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martedì 20 giugno 2017

Conti & Leggende: Robin Hood di Louise Michel


Da Conti & Leggende
Robin Hood
Di Louise Michel

Titre(s) : Contes et légendes, par Louise Michel. Avec une préface autographe de Henri Rochefort [Texte imprimé]
Publication : Paris : Kéva, 1884



Robin visto dall’artista McConnell

   Le immaginazioni colpiscono con il rumore del corno da caccia e con l’abbaiare dei cani, nel silenzio dei boschi, personificando queste impressioni con il nome di Barbatos, duca degli Abissi.
   Lui capisce, dice la leggenda, il canto degli uccelli, l’ululato dei lupi e comprende il bramire del cervo e la foglia che cade e che raggiunge le sue sorelle che danzano al vento.
    Egli conosce i tesori interrati, le caverne e i nidi.
    Davanti a lui, quattro re suonano il corno, e lui conduce da un capo all’altro del mondo la caccia delle ombre.
    È per Barbatos che Robin Hood e i cacciatori neri, hanno fatto le grandi battute di caccia e tutte le cacce fantastiche di cui ci sembra di udire la notte nel bosco.
    Il vento soffia forte? la tempesta è nella foresta? I bambini dei villaggi credono ancora, come le loro nonne, che sia la battuta del grande cacciatore che passa con gran fracasso.  
   Talvolta la tempesta urla come i lupi, risuona come le trombe da caccia; così si dice, sotto i grandi camini dove tutta la famiglia si riscalda: è Robin Hood che caccia.
   Questa credenza servì, pochi anni fa, a far ritornare in se stesso un vecchio contadino avaro che, aveva seppellito il suo tesoro ai piedi di una quercia, senza immaginarsi che una fortuna messa in una vecchia calza, contenuta in una pentola sotto terra, poteva servire ad aiutar qualcuno.
   Quando dico che tornò in sé, questo non significa che lui migliorò, perché l’anima di un avaro non si purifica mai, ma per paura alla fine gli riuscì di far una buona azione.
   Paura! Certo è un motivo vergognoso! Ma che ci si può aspettare da un avaro?
   Messer Matteo era ricco, come avrebbe potuto essere altrimenti? Hanno detto che quando spendeva un centesimo, ne metteva sempre mezzo da parte.
   Come fece? Non lo sappiamo. Come lui guadagnava qualcosa dalle sue terre, tutti i soldi li nascondeva nei boschi ai piedi di una vecchia quercia? Chissà che vantaggio poteva avere.
   In ogni caso, il suo denaro nascosto lì, non era buono neanche per far mangiare i vermi  o a far crescere i tartufi.
   Ogni volta che messer Matteo aveva una moneta d’oro da aggiungere al suo tesoro, aspettava una notte buia e andava ai piedi della quercia, dove, alla fievole luce di una lanterna, contava i suoi soldi, tremante di paura ed anche di affetto per quel tesoro che amava come se fosse la sua famiglia, il suo paese, sua madre, tutto ciò che vi è di più caro al mondo.
   Così una sera, in ginocchio ai piedi della quercia dopo aver appena contato, tremante, il suo oro, accarezzando con la sua mano, come avrebbe fatto con un bambino, pensava che se si fosse sposato, la moglie avrebbe speso tutto in cibo e vestiti, per i loro figli, e tutto questo sarebbe costato orribilmente, e non avrebbe potuto accumulare il suo tesoro. Il suo solo rimpianto era di non poter vivere senza mangiare.
   In fondo a lui non dispiace di esser rimasto orfano da giovane; amava il suo tesoro più di una famiglia.
   Solo una cosa gli dava fastidio, non è che non poteva restare con il suo oro, oltre al fatto che lo potevano scoprire.
   Faceva quindi grande attenzione a non rivolgere contro di lui la luce della sua lanterna, il minimo rumore del vento tra le foglie lo faceva tremare.
   Tutto ad un tratto, un bagliore rosso comparve in fondo a un passaggio coperto e al tempo stesso una grande caccia, una caccia fantastica, come quelle delle leggende, scaturì dal suo fianco; i cani non davano nessun colpo di voce, essi aiutavano solo ad indovinare la pista, e i cacciatori a cavallo non davano fanfara; era la caccia del Grande Cacciatore, ma con il silenzio della morte, una vera e propria caccia di fantasmi.
   Messer Matteo credeva a tutti i cacciatori di fantasmi, molto di più che alla sua coscienza, di cui non aveva mai udito la voce; teneva premuto il suo tesoro sul cuore, sotto il suo abito, e si nascose dietro un albero in un bosco fitto, per ripararsi da brutte sorprese.
   Vide i cacciatori di fermarsi, e dalla luce delle torce di resina, l’avaro, spaventato, scorgeva il pelo sulla schiena dei cani orribilmente drizzato, i loro occhi erano spaventosi a vedersi, e costantemente fiutavano su tutti i lati. Anche i cavalli avevano anch’essi i peli irti.
   In quel momento, una tromba suonava lontano l’adunata: Cavalli, cani, cacciatori, si precipitarono verso quel lato.


   Messer Matteo udiva rumore di rami spezzati, e le zampe dei cavalli che colpivano la terra in un galoppo pauroso.
   Era realmente, pensava, il Grande Cacciatore o addirittura Robin Hood.
   Il vecchio avaro aveva così paura, che credete essere arrivato il momento della morte.
   Morire per lui era lasciare il suo tesoro. Ma, contro la sua abitudine, egli ora aveva timore per la sua vita più che per il suo oro, perché il pericolo era imminente.
   Quando il bosco tornò in silenzio ancora una volta, decide di uscire dal suo nascondiglio, portandosi dietro il suo oro, non volendo separarsi da esso, visto il pericolo corso.
   Tornò a casa sua, una sorta di capanna tutta in rovina, vera dimora di gufi e di avari, si mise sotto la coperta sudando freddo dal terrore, e tenendo le braccia nella vecchia pentola con il fondo pieno di monete d'oro.
   Il terrore aveva spezzato la sua anima, non più sostenuta dalla necessità di fuggire e rimase incosciente nel suo letto.
   Per ben due giorni nessuno vide più messer Matteo; siccome era già vecchierello, e i suoi vicini di casa pensando che poteva essere malato se non morto, andavano a bussare alla sua porta, che l’avaro aveva barricato in maniera sicura al suo ritorno.
    Non ricevendo risposta, i vicini andarono dal sindaco.
    Costui prese la sua fascia, troppo corta per lui, perché il suo predecessore era estremamente magro e le sue dimensioni molto grandi; ma con un pezzo di corda il sindaco riuscì a consolidarla. Chiamarono così il fabbro per aprire la porta, con i membri del consiglio per far da testimoni, e si procedette alla apertura.
    Però non era solo il fatto di far girare una chiave nella serratura, dietro la porta c’era una barricata di mobili. Tanto che pensarono che messer Matteo era impazzito, e se non sentiva nulla, probabilmente si era impiccato.
   Un’ora servì per spostare i vecchi armadi stipati dietro la porta, dopo di che, messer Matteo fu rinvenuto pallido e freddo nel suo letto.
    Si pensò che avrebbero dovuto chiamare il medico, ma mentre andavano a cercarlo, il sindaco sollevò la coperta per vedere se il cuore di messer Matteo batteva ancora, la sua mano fece muovere la pentola, e un grugnito salì dalla gola dell’avaro.
      Bè, in effetti, gli aveva toccato il cuore.
   Allora visto la scoperta, messer Matteo ritornò alla vita.
   Si guardò bene di narrare la sua avventura nei boschi; ma ora qualcuno aveva visto il suo tesoro. Non poteva più tenerlo in casa, e doveva così trovare un posto ben più sicuro.   
   Il nostro ometto si decide infine di andar a trovar il sindaco. Quest’ultimo, che era davvero un brav’uomo, si mise in testa di far compiere una buona azione a messer Matteo, tanto da che se ne sarebbe stupito tutto il paese.
      «Messer Matteo», disse, prima di tutto il sindaco, «dovette far qualcosa che vi dia un pò di felicità. In paese vi è la signora Nicolina, una vedova con sette figli; un lupo rabbioso ha morso la sua mucca e quella povera famigliola non ha più niente. Dovreste comprare una giovenca, che del resto non costa molto e questo porterebbe felicità.»
   Poi, come siccome il sindaco era uomo loquace, il brav’uomo racconta a messer Matteo quale fiera caccia avevano fatto al lupo che aveva messo in allarme l'intero contea; e di come tutti i cacciatori di lupi del dipartimento, si fossero divisi in due gruppi e di come avessero finalmente ucciso il lupo di notte. Cavalli e cani erano così spaventati che avevano i pelli diritti. I cani non davano voce, il che dimostrava che l'animale era davvero rabbioso.
   Messer Matteo capì che stata quella la caccia di Robin Hood, per la quale pensava di star per perdere sia la vita che il tesoro; senza sapere che cosa stava facendo, contò un centinaio di franchi per la giovenca di Nicolina.
    Quando se ne rese conto, era ormai troppo tardi. Nicolina ebbe la sua giumenta, e il sindaco aiutò il vecchio avaro a trovare un posto sicuro per il suo tesoro: lui aveva ben centomila franchi in oro e in biglietti di banca.
 Traduzione: Marco Pugacioff
Titolo originale: Robin-des-bois


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