Documentario n. 298
tratto dall'enciclopedia LA VITA
MERAVIGLIOSA - Ed. M. Confalonieri Milano 1957 - pagg. 924-926.
illustrazioni ( dove non diversamente attribuito ) di Francesco
Pescador
§§§
Masso di grafite allo stato grezzo e mina da esso ottenuta.
Costituito da carbonio cristallizzato, questo minerale è morbido e untuoso al
tatto, di color grigio scuro o nero.
Le origini della matita, quale noi oggi la conosciamo, risalgono a quattrocento
anni fa. Fino a quell'epoca, l'artista che voleva disegnare, ricorreva alla
«stilo», una verghetta formata da un impasto di piombo e stagno. Considerato
dunque « lo stilo » il padre del moderno lapis, possiamo attribuirgli quale
progenitore il « plumbum » degli antichi, cioè un dischettino di piombo che i
Romani usavano per scrivere sulla pergamena.
Prima della fabbricazione del
lapis, l'artista che voleva disegnare usava lo stilo o un'asticciola d'argento,
ma ambedue lasciavano un tratto difficile a cancellare.
Più tardi, fu dato alla grafite il nome di « piombaggine » poiché
lasciava un segno simile a quello del plumbum, un dischetto di piombo usato dai
Romani per scrivere.
Che cos'è la grafite? Ecco la domanda che dovettero rivolgersi per la
prima volta coloro che, nel 1565, lavorando in una miniera del Cumberland
(Inghilterra), misero per caso la mano su una sostanza nera dall'aspetto
lucente, metallico, che si incideva facilmente con l'unghia e che al tatto si
presentava grassa ed untuosa. Questa sostanza, tenera così da macchiare le
dita, formata di laminette grigiastre, lasciava sulla
carta un segno simile sì a quello del piombo, ma più netto e
preciso. Spetta inoltre alla Gran Bretagna anche l'iniziativa, nata intorno al
1600, di chiudere gli ormai molto richiesti cilindretti di grafite entro
cannucce di legno. Quegli ingegnosi fabbricanti dettero così origine ai primi
rozzi lapis.
L'Inghilterra fu naturalmente la prima a far conoscere la
praticità di questo materiale per il disegno. Subito dopo il 1700, Francesi e
Tedeschi cominciarono a perfezionare i metodi di lavorazione tanto da produrre
stili di grafite incastonati nel legno, molto maneggevoli e di aspetto simile a
quelli che usiamo oggi. Doveva tuttavia giungere l'era della macchina e dei
moderni progressi chimici per rendere il lapis oggetto di uso universale quale
oggi è. Via via che il disegno tecnico progrediva, anche lo strumento più
adatto ad eseguirlo si raffinava, si moltiplicava quantitativamente, diventava
migliore, assumeva un aspetto familiare, elegante, offriva di sé varietà sempre
più numerose: matite dure, morbide, adatte per scrittura rapida, per disegno,
per copia; matite dal segno indelebile come l'inchiostro o facilmente
cancellabile.
Oggi, pur rimanendo la Germania la più apprezzata
produttrice di matite, ottime industrie si trovano in molte parti del mondo e
particolarmente in Italia. Il processo di lavorazione si divide in due grandi
rami: l'uno riguarda la preparazione dell'« anima » del lapis, che si chiama
propriamente mina, l'altro ramo si occupa del legno destinato al
rivestimento esterno. Ad un certo punto le due distinte lavorazioni si
unificano e i due elementi mina e bossolo entrano in uno stesso
complesso meccanico.
L'anima della matita si chiama mina e si presenta in diverse
varietà: nera, colorata, copiativa. Per ottenere la mina nera si triturano
finemente i massi di grafite grezza che vengono poi mescolati con l'argilla e
resi omogenei mediante successive levigazioni e calandrature.
La lavorazione della mina varia da tipo a tipo di matita.
Diverso è il processo per la preparazione del lapis da disegno e quello per la
preparazione della matita copiativa o di quella colorata.
La mina nera si fabbrica oggi in ben diciassette gradazioni
se si tratta del tipo fine da disegno, e in 5 « in 3 gradazioni se si tratta
dei tipi correnti. La gradazione riguarda la durezza (che varia secondo
l'impasto, la temperatura di cottura e la ricetta dell'ingrassaggio). Dapprima
i massi di grafite grezza vengono triturati sottilmente e miscelati con
l'argilla; quindi, mischiati con sostanze grasse e gomme adesive. Si ottiene
così una pasta che subisce un'ulteriore manipolazione per essere poi calandrata,
cioè passata numerosissime volte tra i cilindri di una macchina che
schiaccia anche la minima impurità. Ne risulta un impasto perfettamente
omogeneo che viene poi passato in filtri speciali e quindi trafilato mediante
presse idrauliche ad alta potenza. La mina esce in lunghi filamenti simili a
spaghetti più o meno grossi che, adagiati su piani di legno e sottoposti a
stagionatura, vengono poi tagliati nelle lunghezze stabilite.
Fino a questo momento i nostri « spaghetti » sono ancora
«crudi». Per cuocerli occorrono speciali cassette refrattarie che
vengono sottoposte a 800° di calore. Ultima operazione è l'ingrassaggio. Le
mine cotte vengono infatti trattate con speciali emulsioni di cere e arassi
vegetali ed animali, grazie alle quali acquistano morbidezza, scorrevolezza e resistenza.
Per ottenere la mina copiativa si ricorre invece ad un impasto di sostanze
coloranti sintetiche basiche, talco finissimo, gomme adraganti e sali di
acido stearico e oleico. Anche per la copiativa l'amalgama viene sottoposta ad
una lunghissima calandratura perché l'omogeneità sia perfetta. Le mine vengono
essiccate a 40° senza che cuociano; s'ingrassano poi con particolari sostanze
emulsionanti. Un sistema analogo viene usato per le mine colorate, solo che, in
luogo dei coloranti sintetici basici, vengono usati coloranti minerali.
Inoltre, l'operazione di ingrassaggio si fa prima, cioè contemporaneamente
all'impasto.
Tagliato in assicelle dì varia grandezza, il legno per racchiudere
le mine viene inciso, cioè si tracciano su una delle sue facce dei canalini del
diametro della mina; quindi, inserita la mina e sovrapposta un'altra assicella,
le matite vengono poi separate dalle «sagomatrici».
Lasciamo ora questo settore della fabbrica occupato a
preparare le buone mine da matita e trasferiamoci nell'altra parte dello
stabilimento dove altre squadre di operai attendono alla preparazione del
legno. Per le matite di qualità migliori e di maggior costo il legno a
disposizione può essere il cedro rosso d'America o il ginepro di California o
altri legni di provenienza esotica che presentino fibre unite, compatte e
tuttavia tenere e facili da tagliare. Se si deve invece por mano alla preparazione
del bossolo destinato a matite di minor prezzo, si prelevano legni meno costosi
come il tiglio e l'ontano. Questi non presentano le caratteristiche dei legni
predetti, né hanno di questi il bel colore naturale, ma rispondono bene allo
scopo.
Le matite così ottenute sono però ancora allo stato grezzo. Si
provvede perciò alla levigatura. Qui vediamo una macchina che leviga le matite
rotonde. Quindi si passa alla verniciatura, per cui vengono usati vari metodi.
Tutto il legname che arriva alla fabbrica viene
squadrato e ridotto in assicelle di varia grandezza prima di venir sottoposto
ad una lunga stagionatura. Una volta stagionate, le assicelle vengono condotte
alla macchina, un complesso assolutamente particolare, che incide sulla faccia
della tavoletta dei canalini che hanno l'esatto spessore della mina che in essi
dovrà trovare posto. Un'altra macchina provvede a spalmare di una colla molto
adesiva la scannellatura, e a questo punto avviene il connubio bossolo-mina.
Ogni mina, infatti, è collocata nel proprio canalino, e sopra la prima
assicella così preparata ne viene posta un'altra già scanalata e i cui canalini
corrispondono perfettamente a quelli dell'assicella sottostante.
Ogni fabbrica di lapis imprime sulle matite il suo marchio e la
dicitura. L'impressione può avvenire a secco, in nero, in oro o in altri
colori.
Ecco ora i due rami della lavorazione unificarsi e i
due elementi, mina e legno, subire da questo momento un unico processo di
raffinatura. Messe in pile ben sovrapposte, le tavolette « sandwiches » entrano
in speciali torchi e vi rimangono per ventiquattro ore per essere certi che la
colla abbia fatto perfettamente presa. Importantissimo è il lavoro di sagomatura
affidato a macchine delicate e complesse, « le sagomatrici », che
provvedono a separare, tra canalino e canalino, le asticciole, ciascuna delle
quali contiene una mina. Sagomate da apposite macchine nella forma voluta
(tonde o sfaccettate), le asticciole vengono quindi lisciate in modo da evitare
ogni scabrosità e quindi si passa alla verniciatura.
Spesso la matita viene fornita al consumatore pronta per l'uso.
Speciali apparecchi provvedono quindi a far la punta a diversi lapis per volta.
Vi sono vari metodi di verniciatura, differenti
secondo l'aspetto che si vuol dare alla matita: opaco, lucido, marmorizzato,
ecc. ecc., e particolari settori dello stabilimento in cui altri complessi
meccanici provvedono a far la punta alle mine, alla confezione delle mine nude
destinate alle matite automatiche (queste ultime vengono prodotte da industrie
specializzate), all'inscatolamento e all'imballaggio del prodotto.
La produzione giornaliera di una sola di queste
fabbriche sarebbe sufficiente al fabbisogno di cento scolaresche per tutto un
anno di scuola, ma la matita è divenuta ormai qualche cosa di così familiare ed
usato che il suo ingresso nella casa e negli
uffici è a getto continuo.
Varie fasi della fabbricazione di una matita. Da sin., in alto:
Assicella - Assicella con canalini - Assicella con mine inserite nelle
scanalature - Le due assicelle sovrapposte racchiudenti le mine - Le due
assicelle rifilate. Da sin., in basso: Prima sagomatura delle assicelle -
Seconda e definitiva sagomatura - Matita levigata - Matita verniciata - Matita
pronta per l'uso.
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