LA CONTESSA ERZSÈBET BATHORY
Avendo
disegnato una avventura di Blek Macigno che lotta contro la contessa Bathory,
sopravvissuta alla sua prigione, vi ripropongo la sua storia qui.
Marco
Pugacioff
Questa è la tela oggi dispersa raffigurante Erzsébet
( in italiano Elisabetta ) Báthory, detta la Belva di Csejthe, all’epoca in cui
era castellana nel maniero soprastante il villaggio. In alto a destra si nota
l'iniziale del suo nome, una ”E” ottenuta sovrapponendo tre denti di
lupo, animale in cui il vampiro ama spesso trasformarsi.
Il luogo, l’Ungheria, allora il Paese più selvaggio
dell’Europa feudale, ancora in lotta contro i turchi. Dove «Si cammina tra
abetaie e vigneti e i fiumi scorrono in un silenzio immenso. […] Gli alberi
della zona hanno figure contorte e mostruose, e i serpeggianti sentieri sono
melanconici e selvaggi.[1]». La regione dei
Carpazi era piena di superstizioni, dove padroneggiava il diavolo Ördög,
servito dalle streghe col loro seguito di cani e gatti neri. Ove intorno agli
alberi sacri venivano celebrati gli antichi culti del sole e della luna, ove
lupi, gli immaginari draghi, e vampiri vivevano e accorrevano al richiamo della
strega.
Csejthe, un castello famigerato, sui Piccoli
Carpazi, al confine con la Slovenia, oramai in rovina, dove, in un angolo delle
cantine, vi dovrebbe essere ancora il tino di terracotta in cui veniva raccolto
il sangue che era poi versato sulle spalle della contessa sanguinaria. Come
tutti i castelli tipici ungheresi aveva poche finestre, con poco spazio
assegnato all’abitazione ed immensi sotterranei. Erzsébet lo amava, più di
tutti gli altri che aveva in possesso, per il suo aspetto lugubre e selvaggio,
con spessi muri dalle volte basse che soffocavano i rumori. Del resto la
Báthory lo amava molto perché probabilmente doveva trovarvi quella sicurezza
che stregonerie e delitti esigono.
Ma chi era in realtà la diabolica donna affrontata da
Blek? È il 30 di dicembre del 1610, il primo ministro d’Ungheria Gyorgy Thurzo
fa irruzione con i suoi cavalieri nel castello di Csejthe ( L'attuale Cachtice
), appartenente alla cugina Erzsébet Báthory assistendo a uno sconvolgente
spettacolo.
Nel salone d'entrata i corpi riversi al suolo di due
ragazze insanguinati e trapunti da numerosi forellini da cui scendevano sottili
rivoli di sangue. Una ragazza era morta dissanguata; l’altra era ancora viva,
anche se agonizzante.
Ispezionando il castello i soldati salvarono un
numero imprecisato di prigioniere anch’esse con il corpo trafitto in più parti
e ricoperto da piccole ferite... Scavando sotto il castello vennero riesumati i
cadaveri delle vittime che documenti dell’epoca stabiliscono in seicento e
dieci, facendo risultare che negli ultimi sei anni la Báthory aveva ucciso la
cifra incredibile di cento ragazze all’anno per il loro sangue; sangue panacea
di bellezza e gioventù.
Fronte e retro di una cartolina ungherese del 1903
La contessa era nata nel 1560 e fu allevata nella
magia nera ed essendo la famiglia Báthory molto influente, Elisabetta la
esercitò senza paura di dover rispondere a qualcuno delle sue azioni. A
quindici anni si sposò con il ventisettenne Ferencz ( Francesco ) Nádasdy, il
futuro "EROE NERO" delle leggende magiare da cui ebbe quattro figli,
ma nonostante la famiglia e l’oppressiva presenza della suocera, continuava ad
esercitarsi nella magia nera attorniandosi di specialisti, tanto che la sua
contea si trasformò in rifugio per streghe e stregoni completamente difesi dai
roghi della spietata e famigerata inquisizione.
Le maggiori attenzioni di Erzsébet erano rivolte alla
propria bellezza passando ore e ore di fronte allo specchio, ma inevitabilmente
la vecchiaia bussò al suo specchio: come allontanarla? Le streghe dissero «col
sangue»!
Un giorno, mentre Erzsébet si faceva pettinare, la
cameriera maldestramente le fece male. Adirandosi la picchiò a sangue: alcune
gocce le bagnarono la faccia ammorbidendo e lisciando la pelle.
La contessa aveva trovato l’elisir della
giovinezza: sangue di giovani donne, sane e robuste popolane a cui sottraeva
con salassi, sangue per frizionarsi o da sorbire come ricostituente. Passando
il tempo il terrore per la vecchiaia aumentò a dismisura. Si isolò nel suo
castello circondandosi di sciagurati servi esperti sia nel procacciare vittime
sia nell'inventare nuove forme di tortura per soddisfare il suo sadismo che
cresceva insieme al suo desiderio di sangue. Erzsébet cadeva in lunghi stati
catatonici che trascorreva per lo più coricata, da cui si risvegliava con una
smisurata sete di sangue tanto che i servi portavano addirittura a letto le
vittime che la contessa mordeva sul collo, bevendo direttamente il liquido
vitale. Alle quattro del mattino le veniva preparato il bagno. Gli sgherri,
anche in sua presenza, con dei punteruoli torturavano le ragazze raccogliendone
il sangue nella tinozza per il bagno ristoratore.
All’inizio la contessa sanguinaria, quand’era sposata
e sotto la pesante sorveglianza della suocera Orsolya, si ritirava nella sua
stanza e trovava sadico piacere nel pungere le sue cameriere con degli spilli,
poi quando entrava in quelle crisi tipiche del sangue marcio dei Báthory, si
faceva condurre a sé due e tre giovani contadinelle in carne per morderle in
spalla, masticando così i freschi e sanguinanti brandelli di carne. In mezzo
agli urli di dolore delle povere ragazze, le proprie sofferenze scomparivano.
La Báthory aveva una cattiva reputazione,
eppure giovani e belle fanciulle, ignoranti e superstiziose affluivano cantando
lungo la strada del maniero. Non sapevano cosa le aspettavano, e Erzsébet fu
sempre preoccupata che le sue “scuderie” fossero sempre piene. Messaggeri
percorrevano senza respiro tutti i sentieri di montagna pur di soddisfare la
sete di sesso e sangue della loro padrona, arrivando fino nell’Alta Ungheria.
Vi era in lei anche un segreto desiderio che forse
non capiva, una tendenza equivoca che tutti però all’epoca sussurravano, cioè
che fosse lesbica. Un desiderio che dopo la morte del marito, aumentò.
Lo smodato desiderio di giovani vittime del proprio
sesso la accomunò con il maresciallo di Francia, Gilles de Rais, compagno
d’armi di Giovanna D’Arco. La stessa propensione ai malefici, e in più tutte e
due dovettero superare le stesse difficoltà per procurarsi giovani vittime e
per disfarsene. Gilles venne arrestato nel 1440 nel suo triste rifugio di
Machecoul, e gli si attribuiscono ottocento fanciulli uccisi e poi bruciati in
sette anni. Al maresciallo venne anche attribuita una assurda storia d’amore
con la pastorella di Domrémy, Giovanna D'Arco. Assurda perché secondo la
testimonianza di uno dei paggi della Pulzella, Louis de Coutes, Giovanna «Ogni
notte, quando gli era possibile, aveva una donna come compagna di letto. Quando
durante la guerra e le campagne, non poteva trovarne una, dormiva nella sua
armatura». Le campagne di guerra sono sempre svolte in estate, è quindi
difficile semplicemente pensare a un problema di riscaldamento per la pulzella!
Nel Concilio di Rowen del 1214 fu proibito alle suore di dividere lo stesso
letto, pratica comune all'epoca per ovviare alle carenze del riscaldamento, ma
era evidentemente ritenuta "pericolosa". Del resto
molte nobildonne che avevano ospitato Giovanna, ammisero di aver condiviso con
lei il loro talamo e del grande piacere avuto dal loro rapporto sessuale. Una
passione simile a quella della contessa.
Giovanna
D'Arco in un disegno d'epoca.
Erzsébet fu affascinata, la sera di un giorno di
festa dallo splendore di una sua cugina. Si spinsero l’una nelle braccia
dell’altra, iniziando un’orgia d’amore che durò tutta la notte[2].
Il sospetto della sua omosessualità ebbe
origine dalla sua frequente relazione con una sua zia Klárá Báthory. Una donna
lussuriosa, a cui andava bene o la sentinella della torre, o le proprie
damigelle d’onore, oppure le fanciulle che le venivano presentate per i suoi
piaceri, piaceri talmente intensi che con quelle stesse fanciulle faceva andare
a pezzi le sedie degli appartamenti. Giochi simili amava farli anche la
contessa e a cui dovettero soggiacere volenti o nolenti le stesse damigelle di
Erzsébet.
Erzsébet amava torturare belle fanciulle
nude, ma era per la contessa più eccitante farlo in compagnia di un’altra
donna. Una ignota dama chiamata semplicemente «Signora» fu presente a volte con
lei, era forse una straniera, visto che a Csejthe si conoscevano tutti coloro
che abitavano nella regione.
Una delle streghe di cui era circondata,
Darvulia, insegnò alla contessa i giochi più crudeli e le insegnò a guardar
morire le belle contadinelle, già nell’anno stesso della morte del marito
Ferencz. Da lì in poi, Erzsébet, sempre più pazza, si interessò attivamente
alla durata del piacere sessuale unitamente a quello della tortura e della
stregoneria. Con un crescendo sempre più spaventoso, visto che la necessità di
far sparire i cadaveri era divenuto un vero incubo per le sue serve-streghe.
La famigerata “Vergine di ferro” usata per le sue
vittime fu ordinata da Erzsébet in Germania. Un ordigno simile era nei
sotterranei del suo palazzo a Vienna, lo stesso palazzo dove vennero torturati
i templari nel XIV secolo, e dove lei stessa torturò e uccise altre fanciulle.
L’idolo fu installato nei sotterranei di Csejthe, ed era custodita in una cassa
di quercia. La sinistra dama di ferro era dipinta in color carne ed era
raffigurata nuda, un meccanismo la faceva ridere e muovere gli occhi, con
dietro al capo una lunga parrucca di fanciulla. Ma la malefica cerimonia di
terrore e morte non durò a lungo, i complicati meccanismi si ruppero e nessuno
poteva ripararli.
Le cupe segrete di Csejthe intanto erano sempre
rifornite di nuove vittime e durante il processo il fedele servo Ficzkò
racconta come ciò avveniva!: «Le donne dei diversi villaggi si occupavano
sopratutto di fornire le ragazze. Anche la figlia di una di queste fu uccisa,
allora la madre si rifiutò di portarne altre. Io stesso sono andato sei volte
in cerca con Dorkò ( un altro dei servi della contessa ). C’era una donna
specializzata che non uccideva, ma seppelliva. La donna Jàn Barsovny è
andata anche a ingaggiare delle serve dalle parti di Taplanfalve; poi una certa
croata di Sarvar, e anche la moglie di Mattia Oëtvos, che abita di faccia alla
chiesa di Zsalai. Anche una donna Szabò ha portato delle ragazze e anche la sua
propria figlia benché sapesse che sarebbe stata uccisa».
Molte di queste ragazze sapendo qual’era il loro
destino, o si lasciavano morire di fame, oppure tentavano di fuggire. Solo
poche vi riuscirono cercando rifugio in Austria o preferendo vendersi come
schiave negli accampamenti turchi. Una di queste raggiunge miracolosamente
Mattia II° d’Asburgo: il Re che già da tempo era a conoscenza di quando
accadeva a Csejthe, anche se non in dettaglio, colse l’occasione offertagli per
i suoi scopi politici e fu così che avvenne l’irruzione a Csejthe.
Tra il gennaio e il febbraio del 1611, nella città di
Bytca si svolge il processo contro la contessa vampira ed i suoi accoliti
presieduto dallo stesso re Mattia, processo che decretò la pena capitale a
quanti si erano prestati a tali infamie. la condanna venne eseguita dopo aver
sottoposto gli accusati a tortura, perché la morte sembrava troppo lieve per
crimini cosi orrendi.
Non vi fu mai un’ombra di rimorso negli occhi neri di
Erzsébet, non gli capitò mai di rotolarsi sul letto piangendo e pregando, come
a Gilles de Rais dopo aver compiuto le sue atrocità sui bambini.
Erzsébet Báthory. Una donna bella, ben fatta e
senza difetti, uno storico dell’epoca non trovò parole sufficienti per
descriverne la bellezza e le sue forme statuarie[3].
Ma se per il maresciallo di Francia la condanna fu il
rogo, per la Báthory, la pena fu commutata nella segregazione a vita: nel marzo
del 1611 venne murata viva nella sua stanza a Csejthe con l'immancabile
specchio, in modo da vedere la degradazione delle sue splendide carni.
Non si conosce con esattezza la data della morte, si
sa solo che nel 1614 il guardiano guardando dallo spioncino in cui si
introduceva il cibo la vide riversa a terra morta già da tempo.
A cinquantaquattro anni si era spenta una donna che
si era macchiata di ben seicentodieci omicidi.
Di lei scrisse Bernardino Zapponi:
«tentò tutte le strade, ogni rigagnolo, nella ricerca di un male assoluto. Non
le si conosce nemmeno un gesto di pietà, o una parola d’amore».
Erzsébet Báthory infatti rappresenta il trionfo stesso
della malvagità e a ragione può essere considerata il più mostruoso e reale
vampiro che la storia ricordi, cosi terminava Gabriele Rossi Osmida il capitolo
sulla contessa nel suo libro Uomini o vampiri.
La cupa vicenda della
contessa ha ispirato numerose opere, anche fumettistiche.
Ecco infatti la
vampira più famosa del mondo del fumetto italiano: la bella Jacula Verdier
Nei suoi frontespizi
si legge
«Avventure
del terrore liberamente tratte dal manoscritto La bevitrice di sangue trovato
nella biblioteca della
città di Praga»
Bibliografia:
- Gabriele Rossi-Osmida, Uomini o Vampiri, Armando
Curcio Editore, 1978.
- Valentine Penrose, La contessa sanguinaria,
Longanesi & C., Milano, 1974.
[1] Jean Le Labooureur, Historire et relation du voyage de
la reine de Pologne et du retour de la maréchale de Guébriant par la Hongrie,
Carinthie, Stirie, etc. en 1645. citato da Valentine Penrose in La
contessa sanguinaria. Pag. 28, Longanesi, Milano 1974.
[2] Vedi Penrose, op. cit., pag. 77.
[3] «Élisabetha S. Francisci de Nádasd Agazonum Regalium
Magistro nupta, foemina si suae unquam venustatis, forma eque appetentissime.
Eam cum humano sanguine persici posse sibi persuasisset, in codem per coedes,
et lanienas expresso balneare non dubitavit. Tanti criminis damnata,
perpetuoque carceri inclusa, ibidem espiravi anno 1614 die Augusti. » V.
Penrose, op. cit. pag. 199.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
se vuoi puoi andare alla sezione
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.