Da Conti & Leggende
Robin Hood
Di Louise Michel
Titre(s) : Contes et légendes, par Louise Michel.
Avec une préface autographe de Henri Rochefort [Texte imprimé]
Publication : Paris : Kéva, 1884
Robin visto
dall’artista McConnell
Le
immaginazioni colpiscono con il rumore del corno da caccia e con l’abbaiare dei
cani, nel silenzio dei boschi, personificando queste impressioni con il nome di
Barbatos, duca degli Abissi.
Lui
capisce, dice la leggenda, il canto degli uccelli, l’ululato dei lupi e
comprende il bramire del cervo e la foglia che cade e che raggiunge le sue
sorelle che danzano al vento.
Egli
conosce i tesori interrati, le caverne e i nidi.
Davanti
a lui, quattro re suonano il corno, e lui conduce da un capo all’altro del
mondo la caccia delle ombre.
È
per Barbatos che Robin Hood e i cacciatori neri, hanno fatto le grandi battute
di caccia e tutte le cacce fantastiche di cui ci sembra di udire la notte nel
bosco.
Il vento soffia forte? la tempesta è
nella foresta? I bambini dei villaggi credono ancora, come le loro nonne, che
sia la battuta del grande cacciatore che passa con gran fracasso.
Talvolta la
tempesta urla come i lupi, risuona come le trombe da caccia; così si dice, sotto
i grandi camini dove tutta la famiglia si riscalda: è Robin Hood che caccia.
Questa credenza
servì, pochi anni fa, a far ritornare in se stesso un vecchio contadino avaro che,
aveva seppellito il suo tesoro ai piedi di una quercia, senza immaginarsi che
una fortuna messa in una vecchia calza, contenuta in una pentola sotto terra,
poteva servire ad aiutar qualcuno.
Quando dico che
tornò in sé, questo non significa che lui migliorò, perché l’anima di un avaro
non si purifica mai, ma per paura alla fine gli riuscì di far una buona azione.
Paura! Certo è un
motivo vergognoso! Ma che ci si può aspettare da un avaro?
Messer Matteo era
ricco, come avrebbe potuto essere altrimenti? Hanno detto che quando spendeva
un centesimo, ne metteva sempre mezzo da parte.
Come fece? Non lo
sappiamo. Come lui guadagnava qualcosa dalle sue terre, tutti i soldi li
nascondeva nei boschi ai piedi di una vecchia quercia? Chissà che vantaggio
poteva avere.
In ogni caso, il
suo denaro nascosto lì, non era buono neanche per far mangiare i vermi o a far crescere i tartufi.
Ogni
volta che messer Matteo aveva una moneta d’oro da aggiungere al suo tesoro,
aspettava una notte buia e andava ai piedi della quercia, dove, alla fievole
luce di una lanterna, contava i suoi soldi, tremante di paura ed anche di
affetto per quel tesoro che amava come se fosse la sua famiglia, il suo paese,
sua madre, tutto ciò che vi è di più caro al mondo.
Così una sera, in ginocchio ai piedi
della quercia dopo aver appena contato, tremante, il suo oro, accarezzando con
la sua mano, come avrebbe fatto con un bambino, pensava che se si fosse sposato,
la moglie avrebbe speso tutto in cibo e vestiti, per i loro figli, e tutto
questo sarebbe costato orribilmente, e non avrebbe potuto accumulare il suo
tesoro. Il suo solo rimpianto era di non poter vivere senza mangiare.
In fondo a lui non
dispiace di esser rimasto orfano da giovane; amava il suo tesoro più di una
famiglia.
Solo una cosa gli
dava fastidio, non è che non poteva restare con il suo oro, oltre al fatto che
lo potevano scoprire.
Faceva quindi grande
attenzione a non rivolgere contro di lui la luce della sua lanterna, il minimo
rumore del vento tra le foglie lo faceva tremare.
Tutto ad un tratto,
un bagliore rosso comparve in fondo a un passaggio coperto e al tempo stesso
una grande caccia, una caccia fantastica, come quelle delle leggende, scaturì
dal suo fianco; i cani non davano nessun colpo di voce, essi aiutavano solo ad
indovinare la pista, e i cacciatori a cavallo non davano fanfara; era la caccia
del Grande Cacciatore, ma con il silenzio della morte, una vera e propria
caccia di fantasmi.
Messer Matteo
credeva a tutti i cacciatori di fantasmi, molto di più che alla sua coscienza,
di cui non aveva mai udito la voce; teneva premuto il suo tesoro sul cuore,
sotto il suo abito, e si nascose dietro un albero in un bosco fitto, per
ripararsi da brutte sorprese.
Vide i cacciatori
di fermarsi, e dalla luce delle torce di resina, l’avaro, spaventato, scorgeva
il pelo sulla schiena dei cani orribilmente drizzato, i loro occhi erano
spaventosi a vedersi, e costantemente fiutavano su tutti i lati. Anche i
cavalli avevano anch’essi i peli irti.
In quel momento, una
tromba suonava lontano l’adunata: Cavalli, cani, cacciatori, si precipitarono
verso quel lato.
Messer Matteo udiva rumore di rami
spezzati, e le zampe dei cavalli che colpivano la terra in un galoppo pauroso.
Era realmente,
pensava, il Grande Cacciatore o addirittura Robin Hood.
Il vecchio avaro
aveva così paura, che credete essere arrivato il momento della morte.
Morire per lui era
lasciare il suo tesoro. Ma, contro la sua abitudine, egli ora aveva timore per
la sua vita più che per il suo oro, perché il pericolo era imminente.
Quando il bosco tornò in silenzio ancora una volta, decide di uscire dal suo nascondiglio, portandosi dietro il suo oro, non volendo separarsi da esso, visto il pericolo corso.
Quando il bosco tornò in silenzio ancora una volta, decide di uscire dal suo nascondiglio, portandosi dietro il suo oro, non volendo separarsi da esso, visto il pericolo corso.
Tornò a casa sua,
una sorta di capanna tutta in rovina, vera dimora di gufi e di avari, si mise
sotto la coperta sudando freddo dal terrore, e tenendo le braccia nella vecchia
pentola con il fondo pieno di monete d'oro.
Il terrore aveva spezzato la sua anima, non più sostenuta dalla necessità di fuggire e rimase incosciente nel suo letto.
Il terrore aveva spezzato la sua anima, non più sostenuta dalla necessità di fuggire e rimase incosciente nel suo letto.
Per
ben due giorni nessuno vide più messer Matteo; siccome era già vecchierello, e
i suoi vicini di casa pensando che poteva essere malato se non morto, andavano
a bussare alla sua porta, che l’avaro aveva barricato in maniera sicura al suo
ritorno.
Non
ricevendo risposta, i vicini andarono dal sindaco.
Costui prese la sua fascia, troppo corta per lui, perché il suo
predecessore era estremamente magro e le sue dimensioni molto grandi; ma con un
pezzo di corda il sindaco riuscì a consolidarla. Chiamarono così il fabbro per
aprire la porta, con i membri del consiglio per far da testimoni, e si
procedette alla apertura.
Però
non era solo il fatto di far girare una chiave nella serratura, dietro la
porta c’era una barricata di mobili. Tanto che pensarono che messer Matteo era
impazzito, e se non sentiva nulla, probabilmente si era impiccato.
Un’ora servì per spostare i vecchi armadi stipati dietro la porta, dopo
di che, messer Matteo fu rinvenuto pallido e freddo nel suo letto.
Si
pensò che avrebbero dovuto chiamare il medico, ma mentre andavano a cercarlo,
il sindaco sollevò la coperta per vedere se il cuore di messer Matteo batteva
ancora, la sua mano fece muovere la pentola, e un grugnito salì dalla gola
dell’avaro.
Bè, in effetti, gli aveva toccato il cuore.
Allora visto la
scoperta, messer Matteo ritornò alla vita.
Si guardò bene di
narrare la sua avventura nei boschi; ma ora
qualcuno aveva visto il suo tesoro. Non poteva più tenerlo in
casa, e doveva così trovare un posto ben più sicuro.
Il nostro ometto si
decide infine di andar a trovar il sindaco. Quest’ultimo, che era davvero un
brav’uomo, si mise in testa di far compiere una buona azione a messer Matteo,
tanto da che se ne sarebbe stupito tutto il paese.
«Messer Matteo»,
disse, prima di tutto il sindaco, «dovette far qualcosa che vi dia un pò di
felicità. In paese vi è la signora Nicolina, una vedova con sette figli; un
lupo rabbioso ha morso la sua mucca e quella povera famigliola non ha più
niente. Dovreste comprare una giovenca, che del resto non costa molto e questo
porterebbe felicità.»
Poi, come siccome
il sindaco era uomo loquace, il brav’uomo racconta a messer Matteo quale fiera
caccia avevano fatto al lupo che aveva messo in allarme l'intero contea; e di
come tutti i cacciatori di lupi del dipartimento, si fossero divisi in due
gruppi e di come avessero finalmente ucciso il lupo di notte. Cavalli e cani
erano così spaventati che avevano i pelli diritti. I cani non davano voce, il
che dimostrava che l'animale era davvero rabbioso.
Messer Matteo capì
che stata quella la caccia di Robin Hood, per la quale pensava di star per
perdere sia la vita che il tesoro; senza sapere che cosa stava facendo, contò
un centinaio di franchi per la giovenca di Nicolina.
Quando se ne rese
conto, era ormai troppo tardi. Nicolina ebbe la sua giumenta, e il sindaco
aiutò il vecchio avaro a trovare un posto sicuro per il suo tesoro: lui aveva
ben centomila franchi in oro e in biglietti di banca.
Traduzione:
Marco Pugacioff
Titolo originale: Robin-des-bois
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