Julenisse
o
Babbo Natale
Il folletto protettore
della casa
In Scandinavia, il Nisse (o anche Tomte o Pixies) è un folletto o spirito di famiglia che è responsabile della
cura e della prosperità di una fattoria o di una famiglia, in particolare di
notte quando si dorme. Un Nisse è solitamente descritto
come un uomo o una donna di bassa statura (non più alto di 90 cm), dalla forza
straordinaria che indossa un abito e un berretto rosso. Comunque, ci sono anche racconti in cui sembra che sia un
essere mutaforma in grado insomma di prendere una forma molto
più grande di un uomo adulto, oppure secondo altri racconti, il Nisse ha un
unico, ciclopico occhio. Non basta, fa gara con Mandrake il
mago nel creare illusioni e può pure rendersi invisibile e al buio i suoi occhi
riflettono la luce come gli occhi dei gattini.
Se la credenza nei folletti o spiriti
custodi è una tradizione molto antica in Scandinavia, nelle nazioni vicine (in
Danimarca, Norvegia meridionale e al sud della Svezia), la credenza nel Nisser dovrebbe
risalire al tardo XVIII o al XIX secolo. Molte fattorie
asserivano di avere il proprio Nisse, dove questo folletto faceva molti lavori
campagnoli, come governare i cavalli, sistemare le balle di fieno, e le
relative attività agricole. Il bello è che era molto più bravo dei altri
lavoranti. Ma il suo carattere era però molto
capriccioso, se non peggio. Infatti se la famiglia che lo ospitava non
si comportava bene (tipo dargli una ciotola di porridge al burro alla vigilia
di natale sulla porta di casa era meglio sparire dalla
circolazione), perché sennò – e per un bel po’ – ti ci faceva sparire lui dalla
circolazione. In un racconto si narra che una cameriera norvegese ebbe la
malaugurata idea di mangiarsi lei il porridge, col risultato di finire
duramente picchiata dal Nisse.
Questo folletto con l’arrivo del
cristianesimo fu purtroppo demonizzato. Se le voci su di una famiglia che
avesse avuto in casa un Nisse fosse arrivato alle autorità religiose, il
fattore avrebbe corso il rischio di essere accusato di reati vicini alla stregoneria.
In un famoso decreto del 14 ° secolo Saint Birgitta (ovvero Santa Brigida) mette in guardia contro il
culto di questi folletti, (Revelationes, libro VI, cap. 78) che sono
chiamati anche
tompta gudhi, gli dei Tomte. Il termine svedese
Tomte deriva dal luogo di residenza, la casa o tomt.
L'arrivo dei regali
illustrazione di Jenny Nyström
illustrazione di Jenny Nyström
Dal 1840 il folletto delle fattorie Nisse,
si mise a portare i regali di natale in Scandinavia, ed è stato così chiamato
"Julenisse" (o anche folletto di natale « lutin
de Noël ») e da allora
è associato al Natale, insieme alla capra Yule – altra creatura mitologica nordica – o insieme delle
renne, oppure ancora da un gattino e comunque sempre con una slitta.
Però al contrario di babbo natale non vive al Polo Nord, ma in genere in una
foresta, in un campo o in un ruscello vicino. Lui (o lei) non scende dal camino la notte di Natale, ma
giunge alla porta d'ingresso, per la consegna dei regali alla famiglia loro amica.
A tutt’oggi, gli svedesi, alla vigilia di
natale, depongono sulle finestre una ciotola di farina d’avena perché Julenisse
possa nutrissi.
Rappresentazione di
Julenisse di Jenny Nyström
Nel 1881, la rivista svedese Ny Illustrerad
Tidning pubblica il poema Tomten di
Viktor
Rydberg, dove il folletto solitario
veglia durante la fredda notte di natale, e fa riflessioni sui misteri della
vita e della morte. Lo scritto è illustrato dall’artista Jenny
Nyström [pittrice e illustratrice
svedese di libri per l’infanzia (1854-1946] che lo raffigura con barba
bianca e abito rosso, di già molto vicino al nascente babbo natale.
Midvinternattens
köld är hård,
stjärnorna gnistrar och glimmar.
Alla sover i enslig gård
djupt under midnattstimma.
Månen vandrar sin tysta ban,
snön lyser vit på fur och gran,
snön lyser vit på taken.
Endast tomten är vaken.
(…)
stjärnorna gnistrar och glimmar.
Alla sover i enslig gård
djupt under midnattstimma.
Månen vandrar sin tysta ban,
snön lyser vit på fur och gran,
snön lyser vit på taken.
Endast tomten är vaken.
(…)
« Il freddo della notte di metà inverno è
duro,
le stelle scintillano e luccicano.
Tutti nella fattoria isolata dormono
profondamente a mezzanotte.
La luna fa il suo corso silenziosamente.
La neve brilla di bianco su pini e abeti,
la neve brilla di bianco sui tetti.
Solo il folletto, il tomte, è sveglio.»
le stelle scintillano e luccicano.
Tutti nella fattoria isolata dormono
profondamente a mezzanotte.
La luna fa il suo corso silenziosamente.
La neve brilla di bianco su pini e abeti,
la neve brilla di bianco sui tetti.
Solo il folletto, il tomte, è sveglio.»
Arrivano i folletti di natale (lutins de noel)
jenny nystrôm
Affresco di Ambrogio Lorenzetti al palazzo pubblico di Siena,
raffigurante un uomo con una palla di neve, visione allegorica dell’inverno.
Si è associato la parola Nisse, propria di
questo folletto, alla parola Yule che indica la festa del solstizio d’inverno dei
popoli germanici. Attraverso il sincretismo, come già avvenuto coi nostri Saturnali,
così anch’essa fu associata al natale cristiano. Ecco da dove nasce il nome di
Julenisse.
In Québec, il
folletto (lutin in francese) è
associato ai gattini bianchi (ma anche ai cani e ai leprotti). Vedi https://fr.wikipedia.org/wiki/Lutin
Illustrazione per il
"Tomten" di Astrid Lingren
Nonno Gelo
Una graziosa scatolina
in vendita su e-bay il cui coperchio raffigura una fiaba del principe Vladimir
Fëdorovič Odoevskij
su Nonno Gelo.
In Russia, ed anche nella scomparsa Unione
Sovietica, Ded Moroz (Дед Мороз), vale a dire "Nonno Gelo", ha lo
stesso ruolo del nostro Babbo Natale. È il re dell’inverno e un potente sovrano
della foresta. Indossa una bacchetta magica e porta doni ai bambini durante i
festeggiamenti di Capodanno, spesso accompagnato dalla nipotina Snegurochka
(Снегурочка) e a bordo della classica troika, il carro-slitta trainato da tre
cavalli.
Gelo (Мороз, ma anche conosciuto come Морозко, o ancora come naso rosso) era l'antico dio slavo dell’inverno, del
freddo e del gelo, che [Se ho interpretato bene la traduzione] nei racconti sul
Vento del Nord, è un uomo dotato di doni miracolosi. Vi è un racconto in cui un
mugico era intento alla pratica della semina vicino ad un abete, ma una volta
lasciato il campo, tutto il suo lavoro andò perso. Tornato a casa sconsolato,
raccontò tutto alla moglie che gli disse che ciò era dovuto a Gelo, che doveva andare
a scovarlo e richiedergli i danni. Il povero uomo fu spinto così dalla sua
“vergara[1]”
ad andare nella foresta, ma il poveraccio perse ben presto l’orientamento,
finché trovò un sentiero che lo portò a una capanna di ghiaccio. Si avvicinò,
tolse i ghiaccioli dalla porta e bussò. Venne ad aprirgli un vecchio tutto
bianco; era proprio Gelo che donò al mugiko il suo vestito e la sua bacchetta
magica.
In altri racconti il dio Gelo personifica diversi
fenomeni di tempesta, difatti dalla sua bocca arrivano brina e ghiaccioli e con
i suoi capelli produce nuvole di neve. Sempre il dio Gelo, secondo i contadini,
è un vecchio dalla lunga barba grigia che all’inizio dell’inverno, corre
attraverso i campi e le strade e poi bussa alle porte di casa; se il suo
picchiare alla porta è molto forte, arriveranno gelo e ghiaccio. Se ha colpito
l'angolo della capanna, allora sicuramente verrà una crepa.
Nei
villaggi della grande Russia, è tuttora presente la forza del suo potere
naturale nell’immaginazione popolare, che lo raffigura come
un potente guerriero, con forze uguali al nostro Ercole.
Alla vigilia di natale il capofamiglia prende
un cucchiaio di Kuti o kolyva (una polenta di
grano, miele e noci, che in tempi antichi era conosciuto come “cibo degli
antenati”), va alla finestra e dice «Gelo, gelo! Vieni
c’è il dolce. Non colpire il nostro terreno.»
Nel primo periodo della rivoluzione fu un
personaggio accantonato ma poi, già dai primi anni ’30 fu rivalutato e il suo
abito di colore celeste fu convertito in rosso come era il colore della bandiera
sovietica.
"Nonno
Gelo e la figliola adottiva," [Snegurochka la figlia della Fata
Primavera e del Vecchio Inverno e che Jarilo, il Sole, l'aveva condannata a
morire se mai si fosse innamorata di un ragazzo], poi
Snegurochka divenne la nipotina di Nonno Gelo. illustrazione del 1932 di Ivan Bilibin (1876,
morto durante l’assedio di Leningrado del ’42) per il racconto popolare russo
"Nonno Gelo" (Morozko).
L'immagine
di Nonno Gelo (che sotto il vestito porta la maglietta dei spetsnaz)
è stata usata nella propaganda anti-nazista durante la seconda guerra mondiale.
Illustrazione del 1941
Questo
francobollo sovietico raffigura Nonno Gelo sulla troika di fronte ad una torre
del Cremlino a Mosca. La scritta С Новым Годом, significa naturalmente buon
anno.
"buon
anno 1991!" L'ultimo francobollo dell'URSS con Nonno Gelo
La Befana
Un
vecchio Rebus, che ben figura l’offerta di un dono
La Epiphaneia (il periodo odierno
dell’epifania), era il festeggiamento dedicato alla manifestazione della Dea
natura in cui i prati e gli alberi germogliavano in primavera. Ma arrivò Numa
Pompilio che aggiunse i primi due mesi dell’anno, Gennaio e Febbraio, e la
ricorrenza fu spostata ai giorni seguenti del solstizio d’inverno. Si racconta
che quando Romolo cinse di mura la sua città, i cittadini gli offrirono come
simbolo di prosperità, un fascio di rami verdi presi dal vicino bosco sacro
della Dea Strenua, tradizione che mantenne poi tutti gli anni. Spostandosi le
date, la ricorrenza di offrire rami sacri d’alloro e d’ulivo passò alle calende
di gennaio. Sono l’origine delle nostre strenne, strenne che avevano
anticamente la forza – data dalla salute (nella pronuncia sabina strenua significava
Salute) che portava la Dea – di allontanare gli spiriti maligni provenienti dal
Mundus[2],
quando si chiudeva la porta dell’anno vecchio e si apriva la porta dell’anno
nuovo (simboleggiato dal Dio Giano). Erano i cicli della vita e della morte che
si rinnovavano e nei riti romani più antichi si donavano statuine della Dea
bianche in occasione di una nascita e nere in occasione di una scomparsa.
Questi doni si tramutarono nello zucchero, bianco, e nel carbone, nero; i
regali odierni per i bambini buoni o cattivi della Befana.
Nelle campagne sopravvisse a lungo la
religione pagana e per secoli restò come simbolo di fertilità la Dea Diana, la
dea dal bel viso perennemente giovane, libera e selvaggia. E Diana veniva vista
spesso di notte (anche poi, durante il cattolicesimo) andare a caccia seguita
dal suo corteo di ninfe – la brigata di
Diana appunto – e si incominciò a favoleggiare che volava con la scopa sui
campi, nella prima settimana di gennaio per benedire i campi seminati. Infatti gli anziani mi dicevano "sotto la neve c'è il pane", ha sottolineare che il grano riposa sotto la neve prima di germogliare con il caldo e darci così il pane. La sua
scopa era realizzata con una qualità di vimini provenienti dal Colle Viminale,
(Mons Viminalis), dove doveva essere
il bosco sacro della Dea Strenua. Fu la Chiesa a trasformare la Dea Strenna in
Strega[3]
e con lei anche Diana che si vide trasformare in una vecchietta a cavallo di
una scopa a portar regali ai bambini.
Tante Arie
Ma la Befana esiste al di fuori
dell’Italia? Sì! È la francese Tante Arie, la zia Arie, vive nelle foreste franc-comtoises [le foreste
della Franca Contea], nelle montagne del dipartimento
della Jura, la Giura, a cavallo tra Francia
e Svizzera e risiede in grotte profonde e di difficile accesso.
Tra queste vi sono la "Roche de la Faire" (la roccia
della fata) à Beurnévesin, "Sous la terre qui sonne" (Sotto la terra
che suona) à Etobon, nella grotta della chaîne (catena) di Lomont oppure nella
grotta di Millandre presso Boncourt. Ma il suo luogo di residenza preferito è
la grotta della Combe Noire (il valloncello nero) a Blamont, tutte cittadine
non lontane tra di loro.
L’ingresso della
grotte della Combe Noire
Ogni
luogo ha la sua leggenda. Ha Boncourt, la zia si trasformerebbe in una viverna
(essere leggendario simile a un drago) per fare il bagno nei laghetti di acqua
chiara; A Daucourt si cambierebbe in serpente e possiederebbe un cofano pieno
d’oro; A Réchésy, la zia avrebbe denti di ferro, una corona di diamanti e delle
zampe di gallina e getterebbe i bambini cattivi nel fiume. Per molti, le pieghe
della sua camicia rappresenterebbero dei fiocchi di neve.
Secondo alcune leggende la zia sarebbe l’ultima delle
druidesse oppure la moglie di Odino; cosa a me simpatica, il suo nome
deriverebbe dal latino Aëria[4].
La contessa Henriette
de Montbéliard (1387-1444), Finestra di vetro nel coro della chiesa
collegiata di San Giorgio a Tubinga.
Ma
l’origine della zia è da ricercarsi nella storia, più che nella mitologia. la
contessa Henriette de Montfaucon - Montbéliard visse nel castello di Etobon del
XV secolo. Henriette era una donna che brandiva le armi come un cavaliere per proteggere
la sua contea. Era anche generosa con i suoi sudditi tanto che quando morì nel
1444 fu rimpianta da tutti. Visto che era tanto amata, il cielo la rimanda
spesso in terra con l’incarico di vegliare sulla sua contea e beninteso per
ricompensare i bambini. Arie deriverebbe dal nome Henriette pronunciato Ariette
nel dialetto locale.
Nella regione di Montbeliard [nel dipartimento del
Doubs, regione della Franca Contea] è considerata la bonne fée [la buona fata] almeno dal 15° secolo, e ricompensa i bambini
saggi e punisce i petit diables, i piccoli diavoli.
La zia Arie ama invitarsi alla tavola degli
abitanti e verifica anche la buona tenuta delle case, ed infine aiuta ben
volentieri le casalinghe [che nel Piceno, come ho già scritto, sarebbero le
vergare]. Inoltre aiuta le ragazze in attesa di maritarsi, insegnando loro la
filatura del lino e della canapa.
Ancora, la zia d’inverno si copre con
uno scialle per proteggersi dal freddo e percorre la regione
accompagnata dal suo asino Marion e distribuisce regali e pasticcini ai
fanciulli giudiziosi ma anche mucchi di fascine imbevute d’aceto ai bambini
disobbedienti.
Un libro sulla Zia
Fonti:
http://www.fjorn.com/whatispixie.html
Queste tradizioni sono
però dei sogni che prima o poi svaniranno e di loro non resterà niente. E il
disegno dello scheletro del drago, guardiano dei tesori di Theodor Severin
Kittelsen, esemplifica bene questo mio pensiero.
[1] La vergara picena è
una figura centrale del mondo contadino (parola che secondo l’interpretazione
popolare significa “conta i dì – i giorni – per la semina”). Dice Cesare
Angeletti: «La famiglia era questo nucleo o “clan” familiare piramidale a capo
del quale c’era il vergaro cioè “portatore di verga”, quindi uomo che comanda.
Vicino a lui c’era la vergara che comandava di meno, in teoria, ma in pratica
la notte in camera da letto poteva far valere le sue ragioni. La figura della
vergara c’è in tutta Italia: mi hanno chiamato dal Trentino dicendo che anche
loro hanno questa figura; i due fratelli Guareschi (i figli di Giovannino) mi
hanno scritto dicendo che loro hanno una figura uguale chiamata residora,
quindi reggitrice. Quindi la figura di questa donna straordinaria c’è in tutta
Italia.» vedi:
È quindi la maniera migliore – per me –
per denominare in italiano l’energica donna del mondo contadino russo.
[2] Il Mundus era l’ingresso al paese dei
morti, a cui si accedeva attraverso una profonda fenditura. Si narra che qui
Romolo vi aveva sepolto suo fratello. È situato nel Foro romano, accanto
all’arco di Settimio Severo. Situato al centro della città, fu poi chiamato
Ombelico di Roma.
[3] A parte l’etimologia
che fa derivare la parola Strega dal
greco stryx o strygòs, cioè da strige o barbagianni, questa origine in effetti
sarebbe più pertinente.
[4] Nella mitologia
romana Giunone indicava l'aria [caelum Iunonis nomine consecratu, quae est soror
et coniux Iovus. Cicerone, De natura
deorum, Libro II, cap. 66], ed era chiamata Aëria [Et Macrobius, Junonem aeriam dictam.
Lilius Gregorius Gyraldus, Historiae
Deorum Gentilium L. III]. Presiede con Giove ai fenomeni
atmosferici. Giunone (come ci informa Boccaccio nel
libro nono sopra la geologia degli dei), è vincolata a suo marito Giove con
catene d'oro, e con incudini di
ferro appesi ai suoi
piedi.
Marco Pugacioff
va agli
AMIGO,TODO MUY HERMOSO, EL TEMA EN SI ES MUY ATRACTIVO Y LOS DIBUJOS MUY LINDOS . CARIÑOS MARCO... MARTHA BARNES (ARGENTINA)
RispondiEliminaCiaoooooooo Martha!!!
RispondiEliminaCurieuse de votre message sur mon blog je suis venue lire vos écrits qui font le tour de thèmes qui me sont chers en tant que conteuse.
RispondiEliminaBonne continuation.
Mercì, madam Allain.
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