicino al fiume. Ne parlò subito con una sua amica, Janet Gardiner, bibliotecaria del museo di Scienze naturali. Sorpresa, la donna si fece portare presso i balconi e visti vasi capì che si trattava di marijuana.

    Come in una classica pellicola gialla yankee venne avvertita immediatamente la sezione narcotici. Da quel momento gli inquilini che occupavano il vasto caseggiato furono sotto stretta sorveglianza con agenti di polizia che si fingevano idraulici oppure addetti delle linee telefoniche e scoprirono che non solo i balconi, ma anche i tetti, i solarium e vaste terrazze interne erano adibiti alla coltivazione della antica pianta medicinale che dai primi del ‘900 era stata usata come una droga.

    E si scoprì anche l’ingegnoso sistema usato per il trasporto, tanto da farmi pensare che l’abbia escogitato qualche napoletano! Con tre once di Marijhuana si faceva un pacchettino avvolto in tela impermeabile all’acqua e al di sotto veniva legato un altro pacchetto pieno di sale ma avvolto in un tessuto non resistente all’acqua, appena più pesante del pacchetto superiore. Infine al di sopra di tutto c’era legato un tappo di sughero, spalmato di fosforo che serviva ai destinatari – una volta scioltosi il sale – per recuperare sopra delle barche a remi, i pacchetti che danzavano sulle onde come fuochi fatui.

 

Il necromante

 

 

  Ora vorrei andar più indietro del nostro ‘900. Vi ricordate di Salimbene De Adam e della sua Cronaca o Chronicon Parmense?

   Nel suo libro parlò di un papa vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, tanto lodato ieri e oggi. Si tratta di Innocenzo III, il quale «un giorno che stava predicando al popolo, notò uno scolare che sorrideva alle sue parole. Arrivò in fondo alla sua predica e se lo fece venire solo in camera. E gli domandava perché mai avesse riso delle parole divine quando sono utili a salvare le anime. Rispose lo scolare che le parole che aveva udito erano solo parole, ma lui sì sapeva mostrare dei fatti come resuscitare i morti e comandare ai démoni. Il papa seppe che egli era un necromante e che aveva studiato a Toledo ed allora lo pregò che gli volesse resuscitare un so’ amico defunto, per aver con lui un colloquio famigliare e dimandargli dello stato dell’anima sua. Scelsero un posto deserto ed appartato in Roma, e il papa con il pretesto di una passeggiata ci arrivò e diede ordine alle persone del suo seguito che si allontanassero e lo attendessero insino al suo ritorno. Pensavano essi che scendesse giù per i suoi bisogni corporali e fecero come aveva detto. Così gli risuscitò, il necromante, l’arcivescovo di Bismantova [Monte (Petra Bismantova) presso Castelnuovo de’ Monti in provincia di Reggio Emilia] in quella pompa e vanagloria con la quale era solito venire alla corte. Ché primamente venivano innanzi i garzoni a preparare gli alberghi, poi i somari in numero grande con i tesori, indi i donzelli dotti nel servire a mensa, dappoi i cavalieri ed alla perfine lui con cappellani molti. E gli domandava il necromante dove si recasse. Rispose ch’ei andava in corte da papa Innocenzo, suo amico, che lo voleva vedere. Gli disse lo scolare “È qui Innocenzo l’amico tuo, e vuol sapere da te come ti stai”. Rispose: “Mal mi sto: ché son dannato per la me’ pompa e vanagloria e li altri peccati che ho commesso, e non ho fatto penitenza. Così son sta’ annoverato insieme con i demoni e tutti quelli che calano giù all’inferno…”. Terminati da una parte e dall’altra questi parlari, disparve la visione e il papa ritornò ai suoi compagni…»

 


Spezzone da Cronica. Testo latino a fronte. Salimbene (da Parma) Monte Università Parma, 2007 pagg. 85-87

       

      Marco Pugacioff

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

19/03/'22

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