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sabato 17 giugno 2017

Le sette meraviglie del mondo antico




Documentario n. 293
tratto dall'enciclopedia LA VITA MERAVIGLIOSA - Ed. M. Confalonieri Milano 1957 - pagg. 908-910.
illustrazioni ( dove non diversamente attribuito ) di Francesco Pescador
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   Così chiamarono gli antichi sette mirabili opere d'architettura: la piramide di Cheope, i giardini pensili di Babilonia, la tomba di Mausolo ad Alicarnasso, il tempio di Diana ad Efeso, la statua di Giove Olimpico ad Olimpia, il colosso di Rodi, il faro di Alessandria.
LA PIRAMIDE DI CHEOPE


Piramide di Cheope. Fu fatta costruire [secondo l'archeologia ufficiale] nel 2640 a. C. con blocchi di calcare giallastro trasportati in parte da Troia. Originariamente la sua altezza, raggiungeva 146,59 metri; il trascorrere del tempo l'ha abbassata di 9 metri. Il lato orizzontale è di m. 230,38 e l'altezza delle facce di m. 186,50.

   Allorché Cheope, Faraone della IV dinastia, nel 2640 a. C, ordinò che gli venisse eretta una tomba che, per altezza e imponenza, oscurasse il sole, 100.000 schiavi si affannarono sotto la calura per 20 anni; Niobi, Ebrei, Berberi, popoli mediterranei furono accomunati dalla stessa fatica, insieme spartirono i parchi cibi, versarono il sangue sotto la sferza degli aguzzini, morirono per gli stenti. Quelli che erano sopravvissuti al termine dell'opera, furono trucidati, affinché nessuno al mondo fosse a conoscenza dell'accesso alla cella sepolcrale. L'Egitto in quel ventennio cadde nella desolazione: si dovettero chiudere i templi, limitare le cerimonie religiose, gravare i sudditi di tasse, ordinare agli uomini liberi di affiancarsi agli schiavi. 2 milioni e 300 mila blocchi di calcare del peso di 2 tonnellate e mezza l'uno, tolti dalle montagne di Mokattam, vennero innalzati l'uno dopo l'altro sino a raggiungere 146,59 metri d'altezza. Erano d'aiuto ai lavoratori, pochi, rudimentali congegni; i cavatori si servivano di cunei di legno bagnati che, infissi nella pietra, dilatandosi la spaccavano; i portatori trasportavano i blocchi lungo il Nilo mediante enormi zattere; poi, su slitte di legno, le facevano proseguire sino all'altopiano di Al-Gïzah, percorrendo una strada che era costata ben 10 anni di lavoro; gli schiavi addetti alla piramide, infine, per elevare i blocchi da un gradino all'altro, si giovavano, più che delle gru formate da tronchi d'albero, della forza delle loro braccia. 5000 anni sono trascorsi da allora: la piramide di Cheope, la sola delle sette opere d'architettura chiamate dagli antichi « meraviglie del mondo » che sia sopravissuta, rimane, pressoché intatta, come immane testimonianza di una civiltà sepolta.
I GIARDINI PENSILI DI BABILONIA


Giardini pensili di Babilonia. Fatti costruire da Nabucodonosor, su di un'area ristretta erano costituiti da balconi sovrapposti larghi m. 6, che si sviluppavano per m. 110 di altezza.

   Splendida doveva essere Babilonia allorché Nabucodonosor, nel 604 a. C, dopo aver distrutto l'assirà Ninive, instaurò il II impero; ma quando la figlia di Classare, re dei Medi, andò sposa al grande re, questi volle abbellire maggiormente la città, facendo dono all'amata di un giardino tale che, per l'originalità della struttura e la varietà dei fiori, fosse degno della sua bellezza. E gli architetti di Babilonia misero in opera un   ardito   progetto:   su   di  un'area   di  40   metri   quadrati, essi elevarono una sequenza di terrazze in pietra, sorrette da ampi archi e della larghezza di 6 metri, sì che, visto dal basso, il giardino pensile sembrasse una alta gradinata traboccante di fiori: sotto gli archi si celavano vaste sale rilucenti di decorazioni dove i sovrani potevano sostare; inoltre, perché l'acqua non venisse mai meno, fu ideato un geniale sistema d'irrigazione che terminava, sull'ultima terrazza, in una fontana zampillante. Poco o nulla rimane ormai di Babilonia e dei suoi giardini pensili; ma i pochi resti che la zappa dei pazienti archeologi ha tratto alla luce, valgono a testimoniare la veridicità della descrizione che ne fecero gli antichi scrittori.
LA TOMBA DI MAUSOLO AD ALICARNASSO


Tomba di Mausolo ad Alicarnasso. Era alta 41 metri. Sulla camera sepolcrale a pianta rettangolare, si ergevano 36 colonne marmoree ornate di dorature: poggiava su di esse una piramide di 24 gradini, sormontata da un gruppo in marmo raffigurante il re Mausolo e la regina Artemisia su di una quadriga.

   Di fronte al mare, nei pressi di Alicarnasso, capitale della Caria in Asia Minore, si ergeva, sino al 1100 d. C, una tomba, magnifica per i marmi e le sculture, splendente per le decorazioni policrome, imponente per la altezza. Allorché, nel 352 a. C., dopo un benefico governo, il re Mausolo si spense, la sua sposa Artemisia e il popolo tutto, volendo eternare il suo nome con un'opera mirabile, Convocarono da Atene, allora fiorente per le arti e la cultura, i migliori artisti dell'epoca: gli architetti Satiro e Pitea, gli scultori Scopa, Timoteo, Briasside e Leccare accorsero al richiamo e tosto si iniziarono i lavori. Navi cariche di marmi vennero dal Dodecaneso; schiavi e uomini liberi, che la riconoscenza chiamava ad assecondare i desideri della regina, si affannarono intorno alla costruzione: Artemisia, che il dolore rendeva ogni giorno più pallida e debole, quasi temendo di non poter sopravvivere a lungo allo sposo, li rianimava con la sua presenza e li incitava ad affrettarsi. Due anni dopo Artemisia moriva e il popolo volle che essa trovasse riposo accanto al sovrano. Per lungo tempo nessuno osò turbare il loro sonno: 18 secoli dopo, quando Alicarnasso più non esisteva, i predoni varcarono le soglie del sepolcro, lo spogliarono dei marmi preziosi e si impossessarono dei tesori che la pietà del popolo di Caria aveva offerti ai suoi sovrani come ultimo atto di omaggio.
IL TEMPIO DI DIANA AD EFESO


Tempio di Diana ad Efeso, Più volte distrutto e poi ricostruito, il tempio, che fu eretto nel 323 a. C, era lungo m. 123, aveva 127 colonne alte m. 18 delle quali 36 esterne, ornate alla base da bassorilievi.

   Nel luogo ove sorge oggigiorno il villaggio turco di Aia Soluk, ferveva un tempo il culto di Diana, dea della fecondità. Il tempio di Efeso, più volte distrutto e ricostruito, era considerato il tesoro comune di tutta l'Asia, giacché non solo i suoi sotterranei erano ricolmi di ricchezze che i sacerdoti dovevano occultamente amministrare, ma l'edificio stesso, opera degli architetti Chersifrone e Metagene e degli scultori Scopa e Prassitele, non tanto per l'imponenza quanto per l'armonia delle proporzioni, era un gioiello dell'architettura greca. Ma ecco che, nel 356 a. C., un demente che viveva della generosità dei pellegrini, Erostrato, in una calda sera di luglio, quando la città era immersa nel sonno, appiccò il fuoco all'edificio. Le fiamme distrussero ogni cosa prima che gli uomini accorsi potessero salvare qualcuna delle inestimabili ricchezze che erano ivi racchiuse; ma alcuni anni più tardi esso risorse nuovamente, ancor più fulgido di marmi. 127 colonne ioniche, alte 18 metri, cinsero la cella della Dea: 36 di queste, donate da Creso, re della Lidia, erano riccamente scolpite alla base. Lo coronava un ampio frontone triangolare, anch'esso scolpito; nell'interno, gli affreschi di Apelle riempivano gli spettatori di meraviglia per la bellezza e l'abilità del disegno. Ultimato nel 323 a. C, il tempio ebbe breve vita: semidistrutto dalle orde dei Goti che dal 260 al 268 d. C. avevano invaso l'Asia Minore, esso divenne più tardi una cava di pietra per le popolazioni del villaggio di Aia Soluk che, incapaci di capirne la bellezza, utilizzarono il materiale con cui era costruito per le loro abitazioni.

LA  STATUA DI  GIOVE  OLIMPICO  AD  OLIMPIA


Statua di Giove Olimpico ad Olimpia. Alta circa 20 metri, fu eretta in oro e avorio che, mediante speciali fumigagioni,  aveva preso  un color  carnicino.

   Dal 668 a. C. sino al 393 d. C, ogni quattro anni, in luglio, tutta l'Eliade conveniva ai giochi olimpici. Allo scadere del mese i vincitori, tra l'applauso del popolo, venivano  incoronati  nel   tempio,   ai   piedi   della   statua di Giove. Concepita da Fidia, che si era dedicato all'opera prima del 440 a. C., l'effige del dio si elevava imponente, seduta sul trono, per un'altezza di 20 metri. In avorio, che apposite fumigagioni avevano reso color carnicino, erano le sue carni e l'immagine della Vittoria che egli teneva nella destra, in oro puro le vesti che con ampio panneggio gli cingevano i fianchi. Si narra che Fidia, al termine del lavoro, si gettasse ai piedi della statua e supplice domandasse a Giove un segno della sua approvazione: subitamente, dal cielo sereno spiccò la folgore che, riempiendo il tempio di un bagliore accecante, andò a cadere ai piedi dell'artista: Giove tonante aveva mostrato di gradire il dono.

IL COLOSSO DI RODI


Colosso di Rodi. Formato da più di 300 tonnellate di bronzo, aveva l'interno, sino alla cintola, assicurato da una imbottitura di mattoni.

   Allorché, nel 672 d. C., gli Arabi invasero Rodi, l'ombra di un corpo gigantesco sommerso nelle acque li riempì di stupore: il colosso di Rodi, l'immensa statua di bronzo che si ergeva una volta all'ingresso del porto, a cavallo dei due bracci, giaceva ormai da 800 anni sul fondo marino, ricoperto dalle alghe e dai molluschi, le gambe spezzate, il volto affondato nella mota. Carete di Lindo e Laccio Lindano ne erano stati gli architetti: dopo 12 anni di lavoro (l'opera era stata iniziata nel 292 a. C.) Carete, che il tormentoso dubbio di non aver sufficientemente provveduto alla stabilità della statua aveva affranto, si suicidò, e Laccio Lindano proseguì da solo i lavori. Occorsero più di 300 tonnellate di bronzo; l'interno, riempito di mattoni sino alla cintola e vuoto nella parte superiore, celava una scala che conduceva alla cella del fuoco, posta nel capo. Ogni sera i guardiani salivano sino lassù ad accendere le torce che, tralucendo dagli occhi del colosso, servivano da faro ai naviganti. Il colosso, del quale non ci è rimasta nessuna documentazione, non durò a lungo sul piedistallo: 56 anni dopo, infatti, una scossa di terremoto lo fece crollare e nessuno provvide a risollevarlo dalle acque, nelle quali giacque sino a che, dopo l'invasione araba, alcuni mercanti non provvidero a demolirlo e a venderlo come rottame.

IL FARO DI ALESSANDRIA


Faro d'Alessandria. Si suppone fosse composto da tre corpi: il basamento, massiccio e rettangolare, un corpo ottagonale, e la cella del fuoco consistente in un piccolo tiburio ornato da colonne greche. Era alto 183 metri.

   Il faro di Alessandria è il solo delle sette meraviglie del mondo antico, che fosse stato costruito con un intento utilitario. Tolomeo Filadelfo, nel 279 a. C., si valse dell'architetto Sostrato di Cnido perché questi costruisse sull'isola di Faro, di fronte ad Alessandria, una torre che fosse di guida ai naviganti. È difficile per noi immaginare esattamente la forma: fra le varie ipotesi, prevale quella che esso fosse costituito da tre corpi dei quali uno, rettangolare e massiccio, formava il basamento, il secondo, ottagonale, conteneva gli uffici doganali e la residenza dei guardiani, il terzo infine era la cella del fuoco. Sostrato, affinché l'edificio avesse maggiore solidità e resistesse alla corrosione delle acque, impiegò per le fondamenta blocchi di vetro e su questi eresse la costruzione tutta in blocchi di marmo legati da colate di piombo. Perché la luce del faro non potesse di lontano confondersi con quella delle stelle, fu apprestato un immenso specchio di metallo: la luce del fuoco, riflettendosi sulla sua superficie oscillante, risultava infatti vibrata. Solidissimo e resistente alle intemperie e alla furia delle guerre, il faro di Alessandria fu demolito purtroppo nel VII secolo per la dabbenaggine del califfo di Alessandria Al Walid, il quale, credendo che nelle fondamenta del faro si celasse un tesoro, ordinò che l'edificio fosse raso al suolo.
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