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venerdì 27 settembre 2019

Zorro: la maledizione di Capistrano. parte 3


Zorro:
la maledizione di Capistrano.
di Johnston McCulley
Traduzione e libero adattamento di Marco Pugacioff
Non revisionato

Parte 3




Capitolo 29: Don Pulido si sente male

Un’ora dopo che don Carlos Pulido fu incarcerato Diego, vestito il più dignitosamente possibile, faceva
lentamente a piedi la salita fino al presidio per appellarsi a Sua Eccellenza, il governatore.
Camminava con passo oscillante, guardando sia a destra e a sinistra come ad osservare le colline in
lontananza, e una volta si fermò ad ammirare un fiore che era fiorito accanto al sentiero. La sua spada era al
suo fianco, con la sua elsa ingioiellata, e nella mano destra portava un fazzoletto di pizzo fragile, come un
vero damerino, e poi si toccò con esso a punta del suo naso.
Si inchinò cerimoniosamente a due o tre caballeros, che incrociò, ma al di là delle parole di saluto necessario,
non parlò con nessuno e non cercava nemmeno nessuna conversazione. Infatti, ricordando come tutti
avevano pensato che Don Diego Vega corteggiasse la figlia di don Carlos, gli avrebbero chiesto come
avrebbe preso la questione della sua prigionia insieme con il padre e la madre. Non gli interessava discutere
la questione, temendo che le sue espressioni potessero essere scambiate per tradimento.
Diego arrivò alla porta d'ingresso del presidio, e il sergente di guardia gli diede un saluto adeguato all’alta
posizione dei Vega. Diego rispose con un gesto della mano e con un sorriso, e continuò fino all’ufficio del
comandante, dove il governatore riceveva i caballeros, che si era curato di chiamare a farsi esprimere la loro
lealtà.
Diego salutò sua eccellenza con parole scelte con cura, si chinò, e poi aspettò che il governatore lo
autorizzasse a sedere.
– Don Diego Vega. – fece il governatore. – Sono davvero felice delle parole di benvenuto che mi avete dato,
perché in questi tempi un uomo che ha una carica elevata, dovrebbe conoscere i suoi amici.
– Sarei dovuto venire prima, ma ero lontano da casa mia al momento che siete arrivato. – disse Diego. –
Pensate di rimanere a lungo a Reina de Los Angeles, eccellenza?
– Fino a quando questo bandito da strada, conosciuto come Zorro non sarà catturato o ucciso.
– Per tutti i santi! Devo ancora sentir parlare fino all’ultimo di quella canaglia? – piagnucolò Diego. – Non
ho sentito parlar d’altro in questi giorni. Vado a trascorrere una serata con un frate, e arriva una folla di
soldati a caccia di questo Zorro. Vado alla fattoria di mio padre per avere pace e tranquillità, e arriva una
folla di caballeros cercando notizie di Zorro. Questi sono tempi turbolenti. Un uomo la cui natura lo porta alla
contemplazione di musica e poesia non ha diritto di esistere nel tempo presente.
– Sono desolato che siate così infastidito. – fece il governatore, ridendo. – Ma spero di avere presto nelle
mie mani quel bandito, e così porre fine a questo assilante fastidio. Il capitano Ramon ha inviato il suo
sergente e ai suoi soldati di ritornare. Io ho portato con me una scorta di venti lancieri. E così, ora, abbiamo
uomini più che sufficienti per correre dietro alla maledizione di Capistrano quando riapparirà la prossima
volta.
– Speriamo che si concluderà tutto come dovrebbe. – fece Diego.
– Un uomo con un alto incarico deve regolare molti conti. – rispose subito il governatore. – Guardate cosa
sono stato costretto a fare ancora oggi. Sono stato costretto a mettere in prigione un uomo di buon sangue
con sua moglie e sua figlia. Ma lo Stato deve essere protetto.
– Suppongo che intende parlare di don Carlos Pulido e della sua famiglia?
– Proprio così, caballero.
– Ora che mi viene in mente, devo dirvi alcune parole riguardo. – fece Diego. – Siete sicuro che il mio onore
non sia coinvolto.
– Ma perché, cavaliere, in quale maniera?
– Mio padre mi ordinò di prender moglie. Perciò, alcuni giorni fa ho chiesto il permesso a don Carlos
Pulido per poter corteggiare sua figlia.
– Ah! Capisco. Ma non siete il fidanzato della signorina?
– Non ancora, Eccellenza.
– Allora il vostro onore non è coinvolto, Don Diego, come potete vedere.
– Ma io le ho fatto la corte.
– Ringraziate tutti i santi di non essere andato oltre, don Diego. Pensate a cosa sarebbe successo se vi foste
imparentato con questa famiglia ora. Se volete una moglie, venite con me a nord di San Francisco de Asis,
caballero, dove le senoritas sono molto più belle di qui, al sud.
– Ve ne sono molte di buon sangue, e se voi mi farete sapere la vostra preferenza, vi garantiscono che la
fanciulla avrà il buon costume di accettare la vostra mano e il vostro nome. E posso garantire, inoltre, che
sarà di una famiglia fedele con la quale non ci sarà nessuna vergogna ad imparentarsi, caballero.
– Se mi perdonate l’osservazione, non è stata piacevole l'adozione di misure così severe verso don Carlos e
la sua famiglia? – chiese Diego, togliendo la polvere dalla manica.
– Era necessario, signore.
– Non pensa che influirà negativamente alla vostra popolarità, Eccellenza?
– Che lo sia o no, lo Stato deve essere servito.
– Gli uomini di buon sangue vedranno con odio una cosa del genere, e ci potrebbero essere delle proteste, –
avvertì Diego. – Mi dispiace che Vostra Eccellenza faccia un tale passo falso in questo momento.
– Che cosa vuoi che io faccia? – chiese il governatore.
– D’accordo mettere un don Carlos e le sue signore in stato di arresto, ma non incarcerarle. Sarebbe inutile.
Dove potrebbero scappare prima di essere sottoposti a processo.
– Voi siete audaci, caballero.
– Per tutti i santi, sto forse parlando troppo?
– Sarebbe meglio lasciare questi temi ai pochi di noi che sono di fiducia e che pongono la loro attenzione a
questi problemi. – disse il governatore. – Posso capire, naturalmente, come infastidisca ad un uomo di buon
sangue vedere un suo pari gettato in prigione insieme alle sue signore, ma in un caso come questo.
– Non conosco la natura del caso. – disse Diego.
– Ah! Forse cambierà idea quando saprà tutto. Avete parlato poco fa di quel famigerato Zorro. Io vi
assicuro che il bandito è stato protetto da don Carlos Pulido!
– Questo è stupefacente!
– E che la Dona Catalina è una delle parti del tradimento e che la bella signorina ha pensato bene di parlar
apertamente di tradimento e messo le mani in una cospirazione contro lo Stato?
– Ne siete davvero convinto – piagnucolò Diego.
– Alcune notti fa Zorro era alla hacienda Pulido. Il comandate fu avvertito da un nativo fedele. Don Carlos
aiutò il bandito a ingannare i soldati, lo nascose in un armadio, e quando il capitano Ramon era lì da solo,
questo brigante venne fuori dal ripostiglio e lo attaccò a tradimento e lo ferì.
– Per tutti i santi!
– E mentre voi davate ospitalità ai Pulido, signore, Zorro era in casa vostra, parlando con la signorina,
quando arrivò il comandante. E la signorina afferrò il capitano Ramon per un braccio e per fermalo fino a
quando il bandito non riuscì a fuggire.
– Bè, ora comprendo tutto! – Esclamò Diego.
– Il capitano Ramon ha posto davanti a me un mare di sospetti. Vi meraviglia, ora, che li ho rinchiusi in
carcere? Dovevo metterli agli arresti, sennò Zorro li avrebbe aiutarti a fuggire.
– E che intenzioni avete ora, Eccellenza?
– Io li tengo in prigione mentre i miei soldati danno la caccia al brigante. Una volta catturato, lo costringerò
a confessare sulla loro complicità, e poi avranno un processo.
– Che tempi turbolenti! – si lamentò Diego.
– Come uomo fedele quale siete dovrebbe sperare di vedere i nemici dello stato distrutti.
– Lo sono. Sinceramente lo sono. Tutti i nemici dello stato dovrebbe ricevere una punizione. – mai Diego
disse parole più sincere.
– Godo nel sentirvi parlare così, caballero! – gridò il governatore, e ha raggiunto Diego dall'altra parte del
tavolo e gli strinse con fervore la mano.
Si parlò in seguito di altri argomenti poi don Diego si congedò, perché c'erano altri uomini in attesa di
vedere il governatore. Dopo aver lasciato l'ufficio del governatore, questi guardò verso il capitano Ramon e
sorrise.
– Avrei proprio ragione, comandante. – gli disse. – Un tale imbecille non poteva essere un traditore. Che
razza di uomo!
Diego si fece strada lentamente giù per la collina, salutò coloro che incontrava, ma fermandosi solo per
guardare i piccoli fiori che fiorivano lungo la strada. All'angolo della piazza, incontrò un giovane cavaliere
che era felice di chiamare amico, uno di quel piccolo gruppo di uomini che avevano passato la notte alla
Hacienda del padre.
– Ah! Diego, buongiorno! – gridò. E poi abbassò la voce e si fece più vicino. – Sai, per caso, se l'uomo che
noi chiamiamo leader del nostro campionato di vendicatori, abbia inviato un messaggio?
– Per il cielo azzurro, no! – fece Diego. – Perché?
– Per l’affare Pulido. Ci sembra un oltraggio. Alcuni di noi si sono chiesti se il nostro leader non abbia
intenzione metterci mano. Siamo aspettando un messaggio.
– Per tutti i santi! Spero di no! Non potrei sopportare un’avventura di qualsiasi tipo, ho un leggero mal di
testa e tempo di avere un inizio di febbre. Temo che dovrò vedere un farmacista. Ho anche dei brividi
lungo la schiena. Non sono dei sintomi? Durante la siesta avevo per di più un dolore alla gamba sinistra,
appena sopra il ginocchio. Deve essere il tempo.
– Speriamo proprio di no, amico mio. – Il suo amico scoppiò a ridere e si affrettò verso la piazza.

Capitolo 30: Il segno della volpe

Un'ora dopo il tramonto, un nativo portò un messaggio ad un caballero. Un misterioso signore con una
cuffia sulla testa desiderava parlargli subito, e questo signore era evidentemente ricco visto che aveva dato
una moneta per far portare il messaggio dal nativo. Il misterioso signore sarebbe stato in attesa lungo la
strada che correva verso il sentiero di San Gabriele, e per essere sicuri che il caballero sarebbe venuto, aveva
detto al nativo di dire che nel quartiere girava una volpe.
Una volpe! El Zorro! Il caballero rifletté per un po’ e poi congedò l’indio dandogli un'altra moneta. Andò
subito l'appuntamento, e nel luogo convenuto vi trovò Zorro seduto sul suo superbo cavallo nero.
– Si passa la parola, caballero. – disse Zorro. – Vorrei che tutti gli uomini che sono fedeli alla giustizia e
desiderano continuare ad esserlo, si incontrano a mezzanotte nella piccola valle al di là della collina. Penso
che conoscete il posto? Sarò lì ad attendervi.
Poi Zorro girò Tornado e galoppò scomparendo nel buio. Il cavaliere tornò nel pueblo e passò la parola a
quegli uomini con cui si era formata la lega. Pensarono anche di avvertire Diego ma il cameriere riferì loro
che egli era a letto, e non voleva assolutamente essere disturbato.
Verso la mezzanotte i caballeros iniziarono a scivolar via dal pueblo uno alla volta, ognuno di loro sul dorso
del suo miglior cavallo, e armato con spada e pistola. erano tutti con una maschera sul volto, una delle cose
decise alla hacienda del padre di Diego.
Il pueblo era al buio, salvo qualche luce nella taverna, dove qualcuno dei militari di scorta a Sua Eccellenza
faceva festa con i soldati locali. Il sergente Pedro Gonzales era tornato con i suoi uomini poco prima di sera,
contento di essere ritornato da quella che era stata una caccia infruttuosa e sperando di restare a lungo al
caldo.
Quei militari nella taverna erano usciti da poco dal presidio, e non pensavono certo che Zorro sbucasse
fuori proprio quella sera. Il grasso posadero lavorava contento, i soldati dal nord erano carichi di monete e
volevano spenderle, e cercava così di non pensare al bruciore della sua schiena. Il sergente Gonzales, al solito
teneva desta l'attenzione di tutti, dilungandosi a lungo su ciò che avrebbe fatto a questo signor Zorro, se i
santi fossero stati così gentili da farlo rincontrare con la sua lama in mano.
C'erano dlle luci nel dormitorio del presidio, dove alcuni soldati stanchi si erano ritirati. E c'erano delle luci
nella casa in cui Sua Eccellenza era ospite, ma il resto del pueblo era nelle tenebre, e la gente dormiva.
Nel Carcel, in prigione non c'era nessun’altra luce tranne quella di una candela accesa in ufficio, dove un
uomo addormentato era di guardia. Il carceriere era nel suo letto. I prigionieri gemevano sulle dure panche
delle celle. Don Carlos Pulido stava davanti una finestra, a guardare impotente le stelle, sua moglie e sua
figlia erano rannicchiate su di una panchina accanto a lui, incapaci di dormire in un ambiente del genere.
I caballeros trovato Zorro proprio dove lui aveva indicato loro, ma rimase in disparte, dicendo appena una
parola, fino a quando non furono tutti presenti.
– Sono tutti qui? – chiese poi.
–Tutti tranne don Diego Vega, – rispose l’amico che diego aveva incontrato uscendo dal presidio. – Lui è a
letto con la febbre, signore. Stava già male questo pomeriggio.
E tutti i caballeros, tranne lui, ridacchiarono, perché avevano l'idea che la febbre fosse causata da codardia.
– Suppongo abbiate già capito perché vi abbia chiamato. – fece Zorro. – Sappiamo quanto è successo a don
Carlos Pulido e alle donne della sua famiglia. Sappiamo che sono innocenti di qualsiasi tradimento, e se non
lo fossero, comunque sono stati condotti al Carcel e rinchiusi assieme a comuni criminali e ubriaconi.
– Pensate a quelle gentili signore in un ambiente del genere! Pensateci a questo, e solo perché don Carlos
era sotto tiro del governatore! Noi ci siamo riuniti perché non accadano più faccende del genere. Siete ancora
con me oppure dovrò agire da solo!
– No! Siamo con te. Liberiamoli. – disse un caballero, e tutti gli altri ringhiarono la loro approvazione.
Avevano la possibilità di vivere una grande avventura e di fare una buona azione.
– Dobbiamo entrare nel pueblo tranquillamente. – disse Zorro. – Non c'è luna, e non saremo scoperti se
useremo cautela. Noi ci avvicineremo al Carcel da sud. Ognuno di voi avrà un suo compito da eseguire.
– Alcuni tra di voi circonderanno l'edificio per avvisare se si avvicina qualcuno. Altri dovranno essere pronti
a buttare fuori i soldati, se risponderanno ad un allarme. Gli altri invece irrupperanno con me nella prigione
per salvare i prigionieri.
– È un ottimo piano. – disse uno.
– forse, ma non ho ancora finito. Don Carlos è un uomo orgoglioso e, se gli viene dato il tempo di riflettere,
può rifiutare di essere soccorso. Non dobbiamo permetterglielo. Quindi alcuni di noi lo sequestreranno e lo
porteranno via. Altri si dovranno occupare di sua moglie Dona Catalina. Della signorina mi impegno io a
prendermi cura di lei. Qualche obiezione, signori?
Sentì mormorare un po’, ma nessuna rispose, e così Zorro continuò a spiegare il suo piano.
– Tutti riprenderemo la strada verso questo luogo. – riprese poi. – A quel punto ci sparpaglieremo. Coloro
che avranno in custodia Dona Catalina si affretteranno a condurla alla hacienda di don Alejandro Vega,
dove potrà restare nascosta, se arrivassero i soldati del governatore che sicuramente esiteranno prima di
entrare.
Coloro che avranno in custodia don Carlos prenderanno la strada per Pala, e ad una decina di chilometri
da questo pueblo saranno raggiunti da due indio, miei amici, che si faranno riconoscere con il segno della
volpe. I nativi terranno don Carlos in carica e la cura per lui.
Quando tutto sarà fatto, ogni cavaliere correrà a casa sua, in silenzio e da solo, raccontando quello che gli
parà di questa storia, ma con grande cautela. Personalmente condurrò la signorina in un posto sicuro.
L’affiderò in custodia al vecchio frate Felipe, un uomo di cui ci si può fidare, e che, se costretto, la
nasconderà. Poi vedremo che cosa farà il governatore.
– Che potrebbe fare? – chiese un caballero. – Credo proprio che darà loro la caccia.
– Dovremo attendere ulteriori sviluppi. – disse Zorro. – Ora, siete tutti pronti?
Risposero tutti naturalmente di sì. Poi lasciarono la piccola valle e si diressero lentamente e con cautela
verso la cittadina entrando da sud.
sentirono i soldati gridare e cantare dentro la taverna, videro poche luci accese nel presidio, e strisciarono
verso la prigione tranquillamente, andando a due a due.
In poco tempo lo circondarono decisamente in silenzio, poi Zorro e altri quattro smontarono dai loro
cavalli e andarono alla porta del carcere.

Capitolo 31:  Il salvataggio

Zorro bussò alla porta con l'elsa della sua spada. sentì un rantolo di un uomo venire dall’interno, i suoi
passi sul pavimento di pietra, e dopo un po’ di tempo vide della luce filtrare attraverso le fessure, poi lo
spioncino si aprì e apparve il volto assonnato della guardia.
– Chi è là? – chiese.
Zorro spianò la sua pistola contro il viso della guardia attraverso lo spioncino.
– Apri, se ci tieni alla tua vita! Apri e non fare il minimo rumore! – gli ordinò Zorro.
– Ma… ma chi siete?
– Sta parlando con te Zorro!
– Per tutti i santi!
– Non fare cavolate e apri, o morirai!
– Vi… vi apro, ma non sparate signor Zorro. Sono solo una povera guardia e non un uomo che combatte!
Vi prego non sparate!
– Dai! Apri in fretta!
– Mi dia il tempo di inserire le chiavi, signor Zorro!
Si sentì il tintinnio delle chiavi; lo sblocco della serrattura, e la pesante porta si spalancò.
Zorro e i suoi quattro compagni d’avventura, si precipitarono dentro e ricchiusero la porta, dietro di loro.
La guardia si ritrovò con la canna della pistola premuta contro la testa.
– Bravo amico! E ora dimmi dove dorme il custode di questo buco infernale? – gli ordinò Zorro.
– In quella camera laggiù, signore.
– E dove avete rinchiuso don Carlos Pulido e le sue signore?
– Nella cella maggiore, signore. – Zorro fece un cenno agli altri, attraversò la stanza, e spalancò la porta
della camera del carceriere. L'uomo era già seduto sul letto, dopo aver sentito il rumore nell'altra stanza, e
lui sbatté le palpebre per lo spavento quando vide il bandito alla luce della sua candela.
– Non fare una mossa! – lo avvertì Zorro. – Oppure domani ti ritroverai sotto terra! Io sono Zorro.
– Che i santi mi aiutino!
– Dove sono le chiavi delle celle?
– Su quel tavolo, signore.
Zorro le prese poi si girò verso il carceriere.
– Sdraiati. farabutto! – Zorro strappò delle strisce dalla coperta e legò le mani e i piedi del carceriere.
– Se vuoi sfuggire alla morte, è necessario che tu rimanga esattamente come sei adesso, senza fare rumore,
anche dopo che avrò lasciato il Carcel.
Poi si affrettò a tornare dai suoi compagni, e tutti insieme si aprirono la strada lungo la maleodorante sala.
– Qual è la porta, amico? – chiese alla guardia.
– La seconda signore.
Zorro sboccò la serratura e spalancò la porta. Ordinò alla guardia a tenere una candela alta sopra la sua
testa.
Un sussulto di pietà uscì dalle labbra dell’uomo mascherato, quando vide don Carlos con la mano che
stringeva una sbarra della grata sulla finestra, le donne accovacciate in panchina, e i miseri relitti che
avevano come compagni in questo luogo miserabile.
– Che il cielo perdoni il governatore, perché io non lo farò! – gridò. Lolita alzò lo sguardo allarmata, ma poi
lanciò un grido felice. Don Carlos si girò alle parole del brigante.
– Zorro! – ansimò.
– Proprio io, don Carlos. Sono venuto con alcuni amici per salvarvi.
– Non posso permetterlo, signore. Io non fuggire da ciò che è in serbo per me. E il tuo salvataggio non
servirebbe a niente. Sono stato accusato, da quello che ho capito, di avervi ospitato. Se fuggirò confermerò le
accuse.
– Non c'è tempo per discutere. – fece Zorro. – Io non sono venuto solo qui, ma ho altri ventisei uomini con
me. E un uomo del tuo sangue, con le vostre gentili signore, non passarano una notte intera in questo buco
miserabile. Caballeros!
Due dei caballeros si gettarono su don Carlos, e lo fecero uscire, mentre altri due afferrato Dona
Catalina per le braccia, con tutta la delicatezza di cui potevano, e così la portarono fuori.
Zorro inchinò davanti alla ragazza amata e gli cavallerescamente tese la mano, che lei strinse volentieri.
– Devi fidarti di me, Lolita.
– Amare è avere fiducia, signore.
– Ascolta! Tutto è stato già disposto. Non farmi domande. Vieni.
Gettò un braccio intorno a lei, e così la condusse fuori della cella, lasciando la porta aperta alle sue spalle.
Certo, se qualcuno di quei infelici avessero vinto la loro paura, e fossero scappati, lui non l’avrebbe fermati.
Più della metà di loro, erano rinchiusi a causa di pregiudizi o di ingiustizia.
Don Carlos stava facendo un gran clamore, gridando che si rifiutava di essere soccorso, e che sarebbe
rimasto per trovarsi faccia a faccia con il governatore al processo, per mostragli il nobile sangue che era in
lui. Dona Catalina, essendo spaventata, si lamentava un po’, ma non fece resistenza.
Raggiunta l’uscita, Zorro ordinò alla guardia di rimanere in un angolo in silenzio per un po’ di tempo
anche dopo che se ne erano andati. Poi uno dei caballeros spalancò la porta esterna.
Vi era del chiasso fuori in quel momento. Due soldati erano venuti con un tipo che era stato sorpreso a
rubare nella taverna, e i caballeros di guardia fuori li avevano fermati. Uno sguardo ai volti mascherati era
bastato ai soldati per capire che qualcosa che non andava.
Un soldato sparò un colpo di pistola, e un caballero risposto al fuoco, senza colpire il bersaglio. Ma la
sparatoria fu sufficiente per attirare l'attenzione dei soldati nella taverna, e alle guardie del presidio.
I militari che riposavano nel dormitorio furono svegliati immediatamente, mentre qualcuno venne inviato
ad accertare la causa del chiasso improvviso a quell'ora della notte. Il sergente Pedro Gonzales e gli altri
uscirono in fretta dalla taverna. Zorro ed i suoi compagni si trovarono di fronte ad una resistenza quando
meno se lo aspettarono.
Il carceriere aveva raccolto tutto il suo coraggio, e liberatosi del bavaglio, gridò attraverso una finestra
della sua camera che i prigionieri erano stati salvati da Zorro. Il suo grido fu inteso dal sergente Gonzales,
che urlò ai suoi uomini di seguirlo, promettendo loro, al solito, una parte del premio di Sua Eccellenza.
Ma i caballeros avevano già messo i tre prigionieri in salvo sui loro cavalli, e si fecero strada attraverso i
militari verso la piazza e da lì uscirono a galoppo dal pueblo.
Per fortuna nessuno fu colpito. Don Carlos Pulido stava ancora urlando che non voleva essere soccorso.
Dona Catalina era svenuta, cosa della quale il cavaliere che l'aveva in sella era grato, visto che poteva così
dare più attenzione al suo cavallo e alle armi.
Zorro cavalcava selvaggiamente con la Lolita tra le sue braccia. Spronò Tornado davanti a tutti gli altri, e
così si aprì la via verso la strada maestra. E quando la raggiunse, fermò la sua cavalcatura, per accertare,
dopo che arrivarono tutti gli altri, se ci fossero state vittime. Al che disse…
– Bene, eseguite i miei ordini, caballeros!
E così gli allegri compari si divisero in tre distaccamenti. Uno corse lungo la strada della Pala con don
Carlos. Un altro prese la via che li avrebbe portati alla fattoria del padre di Diego. Zorro,invece cavalcò senza
che nessuno dei suoi compagni al suo fianco, verso frate Felipe, con la ragazza amata stretta al suo fianco
che gli sussurrava al suo orecchio.
– Sapevo che saresti venuto a liberarmi, signore. Sapevo che eri un vero uomo, e potevi far restare me e i
miei genitori in quel luogo miserabile.
Zorro non le rispose con le parole, perché non era il momento di parlare con i suoi nemici così vicini alle
calcagna, ma il suo si strinse di più su di lei per farle sentire il suo calore.
Avevano raggiunto la cima della prima collina, quando Zorro fermò Tornado per ascoltare i rumori di
eventuali inseguitori, e per guardare le fioche luci tremolanti in lontananza.
Già. Perché c'era una moltitudine di luci nella piazza ora, e in tutte le case, il pueblo era completamente
sveglio. Una gran luce illuminava il presidio e Zorro e Lolita sentirono una tromba dare l’adunata. Ogni
soldato a disposizione sarebbe partito alla loro caccia.
Il suono di cavalli al galoppo venne alle loro orecchie. I soldati sapevano in quale direzione i soccorritori
avevano viaggiato, e la ricerca sarebbe stata rapida e inflessibile. Il governatore stesso offriva ricompense
favolose e incitare i suoi uomini con promesse di promozione.
Zorro rimise Tornado al galoppo lungo la strada polverosa, Lolita si aggrappò a lui. Zorro sentiva il vento
tagliente nella sua faccia, lieto che la ricerca si sarebbe impantanata, visto che si avrebbe dovuta dividere in
tre parti. Poi cavalcò furiosamente per tutta la notte.

Capitolo 32: Caccia spietata

Sulle colline faceva capolino la luna.
Zorro avrebbe desiderato che il cielo fosse coperto di nuvole quella notte, aveva gli inseguitori alle costole
e potevano vederlo contro il cielo chiaro.
I cavalli dei soldati erano freschi, e la maggior parte di loro erano che degli uomini della scorta di Sua
Eccellenza, delle magnifiche bestie molto veloci e in grado di sostenere molte miglia di marcia ad un ritmo
incredibile.
Ora l’uomo mascherato aveva bisogno di tutta l’incredibile velocità di cui era dotato Tornado, se voleva
portare a compimento ciò che si era proposto di fare.
Raggiunta la cresta di un'altra collina voltò lo sguardo indietro prima di iniziare la discesa a valle. Poteva
vedere il primo dei suoi inseguitori.
Altre volte Zorro si era trovato in situazioni difficili da cui poi era riuscito a fuggire. Ma ora c’era Lolita
con lui, e voleva portarla al sicuro, non solo perché era la fanciulla che amava, ma anche perché non era il
tipo d'uomo che avrebbe permesso la cattura di un prigioniero fuggito dalla prigione. Doveva far sfoggio di
tutta la sua abilità e audacia.
Chilometro dopo chilometro galoppò con Lolita aggrappata a lui, senza dire una sola parola. Zorro era
consapevole che Tornado aveva distaccato notevolmente i suoi inseguitori, ma non abbastanza per ciò che si
era proposto.
Perciò spronò ancora di più Tornado, il quale letteralmente volò lungo la polverosa strada principale,
passando fattorie dove cani allarmati abbaiavano improvvisi, passando capanne dove il clamore del furioso
galoppo sulla strada faceva alzar dai loro giacigli, uomini e donne dal corpo bronzeo per farli correre alle
loro porte.
Incrociò, disperdendole, anche un gregge di pecore che i pastori portavno al mercato di Reina de Los
Angeles e i pastori imprecarono contro di lui. Ma il gregge fu disperso di nuovo dai soldati che correvano al
suo inseguimento.
E galoppò ancora come un folle, fino a che non scorse, molto più avanti, gli edifici della missione di San
Gabriel scintillare al chiaro di luna. Arrivò a un bivio e prese il sentiero che correva a destra, verso l'hacienda
di frate Felipe.
Zorro sapeva leggere nell’anima degli uomini, e aveva fiducia del suo giudizio. Sapeva bene che doveva
lasciare Lolita dove c'erano altre donne e dove c'era un francescano che la proteggesse. A proteggere il buon
nome della sua fanciulla avrebbe pensato lui. Per questo aveva piena fiducia in frate Felipe.
Ora Tornado galoppava su terreno più morbido, e non procedeva più a buona velocità. Zorro non poteva
sperare che i soldati avessero proseguito per San Gabriele arrivati al bivio, non con quel chiaro di luna. Era
già da un miglio all'interno della hacienda di frate Felipe ora, e, nel tentativo di guadagnar più tempo, incitò
Tornado ad una maggiore velocità.
– Avremo pochissimo tempo, Lolita! – gli sussurrò al suo orecchio. – E tutto dipenderà dal fatto che sono
stato in grado di giudicare onestamente un uomo. Ti chiedo di nuovo di fidarmi di me.
– Lo sai che mi fido di te, Zorro.
– Allora dovrai dar fiducia anche all'uomo a cui ti affiderò, Lolita, e ascolta bene i suoi consigli su tutte le
questioni concernenti questa avventura. Quell'uomo è un frate.
– Allora tutto andrà bene, Zorro. – rispose lei, aggrappandosi ancora di più a lui.
– Se avremo la benedizione dei santi, ci rivedremo presto, Lolita. Conterò le ore e ognuna di loro mi
sembrerà un secolo. Forse un giorno saremo felici insieme.
– Lo volesse il Cielo! – sospirò la ragazza.
– Dove c'è amore, ci può essere speranza.
– Allora la mia speranza è grande, Zorro.
– Anche la mia.
Portò Tornado direttamente sul viale d’ingresso della casa di frate Felipe. Era sua intenzione fermarsi solo il
tempo necessario per lasciare la ragazza, sperando che frate Felipe garantirebbe la sua protezione, e poi
cavalcar via, facendo un fracasso terribile per attirarsi dietro i militari. Voleva far pensar loro che passava
sulle terre di frate Felipe solo per prendere un a scorciatoia.
Arrivato sui gradini d’ingresso della casa, Zorro trattene Tornado, saltò a terra, e sollevò Lolita dalla sella,
e con lei sulle sue braccia corse verso la porta. Batté con forza con il pugno, pregando che frate Felipe avesse
il sonno leggero. In lontananza già giungeva al suo udito Il rumore degli zoccoli dei cavalli suoi inseguitori.
Per Zorro sembrò passasse un intero secolo prima che il vecchio padre spalancasse la porta, con una candela
in una mano. L’uomo mascherato entrò rapidamente e chiuse la porta dietro di lui, così che la luce non
filtrasse all’esterno. Frate Felipe fece un passo indietro per lo stupore quando vide Zorro con una fanciulla
abbracciata al suo collo.
– Padre, io sono Zorro! – disse l’uomo mascherato rapidamente e con toni bassi. – Forse ha sentito dire che
avete un piccolo debito nei miei confronti?
– Io ho un enorme debito verso tutti coloro che aiutano i deboli e gli oppressi e che punisce chi mi ha
maltrattato, cavaliere, anche se è contro i miei principi l’uso della violenza – rispose sorridendo frate Felipe.
– Sapevo di non essermi sbagliato nel leggere nella vostra anima! Padre, questa fanciulla che vi reco è
Lolita, l'unica figlia di don Carlos Pulido.
– Lei!
– Sì! Don Carlos è un buon amico dei frati, come sapete, e ha subito l'oppressione e la persecuzione come
molti. Oggi il governatore è arrivato a Reina de Los Angeles e ha fatto arrestare don Carlos per gettarlo poi nel
Carcel con un’accussa più che infondata. E con lui vi erano anche sua moglie e sua figlia, tutti e tre insieme
ad ubriaconi e donne dissolute. Poche ore fa con l'aiuto di alcuni buoni amici, li ho salvati.
– Che i santi ti benedicano, figliolo, per quest’azione! – disse con gioia frate Felipe.
– Ma abbiamo i militari alle costole, padre. Non è certo decoroso, che la signorina corra ulteriori rischi. Vi
chiedo di nasconderla e di darle protezione, sempre che il timore di tal cosa non possa causarvi problemi
gravi.
– Ragazzo, non dire più simili sciocchezze! – tuonò frate Felipe.
– Padre! Se i soldati la riprendessero, sarebbe rinchiusa di nuovo in prigione, e probabilmente orribilmente
maltrattata. Vi prego abbiate cura di lei.
– E tu che farai, figliolo?
– Mi porterò dietro i militari. Vi farò sapere poi mie notizie, va bene padre?
– Certo! – rispose solennemente frate Felipe. – E fatti stringere la mano, figliolo mio.
La stretta di mano fu breve, ma piena di calore. Zorro sciolse Lolita dal suo abbraccio, che fino ad allora era
rimasta legata al suo collo come a volergli impedire di andar via, poi si girò verso la porta.
– Spegnete la vostra candela, padre! Non devono vedere nessuna luce quando apro la porta.
In un attimo frate Felipe spense la candela, e la stanza piombò nelle tenebre. Lolita sentì sulle sue labbra il
bacio di Zorro. Il suo cuore piombò nello sconforto quando la porta si aprì, ma subito sentì il braccio forte
di frate Felipe darle protezione.
– Dai tregua al tuo cuore, figliola. Questo ragazzo, ha come molte vite come un gatto, e qualcosa mi dice che
non è nato per essere ucciso dai soldati di Sua Eccellenza.
Zorro rise con leggerezza a queste parole, poi chiuse dolcemente dietro di sé la porta.
L’ombra degli grandi alberi di eucalipto avvolgono la parte anteriore della casa nell’ombra, e sotto l’ombra
aspettava Tornado. Zorrò notò, mentre correva verso il cavallo, che i soldati erano al galoppo lungo il
vialetto, che erano molto più vicino di quanto si fosse aspettato.
Mentre correva verso Tornado, stanco com’era, Zorro inciampò su una pietra e cadde a terra spaventando il
suo superbo destriero. Tornado fece una mezza dozzina di passi in avanti e finì sotto la luce della luna piena.
Il primo degli inseguitori urlò quando vide Tornado, e si precipitò verso di lui. Zorro si tirò su, scattando
come una molla, prese le redini e salì in sella.
Ma ormai erano su di lui, e lo circondarono, le loro lame lampeggiavano al chiaro di luna. Zorro sentì la
voce rauca del sergente Gonzales dare ordini ai suoi uomini.
– Ci sei finalmente! Avanti soldati! Sua Eccellenza stessa punirà la canaglia per i suoi crimini. Sotto, soldati!
Per tutti i santi!
Zorro parò un colpo con difficoltà e si trovò disarcionato. Ormai a piedi lottò con i soldati per tornare
nell'ombra. E si ritrovò con la schiena sul tronco di un albero.
Tre scesero di sella per correre contro di lui. Zorro cercò di passare da una pianta all'altra, per cercare di
raggiungere Tornado, ma senza riuscirci. La stanchezza pesava ma non era ancora domato. Vide infatti un
cavallo privo del suo soldato, e gli montò in sella e galoppò giù per il pendio verso il recinto e i fienili.
– Dietro a quel ladro! – urlò il sergente Gonzales. – Oppure Sua Eccellenza ci farà scorticare vivi se questo
brigante ci sfugge!
Gonzales era troppo desideroso di vincere la promozione e la ricompensa, e in fondo la sentiva già in tasca
sua. Ma Zorro stava per giocargli un bel trucco. Dopo essere finito sotto l'ombra proiettata da un grande
fienile, scivolò di sella, e allo stesso tempo fece al cavallo, un taglio con la sua lama che non aveva ancora
rimesso nel fodero. Il povero animale fece un sorprendente balzo in avanti, sbuffando per il dolore e lo
spavento, e i soldati si portarono subito al suo inseguimento.
Zorro aspettò fino a quando furono tutti passati e poi corse rapidamente di nuovo su per la collina. Ma
vide che alcuni dei soldati era rimasto a guardia della casa, evidentemente con l'intenzione di cercarlo lì in
un secondo momento, e così scoprì che non poteva raggiungere il suo cavallo.
E ancora una volta risuonò quel particolare urlo, metà grido e metà gemito, con il quale Zorro aveva
spaventato tutti alla hacienda di don Carlos Pulido. Tornado alzò la testa, nitrì una volta in risposta alla sua
chiamata, e passò al galoppo verso di lui.
Zorro tornò in sella in un istante, buttandosi attraverso un campo direttamente di fronte a lui. Tornado
balzò oltre un recinto di pietra, con un salto perfetto. E poi Zorro si ritrovò di nuovo il fiato dei soldati sul
collo.
Avevano scoperto il trucco che aveva usato. Si erano quindi divisi per coprire il muro di pietra da entrambi i
lati. Sentiva il sergente Pedro Gonzáles gridare a squarciagola ai suoi uomini di catturarlo in nome del
governatore.
Sperava di aver distolto tutti i soldati dalla casa di frate Felipe, ma non poteva esserne sicuro, e la cosa era,
ora più che mai, di fondamentale importanza.
Esorto crudelmente Tornado a correre attraverso una terra arata, il cui percorso toglieva forze al suo
povero cavallo. Cercava una pista dura, dalla strada larga.
E finalmente la trovò. Ora girò la testa di Tornado verso Reina de Los Angeles, perché aveva ancora del
lavoro da fare lì. Tornado non aveva più Lolita in sella insieme a Zorro, e sentiva piacevolmente la
differenza.
Zorro si guardò indietro e esultò nel vedere che era ormai sfuggito ai soldati.
Ma vi era ancora da superare una collina per essere al sicuro e doveva stare in guardia, naturalmente,
perché ci potrebbero essere altri soldati di fronte a lui. Sua Eccellenza potrebbe aver inviato altri rinforzi al
sergente Gonzales, o aver messo di guardia degli uomini sulle cime delle colline.
Guardò il cielo e vide che la luna era sul punto di scomparire dietro un banco di nubi. Sapeva che avrebbe
dovuto utilizzare il breve periodo di oscurità, per avere buona sicurezza.
Si buttò giù nella piccola valle e si guardò indietro per scoprire che i suoi inseguitori erano ancora solo
sulla cresta della collina. Poi venne il buio, e fu al momento giusto. Zorro aveva un vantaggio di mezzo
miglio sui soldati che lo inseguivano ora, ma non era sua intenzione di permettere loro di inseguirlo fino al
pueblo.
Aveva degli amici in quella località. Ai bordi della carreggiata vi era una capanna, dove viveva un nativo
che Zorro aveva salvato da un pestaggio. Smontò rapidamente davanti alla capanna e bussò furiosamente
contro la porta. Il nativo spaventato aprì e si trovò con sollievo di fronte Zorro.
– Sono inseguito, amico mio!
Era tutto ciò che doveva sapere l’indio. Spalancò la sua porta e vi fece entrare l’uomo mascherato con
Tornado che quasi riempì la piccola capanna, chiudendo poi la porta frettolosamente.
Poi i due uomini rimasero in ascolto, Zorro con pistola in una mano e la lama nuda nell'altra.

Capitolo 33: col fiato in gola

Il fatto che l’inseguimento di Zorro e dei Caballeros fosse stato così sollecito era dovuto alla ostinazione del
sergente Pedro Gonzales.
Gonzales aveva sentito gli spari e si era precipitato fuori dalla taverna con altri soldati alle calcagna, felice
di avere una scusa per scappare senza pagare il vino che aveva ordinato. Aveva sentito il grido del
carceriere, e subito aveva capito la situazione.
– Zorro sta facendo fuggire i prigionieri! – strillò. – A cavallo, soldati, all’inseguimento! Ricordatevi della
ricompensa.
Tutti i soldati sapevano tutto sulla ricompensa, in particolare i membri della guardia del corpo del
governatore, che avevano sentito sua eccellenza promettere il grado di capitano a quel soldato che lo avrebbe
catturato e portato la sua carcassa.
Si erano precipitarono ai loro cavalli, buttandosi in sella, e si precipitarono verso il Carcel con il sergente
Gonzales alla loro testa.
E lì videro il gruppo dei caballeros mascherati attraversare al galoppo tutta la piazza, tanto che il sergente
Gonzales si stropicciò gli occhi con il dorso di una mano giurando a se stesso di aver bevuto troppo. Quante
volte aveva mentito su un gruppo di uomini alle spalle di Zorro, ed ora vedeva materializzare davanti a sé la
sua bugia.
Quando i caballeros si divisero in tre distaccamenti, il sergente Gonzales e suoi soldati erano già alle loro
costole così poterono osservare la manovra. Allora Gonzales dividesse rapidamente in tre gruppi i suoi soldati,
e inviò una truppa dietro ogni banda.
Vide il leader dei caballeros dirigersi verso San Gabriele, lo riconobbe proprio grazie a Tornado, un cavallo
simile non poteva certo confondersi tra gli altri, e con il cuore esultante, ordinò di catturare o di uccidere
quel maledetto brigante piuttosto che di riprendere i prigionieri liberati. Il sergente Pedro Gonzales non
aveva certo dimenticato il brutto tiro che Zorro gli aveva fatto nella taverna e voleva vendetta.
Aveva anche visto come correva sempre Tornado, e si chiedeva perché non riuscisse ad aumentare la
distanza tra sé e gli inseguitori. E finalmente anche nel cervello addormentato del sergente Gonzales si fece
strada il motivo. Zorro aveva con sé la signorina Lolita Pulido.
Gonzales era in testa, e ogni tanto girava la testa per urlare ordini e incoraggiamenti ai suoi soldati. Le
miglia volava sotto di loro, e Gonzales era felice perché riusciva a mantenere Zorro in vista.
– Ma certo! Da andando da padre Felipe! – disse fra sé Gonzales. – Sapevo che quel vecchio frate era in
combutta con il bandito! In qualche modo mi ha ingannato quando cercai Zorro alla sua hacienda. Ah! Per
tutti i santi, non mi ingannerà di nuovo!
I loro cavalli avevano cominciando a mostrare già una certa stanchezza, ma non li risparmiarono.
Quando Gonzales vide Zorro imboccare la strada privata che portava alla casa di frate Felipe, ridacchiò
basso in gola perché aveva visto giusto.
Ora il brigante era nelle sue mani! Se Zorro continuava a galoppare, avrebbe potuto essere visto e seguito
sotto il chiaro di luna, se invece si fermava, non poteva sperare di affrontare con successo una decina di
soldati con Gonzales alla loro testa.
Corsero fino alla parte anteriore della casa e ha iniziato a circondarla. Avevano visto Tornado. E poi hanno
visto lo stesso Zorro, e Gonzales maledì il fatto che una mezza dozzina di soldati fossero tra lui e la sua
preda, minacciando di terminare il lavoro prima che Gonzales avrebbe potrebbe raggiungere la scena.
Cercò di forzare il suo cavallo per partecipare alla lotta mortale che Zorro conduceva, vide la sua fuga a
cavallo e i suoi soldati che lo inseguivano. Gonzales, ancora troppo lontano, ubbidì al suo dovere, ed ordinò
ad alcuni dei suoi soldati di circondare la casa in modo che nessuno potesse andarsene.
Poi vide Zorro saltare la recinzione in pietra, e iniziò a inseguirlo con i suoi soldati dietro, tranne
naturalmente le guardie attorno alla casa. Ma il sergente Gonzales non andò oltre la cresta della prima
collina. Si accorse subito che non poteva più recuperare Tornado. Forse il sergente poteva guadagnare un po’
di gloria se fosse tornato alla casa di frate Felipe e rianquantare la signorina.
La casa era ancora sorvegliata quando smontato da cavallo, e i suoi uomini gli riferirono che nessuno aveva
tentato di lasciare l'edificio. Chiamò due dei suoi uomini al suo fianco e bussò alla porta. Quasi subito frate
Felipe.
– Sei caduto dal letto, frate? – chiese Gonzales.
– Perché, è forse una notte in cui gli uomini onesti possano riposare? – chiese frate Felipe chiese a sua volta.
– Parrebbe di no, frate, visto che siamo qui. Non abbiamo fatto abbastanza rumore da svegliarti?
– Ho sentito rumori di lotta.
– E devi aver sentito di più, frate. Vedi di rispondere bene alle mie domande, altrimenti sentirai la puntura
di una frusta di nuovo. Non negare che Zorro è stato qui?
– Non lo farò.
– Muy bien! Ora. Ammetti, allora, che sei in combutta con quel brigante, anzi che lo hai finora protetto? Lo
ammetti frate?
– Ma non ammetto niente del genere. – rispose con forza frate Felipe. – Non ho mai visto questo Signor
Zorro, fino a pochissimi minuti fa.
– Dillo a quei stupidi indigeni, ma non cercare di far fesso a un poliziotto saggio, frate. Che cosa ti ha
chiesto Zorro?
– Bà! Gli eri così vicino a quell'uomo, sergente, che non aveva certo il tempo di chiedermi chissà che.
– Eppure avrai scambiato qualche parola con lui?
– Ho aperto la porta al suo bussare, sergente, come ho fatto con voi a vostra volta.
– Che ti ha detto?
– Che i soldati lo stavano inseguendo.
– E ti chiese che nasconderlo, in modo da poter sfuggire alla cattura?
– No. Non lo fece.
– Cercava un cavallo fresco, vero?
– No sergente. Se fosse un ladro come lo si dipinge, senza dubbio avrebbe semplicemente preso un cavallo
senza chiederlo, senza chiederlo.
– Ah! Basta! Che voleva chiedervi, allora? Sarebbe bene per voi rispondere, frate.
– Voleva un favore da me?
– Ah! Per tutti i santi.
– Non nominare troppo volte i santi , signor mio, non con la tua bocca da millantatore e ubriacone!
– Vuoi ricevere un’altra dose di frustate, frate? Sono qui per eseguire gli ordini di Sua Eccellenza. Non mi
dare ulteriore ritardo! Che cosa ti ha chiesto quel dannato brigante?
– Nulla che io sia libero di ripetervi, signore!
Il sergente Gonzales lo spinse da parte ed entrò nella sala, con i suoi due soldati alle calcagna.
– Luce! Voglio della luce! – Gonzales ordinò ai suoi uomini. – Prendete delle candele, e frugate questa casa
da cima a fondo.
– Cosa cercate nella mia povera casa? Che cosa vi aspettate di trovare?
– Mi aspetto di trovare la bella mercanzia che Zorro ti ha lasciato, frate.
– E cosa immagini che sia?
– Ah! Un bel pacchetto di abbigliamento, suppongo! Un fascio di bottino! Una bottiglia di vino! Una sella
da riparare! Qualcosa ti abbia lasciato quando il tuo compare ti ha lasciato, frate? Vedi, mi ha colpito una
cosa di Zorro. Il suo cavallo aveva un carico doppio, quando arrivò qui. Ma non aveva nessuno quando se ne
andò.
– E allora cosa volete trovare?
– L'altra metà del carico del cavallo. – rispose Gonzales. – Non riuscendo a trovarlo, potremo dare una
torsione o due del tuo braccio per vedere se vuoi parlare.
– Osereste? Scendereste a un tale livello di bassezza? Torturereste un uomo?
– Roba da polenta e latte di capra! – disse il sergente Gonzales. – Mi hai ingannato già una volta, ma non
mi ingannerai di nuovo. Frugate in casa, soldati, e cercate bene. Rimarrò in questa stanza e continuerò a
discutere con questo divertente frate. Cercherò di capire ciò che provava mentre veniva frustato per truffa.
– Vigliacco e bruto! – tuonò frate Felipe. – Ci sarà un giorno in cui cesserà la persecuzione.
– Roba da polenta e latte di capra!
– Quando finiranno tutti questi oltraggi e quando gli uomini onesti non dovranno pagare più tutte queste
tasse ingiuste! Quand’è che coloro che hanno fondato un ricco impero con i frutti del loro lavoro, non
saranno più derubati da politici disonesti e dai loro lacchè!
– Roba da polenta e latte di capra, frate!
– Quando ci saranno mille e più Zorro, che corrano su e giù per El Camino Real a punire chi fa del male?! A
volte vorrei non essere un frate, in modo da poter riparare io stesso alle ingiustizie!
– Perché no? Così potremo allungare una corda con il vostro peso. – gli disse il sergente Gonzales. – Se
aiutassi di più i soldati Sua Eccellenza, forse Sua Eccellenza ti tratterebbe con maggiore considerazione.
– Io non aiuterò a deporre le uova del diavolo! – rispose padre Felipe.
– Ah! Ora sta crescendo la tua rabbia e questo è contro i vostri principi. Non è forse dovere di chi indossa
l’abito da frate ricevere ciò che incontra sulla sua strada e rendere grazie per questo, non importa quanto si
sia pesante per lui? Rispondimi, su frate.
– Hai più conoscenza di come si guida un cavallo che dei principi e dei doveri di un francescano.
– Io monto un cavallo saggio, un nobile animale. Arriva quando lo chiamo e galoppa quando glielo
comando. Non lo deridono fino a che non lo batto. Ah! Una burla eccellente, credetemi.
– Imbecille!
– Roba da polenta e latte di capra!

Capitolo 34: Il sangue dei Pulido

I due soldati rientrarono nella stanza. Avevano perquisito per bene, frugando in ogni angolo, e non
avevano trovato traccia di nessun’altra persona se non degli indigeni che aiutavano Padre Felipe. Questi
erano terrorizzati dai soldati, ma dissero di non aver visto nessuno entrare nella Hacienda.
– Ah! Sai nascondere bene le cose, devo ammetterlo! – disse Gonzales. – Frate, che cosa c’è in un
quell’angolo della stanza?
– Balle di pelli. – rispose frate Felipe.
– Il commerciante di San Gabriele deve avere proprio ragione quando vi ha accusato che non le curate
adeguatamente.
– Io le pelli le tengo bene.
– Allora perché si muovono? – chiese il sergente Gonzales. – Tre volte le ho viste muoversi. Soldati, cercare
lì.
Frate Felipe balzò in piedi.
– Basta con queste sciocchezze! – gridò. – Avete cercato in casa e non avete trovato nulla. Cercate pure nei
fienili e poi andatevene! Almeno lasciatemi essere padrone in casa mia. Hai disturbato il mio riposo già
abbastanza.
– Dammi la tua solenne parola, frate, che non c'è niente e nessuno dietro quelle balle di pelli! – Frate Felipe
esitò e questo fece sorridere il sergente Gonzales come un gatto davanti a un topo in trappola. – Non sei
ancora pronto a mentire, eh? – chiese il sergente. – Infatti stai esitando, cara la mia tonaca da francescano.
Soldati, ricercate tra le balle.
I due uomini si avviarono verso l'angolo. Ma non avevano coperto metà della distanza quando la
signorina Lolita Pulido si alzò in piedi da dietro le balle di pelli e si mise di fronte a loro.
– Ah! finalmente! piagnucolò con gioia Gonzales. – Eccolo il pacchettino che Zorro ha lasciato nella
tenuta del frate. Ed è un gran bel pacchettino! Ma ora tornerà al suo posto nel Carcel, dopo questa inutile
fuga!
Ma vi era del sangue caldo nelle vene della signorina Pulido, del quale Gonzales con sua gran sorpresa non
aveva tenuto conto. Difatti la ragazza si rizzò in piedi sopra il mucchio di pelli, in modo che la luce delle
candele la colpisce in pieno.
– Un momento, signori.
La sua mano dalla candita pelle venne fuori da dietro la schiena, impugnando un lungo coltello acuto in
genere utilizzato per scuoiare le pecore. Mise la punta del coltello sul petto, e li sfidò con il suo coraggio.
– La signorina Lolita Pulido non rivedrà il carcere, né ora, né in qualsiasi altro momento, signori. – ha
detto. – Piuttosto si tufferà questo coltello nel cuore, per morire come dovrebbe una donna di sangue
nobile. Se sua Eccellenza vorrà un prigioniero morto, lo avrà.
Il sergente Gonzales emise un'esclamazione di fastidio. Non aveva alcun dubbio sul fatto che la signorina
avrebbe fatto ciò che minacciava, se i suoi uomini avessero fatto un qualsiasi tentativo di afferrarla. La
ragazza non era certo un prigioniero comune e il governatore avrebbe potuto pure infuriarsi se avesse dato
quell’ordine. Dopo tutto, la signorina Pulido era pur sempre la figlia di un nobile, e il suo suicidio avrebbe
dato sgradevoli problemi per sua Eccellenza. Potrebbe rivelarsi la scintilla per la polveriera.
– Signorina, la invito a riflettere. Se mette così a rischio la sua vita rischia la dannazione eterna – fece
Gonzales. – Chiedete a questo frate, se non è così. Siete solo agli arresti, non colpevole e condannata. Se siete
innocente, senza dubbio presto sarete messa in libertà.
– Non c’è tempo per le menzogne, signore. – rispose Lolita. – Mi rendo conto delle circostanze fin troppo
bene! ho detto che non tornerò in carcere e così sarà. Un passo verso di me, e affonderò il coltello nel petto.
– Figliola…! – provò frate Felipe a parlarle.
– È inutile che cerchiate di fermarmi, mio buon padre. – lo interruppe lei. – Il mio orgoglio non mi ha
lasciato, grazie ai santi. E sua Eccellenza avrà solo il mio cadavere, giuro!
– Ecco un bel pasticcio. – esclamò il sergente Gonzales. – Credo che non possiamo far altro che ritirarci e
lasciare la signorina alla sua libertà.
– Ah, no, signore! – gridò in fretta. – Sei intelligente, ma non abbastanza furbo. Credi che non abbia capito
che se tu te ne andresti, non lasceresti degli uomini di guardia intorno alla casa, in attesa di un’occasione
favorevole per potermi catturare?
Gonzales ringhiò bassa in gola, perché questa era la sua intenzione, e la ragazza, più furba di lui, l’aveva
capito.
– Ed ora camminate all'indietro, schiena contro il muro, signori. Fatelo subito, altrimenti mi tuffo questo
coltello nel mio seno.
Non potevano fare altro che obbedire. I soldati guardarono al sergente per avere istruzioni, e il sergente
aveva paura che si sarebbe suicidata davvero, sapendo che poi l'ira del governatore sarebbe piombata sulla
sua testa.
Forse, dopo tutto, sarebbe meglio lasciar la ragazza in casa. Poteva catturarla in seguito, perché
sicuramente una ragazza non poteva sfuggire ai suoi soldati.
Lei li osservava da vicino mentre attraversava la stanza fino alla porta. Il coltello era ancora tenuta sul
seno.
– Padre, venga con me, – disse Lolita – Se rimanete sarete punito.
– Io deve rimanere, figliola. Non posso scappare. che i santi ti proteggano. Vai!
La ragazza affrontò ancora Gonzales e i suoi soldati.
– Esco da questa porta – fece Lolita. – Voi rimanete in questa stanza. Ci sono dei soldati al di fuori, certo, e
cercheranno di fermarmi. Io dirò loro che ho il permesso di andarsene. Se vi chiamano e vi chiedono
istruzioni, tu dovrai dire che ho il tuo permesso.
– E se non lo faccio?
– Lo sai! Affonderò il coltello!
Lolita aprì la porta, girò la testa per un istante e guardò fuori.
– Confido che il vostro cavallo sia eccellente, signore, perché intendo usarlo. Disse al sergente.
Poi si precipitò improvvisamente attraverso la porta, e la sbatté chiusa dietro di lei.
– Dietro di lei! – piagnucolò Gonzales. – Gli ho guardato negli occhi! Non userà il coltello, ha troppa
paura!
Gonzales si lanciò attraverso la stanza, i due soldati con lui. Ma frate Felipe era stato fermo troppo a lungo.
Entrò in azione ora, senza nemmeno riflettere. Buttò fuori una gamba, e fece un bel sgambetto al sergente
Gonzales. I due soldati si schiantarono contro di lui, e tutti e tre andarono a terra in un comico groviglio.
Il buon padre con questa semplice mossa aveva fatto guadagnato un certo tempo alla ragazza, ed era stato
sufficiente. Lolita si era precipitata sul cavallo ed era saltata in sella. Avrebbe potuto cavalcare come un
nativo. I suoi piedini non raggiungevano nemmeno la metà delle staffe del sergente, ma non importava.
Ruotò la testa del cavallo, lo prese a calci lungo i fianchi mentre un soldato si precipitava dietro l'angolo
della casa. Una palla di pistola passò fischiando sopra la sua testa. Si chinò bassa sul collo del cavallo e lo
spronò alla fuga.
Ora, esclamando maledizioni, il sergente Gonzales spuntò sulla veranda, gridando ai suoi uomini di
arrivare a cavallo e seguirla. La luna era finita di nuovo dietro un banco di nubi. Non potevano dire quale
direzione stava prendendo la signorina se non, forse, ascoltando i suoni degli zoccoli del cavallo. Ma ormai
avevano perso troppo tempo.

Capitolo 35: Un nuovo scontro di lame.

Zorro era fermo come una statua nella capanna del nativo, mentre con una mano teneva il muso del
cavallo. Il nativo era al suo fianco.
Dalla strada sopraggiunse il furioso rumore degli zoccoli dei cavalli. Poi arrivò alle loro orecchie il rumore
dell'inseguimento spezzato dalle urla degli uomini che maledivano, gli uni agli altri, tutto quel buio, mentre
si precipitarono giù per la valle.
Zorro aprì la porta e guardò fuori, ascoltò per un attimo, e poi portò fuori il suo cavallo. Volle offrire al
nativo una moneta.
– Non da voi, signore. – disse il nativo.
– No! Prendilo. Tu ne hai bisogno, amico mio.
Si voltò in sella e girò Tornado verso il ripido pendio della collina dietro la capanna. Il cavallo fece del
rumore salendo fino alla vetta. Zorro discese poi nella depressione dal lato opposto, ed arrivò ad uno stretto
sentiero, e lungo questo guidò al galoppo lento, fermando la sua cavalcatura di tanto in tanto per ascoltare i
suoni di eventuali cavalieri.
Cavalcò verso Reina de Los Angeles, ma lui sembrava non aver fretta di arrivare al pueblo. Zorro aveva
un'altra idea in testa, e doveva essere realizzata nel momento adatto e in determinate condizioni.
Erano passate due ore quando arrivò sulla cresta della collina sopra la città: rimase seduto tranquillamente
in sella per qualche tempo, a rimirare la scena. La luce della luna era incostante, ma di tanto in tanto poteva
vedere la piazza.
Non vide soldati, che dovevano essere ancora alla sua caccia, ho a quella di don Carlos e di Dona Catalina.
Vi erano le luci nella taverna, nel presidio e nella casa dove sua Eccellenza era ospite.
Zorro aspettò fino a quando fu buio completo e poi spinse il cavallo in avanti lentamente, ma fuori della
strada principale. Girò il pueblo, e si avvicinò piano al presidio dal retro.
Scese da Tornado e tenendolo per le briglie, si fece avanti lentamente, fermandosi spesso ad ascoltare. Non
poteva permettersi nessun errore per realizzare la sua idea.
Poi fermò il suo amico a quattro zampe dietro il presidio dove la parete del palazzo getterebbe un'ombra se
la luna sarebbe venuta fuori dalle nubi, e andò avanti con cautela, seguendo il muro come aveva fatto altre
volte in quella notte.
Quando arrivò alla finestra dell'ufficio, sbirciò dentro. Il capitano Ramon era lì da solo, guardando alcune
segnalazioni sparse sul tavolo davanti a lui, evidentemente in attesa del ritorno dei suoi uomini.
Zorro strisciò verso l'angolo del palazzo e appurò così l'assenza della guardia. Aveva intuito e sperato che
il comandante aveva mandato tutti gli uomini a disposizione in caccia, ma sapeva bene che, per attuare la
sua idea, avrebbe dovuto agire in fretta, prima del ritorno di qualcuno dei soldati.
Scivolò attraverso la porta e attraversò il grande dormitorio, e così giunse alla porta dell'ufficio. La pistola
era nella sua mano, e se qualcuno avrebbe potuto vedere i suoi occhi dietro la maschera, avrebbe visto la sua
determinazione.
Come nell’altra sera, il capitano Ramon si girò sulla sedia quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle, e
ancora una volta vide gli occhi di Zorro scintillante attraverso la sua maschera, e al di sotto di essi la canna
minacciosa della pistola spianata su di lui.
– Non fare una mossa e non emettete nessun suono. Ricorda! Ho troppo voglia di riempirti con del
piombo caldo. – gli disse Zorro. – Tu sei solo, i tuoi sciocchi soldati stanno inseguendo un fantasma.
– Per tutti i santi! – fece il capitano Ramon.
– Ho detto che non devi emettere nemmeno un sussurro, capitano, se speri di vivere ancora. Volta le
spalle!
– Vuoi commettere un omicidio?
– Mi chiamate brigante, bandito e altro ancora, ma non sono un vile assassino. E non lo ripeterò più: non
emettete più alcun suono. Mettete le mani dietro la schiena, sto per legare i polsi.
Il capitano Ramon ubbidì. Zorro lo fece venire avanti rapidamente, e gli legò i polsi con la sua cintura, che
gli strappò dalla sua vita. Poi girò Ramon per restare faccia a faccia.
– Dove è sua Eccellenza?
– A casa di Don Giovanni Estados.
– Vedremo se stasera si preferirà dire la verità. E per far questo chiameremo il governatore.
– Per chiamare…
– A sua Eccellenza, ho detto. E ora silenzio. Vieni con me.
Zorro afferrò il capitano Ramon per un braccio e si affrettò ad uscire dall'ufficio con lui, attraversò il
dormitorio, e furono fuori dalla porta. Poi arrivarono dove Tornado era in attesa.
– Monta! – ordinò il giustiziere mascherato. – Io mi siederò dietro di te, con il muso di questa pistola alla
base del tuo cervello. Non commettere errori, comandante, a meno che tu non sia stanco di vivere. Sono
troppo risoluto, questa notte. – Ramon fece come gli era stato ordinato. Montò e con lui Zorro con le redini in
una mano e la pistola nell'altra.
Ramon sentiva bene il tocco del freddo acciaio dietro la sua testa.
Zorro guidò il suo cavallo con le ginocchia invece che con le redini. Esortò Tornado ad andare giù per il
pendio e girò nella città ancora una volta, tenendosi lontano dai sentieri battuti, per arrivare infine nel retro
della casa dove la sua eccellenza era ospite.
Ecco la parte difficile della sua idea. Voleva portare il capitano Ramon davanti al governatore, voleva
parlare con entrambi, e farlo senza avere nessun altro interferire. Costrinse il capitano a scendere, e lo
condusse alla parete posteriore della casa, dov’era un patio ed entrarono.
Zorro sembrava conoscere bene l'interno della casa. Entrò nella stanza di un servo, sempre con il capitano
Ramon, e passarono nel corridoio senza risvegliare il nativo. Andarono lungo il corridoio lentamente. Da
una stanza veniva un sonoro russare. Da sotto un’altra porta filtrava della luce in trasparenza.
Zorro si fermò davanti a quella porta e mise un occhio a una crepa al lato di essa. Se il capitano Ramon
nutriva pensieri di dar allarme, o di offrire battaglia, il tocco della pistola alla nuca glielo impediva.
E non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una via d'uscita da questa situazione, perché improvvisamente
Zorro spalancò la porta, lanciato il capitano Ramon attraverso essa, per entrare poi lui stesso, e chiudersi poi
la porta dietro. Nella stanza vi erano Sua Eccellenza e i suoi uomini.
– Fate silenzio, e non muovetevi. – fece Zorro. – Un minimo allarme, e pianto una palla di pistola nella
testa del governatore. capito? Molto bene, signori.
– Zorro! – il governatore rimase a bocca aperta.
– Io stesso, eccellenza. Vi chiedo di non aver paura, perché io non intendo farvi nulla di male. Capitano
Ramon, vi prego, sedetevi al tavolo del governatore. Sono lieto di trovare il nostro capo di stato sveglio e in
attesa di notizie da coloro che mi stanno inseguendo. A cervello sveglio potrà comprendere meglio ciò che
sarà detto.
– Cosa significa questo oltraggio? – esclamò il governatore.
– Capitano Ramon, tu sei un ufficiale! Come avete permesso che avvenisse tutto ciò?
– Non incolpare il comandante. – fece Zorro. – Lui sa che è morto se fa un solo gesto. C'è una piccola
questione da chiarire, e dato che non posso venire da voi in pieno giorno come qualsiasi altro uomo, sono
costretto ad adottare questo metodo. Mettetevi comodi, signori. Questo può richiedere un po’ di tempo.
Sua Eccellenza si agitava sulla sedia.
– Eccellenza oggi avete insultato una famiglia di buon sangue. Avete dimenticato la loro nobiltà al punto
tale che avete ordinato di gettarli nella più miserabile cella del Carcel, dimenticando che erano un hidalgo e
la sua dolce moglie e la figlia innocente. Come giustificate un simile oltraggio?
– Sono dei traditori! – disse sua Eccellenza.
– Cosa hanno fatto per esser accusati di tradimento?
– Tu sei un fuorilegge con una taglia sul tuo capo. Essi si sono resi colpevoli di ospitarvi, di darvi aiuto.
– Dove avete ottenuto queste informazioni?
– Il capitano Ramon mi ha dato prove in abbondanza.
– Ah! Il comandante, eh? Vediamo! Il capitano Ramon è presente, e possiamo arrivare alla verità. Posso
chiedere la natura della vostra prova?
– Eravate alla hacienda Pulido. – disse il governatore.
– Lo ammetto.
– Un nativo diede l’allarme al presidio. I soldati si affrettarono a uscire per effettuare la tua cattura.
– Un momento. Chi ha detto che un nativo lanciato l'allarme?
– Il capitano Ramon mi ha assicurato così.
– Ecco la prima occasione per il capitano di dire la verità. È vero, comandante, che fu don Carlos Pulido
stesso ad inviarvi il nativo? La verità!
– L’allarme è stato dato da un nativo. – fece Ramon.
– E non avete detto al vostro sergente che fu don Carlos ad averlo mandato? Non gli avete detto che don
Carlos gli aveva dato le informazioni a bassa voce mentre stava portando sua moglie svenuta nella sua
stanza? Non è forse vero che Don Carlos fece del suo meglio per trattenermi alla sua hacienda fino a quando
arrivarono i soldati, che avrebbero dovuto catturarmi? Don Carlos non ha dunque cercare di mostrare la sua
fedeltà al governatore?
– Per tutti i santi, Ramon, non mi hai mai detto tutto! – piagnucolò, da vero serpente che era, il
governatore.
– Sono dei traditori – dichiarò ostinatamente Ramon.
– Quali sono le prove? – chiese Zorro.
– Perché, quando arrivarono i soldati, con un trucco vi siete nascosto in un armadio. – disse il governatore.
– E sopraggiunto sulla scena il capitano Ramon, siete sbucato fuori e a tradimento lo avete colpito alle spalle
prima di prendere la fuga. Era più che evidente che fu don Carlos a nascondervi nell’armadio.
– Per l’Inferno! – esclamò Zorro. – l’avevo capito, Ramon, che non eri abbastanza uomo per ammettere la
sconfitta, pur essendo un mascalzone in altre cose. Ed ora dì la verità!
– Questa è la verità.
– Dì la verità! – comandò Zorro, spostando la canna della pistola dalla schiena alla tempia del capitano. –
Che sono uscito dallo stanzino e ho parlato con voi, dandoti il tempo di sguainare la spada e di metterti in
guardi, e che abbiamo duellato per ben dieci minuti. Allora?
– Ammetto liberamente da parte mia che per un attimo mi hai lasciato perplesso, e poi ti ho lasciato dar
battaglia alla tua maniera perché ti sapevo alla mia mercé. Avrei potuto facilmente ucciderti, ma ti ho fatto
un semplice graffio alla spalla. Non è questa la verità? rispondi, se vuoi sperare di vivere ancora!
Il capitano Ramon si leccò le labbra secche, non riuscendo a sostenere lo sguardo del governatore.
– Rispondi! – tuonò Zorro.
– È la verità! – riconobbe il capitano.
– Ah! Così ti avevo colpito alle spalle, eh? È un insulto per la mia lama di averla bagnata col tuo sangue.
Vede, eccellenza, che razza di uomo che avete qui di comandante. Avete bisogno di altre prove?
– Sì! – fece con una voce irritante il governatore. – Quando i Pulido sono stati ospiti in casa di don Diego
Vega, e don Diego era assente, il capitano Ramon andò a far la corte alla signorina Lolita e si trovava lì solo
con la loro figlia.
– E che proverebbe questo?
– Che tu sei in combutta con i Pulido. Che ti hanno ospitato anche in casa di don Diego, un uomo leale. E
quando il capitano ti scoprì lì, la signorina si gettò su di lui per trattenerlo, fin quando non sei riuscito a
fuggire da una finestra. Non è abbastanza?
Zorro si piegò in avanti, e i suoi occhi castani sembravano bruciare attraverso la maschera fissando quelli
del capitano Ramon.
– Bel raccontino davvero! – fece il brigante. – È risaputo anche da voi Eccellenza, che il capitano Ramon è
innamorato della signorina Pulido. Quella sera andò a casa di Vega, dove la costrinse a subire le sue
attenzioni avvertendola che non doveva opporsi con un padre così in disgrazia con il governatore. Fu a quel
punto che chiese aiuto e io dovetti rispondere.
– Per quale motivo ti trovavi lì?
– Non posso rispondere a questa domanda, ma vi do il mio giuramento che la signorina non sapeva della
mia presenza. Ha chiesto aiuto, e io ho risposto come ogni buon gentiluomo deve fare. dopo aver visto cosa
stava facendo ho costretto questa cosa che si chiama comandante ad inginocchiarsi davanti a lei e chiedergli
scusa. E poi l’ho portato alla porta e lo buttato fuori di casa a calci nel sedere facendolo finire nella polvere!
Subito dopo gli ho fatto visita al presidio per fargli capire che non doveva insultare così una signorina.
– Sembrerebbe che tu abbia un profondo interesse per la giovane Pulido. – fece con occhi maligni il
governatore.
– Sì, eccellenza, e sono orgoglioso di ammetterlo.
– Ah, tu condanni lei e i suoi genitori con codesta affermazione! Neghi ora che sono in combutta con te?
– Certo che sì! I suoi genitori non sanno del nostro amore.
– Quella signorina tiene un comportamento scandaloso.
– Signore! Governatore o no, un altro pensiero del genere e verserò il tuo sangue. – urlò Zorro. – Vi ho
detto cosa è successo quella notte in casa di Don Diego Vega. Il capitano Ramon ha testimoniato che ciò che
ho detto è la pura verità. Non è così, comandante? Rispondi!
– È la verità. – Il capitano deglutì, guardando la canna della pistola del giustiziere mascherato.
– Allora tu mi hai detto il falso, e non può più essere un mio ufficiale! – piagnucolò il governatore. –
Sembra che questo brigante può fare ciò che vuole con voi. Ah! Ma io continuo a credere che don Carlos
Pulido è un traditore, e con lui i membri della sua famiglia. Questa scenetta non vi ha aiutato per nulla
Zorro. I miei soldati continuano ad inseguirti! E prima di catturarti, avrò trascinato i Pulido nel fango, poi,
poi ti farò fare un bel nodo scorsoio per veder pendere la tua carcassa!
– Ma che bel discorsetto coraggioso. – osservò Zorro. – Hai già dato abbastanza lavoro ai tuoi soldati
stasera, eccellenza dei miei stivali, salvando i tuoi tre prigionieri.
– Saranno ricatturati.
– Solo il tempo lo dirà. E ora ho altro da svolgere. Eccellenza, prendete le sedie e portatele a quell'angolo
laggiù e si sieda lì insieme ai soldati, e il vostro ospite siederà accanto a voi. E lì rimarrete finché non avrò
finito.
– Che vuol fare? – fece sudando di paura il governatore.
– Mi ubbidisca! – disse con voce profonda Zorro. – Ho poco tempo per ascoltarvi, governatore.
Zorro osservò mentre le sedie venivano collocate all’angolo della stanza e il governatore e i suoi uomini si
erano seduti. E si portò a un passo più vicino al capitano Ramon per guardarlo bene con occhi scintillanti di
rabbia.
– Hai insultato una ragazza pura e innocente, comandante – fece. – Per questo, dovrai combattere. Il graffio
alla tua spalla è guarito ormai, e hai la tua lama al fianco. Un uomo come te non deve respirare l’aria pura di
Dio. Il paese sarà migliore con la vostra assenza. In piedi, signore, e in guardia!
Il capitano Ramon era bianco di collera. Sapeva bene che era rovinato dopo esser stato costretto a
confessare le sue menzogne. Lo stesso governatore lo aveva rimosso dal suo rango. E la causa di tutto era di
fronte a lui.
Forse nella sua rabbia poteva riuscire ad uccidere questo Zorro, questa maledicion de Capistrano, vedere
sul pavimento scorrere la sua linfa vitale. Forse, e se lo ha fatto, sua Eccellenza lo avrebbe guardato con
occhio benevolo.
Balzò dalla sedia e indietro verso il lato del governatore.
– Allentatemi i polsi! – gridò. – Lasciatemi duellare con questo cane!
– Molti prima di te mi hanno indicato con quella parola e ora… – Zorro fece una sinistra pausa. – ora sono
morti.
I polsi del comandante vennero slegati e con rabbia tirò fuori la sua lama, balzò in avanti con un grido, e si
lanciò in un attacco furioso sul giustiziere mascherato.
Zorro si spostò per bene prima di questo attacco, e trovò così una posizione in cui la luce delle candele non
gli dessero fastidio agli occhi. Era sempre stato abile con una lama, e si era trincerato molte volte in una
buona difesa, sapeva qual’era il pericolo dell’attacco di un uomo insultato anche se l’ingiuria era stata fatta
in base al codice d’onore dei spadaccini.
E sapeva anche che la rabbia, seppur cattiva consigliera, può portare un colpo di fortuna alla persona
ingiuriata. E così si ritirò passo dopo passo, stando bene in guardia, parando ogni colpo vizioso, restando
all’erta per ogni mossa inaspettata.
Il governatore e i sui uomini erano seduti nel loro angolo, ma si piegavano in avanti per guardare il
combattimento.
– Dategli addosso, Ramon, e io vi darò una promozione! – piagnucolò sua Eccellenza.
L’animo del comandante si sollevò a quelle parole. Intanto Zorro trovò il suo avversario combattere molto
meglio di quanto non aveva fatto in casa di don Carlos Pulido. Si vide costretto a venir fuori da un punto
pericoloso, e la pistola che teneva in mano sinistra per intimidire il governatore e il suo esercito gli dava
fastidio.
Perciò, improvvisamente la gettò sul tavolo, e poi si girò di scatto in modo che nessuno dei due uomini
potesse metterlo in un angolo e con il rischio di ricevere una lama tra le costole. E lì si mosse e combatté con
più agilità.
La lama del capitano Ramon sembrava essere in vantaggio. Zorro si precipitò dentro e fuori, cercando di
trovare una breccia nella difesa del capitano, era ansioso di dare una fine a questo duello e di andarsene.
Sapeva che l'alba non era lontana, e temeva l’arrivo di qualche altro soldato.
– Lotta, insultatore di ragazze! – gridò Zorro. – Combatti, insulsa razza di mascalzone, che inventa bugie
per rovinare una nobile famiglia nobile! Lotta, codardo e poltrone! La vedi la morte in faccia? Avanti,
abbiamo quasi finito!
Ramon malediva e caricava, ma Zorro lo respingeva indietro e così teneva la sua posizione. Il sudore ormai
colava a grossi goccioloni dalla fronte del capitano. Il suo respiro era pesante tra le labbra socchiuse. I suoi
occhi erano vivaci e sporgenti.
– Lotta, debole! – Il bandito lo insultava. – Stavolta non sto attaccando alle spalle. Se hai delle preghiere da
recitare, fallo, che il tempo scorre veloce.
Le lame saettavano, i piedi si spostavano veloci sul pavimento, il respiro pesante dei combattenti e degli
spettatori di questa lotta per la vita o la morte, erano gli unici suoni nella stanza. Sua Eccellenza saltò in piedi
in avanti sulla sedia, con i pugni talmente stretti che mani che le nocche erano divenute bianche.
– Uccidimi questo brigante! – gridò. – Usa tutta la tua buona abilità, Ramon!
Ramon si precipitò di nuovo, chiamando in appello tutte le sue ultime forze. Tuttavia le sue braccia erano
come il piombo, il suo respiro pesante. Si lanciò all’attacco, ma fece un errore di una frazione di pollice.
Come la lingua di un serpente, la lama di Zorro girò tre volte e poi si lanciò in avanti, e sulla fiera fronte di
Ramon, proprio in mezzo agli occhi, ci fu improvvisamente una fiammata rossa, e comparve una sanguinosa
Z.
– Il segno di Zorro! – il brigante gridò. – Ora l’avrai per sempre, comandante!
La faccia di Zorro divenne più severa. La sua lama ruotò di nuovo e affondò. Dalla ferita uscì gocciolando
di rosso. Il comandante rimase a bocca aperta e scivolò a terra.
– Lo hai ucciso! – gridò il governatore. – Gli hai tolto la vita, miserabile!
– D’ora in poi non insulterai più nessuno.
Zorro guardò il suo nemico caduto, osservò il governatore per un istante, poi pulì la lama sulla fascia che
aveva legato i polsi del comandante. rimise la lama nel fodero e prese la pistola dal tavolo.
– Il mio lavoro è finito, stanotte.
– Ti farò appendere per questo! – piagnucolò sua Eccellenza.
– Forse, quando mi catturerai, e sempre se resterai governatore. – rispose la maledizione di Capistrano,
inchinandosi cerimoniosamente.
Dopo un ultimo sguardo al corpo coperto di sangue del capitano Ramon, uscì e si diresse in fretta al patio
raggiungendo il suo Tornado.

Capitolo 36: Contro tutti

Ma sfrondò nel pericolo.
Era ormai l'alba; le prime striature rosa apparivano nel cielo ad Oriente, e poi ecco alzarsi in fretta il sole
sopra le alture a est, illuminando tutta la piazza. Non c'era un filo di nebbia, le colline lontano spiccava in
rilievo. Non era un mattino in cui si poteva correr via sognando la libertà.
Zorro avevano ritardato troppo a lungo dal governatore, giudicando male l'ora. Montò in sella e esortò
Tornado ad uscire dal patio, e realizzò in un attimo il pericolo che era sopra dei lui.
Dal sentiero di San Gabriele veniva il sergente Pedro Conzales e i suoi soldati. Lungo la strada di Pala
arrivava il distaccamento dei soldati che erano stati all’inseguimento del corteo che portava don Carlos al
sicuro e che ora tornavano scornati. Ed oltre la collina verso il presidio veniva il terzo corpo di uomini, che si
era lanciato a dar la caccia a coloro che avevano salvato Dona Catalina. Zorro si trovò circondato da suoi
nemici.
La maledizione di Capistrano deliberatamente fermò il cavallo e per un momento contemplò le
alternative. Guardò i tre gruppi di soldati, stimando la distanza. E fu in quel istante che con distacco il
sergente Gonzales lo vide e diede un furioso allarme.
Sapevano tutti a chi appartavano quel cavallo magnifico, quel lungo mantello viola, quella maschera nera
e quel largo sombrero. i soldati videro davanti a loro lo stesso uomo che avevano inseguito invano per tutta
la notte, lo stesso uomo che li aveva giocati attraverso valli e colline come degli sciocchi. Temevano la rabbia
di sua eccellenza e dei loro ufficiali superiori, e nei loro cuori e nelle loro menti venne rapida la
determinazione di catturare o uccidere quella maledetta maledizione di Capistrano, visto che il destino
offriva loro questa occasione.
Zorro spronò il cavallo e si precipitò in mezzo la piazza, sotto gli occhi di una ventina di cittadini. Così
come il governatore e i suoi due alti ufficiali, che si erano precipitati fuori di casa, urlando che Zorro era un
assassino e deve essere preso. I nativi corsero come lesti daini in cerca di rifugio; degli uomini di rango
invece si fermano rimanendo a bocca aperta per lo stupore.
Zorro, dopo aver attraversato la piazza, guidò il suo cavallo alla massima velocità dritto verso la strada
principale. Il sergente Gonzales e i suoi soldati si precipitarono a tagliargli la via, gridando l'un l'altro,
pistole in mano, e lame sguainate dai foderi. La ricompensa e la promozione era sicura per loro se avessero
catturato il bandito qui e ora.
Zorro si vide costretto a deviare dal suo primo percorso, ormai insicuro. Non aveva preso la pistola dalla
cintura, ma aveva estratto la sua lama, ed ora pendeva dal suo polso destro in maniera tale che poteva
afferrarla immediatamente.
Attraversò la piazza di nuovo, quasi a spron battuto passando davanti alcuni uomini di rango che erano in
strada. Non solo, passò a pochi passi del governatore infuriato e i suoi due ufficiali, e poi si lanciò tra due
case, e si precipitò da lì in direzione delle colline vicine.
Sembrava avere una piccola possibilità di sfuggire al cordone dei suoi nemici. Disprezzò percorsi e
sentieri, e tagliò sul terreno aperto. Da entrambi i lati i soldati arrivavano al galoppo, cercando di
raggiungere l'angolo del cuneo, per tagliargli così ogni via di scampo.
Gonzales gridava ordini nella sua grande voce, mentre inviava una parte dei suoi uomini giù al pueblo, in
modo che se il bandito si sarebbe voltato di nuovo, avrebbero potuto impedirgli di fuggire a ovest.
Zorro raggiunse la strada principale e cominciò a scendere verso sud. Non era la direzione che avrebbe
voluto prendere, ma non aveva altra scelta. Si precipitò intorno ad una curva della strada, dove alcune
capanne di nativi tagliavano la vista, e improvvisamente tirò a sé Tornado, quasi da farlo scalzare.
Qui infatti una nuova minaccia si era presentata. Davanti a sé volavano letteralmente un cavallo e
cavaliere, e dietro di loro correvano una mezza dozzina di soldati.
Zorro girò il suo cavallo. Non poteva girare a destra a causa di una recinzione in pietra. Tornado avrebbe
potuto saltato, ma dall'altro lato vi era è del terreno arato, troppo soffice da percorrere, e i soldati lo
avrebbero tirato giù con un semplice colpo di pistola.
Né poteva girare a sinistra, perché vi era un precipizio a strapiombo verso il basso. Doveva tornare
indietro verso il sergente Gonzales e gli uomini che cavalcavano con lui, sperando di recuperare una
distanza di un paio di centinaio di metri, dove avrebbe poteva buttarsi in una discesa, prima dell’arrivo di
Gonzales e dei suoi uomini.
Afferrò la sua spada pronto a combattere, era arrivato il momento. Si guardò veloce alle spalle e rimase a
bocca aperta. Ebbe la sorpresa più grande della sua giovane vita.
Era Lolita che cavalcava quel cavallo e che era inseguita dai soldati, quella stessa ragazza che pensava al
sicuro presso la fattoria di frate Felipe. I suoi lunghi capelli neri si agitavano al vento dietro di lei. I suoi
tacchi erano incollati ai fianchi del cavallo. Era chinata in avanti mentre cavalcava, tenendo le redini in basso,
e Zorro, anche in quel momento, ne ammiravano la sua abilità da amazzone.
– Senor! – la sentì gridare.
Zorro la raggiunse al suo fianco, e poi cavalcavano insieme, precipitandosi come arieti su Gonzales e i suoi
soldati.
– Mi hanno dato la caccia per ore! – le disse. – Dopo che sono dovuto fuggire dalla casa di padre Felipe.
– Restami vicino e non sprecare fiato! – gli urlo Zorro.
– Il mio cavallo è quasi sfinito, signore!
Zorro lanciò una rapida occhiata al povero cavallo di Gonzales e vide che era con la bava alla bocca. Ma
non c'era niente da farci ora. I soldati dietro di loro avevano guadagnato alcuni metri, mentre quelli di fronte
continuavano ad essere una terribile minaccia.
Volavano lungo il sentiero, fianco a fianco, dritti verso Gonzales e i suoi uomini. Zorro vedeva il riflesso
del sole sulle canne delle loro pistole, non aveva dubbi che quel serpente del governatore aveva dato ordine
di catturarlo vivo o morto.
Spronò Tornado a pochi passi davanti alla cavalcatura di Lolita, e la esortò a cavalcare sulle tracce del suo
cavallo. Lasciò cadere le redini sul collo della sua cavalcatura, e tiene la sua lama pronta. Ora il magnifico
giustiziere aveva due armi formidabili da usare, la sua lama e il suo Tornado.
Poi arrivò lo schianto. Zorro deviò il suo cavallo al momento giusto, e Lolita riuscì a seguirlo da preso. Ferì
il soldato alla sua sinistra, e colpendo poi un altro alla sua destra. Il suo Tornado si è schiantò in quello di un
terzo soldato, scagliandolo contro l'animale che guidava il sergente.
Sentiva le sue grida stridule contro di lui. Zorro sapeva che gli uomini che stavano inseguendo Lolita
aveva incontrato gli altri, e che quindi era nata una confusione tale che non potevano usare lame per paura
di abbattersi l'un l'altro.
Ebbe Lolita di nuovo al suo fianco, arrivati ai margini della piazza. Purtroppo anche Tornado dava segni
di stanchezza, e senza aver trovato una via di scampo.
Per la strada di San Gabriel non v’era via di uscita, quella di Pala era chiusa, non potevano fuggire dalla
parte dei terreni arati, e sul lato opposto della piazza vi erano dei soldati in sella in attesa di tagliarlo fuori,
non importa in quale direzione sarebbe andato.
– Siamo presi! – gridò. – Ma non è ancora finita, Lolita!
– Il mio cavallo è stroncato, ormai! – gridò lei.
Zorro vide che era così. Sapeva che quella povera e generosa bestia non poteva fare un altro centinaio di
metri. Guardò Lolita negli occhi e gli urlò.
– Per la taverna!
Percossero tutta la piazza al galoppo. Alla porta della taverna la povera cavalcatura di Lolita vacillò e
cadde. Zorro prese la ragazza tra le sue braccia in tempo per salvarla da una brutta caduta e, sempre con lei,
si lanciò attraverso la porta della taverna.
– Fuori di qui! – gridò al padrone di casa e al suo servo nativo. – Fuori! – gridò anche a una mezza
dozzina di vagabondi, mostrando la sua pistola. Padrone e avventori si precipitarono fuori dalla porta, nella
piazza.
Il bandito raggiunse la porta e la chiuse. Vide che ogni finestra era chiusa, tranne la sua preferita, quella
che dava sulla piazza. Si avvicinò al tavolo e poi si girò verso Lolita.
– Potrebbe essere la fine.
– Senor! Sicuramente i santi saranno gentili con noi.
– Siamo circondati dai nemici, Lolita. A me non importa di morire, se morirò come un cavaliere, ma voi…
– Non mi rinchiuderanno di nuovo al Carcel fallo di nuovo, signor! Lo giuro! Piuttosto morire con te.
Poi Lolita prese di nuovo in mano il coltello per tosare le pecore e se lo portò al seno.
– Lolita, NO!
– Vi ho donato il mio cuore, segnor. O viviamo insieme o moriremo insieme!

Capitolo 37: La baia della volpe

Si lanciò verso la finestra e guardò fuori. ormai i soldati avevano circondato l'edificio. Poteva vedere
l’infame governatore che strillava ordini nella piazza. Lungo il sentiero di San Gabriele stava arrivando il
fiero don Alejandro Vega, per far visita al governatore, che, fermatosi al bordo della piazza cominciò a
interrogare le persone presenti sulla causa di tutta quella confusione.
– Tutti aspettano la mia morte – disse Zorro, ridendo. – Mi chiedo dove siano ora i miei coraggiosi
caballeros coraggiosi, quelli che avevo guidato.
– Vi aspettate i loro aiuti? – gli chiese Lolita.
– Non certo così, signorina. Dovrebbero restare tutti insieme per affrontare il governatore. È stata una bella
avventura per tutti loro, ma non posso certo aspettare aiuti da essi. Combattere da solo come sempre.
– Non da solo, Signore, vi sono io al tuo fianco. – Lui la strinse tra le sue braccia, la strinse a sé.
– Vorrei che potremmo avere l’opportunità di stare insieme. Ma sarebbe una follia, ho già portato troppo
disastro nella tua vita. Non avete mai visto la mia faccia ancora, Lolita. Dovresti dimenticarmi. Potresti
andartene da questo luogo e dare la tua parola a don Diego Vega che sarai la sua sposa, e allora governatore
sarebbe costretto a metterti in libertà e chiaramente mondare i tuoi genitori di tutte le colpe.
– Ah, signor.
– Pensa, Lolita. Pensa cosa vorrebbe dire. Sua Eccellenza non oserebbe mettersi contro un Vega. I tuoi
genitori riavrebbero le loro terre, i loro privilegi. Saresti la sposa del più ricco giovane del paese. avresti tutto
per essere felice.
– Tutto Tranne l'amore, signore, e senza l'amore il resto è nulla.
– Pensa, Lolita, e decidi una volta per tutte. Hai un solo momento, ma adesso!
– Ho preso la mia decisione molto tempo fa, senor. Un Pulido ama ma una volta, e non può sposare altri
che chi ama.
– Cara! – gridò, e la strinse di nuovo a sé. In quel momento un colpo percosse la porta.
– Senor Zorro! – piagnucolò il sergente Gonzales.
– Sono qui, sergente, che c’è?
– Ho un'offerta per voi da sua eccellenza il governatore.
– Parla, ti ascolto.
– Sua Eccellenza non ha alcun desiderio di provocare la morte o lesioni alla signorina che è con voi. Chiede
che usciate con lei.
– A che scopo?
– Vi sarà fatto un giusto processo, per voi e per la signorina. Così si può sfuggire alla morte e avere solo il
carcere.
– Ah, certo! Ho visto i processi equi di sua Eccellenza. Credi davvero che io sia un imbecille?
– Questa era l’offerta di sua Eccellenza, e sarà la vostra ultima possibilità. L’offerta non sarà rinnovata.
– Sua Eccellenza è bene che non sprechi altro fiato rinnovandola. Che cresca il suo grasso.
– Che cosa ci si può aspettare di ottenere dalla resistenza, salvo la morte? Come potete sperare di
salvarvi? Siamo in grado di abbattere la porta.
– Dopo che alcuni di voi si saranno allungati senza vita sul pavimento. Dimmi, chi sarà il primo attraverso
la porta, il mio sergente?
– Per l'ultima volta.
– Vieni a bere un boccale di vino con me, sergente. – gli disse ridendo Zorro.
– Poltiglia Ristorazione e latte di capra! – disse irato il sergente Gonzales. Ci fu silenzio allora per una volta,
e Zorro, guardando attraverso la finestra con cautela, in modo da non attirare un colpo di pistola, osservò
che il governatore era in consultazione con il sergente e alcuni soldati.
La consultazione si era appena conclusa, che Zorro vide guizzarli vicino alla finestra. Quasi
immediatamente, l'attacco alla porta cominciò. Battevano su di essa con travi pesanti, cercando di
distruggerla dal basso. Zorro, in piedi nel mezzo della stanza, puntò la pistola alla porta e sparò, la palla
attraversò il legno e al di fuori qualcuno mandò un urlo di dolore, egli si precipitò al tavolo e cominciò a
caricare la pistola di nuovo.
Poi corse verso la porta, ed osservare il foro in cui il proiettile l’aveva attraversata. La tavola aveva una
piccola crepa. Zorro mise la punta della lama a questa crepa, e attese.
Anche in questo caso il legname pesante fu schiantato contro la porta, con i soldati che gettavano il suo
peso su di esso. La lama di Zorro penetrò attraverso la fessura come un fulmine, quando la ritirò era rossa di
sangue, nello stesso istante ci fu un grido di fuori. E ora una raffica di palle di pistola furono dirette verso la
porta, ma Zorro, ridendo, era di già fuori dalla zona pericolosa.
– Ben fatto, signore! – fece Lolita.
– Abbiamo marchiato alcuni di quei cani.
– Vorrei che avrei potuto aiutarti, senor."
– Mi stai aiutando Lolita! È il tuo amore che mi dà la mia forza.
– Se potessi usare una lama…
– Eh no, Lolita, questo è ciò che deve fare un uomo.
– E alla fine, signor mio, se si vede che non ce ne sono in giro. Potrò vedere il tuo viso caro?
– Te lo giuro Lolita, e sentirai le mie braccia su di te, e le mie labbra sul tuo viso. La morte così non sarà
amara.
L'attacco sulla porta veniva rinnovato con più forza. Ora i colpi di pistola erano frequenti, anche attraverso
la finestra, e per Zorro non c’era altro da fare che aspettare, spada in pugno, in mezzo alla stanza e aspettare.
Ancora pochi minuti poi la porta sarebbe stata fracassata e si sarebbero precipitati su di lui.
La signorina strisciò vicino a lui, le lacrime le rigavano le guance, e l’afferrò per un braccio.
– Non hai dimenticato?
– Io non dimentico mai, Lolita.
– Poco prima di sfondare la porta, senor. Prendimi nelle tue braccia e fammi vedere il tuo viso caro e
baciami. Poi potremo morire e di buon grado, anche.
– Tu devi vivere.
– Per finire in una cella, senor. E poi cosa sarebbe la mia vita senza di te?
– C'è don Diego.
– Penso a nessun’altro che a voi, signore. Una Pulido saprà morire. E forse la mia morte farò sapere a tutti
gli uomini della perfidia del governatore. Forse servirà a questo scopo.
Ancora una volta il legno colpiva pesante contro la porta. Si poteva sentire sua eccellenza gridare per
incoraggiare i soldati, si poteva sentire le grida dei nativi e il sergente Gonzales piagnucolare i suoi ordini.
Zorro si affrettò di nuovo verso la finestra sfiorando un proiettile, e guardò fuori. Vide che una mezza
dozzina di soldati avevano le loro lame in mano, pronti a correre quando la porta venisse abbatuta. Lo
avrebbero fatto, sì, ma pochi di loro sarebbero sopravissuti.
– Siamo quasi alla fine, Signore.
– Lo so, Lolita.
–Vorrei avessimo avuto miglior fortuna, ma morirò felice. Ora signore, viso e labbra!
Lolita Smise di singhiozzare, e alzò il viso con coraggio. Zorro sospirò, e una mano stava per togliersi la
sua maschera.
Ma improvvisamente ci fu un tumulto di fuori nella piazza, e le percosse alla porta cessarono, sentirono
voci alte che non avevano mai udito prima.
Zorro lasciò la sua maschera dov’era, e si precipitò alla finestra.

Capitolo 38: a volto scoperto

Ventitre cavalieri arrivarono al galoppo nella piazza. Le bestie che cavalcavano erano magnifiche, sella e
briglie erano d’argento, i loro mantelli erano realizzate dei migliori materiali, e indossavano cappelli con
piume meravigliose, come se i loro abiti fossero di ricca fattura e volessero che tutti lo sapessero. Ogni uomo
era seduto dritto e fiero sulla sua sella, con la sua spada al fianco, e ogni lama aveva un’elsa ingioiellata,
essendo al tempo stesso un utile e ricco ornamento.
Essi si fermarono lungo tutto il tragitto della taverna, tra la porta ed i soldati che cercavano d’abbatterla,
tra l'edificio e il governatore ed i cittadini riuniti, e lì si voltarono sui loro cavalli fianco a fianco, di fronte a
sua Eccellenza.
– Aspettate! C’è un modo migliore! – gridò il loro capo.
– Capisco. – fece il governatore. – Qui abbiamo i giovani di tutte le famiglie nobili del Sud. Siete venuti per
mostrare la loro lealtà prendendo questo maledizione di Capistrano. Vi ringrazio, caballeros. Ma non è il mio
desiderio di vedere qualcuno di voi ucciso da costui. Non è degno delle vostre lame, signori. Saranno i
soldati a occuparsi della canaglia. Ancora una volta vi ringrazio per questa dimostrazione di lealtà.
– Pace! – il loro capo gridò. – Eccellenza, noi rappresentiamo il potere in questa sezione, non è vero?
– Che volete dire, caballeros? – fece il governatore.
– Le nostre famiglie devono decidere, quali leggi devono essere adeguate, non è vero?
– Hanno una grande influenza – ammise il governatore.
– Non avrebbe l’idea di mettersi contro di noi?
– Non contro la maggior parte di voi, certo! – piagnucolò sordamente sua Eccellenza. – Ma vi prego, di
lasciar fare ai soldati. Non è decoroso che un cavaliere deve subire ferite o la morte per la lama di un
delinquente.
– È davvero un peccato che lei non voglia capire.
– Capire? – fece il governatore, in un tono interrogativo, guardando su e giù tutti gli uomini a cavallo.
– Abbiamo avuto consiglio tra di noi, Eccellenza. Conosciamo la nostra forza e il nostro potere, e abbiamo
deciso certe cose. Ci sono state azioni che non possiamo tollerare. I frati delle missioni sono regolarmente
spogliati dai funzionari. I nativi sono stati trattati peggio dei cani. Anche gli uomini di sangue nobile sono
stati derubati perché non più nelle grazie dell’alto potere.
– Caballero!
– Pace, Eccellenza, fino a quando parlerò io. Questa cosa è venuto a una crisi quando un hidalgo con la
moglie e la sua figlia sono stati gettati in una cella del Carcel per i vostri ordini. Una cosa del genere non
può essere tollerata, Eccellenza, e così ci siamo riuniti, e qui vi si rende nota la nostra decisione. Dovete
sapere Zorro ci ha guidato quando ha invaso il Carcel e salvato i prigionieri, che abbiamo portato don Carlos
e Dona Catalina in luoghi sicuri, e che ci siamo promessi dando le nostre parole e sul nostro onore sopra le
nostre lame che non saranno più perseguitati.
– Io direi…
– Fate silenzio, fino a quando non avrò finito! Siamo uniti, e la forza delle nostre famiglie sono tutte unite
con noi. Ed ora gettate i vostri soldati ad attaccarci, se ne avete il coraggio! Ogni gentiluomo di sangue nobile
che viva lungo tutto il percorso del Camino Real si armerebbe a nostra difesa, rimovendovi dal vostro
incarico, nella Vostra più vergognosa umiliazione. Aspettiamo la vostra risposta, Eccellenza.
– Che - che cosa volete fare? – Sua Eccellenza rimase a bocca aperta.
– In primo luogo, un più adeguato rispetto per don Carlos Pulido e la sua famiglia. Il Carcel non è per loro.
E se avrete ancora il coraggio di accusarli tradimento, dovremo essere sicuri che ci sarà un processo equo e
giusto, e perseguiteremo ogni uomo che darà una testimonianza spergiura, e qualsiasi magistrato che non
lo conduca in maniera corretta. Attento Eccellenza: siamo ben determinati.
– Forse sono stato troppo frettoloso nella mia inchiesta, ma ero stato portato a credere certe cose. –
incominciò a dire il governatore, con le mani tremanti. – Io do licenza ai vostri desideri. Ora fatevi da parte,
caballeros, mentre i miei uomini arriveranno a quella canaglia nella taverna.
– Non abbiamo ancora finito – fece il loro portavoce. – Abbiamo delle cose da dire riguardo a questo signor
Zorro. Che cosa ha fatto, in realtà, Eccellenza? È lui colpevole di tradimento? Non ha derubato nessun uomo
ad eccezione di quelli che rubavano a degli indifesi. Ha frustato sì, delle persone, ma tutte ingiuste. Egli è
sempre stato dalla parte dei perseguitati, una cosa che stanotte abbiamo avuto l'alto onore di condividere
con lui. Per fare una cosa del genere, a rischiato la vita con le proprie mani. E ogni volta ha eluso con
successo i vostri soldati, cercando di far il possibile per far meno vittime tra di loro. Ha solo punito chi
insultava, come ogni uomo ha il diritto di farlo.
– Che cosa vuoi?
– Un perdono completo, qui e ora, per l'uomo mascherato conosciuto come Zorro.
– Mai! – strillò il governatore, con gli occhi fuori dalle orbite. – Mi ha offeso personalmente. Egli deve
morire della peggior morte! – Si voltò e vide Don Alejandro Vega in piedi vicino a lui.
– Don Alejandro, voi siete l'uomo più influente in questo paese del sud. voi siete un uomo contro il quale
anche un governatore non oserebbe stare in piedi. Voi siete un uomo di giustizia. Dite a questi giovani
caballeros che ciò che vogliono non posso loro concedere. Offro loro di ritirarsi nelle loro case, e questo
spettacolo di tradimento sarà dimenticato.
– Io sono con loro! – tuonò don Alejandro.
– Voi - voi siete con loro?
– Sì, eccellenza. Mi unisco ad ogni parola che è stata detta in vostra presenza. La persecuzione deve
cessare. Concedete grazie alle loro richieste, vedrete che i vostri funzionari svolgeranno con onestà il loro
lavoro d'ora in poi, tornate a San Francisco de Asis, e avrete il mio giuramento che non vi sarà più nessun
tradimento nel Sud. Io ve ne do completa garanzia. Ma contrastateli, Eccellenza, e mi schiererò contro di voi,
e sarà la vostra rovina.
– Questo Sud è un paese orribile! –strillò con voce tremula il governatore.
– La vostra risposta? – esigette don Alejandro con voce ferma e forte.
– Non posso fare altro che essere d’accordo! – fece a testa bassa il governatore. – Ma una cosa…
– Dica?
– Risparmierò la vita dell'uomo mascherato se si arrende, ma dovrà affrontare un processo per l'omicidio
del capitano Ramon.
– Omicidio? – fece il portavoce dei caballeros. – È stato un duello tra gentiluomini, Eccellenza. Zorro
lottava per lavare l’insulto del comandante alla signorina Pulido.
– Ma Ramon era un caballero!
– E lo stesso è per il signor Zorro. Così ci giurò davanti a noi, e noi gli crediamo, perché non c'era falsità
nella sua voce. È stato un duello, eccellenza, secondo il codice d’onore dei gentiluomini, e il capitano Ramon
è stato sfortunato ad avere davanti una lama migliore di lui. Questo è comprensibile? La vostra risposta.
– Sono d'accordo – disse il governatore con voce flebile. – Io lo perdono, e me ne torno a casa a San
Francisco de Asis, e la persecuzione cessa in questa località. Ma don Alejandro, faccio fede alla sua promessa
che non vi sarà tradimento contro di me qui, se faccio queste cose".
– Ho dato la mia parola! – fece don Alejandro.
I caballeros urlavano alta la loro felicità e smontarono. I soldati si allentarono dalla porta, mentre il
sergente Gonzales ringhiava sotto i baffi perché il premio desiderato gli era ormai sfuggito di mano.
– Signor Zorro! – gridò uno. – Ha sentito tutto?
– Ho sentito, cavaliere!
– Apri la porta ed uscì in mezzo a noi, come un uomo libero!
Ci fu un attimo di esitazione, e poi la porta si aprì, e Zorro uscì con Lolita abbracciata a lui. Si fermò
proprio davanti alla porta, si tolse il sombrero e si prostrò davanti a loro.
– Una buona giornata a voi, caballeros! – gridò. – Sergente, mi dispiace che hai perso la ricompensa, ma
vedrò di saldare io il debito che tu e i tuoi uomini avete con il proprietario della taverna.
– Per tutti i santi, siete un vero cavaliere! – piagnucolò contento Gonzales.
– Uomo mascherato! – strillò il malefico governatore. – Vorrei vedere le fattezze della persona che ha
ingannato i miei soldati, che ha guadagnato il rispetto di questi caballeros, e mi ha costretto a scendere ad un
compromesso.
– Temo che sarete delusi quando vedrete il mio viso. – rispose ridendo Zorro. – Vi aspettate che il mio
aspetto sia come quello di Satana? Oppure se possibile, che io abbia un viso angelico?
Sorisse, guardò Lolita, e poi si strappò la maschera.
Un coro di rantoli, una esclamazione esplosiva di stupore dei soldati, alte grida di gioia dai caballeros, e un
urlo misto di orgoglio e di gioia di un vecchio hidalgo, rispose al movimento.
– Diego, figlio mio, figlio mio!
A quel punto Diego piego le spallle in avanti, sospirò e parlò con voce languida.
– Questi sono tempi turbolenti. Potrà mai un uomo meditare su musica e poesia?
Poi Diego, la maledizione di Capistrano, finì tra le braccia del padre.

Capitolo 39: Roba da polenta e latte di capra

Soldati, nativi, caballeros si accalcarono intorno a Diego e a Lolita, la quale lo abbracciava e non finiva di
mangiarselo con i suoi occhi scintillanti.
– Spiegateci, don Diego, spiegateci! – gridarono tutti in coro.
– È tutto iniziato dieci anni fa, quando ero un ragazzo di quindici anni. Non sentivo altro che racconti di
ingiustizie e di persecuzioni. Vedevo i miei amici frati derisi e derubati. Finché poi un giorno vidi i soldati
battere un vecchio indigeno che era mio amico. E decisi di pro fine giocare a tutto questo.
Sapevo che sarebbe stato una partita difficile da giocare. Così ebbi l’idea di fingermi un indifeso ometto
interessato a poesie e letteratura per potermi trasformare nel bandito che volevo diventare. In segreto,
imparavo tutti i segreti dell’equitazione e della scherma.
– Per tutti i santi, ci ha giocato ben bene! – ringhiò il sergente Gonzales.
– Una metà di me è stato il languido don Diego che tutti voi conoscevate, e l'altra metà quella che poi avete
chiamato la maledizione di Capistrano. Signori. Nel momento in cui ho indossato il mantello e la maschera,
un sangue nuovo mi scorse nelle vene, la mia voce crebbe forte e ferma. Avevo fatto amicizia con questo
grande sergente Gonzales, e per i miei scopi.
– Ah! Bello scopo, caballeros! – piagnucolò Gonzales. – Ogni volta non voleva sentir parlare di violenza e
spargimenti di sangue, ma solo dei movimenti dei miei soldati.
– Hai detto bene, Pedro! – fece Diego ridendo alla stessa di come gli altri ridevano di lui. – Quella sera di
pioggia violenta ti sentii vantare, perciò uscì ad indossar maschera e mantello e venni ad incrociare le lame
con te, così avrei avuto un’altra occasione per allontanare da me i sospetti che potessi essere Zorro. Poi
tornai a scherzare con te.
– Ha!Proprio un bello scherzo.
– Il giorno dopo visitai la fattoria dei Pulido come don Diego ma poi come Zorro feci per la prima volta la
corte a questa splendida fanciulla. A proposito pedro, quasi stavi per catturarmi quella stessa sera da frate
Felipe.
– Ma lui mi disse di non aver visto Zorro.
– Ed era vero. Mi presentai a lui come Diego. Ora potete facilmente capire, perchè come Zorro, ero a casa
mia in città quando il comandante insultò Lolita. E tu Lolita mi devi perdonare l'inganno. Ti ho corteggiata
come don Diego, e non ti ero piaciuto. Allora ci ho provato come Zorro, e grazie ai santi, mi ha donato il tuo
amore.
– Eccellenza, questa signorina sarà mia moglie, e d’ora in poi credo ci penserete due volte prima di
infastidire la sua famiglia ulteriormente.
Sua Eccellenza ha gettato le mani in un gesto di rassegnazione.
– Solo con anni di pratica sono riuscito ad ingannarvi tutti. Ma ora Zorro sparirà perchè un uomo sposato
dovrebbe prendere cura della sua famiglia.
– Io ero innamorata di Zorro. – disse Lolita arrossendo. – E in fondo continuo ad amarlo.
– Ci sforzeremo di arrivare ad un compromesso tra lui e me. – rispose Diego, ridendo di nuovo. – Vedremo
se il matrimonio farà di Diego un vero uomo.
Si chinò e si baciarono lì davanti a tutti.
– Bà! Roba da polenta e latte di capra! – esclamò sospirando Gonzales.
Fine


Marco Pugacioff
  

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