Le SIRENE esistono ?
Melusina
E chi lo sa? Personalmente non mi interessa, però ho trovato che Boncompagni aveva dei dati interessanti perciò, ci ho scritto qualcosa…
Delle sirene di tipo pellerossa tentano di sedurre con la loro pericolosa bellezza, Blek.
Tavola – copertina che realizzi per il Conte Verde.
Prima di iniziare vorrei rubare alcune righe da: http://gabinetedcuriosidades.blogspot.com/2010/04/el-hombre-pez.html
«Lo storico Plinio narra dell'apparizione nella zona oceanica di Cadice di un "uomo marino" il cui corpo era interamente umano.»
Ho trovato il passo citato, eccolo
DELLA FIGURA DE' TRITONI E DELLE NEREIDI.
IV.5. Gli ambasciadori di Lisbona mandati per questo effetto a Tiberio imperadore, gli fecero intendere, come essi avevano veduto e udito in una certa spelonca un Tritone, che sonava la cornetta, ed era di quella forma, con la quale si conosce; e che anco la forma delle Nereidi non è falsa, ma solamente hanno il corpo aspro per le scaglie, ancora dove hanno figura umana. Perciocchè se ne vide una di queste nel medesimo lito, e gli uomini del paese udirono di discosto il rimmaricchio d’essa, quando moriva. L’ambasciador della Gallia scrisse anco all’imperadore Augusto, come s’erano vedute sul lito più Nereidi morte. Io ho l’autorità di cavalieri onorati, i quali hanno scritto d'aver veduto nel mar di Cadice uno uomo marino, per tutto il corpo affatto somigliante a noi; il quale di notte saliva sopra i navili, e aggravava tanto quella parte, dove ei posava, che poco più che vi fosse stato, il navilio si sarebbe affondato.
Dall’edizione del 1844.
E in più quest’altro, di questa favola di cui ha parlato perfino Cervantes nel Don Quijote de la Mancha: Il Pesce Colao visse, tra gli anni 1166 e 1189 nei mari dell’Italia meridionale. Peje Nicolao, come era anche conosciuto, sapeva nuotare per lunghe distanze, e per questo veniva utilizzato come corriere marittimo tra i porti della terraferma e le isole. Il re Federico di Napoli e di Sicilia volle verificare la certezza delle sue imprese e lo portò al famoso gorgo di Cariddi, nello Stretto di Messina, gettò nell’acqua una coppa d’oro, dicendo a Nicolao che se l’avesse recuperata, sarebbe stata sua. "Pesce Cola" saltò in acqua e ne uscì con il bicchiere in mano, raccontando tremende visioni di mostri marini.
Aggiornamento 20-04-‘22
La leggenda di Cola Pesce
Lettera pubblicata sul Giornale dei Misteri n. 83 del febbraio 1978
Fabrizio C.. , Firenze, ci scrive una interessante lettera che pubblichiamo:
« Cara SUF, alcuni anni fa, alla televisione, di sera, fu mandato in onda un documentario su una strana leggenda che risale a molti secoli fa e che anche oggi i vecchi siciliani dell'interno dell'isola si raccontano fra di loro. Essa narra di un ragazzo-pesce che era diventato così per ragioni sconosciute. Da un ragazzo normale diventò un mostro ma un mostro benefico che veniva di quando in quando sulla terra dal mare e stava con gli abitanti della Sicilia, camminando sulla pinna inferiore. In quel tempo accadde che la popolazione dell'isola si trovò in pericolo: le colonne che si credeva che sorreggessero la Sicilia stavano per rompersi e così l'isola sarebbe affondata. Si chiese aiuto a questo mostro che accettò l'incarico e offrì la propria vita per la salvezza di quella terra e così si narra che andò giù sotto l'acqua e tenendo salde le colonne evitò il disastro e si crede che ancora sia laggiù e che quando si verifichino terremoti sia lui che cerchi di sorreggere le colonne con forti movimenti.
Ecco come una leggenda ha fatto diventare quel ragazzo-pesce un eroe per tutti gli abitanti della Sicilia ».
• La leggenda è senza dubbio interessante anche per gli studi clipeologici, se però esiste realmente questa versione, per la qual cosa non basta riferirsi ad un documentario televisivo, ma occorre effettuare delle ricerche nelle biblioteche sicule per conoscere fonti attendibili ed esatte. Si è detto « questa versione », perché ne esistono ben altre, ma sostanzialmente diverse. Esiste la leggenda napoletana di Cola Pesce, che parla di un ragazzo maledetto da sua madre, perché stava sempre in mare a nuotare, e la maledizione non lo fece più tornare sulla terra come gli altri, anche se riuscì a portare tesori al re.
Questi infine volle affidargli un'impresa talmente impossibile che rimase prigioniero del mare e non si vide più. Esiste anche una versione siciliana di Cola Pesce, versione che differisce dalla precedente perche il re Federico ordinò al ragazzo di riferirgli com’era fatta la Sicilia sotto l’acqua e il ragazzo gli disse che l'isola poggiava su tre colonne, una delle quali purtroppo era pericolante a causa del fuoco dell’Etna. Il re incredulo gli ordinò di portargli un po' di quel fuoco e il ragazzo non fece più ritorno. Fu visto solo del sangue nella zona dove si tuffò. I siciliani da allora credono che egli sostenga sempre la colonna pericolante. Quest’ultima versione, come si può notare, è simile alla leggenda narrata dal Ceccarelli, ma differisce nel particolare delle pinne, che rende il ragazzo mostruoso simile all’ « Oannes » mesopotamico. Nelle ultime due versioni, il ragazzo che sostiene le colonne fa ricordare la storia di Sansone.
Solas Boncompagni
Nel 1974 Solas Boncompagni scrisse molti articoli di clipeologia sul Giornale dei Misteri, rivista dai più non considerata seria. In uno di questi, parlò dell’esistenza delle sirene. Nel numero 43 tradusse scritti del ‘900 ed anche più antichi in cui si dava conferma della loro esistenza. Iniziava così:
«Il mare del tempo delle scoperte, il mare del principe Enrico il Navigatore e dei suoi seguaci era pieno di misteri, di dubbi e di incertezze. Leggende diaboliche correvano di bocca in bocca e colmavano di spavento le anime semplici. Il popolo credeva che il mare avesse il potere sopranaturale d’uccidere coloro che tentavano di scoprire i suoi misteri. […] Fu in questo periodo che il mito delle Sirene, sia per il suo carattere tragico che per quello poetico, impressionò fortemente l’anima popolare.» Qui Boncompagni sta traducendo ciò che Fernando De Castro Pres De Lima scrisse nel suo articolo Il mito delle sirene nel Portogallo, apparso nelle Mélanges de préhistoire, d’archéocivilisation et d’ethonologie di Gabriel Marcel Scuola pratica di alti studi – VI sezione – Centro di ricerche storiche a pag 611. E continua dicendo che in alcune leggende portoghesi, le Sirene del Mediterraneo, che erano per una metà donna e per l’altra metà volatili – come quelle descritte nell’Odissea – lasciarono il posto a quelle dell’Atlantico che erano sempre per metà donne, ma per l’altra metà erano dei peschi.
John William Waterhouse, Ulisse e le sirene, 1891
Ma soprattutto erano dei «dèmoni tentatori» che riuscivano ad ammaliare i marinai con una «voce melodiosa» con la quale «li trascinavano a nozze maledette» ed ad una «strana luna di miele» da cui non vi era ritorno. Boncompagni aggiunge che le Sirene mediterranee vinte da Ulisse «non avrebbero potuto assistere alla fondazione di Lisbona.»
Infatti «Il crociato (Osberno), che fu testimone oculare della conquista di questa città» rimembra «ciò che sarebbe accaduto quando si consegnò al Portogallo per partecipare a questa eroica impresa.» [Sempre De Lima a pag. 612] Egli stesso testimoniò per iscritto che «La sera, allorché sopravenne una tempesta, noi fummo dispersi in tutte le direzioni. La profonda oscurità della notte e la forza delle correnti portavano alla disperazione i marinai, anche i più arditi. Si udirono allora le sirene con la loro orripilante voce, dapprima simili a pianti, poi come risate che c’insultarono che erano simili ai clamori di una festa.» [Conquista de Lisboa aos Mouros del 1647 – Narrações dos Cruzados Osberno e Arrulfo, testemunhas presenciasis do Cérco – Lisbona 1936]
Prosegue poi con una testimonianza di Damiâo de Goes «Nei vecchi archivi del regno che dirigo, esiste un manoscritto antichissimo che è un contratto fra il re Don Alfonso III e il Maestro dei Cavalieri di Santiago, Paio Peres. Il documento precisa che l’imposta, che è dovuta per le sirene ed altri animali della stessa specie rinvenuti nelle spiagge, dovrà essere pagata al Re stesso e non al Maestro dell’Ordine. Si deve concludere che le sirene erano abbondanti nelle nostre acque, giacché fu promulgata più di una legge nei loro riguardi» [De Goes, Damiao: Lisbos de Quinherentos, Lisbona 1937] non solo ma Kastner aggiunge secoli dopo «Le ninfee del Mar delle Indie furono, a quanto si crede, oggetto di una legge ancora più curiosa. In effetti, un navigatore spagnolo ha raccontato che, data l’apparente somiglianza della conformazione fisica delle sirene con le donne, i pescatori erano tenuti a presentarsi davanti ad un magistrato per impegnarsi con giuramento a non avere alcun contatto carnale con loro» [Georges Kastner Les Sirenes Parigi 1909] Altra testimonianza viene da Antònio Galvâo il quale riferisce che «alcun portoghesi gli raccontarono che lungo la costa del Capo di Buona Speranza, verso Sofala, Quiloa e Melinda, grandi pesci che avevano il volto di donna percorrevano impettiti le acque. Quando li prendevano, i pescatori ci scherzavano e, allorché li vendevano, se essi avevano dormito con loro, dovevano farne giuramento» [Antònio Galvao Tratado dos Descobrimentos Porto 1944].
Il padre Benito Feyjòo asseriva che nel «Dictionnaire universal de Trévoux» era scritto che «nel 1560 nella costa occidentale di Ceylon, nei pressi dell’isola di Mannar, alcuni pescatori avevano catturato con una sola retata nove donne e sette uomini marini. Molti gesuiti, fra i quali il padre Enrico Enriquez, sono stati testimoni di questo fatto, come pure Dimas Bosque di Valencia, medico del viceré di Goa. Non solo l’aspetto di questi esseri era completamente umano, ma pure i loro organi interni erano perfettamente simili a quelli degli uomini. Lo si sa per il tramite dell’esame anatomico che è stato praticato.» [De Lima, op. cit. pag. 614]
Di questo fatto parla pure Alessandro Dumas nel suo I matrimoni di papà Olifur, [voltato dal francese da L. Masieri. Milano 1856, in rete] «Dimas Bosque, medico del vice-re dell’isola di Manara ne dice in una lettera inserita nella Storia dell'Asia di Bartolo, che sendo andato a passeggiare in riva al mare con un gesuita, una truppa di pescatori accorse al padre pregandolo ad entrare nella loro barca per vedere un prodigio. – Il padre fu compiacente e Dimas Bosque lo accompagnó.
In quella barca stavano sedici pesci d’umano aspetto, nove femmine e sette maschi, che i pescatori aveano accalappiato in un sol tratto di rete. Furono tirati sulla riva e minutamente esaminati, Le loro orecchie erano eminenti come le nostre, cartilaginose e coperte d'una pelle sottile. I loro occhi somiglianti ai nostri per forma, colore e posizione, erano chiusi in orbite praticate sotto la fronte, munite di palpebre, e come quelli dei pesci non aveano assi diversi di visione. Il naso non differiva dal naso umano se non perchè un po' schiacciato come quello d'un negro, e leggermente fesso come quello del can bouldogue. La bocca e le labbra similissime alle nostre, i denti quadrati e stretti l’uno contro l'altro; petto largo e coperto d’una pelle estremamente bianca che lasciava scorgere i vasi sanguigni.
Le donne avean mamme[lle] sode e dure ed alcune allattavano, perchè premendo queste mamme[lle] ne spicciava un latte bianchissimo e purissimo. Le loro braccia lunghe due cubiti, più pienotte delle nostre, non avean giunture, e le mani erano attaccate ai cubiti: finalmente sotto il ventre al cominciar delle anche e delle cosce spartivasi una doppia coda somigliante a quella dei pesci.»
Secondo quanto riferisce Boncompagni l’intervento chirurgico [forse sarebbe più esatto dire squartamento, Puga] sarebbe stato effettuato dallo stesso medico Dimas Bosque «che avrebbe effettuato i suoi studi all’università di Coimbra». Ancora Boncompagni asserisce che Fernando Castro Pires De Lima testimonia che «delle sirene sarebbero state viste da Cristoforo Colombo, da Carlo Quinto, da Filippo II e molti altri».
Un numero di Leyendas de America del 1979 intitolato Le sirene non si devono pescare
Infine ancora Kastner che è scritto nella «Storia del Portogallo» che «Un giorno furono condotte al re Don Emanuele due donne-peschi, che erano le ultime sopravviventi di una compagnia di tritoni, catturati nelle Indie Orientali. Gli strani compagni di queste sirene, in numero di cinque, erano morti, gli uni appena usciti dal mare e gli altri durante il tragitto delle Indie a Lisbona. Queste infelici sirene, spaesate, erano estremamente tristi. Il re dette perciò ordine di lasciar liberamente giocare in mare, avendo però cura di tenerle legate ad una sittile catena. Fu così che le due donne marine poterono trascorrere ogni giorno qualche ora a giocare fra le onde. E grazie a questa concessione vissero molti anni nella nuova terra, ma giammai riuscirono, sia pure minimante, ad usare il linguaggio degli uomini.» [Georges Kastner op. cit. ] Ed è per questo che la popolazione lusitana credeva fino agli anni ’70, alle sirene atlantiche «compagne di Conquistatori e testimoni delle loro ineguagliabili imprese.» [De Lima, op. cit. note 1 e 7 di pag. 615]
Fin qui la parte più interessante dell’articolo di Boncompagni, passiamo a un altro ricercatore Iker Ymenez, da cui traggo la storia de
El Hombre-Pez de Liérganes
L’uomo pesche di Liérganes
Il monumento a Liérganes
Francisco de La Vega Casar, già a cinque anni di età aveva capacità natatorie fuori del comune che esercitava nel luogo preferito dei suoi giochi infantili, il acque del fiume [río] Miera, strabiliando tutti i suoi concittadini. Poi a sedici anni di età, nel 1672, andò a lavorare nella vicina Las Arenas come falegname, ma non mancava di immergersi al tramonto nell’estuario.
Finché alla vigilia di san Giovanni di due dopo, si immerse davanti ad altri otto falegnami per far una escursione in un angolo della costa e non tornò più. Ogni ricerca fu inutile e la famiglia (madre e tre fratelli) dovettero piangerlo senza una tomba.
Eppure cinque anni dopo, nel febbraio del 1679, i pescatori della baia di Cadice [Cádiz] videro con sorpreso timore, nuotare a bassa profondità uno strano essere acquatico. Riuscirono giorni dopo a catturarlo e lo portarono sulla riva della capitale andalusa.
La strana preda risultò essere un giovane uomo di un metro e ottanta d’altezza, corpulento, dalla pelle chiara quasi traslucida, con cappelli rossi come il fuoco. Dalla gola fino allo stomaco aveva una cintura di squame come i peschi, e un'altra lungo la colonna vertebrale. Le dita delle mani erano unite da una finissima membrana come quelle delle zampe di un’anatra… [combinazione inquietante, mi ricorda ciò che scriveva Mariano Bizzarri delle popolazione che abitano nella regione di Rennes le catheau, dove tral’altro si parlava la lingua…d'oca.] La povera preda ruggiva come un animale feroce, ma fu tutto inutile e fu portato al convento di San Francisco, dove rimase tre settimane. Naturalmente furono ordinati degli esorcismi per espellere possibili demoni e spiriti maligni dal suo corpo e un frate interrogò l’uomo pesce per giorni e notti. Alla fine l’unica parola che riuscì a far dire all’uomo pesce fu Liérganes!
Riusciti a sapere che c’era un luogo con quel nome si iniziarono subito delle ricerche e non molti giorni dopo si venne a sapere della scomparsa del giovane de La Vega. L’uomo pesche fu portato davanti alla famiglia de La Vega e la madre e due fratelli (uno mancava) lo riconobbero subito, ma colui che fu Francisco, non rispose ai gesti d’affetto della famiglia.
L’uomo pesce rimase nel paese nativo, sotto stretta sorveglianza, per due anni (qualcuno dice nove). Ma restando sempre in silenzio faccia al suolo, senza mostrar interesse a niente.
Finché in un tramonto del 1682 incominciò a gridare come un animale ferito e si slanciò verso il fiume. Vari contadini tentarono di fermarlo ma l’uomo pesce riuscì a tornare al suo mondo acquatico e nessuno lo vide mai più.
Questa storia fu narrata dal frate Benito Jerónimo Feijoonel suo Teatro crítico universal, opera realizzata tra 1728 e 1740.
Un utima nota: Jiménez nel suo libro enigmas sin resolver del ’99, [possiedo la ristampa del 2006] è riuscito ad avere in mano sia la carta del battesimo di de La Fega, sia un atto in cui si certifica che l’uomo pesce era Francisco de La Vega.
Sequenza di vignette tratte da Martin Mystére n. 82"Il canto della sirena ", su testi di Castelli
con gli stupendi disegni di Franco Bignotti, forse già aiutato nel ripasso a china da Franco Tarantola.
Una terrificante immagine di un uomo pesce di Angelo Maria Ricci
sempre da Martin Mystére
n. 131 bis, speciale del febbraio ‘93
Il garadiávolo
Il noto ovnilogo [leggi ufologo], ricercatore ed ex-gesuita Salvador Freixedo Tabarés (1923-2019) descrisse già nel 1976 di una creatura marina simile all’uomo pesce e che fu denominata garadiávolo.
Ne tracciò i primi resoconti dell’avvistamento e cattura sulla rivista spagnola Mundo Desconocido al numero 7 del dicembre del ’76, quando all’epoca viveva a Portorico e poté vedere coi propri occhi, la strana creatura.
Dall’aspetto diabolico, infatti è stato denominato garadiávolo – un nome che dice tutto – e che anche negli anni seguenti fece parlare di sé.
Vi sarebbe anche una razza di pesce, all’incirca di 43 centimetri di altezza, al quale, dai pescatori locali, verrebbero praticate abilmente delle incisioni su coda e pinne, per trasformarli in piccoli mostri marini con sembianze di diavoli. Freixedo ha visto questo pesce sia quando veniva catturato dalle reti, insieme ad altri pesci, ad Acapulco, sia in vari negozi turistici della costa messicana.
Ma vi sarebbe anche una creatura acquatica della famiglia delle mante, che senza bisogno di alcuna incisione, a davvero l’aspetto impressionante di un diavolo, che può uscire dall’acqua e… camminare eretto come una creatura umanoide!
Può muoversi con una certa abilità a balzi e la sua dimensione è molto maggiore di quella del pesce poi venduto come attrazione turistica. Può arrivare – scrive Freixedo – fino a più di un metro di apertura alare [más de un metro de envergadura. L’envergadura è la distanza sia tra le due punte delle ali di un uccello o di un aeroplano, sia tra le punte delle dita delle due mani di una persona quando le sue braccia sono completamente estese. ].
Inoltre per la sua posizione eretta questa creatura si affida alla sua coda, forte e cilindrica che adopera per la cattura e lo strangolamento della sua preda… compresa quella umana. In più ha delle zanne e un naso sporgente, particolari mancanti nei pesci venduti come attrazioni turistiche.
Le sue “gambe”, più precisamente le cosce sono molto arrotondate. Le creature di sesso maschile hanno gli organi sessuali del tutto esterni, una particolarità alquanto difficile da trovare nel mondo acquatico. La sua pelle dalla parte anteriore è morbida e affine a quella umana, al contrario quella sul dorso è ruvida e simile a quella degli squali.
Salvator Freixedo poté vedere questa creatura, come ogni altro curioso portoricano, nella città di San Juan, in casa del signor Alfredo Garcia Garamendi, a cui aveva dato il nome di garadiávolo. Le immagini della creatura ormai senza vita e conservato in un grande contenitore verticale con acqua di mare, sarebbero state riprese da una televisione portoricana (Channel 2 TV).
Questo esemplare non era stato il primo ad essere catturato dal signor Garamendi; infatti almeno un anno prima aveva avvistato due esemplari adulti sugli scogli della riva, ma non riuscì a catturarli. Garamendi, che praticava pesca subacquea, riuscì però a catturare un giovane esemplare di questa specie, di circa quaranta centimetri di lunghezza e che finì all’Università di Portorico e sottoposto agli esami di un certo dottor Willian Eger per almeno otto mesi.
Garamendi catturò anche un secondo esemplare nella laguna di Aguas Prietas, presso la città di Fajardo, sempre a Portorico, ma questa stava quasi per rimetterci la vita. Difatti il garadiávolo lo attaccò improvvisamente al collo con la sua coda per impedirgli di tornare alla superficie per respirare.
Di fronte a sua moglie e ad altri due testimoni, Garamondi ingaggiò una lotta tremenda e riuscì a liberarsi trapassando il garadiávolo alla pancia con il suo coltello.
Fatto dissanguare la creatura sulla spiaggia, la carcassa del garadiávolo fu avvolta negli asciugamani per evitare lo sguardo dei curiosi e metterlo in automobile. La carcassa finì in un istituto di dissezione di Fort Lauderdale in Florida, negli usa ed era quello che poi i portoricani videro in televisione.
All’incirca sette mesi dopo si venne poi a sapere da un giornale venezuelano che un alto funzionario del governo del Venezuela, appassionato anch’egli di pesca subacquea, era riuscito a ferire un garadiávolo in una delle sue pinne e agganciatolo all’arpione del suo fucile e con una terribile lotta, lo aveva trascinato a riva. Il resoconto El Mundo de Caracas, continuava ancora dicendo che una volta a riva, la creatura non solo, non boccheggiò come avrebbe fatto un comune pesce, ma si eresse sulle sue due zampe e saltò sui curiosi radunati sulla spiaggia per morderli e che ringhiava come un maiale emettendo dei grandi strilli.
La fotografia della creatura era quella di un esemplare del tutto simile a quello di Portorico. Freixedo tentò inutilmente di mettersi in contatto con questo funzionario di governo, ma questi era naturalmente irreperibile; però parlò con diversi testimoni del fatto e perfino con il giornalista Pedro Estado, autore dell’articolo.
Fotografia a raggi X scattata al primo garadiavolo, prima di subire il deterioramento degli arti inferiori. Da notare l'anatomia ossea con caratteristiche molto simili a quelle degli umanoidi.
Salvador Freixedo concludeva il suo scritto dicendo che i due esemplari del garadiávolo catturati a Portorico erano scomparsi. Circostanza molto normale in fatti che esulano dalla realtà, tanto da far sospettare a molti che i garadiávoli siano creature extraterresti o diaboliche o cose di questo tipo. Ma concludeva che forse era una specie che era molto avanzata nella sua evoluzione e che si sia poi adattata alla vita anfibia.
Marco Pugacioff
Macerata Granne
(da Apollo Granno)
S.P.Q.M.
(Sempre Preti Qua Magneranno)
11/03/'22
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