I Romani nelle Americhe
“l’Oceano Atlantico è più grande
del Mar Mediterraneo, ma al pari di esso è stato completamente esplorato ed è
sotto il dominio di Roma.”
L’imperatore Giuliano
Foto del relitto di Madrague de Giens
da Archeo Dossier n. 3del 1985
Nel
1976, José Robert Teixéira si era immerso nella baia di Guanabara – sita a
circa 24 chilometri da Rio de Janero – per praticare della pesca subacquea.
Ma
qualcos’altro dei pesci pregiati a cui dava la caccia, attirò il suo sguardo:
Dal fondo melmoso vide fuoruscire una sagoma strana, la sagoma di tre grandi
giare, di poco più di un metro con il collo a due manici. Il giovane riuscì a
recuperarle e le giare gliele acquistò un antiquario. Secondo l’Istituto di
Archeologia Brasiliano sembravano antiche anfore greche utilizzate per
trasportare olive o datteri.
Negli
anni seguenti, nella stessa area i pescatori continuarono ha localizzare
oggetti simili, facendo ipotizzare che nella baia si trovasse un antico
relitto. Il direttore del Museo Marittimo di Rio de Janeiro decise di
consultare un archeologo subacqueo di buona fama, Robert F. Marx.
Le anfore romane
ritrovate in Brasile
Marx,
arrivò in Brasile parecchio scettico ma un pescatore locale gli mostrò nel suo
garage almeno 14 grandi giare. A quel punto la cosa cambiava aspetto come le
anfore, che secondo l’archeologo non potevano essere greche. La loro
particolare forma indicava la provenienza dalle fabbriche di Kouass attive in
Marocco, 2000 anni prima. Sicuramente le giare erano state trasportate in
America durante l’età coloniale, ma, sorpresa! Gli oceanografi dei due
principali istituti marini di Rio spiegarono all’archeologo nordamericano che
le incrostazioni erano state prodotte nella baia stessa in un numero enorme di
anni. Perciò, quelle anfore erano arrivate in America all’apice del potere
romano. Non per niente un esame al carbonio sulle incrostazioni fatto a Miami
le datavano ad almeno 1500 anni prima.
Marx con una delle
anfore
Marx
si mobilitò per avere dalle autorità brasiliane il permesso di localizzare il
presunto relitto romano. Con la collaborazione del Massachusetts Institute of
Technology di Boston, effettuò una ricerca con il sonar nella area dove furono
trovate le giare e vennero individuati due oggetti sul fondo, che potevano
essere non uno, ma due probabili relitti.
E fu
in quel momento che si scatenò la polemica; Spagna e Portogallo ebbero il
timore che la presenza di una nave romana sul fondo della baia brasiliana,
avrebbe messo in discussione l’arrivo di Pedro Álvares Cabral in Brasile nel
1500, come quello degli spagnoli ad Hispaniola nel 1492.
Le
cose precipitarono a tal punto che, fra tante vicissitudini, durante una festa
a cui Marx partecipava, fu preso da parte dal ministro dell’istruzione
brasiliano e gli disse chiaro e tondo «Ogni piazza in Brasile ha una statua di
Cabral, il vero scopritore del Brasile, e non abbiamo certo intenzione di
sostituirle con monumenti a un anonimo pizzaiolo italiano solo perché lei ha
inventato un relitto romano che non esiste». Intervene pure la Chiesa per bocca del vescovo cattolico di Rio,
che dichiarò dal suo pulpito che Marx
aveva aggredito la sacra storia del Brasile e suggerire che provenissero dai
"pagani" Romani precristiani era un'eresia per i pii brasiliani. Sembra anche che la
marina militare brasiliana riempì di sabbia il fondo di quella che da quei
giorni viene chiamata “Baia delle giare”, con relativa protesta di Robert Marx
a cui – subito dopo – accusato di truffa, viene negato il permesso di soggiorno
in Brasile.
Infine la tragedia si trasforma in farsa:
Americo Santarelli (un nome, una garanzia), ricco uomo d’affari brasiliano,
affermò che le anfore nella baia – ma guarda – ce le aveva messe lui, perché
innamorato di alcune antiche giare siciliane, che avrebbe ordinato ad un vasaio
portoghese di farne 16 repliche, e per invecchiarle al punto giusto le avrebbe
poi gettate nella baia.
Pazzesco,
nemmeno questo Marx si chiamasse Karl!
Ma i
Romani arrivarono realmente nelle Americhe? Per me la risposta è ovvia: un
netto e categorico sì! Ma, e le prove? Bè, noi che non siamo i soliti sapientoni,
con lauto stipendio dietro le spalle, pronti a negar tutto per tenersi legate
le poltrone.
Dobbiamo
basarci su prove indiziare.
Nel
1986, di fronte le coste di Marsiglia fu rinvenuta una imbarcazione romana
datata all’incirca al 98 dell’Era Volgare, il cui scafo al di sotto del
parapetto era stato preservato da uno strato di fango. Gli archeologi furono
sorpresi dalle moderne caratteristiche del relitto che era capace certamente di
viaggi transatlantici.
Questo è un affresco del all’incirca 50
ante Era Volgare, di un globo romano con meridiani e paralleli, proveniente
dalla villa di P. Fannius Synistor a Booscoreale. Oggi si trova al museo d’arte Metropolitan di
N. York.
Nel
1971, a 12 metri profondità nella baia dei Castine, nel Maine furono trovate
due anfore classificate come iberico-romane del I secolo E. V. dagli studiosi dell’Early
Sites Research Society. E
un’altra fu trovata sempre nel Maine, ma vicino a Jonesboro.
Nel
1972 al largo delle coste dell’Honduras fu individuato un relitto romano da
parte di alcuni sommozzatori che videro un cumulo di anfore giacente sul fondo.
Anche qui le anfore sembravano provenienti dai porti del Nord Africa, ma gli
studiosi che chiesero il permesso per scavare il relitto se lo videro rifiutare
dalle autorità perché ulteriori ricerche avrebbero compromesso la gloria di
Colombo. Non solo ma diverse centinaia di antiche monete romane d’argento e
bronzo – datate dall’epoca di Augusto al 350 dell’Era Volgare – furono trovate
su una spiaggia del Venezuela. Altre contenute in un recipiente in ceramica
furono scoperte vicino a Recife, in Brasile.
Tutti naufragi? Nel 1933, l’archeologo
messicano José Garcia Payon ritrovò sigillata sotto ben tre strati di pavimento
di una tomba mai aperta del XVI secolo – situata sotto la piramide pre-Tolteca
di Tecaxic-Calixtlahuaca, vicino alla città di Toluca – una statuina in
terracotta. Il bello di questa piccola opera è che raffigura un europeo barbuto
con un pettinatura in stile romano, e come cappello ha un berretto da marinaio
del I secolo dell’Era Volgare, tipico della portuale greca di Pylos. Con una
piccola estrazione dal collo della statuina, il Max Planck Institute of nuclear
Physics di Heidelberg provarono – attraverso i test di termoluminescenza – che
l’operina era stata cotta 1800 anni fa, cioè del 200 dell’Era Volgare.
Agli
inizi del 2000, nelle profondità del Cenote
del sacrificio di Chicen Itza, fu ritrovata una bambolina di legno e
cera dello stesso periodo della statuina del marinaio suddetta. Il giocattolo
riportava una breve, sbiadita, ma riconoscibile scritta latina.
A
luglio 2012, sulle rive del lago Gogebic, nel Wisconsin, il ricercatore Scott
Mitchen e i suoi colleghi trovarono le tracce di ciò che sembrava un antico
insediamento preistorico. scandagliando le sue fondamenta sommerse, l’équipe
trovò molte punte di frecce e lance di alta qualità e oggetti di rame,
somigliati a forcine di capelli classificati come d’epoca vittoriana. Eppure
nello stesso dicembre Waine May di Ancient
American visitò il museo di Villa
Giulia a Roma e sorpresa! Si è trovato davanti a sei reperti romani descritti
come Stili per scrittura su tavolette
cerate la cui somiglianza fisica con i reperti scoperti da Scott Mitchen
era più che evidente. Come si sa – almeno chi ama il mondo dell’antichità – lo
stilo è un “bastoncino” lungo e sottile, a punta ad una estremità e nell’altra
è piatto e circolare per poter cancellare ciò che è stato scritto.
Nippur di Lagash “scrive” su una
tavoletta. Disegno di Lucho Olivera del 1975
Un sistema di scrittura creato dai Sumeri che
incidevano i loro caratteri cuneiformi su soffici tavolette d’argilla con una
canna ricavata da una pianta grassa assai diffusa in Mesopotamia, di cui si ha
una testimonianza perfino in America – vedi la ciotola di Fuente Magna – e
proseguita anche nell’antico Egitto e a Creta. Gli antichi Greci furono i primi
a produrne in metallo e gli stili nell’antica Roma erano in genere di Bronzo e
ferro. E quelli americani ritrovati nel 2012 sono di una produzione compresa
tra il I° e il III° secolo dell’Era Volgare, per di più sono modelli più ornati
e costosi di quelli esposti a Villa Giulia. Se poi notiamo che sono stati
trovati nella zona della penisola superiore dei grandi laghi dove si svolse la
più grande impresa di estrazione dell’antichità tra il 3000 ante Era Volgare e
il 1200 dell’Era Volgare, da persona ignote… certo ci vuol poco a immaginarvi
Sumeri, Fenici e infine i Romani. E visto che i pozzi furono sporadicamente
riaperti e chiusi, da minatori non identificati, ecco venire in mente, i soliti
templari. Il rame, per ricercatori indipendenti, veniva imbarcato verso
l’Europa e da lì in Medio Oriente per produrre il bronzo. Seguendo queste idee
viene da credere che gli stili potrebbero essere appartenuti a contabili romani
ed anche le punte di frecce sarebbero più affini alla produzione d’oltreoceano
che a quelle precolombiane.
Vi
sarebbero inoltre altri rinvenimenti di spade, statuine, lampade a olio di
epoca romana tra Usa, Messico, Honduras e Brasile.
Tra giugno e agosto del 1886 delle tempeste erosero gran parte della spiaggia dell'isola di Galveston in Texas, e il relitto di un antico mercantile romano - costruito con solida quercia nel IV secolo dell'Era Volgare - venne alla luce. Il bello è che oltre al natante durante altri lavori sull'isola nel 1915, alcuni operai scoprirono delle pesanti travi di legno, gli indubbi resti di un ponte. La terra che si era accumulata sulle travi era profonda ben quattro metri mezzo e la tecnica costruttiva non poteva essere dei nativi. Inoltre i Pellerossa nativi, i Karankawa, erano un misto di caratteristiche somatiche amerinde e causasiche, di carnagione non molto scure e con lineamenti delicati. Un vero e proprio contrasto con gli altri popoli rossi della regione come i Comanches e gli Apaches. Inoltre molte parole della loro lingua erano simili nel significato o nella pronuncia al latino, già riscontrata dai esploratori spagnoli. Il professor Valentine Belfiglio della Texas Woman's Univerty dichiarò in un'intervista che:
Per i Romani la Luna rappresentava Diana, la Dea della caccia e sembra che i Karankawan condividessero questa visione. Sia i Romani che Karankawan attribuivano qualità spirituali alla Luna. Il riferimento alla caccia è evidente poichè il concetto di "Luna del cacciatore" (la luna piena dopo la luna del raccolto) esiste tutt'ora» (Vedi intervista apparsa su Hera n. 88 del maggio 2007).
Inoltre il professore scovò nel '93, sempre in questa zona, una moneta romana del tempo di Traiano e un'altra, coniata in Gallia tra il 270 e il 273 dell'Era Volgare, venne trovata nel 1970 tra le dune sabbiose che sono di fronte all'oceano. Naturalmente il professore - di chiara origine italiana - deve perseguire la tesi del naufragio, ma l'integrazione tra i cittadini Romani e i Pellerossa non può essere avvenuto solo a seguito di un naufragio. Purtroppo anche in America del Nord ci sono forti pressioni accademiche perchè nell'antichità nessun popolo dell'Europa possa aver raggiunto le due Americhe.
Tra giugno e agosto del 1886 delle tempeste erosero gran parte della spiaggia dell'isola di Galveston in Texas, e il relitto di un antico mercantile romano - costruito con solida quercia nel IV secolo dell'Era Volgare - venne alla luce. Il bello è che oltre al natante durante altri lavori sull'isola nel 1915, alcuni operai scoprirono delle pesanti travi di legno, gli indubbi resti di un ponte. La terra che si era accumulata sulle travi era profonda ben quattro metri mezzo e la tecnica costruttiva non poteva essere dei nativi. Inoltre i Pellerossa nativi, i Karankawa, erano un misto di caratteristiche somatiche amerinde e causasiche, di carnagione non molto scure e con lineamenti delicati. Un vero e proprio contrasto con gli altri popoli rossi della regione come i Comanches e gli Apaches. Inoltre molte parole della loro lingua erano simili nel significato o nella pronuncia al latino, già riscontrata dai esploratori spagnoli. Il professor Valentine Belfiglio della Texas Woman's Univerty dichiarò in un'intervista che:
«Sia i Karankawan che i
Romani erano piliteisti. Come nel caso di Picumnus e Pilumnus, Mel e
Pichini furono spriti della fertilità e dei raccolti. In Materia di
religione, i Romani come i Karankawan credevano nel sopranaturale,
identificato dai Romani nei Numi e dai Karankawan nei Haijiah.
Per i Romani la Luna rappresentava Diana, la Dea della caccia e sembra che i Karankawan condividessero questa visione. Sia i Romani che Karankawan attribuivano qualità spirituali alla Luna. Il riferimento alla caccia è evidente poichè il concetto di "Luna del cacciatore" (la luna piena dopo la luna del raccolto) esiste tutt'ora» (Vedi intervista apparsa su Hera n. 88 del maggio 2007).
Inoltre il professore scovò nel '93, sempre in questa zona, una moneta romana del tempo di Traiano e un'altra, coniata in Gallia tra il 270 e il 273 dell'Era Volgare, venne trovata nel 1970 tra le dune sabbiose che sono di fronte all'oceano. Naturalmente il professore - di chiara origine italiana - deve perseguire la tesi del naufragio, ma l'integrazione tra i cittadini Romani e i Pellerossa non può essere avvenuto solo a seguito di un naufragio. Purtroppo anche in America del Nord ci sono forti pressioni accademiche perchè nell'antichità nessun popolo dell'Europa possa aver raggiunto le due Americhe.
Leggi anche:
Fonti:
-
Andrew
Collins, Le porte di Atlantide, pagg. 99-102, Mondolibri, Milano 2001.
-
Antichi
Romani in America, Fenix 61, novembre 2013
Marco Pugacioff
va agli
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