Da: Biografia universale antica e moderna
Ossia
Storia per alfabeto della vita
pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni,
talenti, virtù e delitti.
Opera affatto nuova
Compilata in Francia da una società
di dotti
Ed ora per la prima volta
recata in italiano con aggiunte e
correzioni
Volume
X.
Venezia,
presso Gio. Battista Missiglia
MDCCCXXIII
Dalla tipografia di Alvisopoli
Pagg. 434 – 436.
CECCO
D'ASCOLI.
Né
l'uno, né L'altro di questi due nomi è quello del
personaggio singolare, ch'essi indicano in tutta le biografie
o bibliografie: il suo nome di famiglia era Stabili; il suo nome di
battesimo, Francesco, di cui quello di Cecco é il diminutivo; e,
siccom'era nato in Ascoli, nella marca d' Ancona, l'uso di chiamarlo Cecco
d'Ascoli ha talmente prevalso, che, se di lui si scrivesse un articolo col
nome di Stabili (Francesco), il che sarebbe peraltro più
regolare, niuno il cercherebbe. Si fissa ordinariamente
la sua nascita verso l'anno 1257. Uno degli storici della sua vita dice che,
essendosi dato dalla prima gioventù con eguale successo agli studj serii ed
alle arti dilettevoli, volle porgere a' suoi concittadini un saggio delle sue
cognizioni in matematica, proponendo loro di far giungere il mare Adriatico fin
sotto le mura di Ascoli; ma che gli abitanti non osarono accettare tale
proposizione nella tema di perdere i vantaggi, che ritraevano
dalla vallata del Trento [Il Tronto, nota Puga]. Aggiungesi
che la fama di Cecco si sparse fino ad Avignone, dove
risedeva il papa Giovanni XXII; che
quel pontefice ve lo chiamò e lo fece suo
primo medico; che tale favore eccitò contro di lui certi invidiosi, che
l’obbligarono a dimandare il suo commiato; che, tornato in Italia ed invitato
da parecchie città, preferì di fissarsi a Firenze, dove si strinse in
amicizia con Dante; che si disgustò in seguito con lui e con Guido Cavalcanti,
e disse d'ambedue molto male in una delle sue opere; che s'attirò in tal
modo l'odio loro e quello de' Fiorentini; che finalmente i Bolognesi lo
strapparono ai pericoli, che correva a Firenze, chiamandolo in qualità di
professore nella loro università, dove insegnò
l'astrologia e la filosofia dal 1322 fino al 1325. Tutti questi fatti
sono insieme legati in maniera che non si può separarli, adottando gli uni ed
escludendo gli altri. Tiraboschi ricusa tuttavia d'ammettere i principali
o piuttosto questo eccellente critico ne prova chiaramente la falsità. In primo
Cecco non fu medico; niun autore, degno di fede, gliene ha dato il titolo; ei
non professò la scienza medica, né di essa fece l'argomento di niuna sua opera.
Donde gli sarebbe adunque venuta quella riputazione che lo fece chiamare ad
Avignone per esser medico del papa? In seguito Giovanni XXII non fu eletto che nel 1316, e se, abbandonando
la sua corte, Cecco si recò a Firenze, non poté unirvisi in amicizia né con
Dante, il quale n' era esiliato fino dal 1302, né più vi tornò, né con Guido
Cavalcanti, il qual era morto nel 1300. E' cosa più
certa e fondata sui titoli incontestabili che insegnò pubblicamente
l'astrologia a Bologna; che nel 1324 fu accusato al tribunale dell'inquisizione
e condannato da fra Lamberto da Cingulo, [Cingoli, nota Puga]
dell'ordine de' frati predicatori, a pane unicamente penitenziali. La
sentenza in data de' 16 di decembre ingiunge che per penitenza d'avere
malamente ed irregolarmente parlato della fede cattolica farà nel termine di
quindici giorni una confessione generale de' suoi peccati; che dirà tutti i
giorni trenta Pater noster ed altrettante Ave Maria; che
per un anno, in epoche fissate, digiunerà in onore della croce e del
crocifisso; che tutte le domeniche ascolterà il sermone nella chiesa de' frati
predicatori o de' frati minori; che sarà privato di tutti i suoi libri
d'astrologia, piccoli e grandi; che non potrà più insegnare, sia in pubblico,
sia in particolare, l'astrologia, né a Bologna, né altrove; il titolo di
maestro ed il dottorato gli saranno tolti per quanto tempo vorrà il frate
inquisitore, ed è finalmente condannato a 70 lire d'ammenda, che pagherà, sotto
pena del doppio, prima della festa di Pasqua. Il dispiacere, che gli cagionò
questa faccenda, lo indusse senza dubbio ad abbandonare Bologna per Firenze.
Maggiori sventure ivi lo attendevano. Condotto di nuovo dinanzi
all'inquisizione, vi fu condannato al fuoco come eretico, ed abbruciato
pubblicamente nel 1327. La cagione di quell'orribile sentenza è anche essa
diversamente narrata. Si può leggere in quel che ne dice Villani nel cap. 59
del suo X libro. Altre circostanze sono
aggiunte da Mazzucchelli, Scrittori italiani, tomo I, parte 2; ma il dottor Lami, che ha pubblicato
poi nel suo Catalogo della biblioteca Ricardi la sentenza
dell'inquisitor di Bologna, v' ha unita quella dell'inquisitor di Firenze, e
questa sentenza prova che lo sventurato Cecco fu colto nella seconda città
dalla vendetta del tribunale che lo avea condannato nella prima a pene, alle
quali erasi sottratto. « Frate Accursio, v'è asserito, dell'ordine de' frati
minori, inquisitore a Firenze, visto il processo che gli è stato mandato ai 17
di luglio del 1327 da frate
Lamberto (di Bologna) contro maestro Cecco d'Ascoli, essendo stato citato
come presente maestro Cecco, nel coro della chiesa de' frati minori di
Firenze ai 15 di settembre del detto anno, l'ha dichiarato eretico e lo
ha consegnato al tribunal secolare del vicario ducale, presente ed accettante,
ond'esservi assoggettato alle pene che gli sono dovute (animadversione
debita puniendum); ha condannato il libro latino d'astrologia,
di cui è autore, ed un altro in lingua volgare, intitolato l’Acerba; ha
decretato che sarebbero bruciati, ed ha scomunicati tutti que' che
possedessero tali o simili libri. Nel medesimo giorno il suddetto
vicario, mandando senza indugio con soldati della sua guardia mastro Cecco
davanti ad una moltitudine di popolo raccolto, l'ha fatto abbruciare in esecuzione
della sentenza di morta pronunziata contro di lui e tutti gli altri». Si
crede comunemente che il trattato d’astrologia, scritto in latino, citato in
questa sentenza, è il commento sulla sfera di G. di Sacrobosco, che fu in
appresso stampato con questo titolo; Commentarii in sphaeram Joannis de
Sacrobosco, Basilea, 1485, in fogl., ristampato coi commenti di Francesco
da Capua e Giacomo le Febvre d'Etaples, Venezia, 1499, in fogl., e 1559, in
fogl. Ve n'è un'edizione gotica, senza data e senza nome, di luogo, né di
stampatore, intitolata: Sphaera mundi cum tribus commentariis Cicchi
Esculani, Franc. Capuani de Manfredonia, Jac. Fabri Stapulensis. Nel
principio di tale commento Cecco stesso parla d'un'altra delle sue opere
d'astrologia, intitolata: Praelectiones ordinaria astrologiae, habitae
Bononiae: è probabilmente la medesima che cita il padre Sarti nel suo libro
De professoribus bonoiensibus. Ivi parla, tomo I, parte prima, pagine
435, d'un manoscritto
della biblioteca Vaticana, contenente quest'opera, che
ha per titolo: Incipit scriptum de principiis astrologiae secundum
Cicchum, dum juvenis erat electus per universitatem Bononiae ad legendum. Si
possono trarre da questo titolo conseguenze, che, lungi dal dilucidare la
storia dell'autore, vi gettano nuova oscurità. S'era molto giovine, allorché
scrisse questo libro a Bologna; vi fu adunque chiamato lungo tempo prima
del 1322, ovvero, in vece d'essere nato verso l'anno 1257, non nacque che verso
la fine del secolo XIII, ed, in vece d'essere stato abbruciato, siccome
si dice, di settant'anni, lo fu in tutto il vigor dell'età, non avendo più di
30 anni. L'altra opera, menzionata nella sentenza ed intitolata l'Acerba,
è poco nota; è un cattivo poema, scritto in terza rima, intorno
alla fisica ed alla storia naturale, con mescuglio di filosofia morale e, di
visioni astrologiche. Sembra che quella moltitudine d'oggetti diversi, de'
quali vi si parla, abbia somministrato all'autore l'idea del suo titolo. Questo
titolo, tal quale v'era stato posto, era l'Acerbo, parola in cui
il b, era usato, siccome avveniva sovente, per un v. Acerbo dal
latino acervus significava un cumulo o un ammasso di cose ammontate, il
che indica assai bene quella moltitudine e quella diversità d'oggetti, cui discorre
il poema. Copisti ignoranti hanno in seguito posto acerba, e da una di
queste copie sarà stata eseguita la prima edizione, da cui questo titolo è
passato in tutte le altre. La prima edizione è quella di Venezia, per
Filippo di Piero, 1476, in 4.to. Ve ne furono parecchie altre prima della fine
del secolo XV, con un commento di Niccolò Massetti. Venezia, 1478, 1481, 1484,
1487 tutte in 4.to, e tutte rarissime; quelle di Milano, 1484, 1505, 1521 col
commento e con figure in legno, lo sono parimente. Due edizioni a Venezia nel
1519, 1550 in 8.vo, sono meno ricercate. perchè v'è stata fatta alcuna
soppressione. E' cosa difficile di trovar in tale poema i tratti d'eresia che
ne fecero abbruciar l'autore; ma occorrono in esso alcune cattive critiche del
Dante e di Guido Cavalcanti, con cui Cecco, da prima loro amico, si era
disgustato. I Fiorentini aveano perseguitato
quei due poeti, mentre vissero, e n'erano diventati ammiratori dopo la loro
morte. Gli ammiratori del Dante e di Cavalcanti si unirono quindi ai nemici di
Cecco, de' quali il medico Dino del Garbo uno fu de' più accaniti, e
contribuirono ad ottener contro di lui dal Santo Uffizio quella sentenza, in
cui havvi pari assurdo e barbarie.
G—é.
dal VOLUME L. (50)
Pagg. 44 - 45.
SACROBOSCO
(Giovanni de),
astronomo, così chiamato dal nome latino del suo luogo natio, in
inglese Holywood (1), nell'Yorkshire , nacque verso il principio del secolo
decimoterzo. Dopo che finiti ebbe gli studi nell'università di
Oxford si recò a Parigi, dove gli acquistarono grande
riputazione i suoi talenti in matematica. Egli vi morì,
nel I256 e fu sepolto nel convento de’ Trinitari in
cui vedovasi il suo sepolcro adorno d'un astrolabio con la
seguente iscrizione:
M. Cristi bis C quarto deno quater
anno,
De Sacrobosco discrevit tempora
ramus
Gratia cui nomen dederat divina
Joannes (2).
L'opera a cui Sacrobosco ha dovuto la sua celebrità è
un opuscolo De sphaera mundi, diviso in 4 parti, di cui la prima
tratta della sfera e della forma della terrà; la
seconda dei circoli ; la terza del moto annuo della
terra, del levare e del tramontare degli astri, del crescere è
del diminuire dei giorni e delle notti, e della divisione
per climi ; e finalmente la quarta del moto diurno della terra e della causa
delle eclissi. È un compendio dell'Almagesto di Tolomeo (Vedi tale
nome), e dei comenti degli Arabi. Ha goduto della
massima riputazione nelle scuole per più di 400
anni, ma ora è totalmente dimenticato (Vedi Weidler Hist. astron.,
pagina 277; Bailly, Hist. de l’astron. mod., I, 298, e l’astronom. di Lalande, art.
395). Il trattato di Sacrobosco fu, dopo il poema di Manilio (Vedi tale
nome), la prima opera d'astronomia che venisse stampata. La prima
edizione; Ferrara, 1472, in 4.to di 24 foglietti, è rarissima : se ne
contano almeno 14 edizioni nel secolo che vide nascere l'arte
della stampa, 22 nel decimosesto, ed 11 nel decimosettimo. L'edizione più
recente citata da Lalande, è del 1699 (Vedi la Bibl.
Astronomica). I dotti astronomi, Giorgio Purbach, G. Müller
(Regiomontanus), Elia Vinet, ec., l'hanno dilucidato con note o comenti,
e tradotto venne in quasi tutte le lingue. I vecchi bibliotecari francesi, La Croix du Maine e Duverdier, ne
citano due traduzioni in francese, una di Martino Perer, Bearnese, Parigi,
1546, e l'altra di Guglielmo Desbordes, gentiluomo Bordelese, ivi, 1570. Pare
che il primo astronomo che osato abbia criticare Sacrobosco fosse Francesco
Barocci, patrizio veneto, nella prefazione del suo Trattato di Cosmografia, 1570,
in 4.to ; egli indica o dimostra 84 errori in cui è caduto il matematico
inglese. Oltre il trattato di cui abbiamo parlato, Sacrobosco è autore ; De
anni ratione, sive de computo ecclesiastico. Non se ne conosce edizione
anteriore a quella, publicata da Melantone in seguito al trattato della sfera,
Wittemberg, 1538, in 8.vo. Leland (Comm. de script. Britannis) cita
in oltre di Sacrobosco un opuscolo, De algorismo, rimasto manoscritto.
(1) Holywade o Halifex, secondo Leland.
(2) Ne'quattro lati della pietra si leggevano i seguenti Versi uno per ogni lato :
De Sacrobosco qui compotista
Joannes
Tempora discrevit, jacet hic a
tempore raptus.
Tempore qui sequeris memor esto
quod morieris,
Si Miser es plora, miserum
pro me precor ora.
W—s.
Volume L. (50)
pag. 75.
SAGHANY (
Ahmed Ben Mohammed Al ),
astronomo arabo, viveva a Bagdad nel
quarto secolo dell'egira, sotto il regno di Cheref-ed-Daulah, figlio di
Adhad-ed-Daul-lah. Tale principe avendo fatto erigere un osservatorio nel suo
giardino, ne affida la direzione a Saghany, il quale fu incaricato di
costruirne tutti gli stromenti. Saghany giustificò la scelta del
principe; però che pochi artisti erano giunti al grado di perfezione a
cui egli aveva portato l'arte sua. Il tempo, lungi dal diminuire la sua
riputazione, non fece che accrescerla. Si ricercavano premurosamente, lungo
tempo dopo la sua morte, gl'istrumenti di sua fattura. Non solo, aveva
perfezionato gli antichi dando loro più aggiustatezza e solidità ; ma ne aveva
anche inventato di nuovi. Era particolarmente esimio nella
costruzione dell'astrolabio, siccome indica il soprannome d'Asterlaby che gli
danno i biografi arabi. Mori a Bagdad l'anno 379 dell'eg., 989 di G. C.
J—n.
va agli
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