L’elefante
di
Carlo Magno
Articolo anonimo
della serie “Gli animali celebri”
apparso sul
mensile a fumetti francese Zembla
del 5 novembre
1981
illustrazioni di
Daniel Colin
Intorno
all’800, un grosso pachiderma originario dell’Asia e arrivato in Europa dopo un
lungo periplo, non era cosa comune. Bisogna quindi immaginare l’ammirazione
terrorizzata che dovettero provare i sudditi di Carlo Magno, scoprendo che
esistevano delle bestie così mostruose. Nell’assenza pressoché totale di
informazioni venute dall’esterno, le popolazioni d’occidente inventavano e
trasmettevano delle leggende.
Carlo Magno,
il nuovo sovrano d’Occidente, capì ben presto che un Re non poteva accontentarsi
di avere la reputazione di essere un prode spirito di giustizia, ma che doveva
colpire gli spiriti. Ebbe dunque l’idea di inviare al lontano califfo
Haroun-al-Rashid – in Persia, tre delegati che dovevano chiedere per lui… un
elefante! Un anno più tardi, arriva infine la notizia che l’animale, venuto
specificatamente dalle Indie aveva traversato la Siria e attendeva sulla costa
africana. Si invia una flotta, e meno di un mese dopo, il battello ancorava a
Porto Venere, in Liguria. Il 20 luglio 802, l’elefante sfilava trionfalmente
nella città di Aquisgrana.
All’inizio
del nono secolo, due sovrani dominavano il mondo: Carlo Magno che regnava in
Occidente, Haroun-al-Rashid che controllava quasi la totalità del mondo arabo.
Le sole ombre alla loro egemonia: L’imperatore di Costantinopoli e l’emiro di
Cordova in Spagna. Si cercava di mostrar loro che l’asse Aquisgrana-Bagdag
esisteva: dove scambi di ambascerie in gran pompa, portatrici di regali
inauditi, di cui se ne parlava sia nei castelli che nelle capanne di paglia.
Incuriosite,
le cancellerie di Spagna e quelle del mondo ottomano si agitavano. I loro
sovrani si interrogavano sul perché di queste manifestazioni reciproche di
prestigio e divennero così sia prudenti che accomodanti.
L’elefante
gigante venuto dalle Indie fece dunque l’effetto di una bomba pubblicitaria. Tra
il Tigri e il Chienti, si gettò un ponte simbolico. Non sorridiamo: utilizzando
i “buoni uffici” di un inviato così straordinario per l’epoca, Haroun-al-Rashid
e Carlo Magno pensarono a lungo che nessun’altro avrebbe potuto far di meglio.
Liberamente tradotto e adattato da Marco Pugacioff
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