Zorro:
la maledizione di Capistrano.
di Johnston McCulley
Traduzione e libero
adattamento di Marco Pugacioff
Non revisionato
Testo ripreso da: http://en.wikisource.org/wiki/The_Curse_of_Capistrano
Parte 3
Capitolo 29: Don Pulido
si sente male
Un’ora dopo che don
Carlos Pulido fu incarcerato Diego, vestito il più dignitosamente possibile,
faceva
lentamente a piedi la
salita fino al presidio per appellarsi a Sua Eccellenza, il governatore.
Camminava con passo
oscillante, guardando sia a destra e a sinistra come ad osservare le colline in
lontananza, e una
volta si fermò ad ammirare un fiore che era fiorito accanto al sentiero. La sua
spada era al
suo fianco, con la sua
elsa ingioiellata, e nella mano destra portava un fazzoletto di pizzo fragile,
come un
vero damerino, e poi
si toccò con esso a punta del suo naso.
Si inchinò
cerimoniosamente a due o tre caballeros,
che incrociò, ma al di là delle parole di saluto necessario,
non parlò con nessuno
e non cercava nemmeno nessuna conversazione. Infatti, ricordando come tutti
avevano pensato che
Don Diego Vega corteggiasse la figlia di don Carlos, gli avrebbero chiesto come
avrebbe preso la
questione della sua prigionia insieme con il padre e la madre. Non gli
interessava discutere
la questione, temendo
che le sue espressioni potessero essere scambiate per tradimento.
Diego arrivò alla
porta d'ingresso del presidio, e il sergente di guardia gli diede un saluto
adeguato all’alta
posizione dei Vega.
Diego rispose con un gesto della mano e con un sorriso, e continuò fino
all’ufficio del
comandante, dove il
governatore riceveva i caballeros, che si era curato di chiamare a farsi
esprimere la loro
lealtà.
Diego salutò sua
eccellenza con parole scelte con cura, si chinò, e poi aspettò che il
governatore lo
autorizzasse a sedere.
– Don Diego Vega. –
fece il governatore. – Sono davvero felice delle parole di benvenuto che mi
avete dato,
perché in questi tempi
un uomo che ha una carica elevata, dovrebbe conoscere i suoi amici.
– Sarei dovuto venire
prima, ma ero lontano da casa mia al momento che siete arrivato. – disse Diego.
–
Pensate di rimanere a
lungo a Reina de Los Angeles, eccellenza?
– Fino a quando questo
bandito da strada, conosciuto come Zorro non sarà catturato o ucciso.
– Per tutti i santi!
Devo ancora sentir parlare fino all’ultimo di quella canaglia? – piagnucolò
Diego. – Non
ho sentito parlar
d’altro in questi giorni. Vado a trascorrere una serata con un frate, e arriva
una folla di
soldati a caccia di
questo Zorro. Vado alla fattoria di mio padre per avere pace e tranquillità, e
arriva una
folla di caballeros cercando notizie di Zorro. Questi sono
tempi turbolenti. Un uomo la cui natura lo porta alla
contemplazione di
musica e poesia non ha diritto di esistere nel tempo presente.
– Sono desolato che
siate così infastidito. – fece il governatore, ridendo. – Ma spero di avere
presto nelle
mie mani quel bandito,
e così porre fine a questo assilante fastidio. Il capitano Ramon ha inviato il
suo
sergente e ai suoi
soldati di ritornare. Io ho portato con me una scorta di venti lancieri. E
così, ora, abbiamo
uomini più che
sufficienti per correre dietro alla maledizione di Capistrano quando riapparirà
la prossima
volta.
– Speriamo che si
concluderà tutto come dovrebbe. – fece Diego.
– Un uomo con un alto
incarico deve regolare molti conti. – rispose subito il governatore. – Guardate
cosa
sono stato costretto a
fare ancora oggi. Sono stato costretto a mettere in prigione un uomo di buon
sangue
con sua moglie e sua
figlia. Ma lo Stato deve essere protetto.
– Suppongo che intende
parlare di don Carlos Pulido e della sua famiglia?
– Proprio così, caballero.
– Ora che mi viene in
mente, devo dirvi alcune parole riguardo. – fece Diego. – Siete sicuro che il mio
onore
non sia coinvolto.
– Ma perché,
cavaliere, in quale maniera?
– Mio padre mi ordinò
di prender moglie. Perciò, alcuni giorni fa ho chiesto il permesso a don Carlos
Pulido per poter
corteggiare sua figlia.
– Ah! Capisco. Ma non
siete il fidanzato della signorina?
– Non ancora,
Eccellenza.
– Allora il vostro
onore non è coinvolto, Don Diego, come potete vedere.
– Ma io le ho fatto la
corte.
– Ringraziate tutti i
santi di non essere andato oltre, don Diego. Pensate a cosa sarebbe successo se
vi foste
imparentato con questa
famiglia ora. Se volete una moglie, venite con me a nord di San Francisco de Asis,
caballero, dove le senoritas sono molto più belle di qui, al sud.
– Ve ne sono molte di
buon sangue, e se voi mi farete sapere la vostra preferenza, vi garantiscono
che la
fanciulla avrà il buon
costume di accettare la vostra mano e il vostro nome. E posso garantire,
inoltre, che
sarà di una famiglia
fedele con la quale non ci sarà nessuna vergogna ad imparentarsi, caballero.
– Se mi perdonate
l’osservazione, non è stata piacevole l'adozione di misure così severe verso
don Carlos e
la sua famiglia? –
chiese Diego, togliendo la polvere dalla manica.
– Era necessario,
signore.
– Non pensa che
influirà negativamente alla vostra popolarità, Eccellenza?
– Che lo sia o no, lo
Stato deve essere servito.
– Gli uomini di buon
sangue vedranno con odio una cosa del genere, e ci potrebbero essere delle
proteste, –
avvertì Diego. – Mi
dispiace che Vostra Eccellenza faccia un tale passo falso in questo momento.
– Che cosa vuoi che io
faccia? – chiese il governatore.
– D’accordo mettere un
don Carlos e le sue signore in stato di arresto, ma non incarcerarle. Sarebbe
inutile.
Dove potrebbero
scappare prima di essere sottoposti a processo.
– Voi siete audaci,
caballero.
– Per tutti i santi,
sto forse parlando troppo?
– Sarebbe meglio
lasciare questi temi ai pochi di noi che sono di fiducia e che pongono la loro
attenzione a
questi problemi. –
disse il governatore. – Posso capire, naturalmente, come infastidisca ad un
uomo di buon
sangue vedere un suo
pari gettato in prigione insieme alle sue signore, ma in un caso come questo.
– Non conosco la
natura del caso. – disse Diego.
– Ah! Forse cambierà
idea quando saprà tutto. Avete parlato poco fa di quel famigerato Zorro. Io vi
assicuro che il
bandito è stato protetto da don Carlos Pulido!
– Questo è
stupefacente!
– E che la Dona
Catalina è una delle parti del tradimento e che la bella signorina ha pensato
bene di parlar
apertamente di
tradimento e messo le mani in una cospirazione contro lo Stato?
– Ne siete davvero
convinto – piagnucolò Diego.
– Alcune notti fa
Zorro era alla hacienda Pulido. Il comandate fu avvertito da un nativo fedele.
Don Carlos
aiutò il bandito a
ingannare i soldati, lo nascose in un armadio, e quando il capitano Ramon era
lì da solo,
questo brigante venne
fuori dal ripostiglio e lo attaccò a tradimento e lo ferì.
– Per tutti i santi!
– E mentre voi davate
ospitalità ai Pulido, signore, Zorro era in casa vostra, parlando con la
signorina,
quando arrivò il comandante.
E la signorina afferrò il capitano Ramon per un braccio e per fermalo fino a
quando il bandito non
riuscì a fuggire.
– Bè, ora comprendo
tutto! – Esclamò Diego.
– Il capitano Ramon ha
posto davanti a me un mare di sospetti. Vi meraviglia, ora, che li ho rinchiusi
in
carcere? Dovevo
metterli agli arresti, sennò Zorro li avrebbe aiutarti a fuggire.
– E che intenzioni
avete ora, Eccellenza?
– Io li tengo in
prigione mentre i miei soldati danno la caccia al brigante. Una volta
catturato, lo costringerò
a confessare sulla
loro complicità, e poi avranno un processo.
– Che tempi
turbolenti! – si lamentò Diego.
– Come uomo fedele quale
siete dovrebbe sperare di vedere i nemici dello stato distrutti.
– Lo sono.
Sinceramente lo sono. Tutti i nemici dello stato dovrebbe ricevere una
punizione. – mai Diego
disse parole più
sincere.
– Godo nel sentirvi
parlare così, caballero! – gridò il governatore, e ha raggiunto
Diego dall'altra parte del
tavolo e gli strinse
con fervore la mano.
Si parlò in seguito di
altri argomenti poi don Diego si congedò, perché c'erano altri uomini in attesa
di
vedere il governatore.
Dopo aver lasciato l'ufficio del governatore, questi guardò verso il capitano
Ramon e
sorrise.
– Avrei proprio
ragione, comandante. – gli disse. – Un tale imbecille non poteva essere un
traditore. Che
razza di uomo!
Diego si fece strada
lentamente giù per la collina, salutò coloro che incontrava, ma fermandosi solo
per
guardare i piccoli
fiori che fiorivano lungo la strada. All'angolo della piazza, incontrò un giovane
cavaliere
che era felice di
chiamare amico, uno di quel piccolo gruppo di uomini che avevano passato la
notte alla
Hacienda del padre.
– Ah! Diego,
buongiorno! – gridò. E poi abbassò la voce e si fece più vicino. – Sai, per
caso, se l'uomo che
noi chiamiamo leader
del nostro campionato di vendicatori, abbia inviato un messaggio?
– Per il cielo
azzurro, no! – fece Diego. – Perché?
– Per l’affare Pulido.
Ci sembra un oltraggio. Alcuni di noi si sono chiesti se il nostro leader non
abbia
intenzione metterci
mano. Siamo aspettando un messaggio.
– Per tutti i santi!
Spero di no! Non potrei sopportare un’avventura di qualsiasi tipo, ho un
leggero mal di
testa e tempo di avere
un inizio di febbre. Temo che dovrò vedere un farmacista. Ho anche dei brividi
lungo la schiena. Non
sono dei sintomi? Durante la siesta avevo per di più un dolore alla gamba
sinistra,
appena sopra il
ginocchio. Deve essere il tempo.
– Speriamo proprio di
no, amico mio. – Il suo amico scoppiò a ridere e si affrettò verso la piazza.
Capitolo 30: Il segno
della volpe
Un'ora dopo il
tramonto, un nativo portò un messaggio ad un caballero. Un misterioso signore
con una
cuffia sulla testa
desiderava parlargli subito, e questo signore era evidentemente ricco visto che
aveva dato
una moneta per far
portare il messaggio dal nativo. Il misterioso signore sarebbe stato in attesa
lungo la
strada che correva
verso il sentiero di San Gabriele, e per essere sicuri che il caballero sarebbe venuto, aveva
detto al nativo di
dire che nel quartiere girava una volpe.
Una volpe! El Zorro!
Il caballero rifletté per un po’ e poi congedò l’indio dandogli un'altra
moneta. Andò
subito l'appuntamento,
e nel luogo convenuto vi trovò Zorro seduto sul suo superbo cavallo nero.
– Si passa la parola, caballero. – disse Zorro. – Vorrei che tutti gli
uomini che sono fedeli alla giustizia e
desiderano continuare
ad esserlo, si incontrano a mezzanotte nella piccola valle al di là della
collina. Penso
che conoscete il
posto? Sarò lì ad attendervi.
Poi Zorro girò Tornado
e galoppò scomparendo nel buio. Il cavaliere tornò nel pueblo e passò la parola
a
quegli uomini con cui
si era formata la lega. Pensarono anche di avvertire Diego ma il cameriere
riferì loro
che egli era a letto,
e non voleva assolutamente essere disturbato.
Verso la mezzanotte i caballeros iniziarono a scivolar via dal pueblo uno
alla volta, ognuno di loro sul dorso
del suo miglior
cavallo, e armato con spada e pistola. erano tutti con una maschera sul volto,
una delle cose
decise alla hacienda
del padre di Diego.
Il pueblo era al buio,
salvo qualche luce nella taverna, dove qualcuno dei militari di scorta a Sua
Eccellenza
faceva festa con i
soldati locali. Il sergente Pedro Gonzales era tornato con i suoi uomini poco
prima di sera,
contento di essere
ritornato da quella che era stata una caccia infruttuosa e sperando di restare
a lungo al
caldo.
Quei militari nella
taverna erano usciti da poco dal presidio, e non pensavono certo che Zorro
sbucasse
fuori proprio quella
sera. Il grasso posadero lavorava contento, i soldati dal nord erano
carichi di monete e
volevano spenderle, e
cercava così di non pensare al bruciore della sua schiena. Il sergente
Gonzales, al solito
teneva desta
l'attenzione di tutti, dilungandosi a lungo su ciò che avrebbe fatto a questo
signor Zorro, se i
santi fossero stati
così gentili da farlo rincontrare con la sua lama in mano.
C'erano dlle luci nel
dormitorio del presidio, dove alcuni soldati stanchi si erano ritirati. E
c'erano delle luci
nella casa in cui Sua
Eccellenza era ospite, ma il resto del pueblo era nelle tenebre, e la gente
dormiva.
Nel Carcel, in prigione non c'era nessun’altra luce tranne quella di una
candela accesa in ufficio, dove un
uomo addormentato era
di guardia. Il carceriere era nel suo letto. I prigionieri gemevano sulle dure
panche
delle celle. Don
Carlos Pulido stava davanti una finestra, a guardare impotente le stelle, sua
moglie e sua
figlia erano
rannicchiate su di una panchina accanto a lui, incapaci di dormire in un
ambiente del genere.
I caballeros trovato Zorro proprio dove lui aveva
indicato loro, ma rimase in disparte, dicendo appena una
parola, fino a quando
non furono tutti presenti.
– Sono tutti qui? –
chiese poi.
–Tutti tranne don
Diego Vega, – rispose l’amico che diego aveva incontrato uscendo dal presidio.
– Lui è a
letto con la febbre,
signore. Stava già male questo pomeriggio.
E tutti i caballeros, tranne lui, ridacchiarono, perché avevano
l'idea che la febbre fosse causata da codardia.
– Suppongo abbiate già
capito perché vi abbia chiamato. – fece Zorro. – Sappiamo quanto è successo a
don
Carlos Pulido e alle
donne della sua famiglia. Sappiamo che sono innocenti di qualsiasi tradimento,
e se non
lo fossero, comunque
sono stati condotti al Carcel
e rinchiusi assieme a
comuni criminali e ubriaconi.
– Pensate a quelle
gentili signore in un ambiente del genere! Pensateci a questo, e solo perché
don Carlos
era sotto tiro del
governatore! Noi ci siamo riuniti perché non accadano più faccende del genere.
Siete ancora
con me oppure dovrò
agire da solo!
– No! Siamo con te.
Liberiamoli. – disse un caballero, e tutti gli altri ringhiarono la loro
approvazione.
Avevano la possibilità
di vivere una grande avventura e di fare una buona azione.
– Dobbiamo entrare nel
pueblo tranquillamente. – disse Zorro. – Non c'è luna, e non saremo scoperti se
useremo cautela. Noi
ci avvicineremo al Carcel da sud. Ognuno di voi avrà un suo compito
da eseguire.
– Alcuni tra di voi circonderanno
l'edificio per avvisare se si avvicina qualcuno. Altri dovranno essere pronti
a buttare fuori i
soldati, se risponderanno ad un allarme. Gli altri invece irrupperanno con me
nella prigione
per salvare i
prigionieri.
– È un ottimo piano. –
disse uno.
– forse, ma non ho
ancora finito. Don Carlos è un uomo orgoglioso e, se gli viene dato il tempo di
riflettere,
può rifiutare di
essere soccorso. Non dobbiamo permetterglielo. Quindi alcuni di noi lo
sequestreranno e lo
porteranno via. Altri
si dovranno occupare di sua moglie Dona Catalina. Della signorina mi impegno io
a
prendermi cura di lei.
Qualche obiezione, signori?
Sentì mormorare un po’,
ma nessuna rispose, e così Zorro continuò a spiegare il suo piano.
– Tutti riprenderemo
la strada verso questo luogo. – riprese poi. – A quel punto ci sparpaglieremo.
Coloro
che avranno in
custodia Dona Catalina si affretteranno a condurla alla hacienda di don
Alejandro Vega,
dove potrà restare
nascosta, se arrivassero i soldati del governatore che sicuramente esiteranno
prima di
entrare.
Coloro che avranno in
custodia don Carlos prenderanno la strada per Pala, e ad una decina di
chilometri
da questo pueblo
saranno raggiunti da due indio, miei amici, che si faranno riconoscere con il
segno della
volpe. I nativi
terranno don Carlos in carica e la cura per lui.
Quando tutto sarà
fatto, ogni cavaliere correrà a casa sua, in silenzio e da solo, raccontando
quello che gli
parà di questa storia,
ma con grande cautela. Personalmente condurrò la signorina in un posto sicuro.
L’affiderò in custodia
al vecchio frate Felipe, un uomo di cui ci si può fidare, e che, se costretto,
la
nasconderà. Poi
vedremo che cosa farà il governatore.
– Che potrebbe fare? –
chiese un caballero. – Credo proprio che darà loro la caccia.
– Dovremo attendere
ulteriori sviluppi. – disse Zorro. – Ora, siete tutti pronti?
Risposero tutti
naturalmente di sì. Poi lasciarono la piccola valle e si diressero lentamente e
con cautela
verso la cittadina entrando
da sud.
sentirono i soldati
gridare e cantare dentro la taverna, videro poche luci accese nel presidio, e
strisciarono
verso la prigione
tranquillamente, andando a due a due.
In poco tempo lo
circondarono decisamente in silenzio, poi Zorro e altri quattro smontarono dai
loro
cavalli e andarono
alla porta del carcere.
Capitolo 31: Il salvataggio
Zorro bussò alla porta
con l'elsa della sua spada. sentì un rantolo di un uomo venire dall’interno, i
suoi
passi sul pavimento di
pietra, e dopo un po’ di tempo vide della luce filtrare attraverso le fessure,
poi lo
spioncino si aprì e
apparve il volto assonnato della guardia.
– Chi è là? – chiese.
Zorro spianò la sua
pistola contro il viso della guardia attraverso lo spioncino.
– Apri, se ci tieni
alla tua vita! Apri e non fare il minimo rumore! – gli ordinò Zorro.
– Ma… ma chi siete?
– Sta parlando con te
Zorro!
– Per tutti i santi!
– Non fare cavolate e
apri, o morirai!
– Vi… vi apro, ma non
sparate signor Zorro. Sono solo una povera guardia e non un uomo che combatte!
Vi prego non sparate!
– Dai! Apri in fretta!
– Mi dia il tempo di
inserire le chiavi, signor Zorro!
Si sentì il tintinnio
delle chiavi; lo sblocco della serrattura, e la pesante porta si spalancò.
Zorro e i suoi quattro
compagni d’avventura, si precipitarono dentro e ricchiusero la porta, dietro di
loro.
La guardia si ritrovò
con la canna della pistola premuta contro la testa.
– Bravo amico! E ora
dimmi dove dorme il custode di questo buco infernale? – gli ordinò Zorro.
– In quella camera
laggiù, signore.
– E dove avete
rinchiuso don Carlos Pulido e le sue signore?
– Nella cella
maggiore, signore. – Zorro fece un cenno agli altri, attraversò la stanza, e
spalancò la porta
della camera del
carceriere. L'uomo era già seduto sul letto, dopo aver sentito il rumore
nell'altra stanza, e
lui sbatté le palpebre
per lo spavento quando vide il bandito alla luce della sua candela.
– Non fare una mossa!
– lo avvertì Zorro. – Oppure domani ti ritroverai sotto terra! Io sono Zorro.
– Che i santi mi aiutino!
– Dove sono le chiavi
delle celle?
– Su quel tavolo,
signore.
Zorro le prese poi si
girò verso il carceriere.
– Sdraiati. farabutto!
– Zorro strappò delle strisce dalla coperta e legò le mani e i piedi del
carceriere.
– Se vuoi sfuggire
alla morte, è necessario che tu rimanga esattamente come sei adesso, senza fare
rumore,
anche dopo che avrò
lasciato il Carcel.
Poi si affrettò a
tornare dai suoi compagni, e tutti insieme si aprirono la strada lungo la
maleodorante sala.
– Qual è la porta,
amico? – chiese alla guardia.
– La seconda signore.
Zorro sboccò la
serratura e spalancò la porta. Ordinò alla guardia a tenere una candela alta
sopra la sua
testa.
Un sussulto di pietà
uscì dalle labbra dell’uomo mascherato, quando vide don Carlos con la mano che
stringeva una sbarra
della grata sulla finestra, le donne accovacciate in panchina, e i miseri
relitti che
avevano come compagni
in questo luogo miserabile.
– Che il cielo perdoni
il governatore, perché io non lo farò! – gridò. Lolita alzò lo sguardo
allarmata, ma poi
lanciò un grido
felice. Don Carlos si girò alle parole del brigante.
– Zorro! – ansimò.
– Proprio io, don
Carlos. Sono venuto con alcuni amici per salvarvi.
– Non posso
permetterlo, signore. Io non fuggire da ciò che è in serbo per me. E il tuo
salvataggio non
servirebbe a niente.
Sono stato accusato, da quello che ho capito, di avervi ospitato. Se fuggirò
confermerò le
accuse.
– Non c'è tempo per
discutere. – fece Zorro. – Io non sono venuto solo qui, ma ho altri ventisei
uomini con
me. E un uomo del tuo
sangue, con le vostre gentili signore, non passarano una notte intera in questo
buco
miserabile. Caballeros!
Due dei caballeros si gettarono su don Carlos, e lo fecero
uscire, mentre altri due afferrato Dona
Catalina per le
braccia, con tutta la delicatezza di cui potevano, e così la portarono fuori.
Zorro inchinò davanti
alla ragazza amata e gli cavallerescamente tese la mano, che lei strinse
volentieri.
– Devi fidarti di me,
Lolita.
– Amare è avere
fiducia, signore.
– Ascolta! Tutto è
stato già disposto. Non farmi domande. Vieni.
Gettò un braccio
intorno a lei, e così la condusse fuori della cella, lasciando la porta aperta
alle sue spalle.
Certo, se qualcuno di
quei infelici avessero vinto la loro paura, e fossero scappati, lui non
l’avrebbe fermati.
Più della metà di
loro, erano rinchiusi a causa di pregiudizi o di ingiustizia.
Don Carlos stava
facendo un gran clamore, gridando che si rifiutava di essere soccorso, e che
sarebbe
rimasto per trovarsi
faccia a faccia con il governatore al processo, per mostragli il nobile sangue
che era in
lui. Dona Catalina,
essendo spaventata, si lamentava un po’, ma non fece resistenza.
Raggiunta l’uscita,
Zorro ordinò alla guardia di rimanere in un angolo in silenzio per un po’ di
tempo
anche dopo che se ne
erano andati. Poi uno dei caballeros
spalancò la porta
esterna.
Vi era del chiasso
fuori in quel momento. Due soldati erano venuti con un tipo che era stato
sorpreso a
rubare nella taverna,
e i caballeros di guardia fuori li avevano fermati. Uno
sguardo ai volti mascherati era
bastato ai soldati per
capire che qualcosa che non andava.
Un soldato sparò un
colpo di pistola, e un caballero risposto al fuoco, senza colpire il bersaglio.
Ma la
sparatoria fu
sufficiente per attirare l'attenzione dei soldati nella taverna, e alle guardie
del presidio.
I militari che
riposavano nel dormitorio furono svegliati immediatamente, mentre qualcuno
venne inviato
ad accertare la causa
del chiasso improvviso a quell'ora della notte. Il sergente Pedro Gonzales e
gli altri
uscirono in fretta
dalla taverna. Zorro ed i suoi compagni si trovarono di fronte ad una
resistenza quando
meno se lo
aspettarono.
Il carceriere aveva
raccolto tutto il suo coraggio, e liberatosi del bavaglio, gridò attraverso una
finestra
della sua camera che i
prigionieri erano stati salvati da Zorro. Il suo grido fu inteso dal sergente
Gonzales,
che urlò ai suoi
uomini di seguirlo, promettendo loro, al solito, una parte del premio di Sua
Eccellenza.
Ma i caballeros avevano già messo i tre prigionieri in
salvo sui loro cavalli, e si fecero strada attraverso i
militari verso la
piazza e da lì uscirono a galoppo dal pueblo.
Per fortuna nessuno fu
colpito. Don Carlos Pulido stava ancora urlando che non voleva essere soccorso.
Dona Catalina era
svenuta, cosa della quale il cavaliere che l'aveva in sella era grato, visto
che poteva così
dare più attenzione al
suo cavallo e alle armi.
Zorro cavalcava
selvaggiamente con la Lolita tra le sue braccia. Spronò Tornado davanti a tutti
gli altri, e
così si aprì la via
verso la strada maestra. E quando la raggiunse, fermò la sua cavalcatura, per
accertare,
dopo che arrivarono
tutti gli altri, se ci fossero state vittime. Al che disse…
– Bene, eseguite i
miei ordini, caballeros!
E così gli allegri
compari si divisero in tre distaccamenti. Uno corse lungo la strada della Pala con don
Carlos. Un altro prese
la via che li avrebbe portati alla fattoria del padre di Diego. Zorro,invece
cavalcò senza
che nessuno dei suoi
compagni al suo fianco, verso frate Felipe, con la ragazza amata stretta al suo
fianco
che gli sussurrava al
suo orecchio.
– Sapevo che saresti
venuto a liberarmi, signore. Sapevo che eri un vero uomo, e potevi far restare
me e i
miei genitori in quel
luogo miserabile.
Zorro non le rispose
con le parole, perché non era il momento di parlare con i suoi nemici così
vicini alle
calcagna, ma il suo si
strinse di più su di lei per farle sentire il suo calore.
Avevano raggiunto la
cima della prima collina, quando Zorro fermò Tornado per ascoltare i rumori di
eventuali inseguitori,
e per guardare le fioche luci tremolanti in lontananza.
Già. Perché c'era una
moltitudine di luci nella piazza ora, e in tutte le case, il pueblo era
completamente
sveglio. Una gran luce
illuminava il presidio e Zorro e Lolita sentirono una tromba dare l’adunata.
Ogni
soldato a disposizione
sarebbe partito alla loro caccia.
Il suono di cavalli al
galoppo venne alle loro orecchie. I soldati sapevano in quale direzione i
soccorritori
avevano viaggiato, e
la ricerca sarebbe stata rapida e inflessibile. Il governatore stesso offriva
ricompense
favolose e incitare i
suoi uomini con promesse di promozione.
Zorro rimise Tornado
al galoppo lungo la strada polverosa, Lolita si aggrappò a lui. Zorro sentiva
il vento
tagliente nella sua
faccia, lieto che la ricerca si sarebbe impantanata, visto che si avrebbe
dovuta dividere in
tre parti. Poi cavalcò
furiosamente per tutta la notte.
Capitolo 32: Caccia
spietata
Sulle colline faceva
capolino la luna.
Zorro avrebbe
desiderato che il cielo fosse coperto di nuvole quella notte, aveva gli
inseguitori alle costole
e potevano vederlo
contro il cielo chiaro.
I cavalli dei soldati
erano freschi, e la maggior parte di loro erano che degli uomini della scorta
di Sua
Eccellenza, delle
magnifiche bestie molto veloci e in grado di sostenere molte miglia di marcia
ad un ritmo
incredibile.
Ora l’uomo mascherato
aveva bisogno di tutta l’incredibile velocità di cui era dotato Tornado, se
voleva
portare a compimento
ciò che si era proposto di fare.
Raggiunta la cresta di
un'altra collina voltò lo sguardo indietro prima di iniziare la discesa a
valle. Poteva
vedere il primo dei
suoi inseguitori.
Altre volte Zorro si
era trovato in situazioni difficili da cui poi era riuscito a fuggire. Ma ora
c’era Lolita
con lui, e voleva
portarla al sicuro, non solo perché era la fanciulla che amava, ma anche perché
non era il
tipo d'uomo che
avrebbe permesso la cattura di un prigioniero fuggito dalla prigione. Doveva
far sfoggio di
tutta la sua abilità e
audacia.
Chilometro dopo
chilometro galoppò con Lolita aggrappata a lui, senza dire una sola parola.
Zorro era
consapevole che
Tornado aveva distaccato notevolmente i suoi inseguitori, ma non abbastanza per
ciò che si
era proposto.
Perciò spronò ancora
di più Tornado, il quale letteralmente volò lungo la polverosa strada
principale,
passando fattorie dove
cani allarmati abbaiavano improvvisi, passando capanne dove il clamore del
furioso
galoppo sulla strada
faceva alzar dai loro giacigli, uomini e donne dal corpo bronzeo per farli
correre alle
loro porte.
Incrociò,
disperdendole, anche un gregge di pecore che i pastori portavno al mercato di Reina de Los
Angeles e i pastori imprecarono contro di lui. Ma
il gregge fu disperso di nuovo dai soldati che correvano al
suo inseguimento.
E galoppò ancora come
un folle, fino a che non scorse, molto più avanti, gli edifici della missione
di San
Gabriel scintillare al chiaro di luna. Arrivò a un
bivio e prese il sentiero che correva a destra, verso l'hacienda
di frate Felipe.
Zorro sapeva leggere
nell’anima degli uomini, e aveva fiducia del suo giudizio. Sapeva bene che
doveva
lasciare Lolita dove
c'erano altre donne e dove c'era un francescano che la proteggesse. A proteggere
il buon
nome della sua
fanciulla avrebbe pensato lui. Per questo aveva piena fiducia in frate Felipe.
Ora Tornado galoppava
su terreno più morbido, e non procedeva più a buona velocità. Zorro non poteva
sperare che i soldati
avessero proseguito per San
Gabriele arrivati al bivio, non
con quel chiaro di luna. Era
già da un miglio
all'interno della hacienda di frate Felipe ora, e, nel tentativo di guadagnar
più tempo, incitò
Tornado ad una
maggiore velocità.
– Avremo pochissimo
tempo, Lolita! – gli sussurrò al suo orecchio. – E tutto dipenderà dal fatto
che sono
stato in grado di
giudicare onestamente un uomo. Ti chiedo di nuovo di fidarmi di me.
– Lo sai che mi fido
di te, Zorro.
– Allora dovrai dar
fiducia anche all'uomo a cui ti affiderò, Lolita, e ascolta bene i suoi
consigli su tutte le
questioni concernenti
questa avventura. Quell'uomo è un frate.
– Allora tutto andrà
bene, Zorro. – rispose lei, aggrappandosi ancora di più a lui.
– Se avremo la
benedizione dei santi, ci rivedremo presto, Lolita. Conterò le ore e ognuna di
loro mi
sembrerà un secolo.
Forse un giorno saremo felici insieme.
– Lo volesse il Cielo!
– sospirò la ragazza.
– Dove c'è amore, ci
può essere speranza.
– Allora la mia
speranza è grande, Zorro.
– Anche la mia.
Portò Tornado
direttamente sul viale d’ingresso della casa di frate Felipe. Era sua intenzione
fermarsi solo il
tempo necessario per
lasciare la ragazza, sperando che frate Felipe garantirebbe la sua protezione,
e poi
cavalcar via, facendo
un fracasso terribile per attirarsi dietro i militari. Voleva far pensar loro
che passava
sulle terre di frate
Felipe solo per prendere un a scorciatoia.
Arrivato sui gradini
d’ingresso della casa, Zorro trattene Tornado, saltò a terra, e sollevò Lolita
dalla sella,
e con lei sulle sue
braccia corse verso la porta. Batté con forza con il pugno, pregando che frate
Felipe avesse
il sonno leggero. In
lontananza già giungeva al suo udito Il rumore degli zoccoli dei cavalli suoi
inseguitori.
Per Zorro sembrò passasse
un intero secolo prima che il vecchio padre spalancasse la porta, con una
candela
in una mano. L’uomo
mascherato entrò rapidamente e chiuse la porta dietro di lui, così che la luce
non
filtrasse all’esterno.
Frate Felipe fece un passo indietro per lo stupore quando vide Zorro con una
fanciulla
abbracciata al suo
collo.
– Padre, io sono
Zorro! – disse l’uomo mascherato rapidamente e con toni bassi. – Forse ha
sentito dire che
avete un piccolo
debito nei miei confronti?
– Io ho un enorme
debito verso tutti coloro che aiutano i deboli e gli oppressi e che punisce chi
mi ha
maltrattato,
cavaliere, anche se è contro i miei principi l’uso della violenza – rispose
sorridendo frate Felipe.
– Sapevo di non
essermi sbagliato nel leggere nella vostra anima! Padre, questa fanciulla che
vi reco è
Lolita, l'unica figlia
di don Carlos Pulido.
– Lei!
– Sì! Don Carlos è un
buon amico dei frati, come sapete, e ha subito l'oppressione e la persecuzione
come
molti. Oggi il
governatore è arrivato a Reina
de Los Angeles e ha fatto arrestare
don Carlos per gettarlo poi nel
Carcel con un’accussa più che infondata. E con lui
vi erano anche sua moglie e sua figlia, tutti e tre insieme
ad ubriaconi e donne
dissolute. Poche ore fa con l'aiuto di alcuni buoni amici, li ho salvati.
– Che i santi ti
benedicano, figliolo, per quest’azione! – disse con gioia frate Felipe.
– Ma abbiamo i
militari alle costole, padre. Non è certo decoroso, che la signorina corra
ulteriori rischi. Vi
chiedo di nasconderla
e di darle protezione, sempre che il timore di tal cosa non possa causarvi problemi
gravi.
– Ragazzo, non dire
più simili sciocchezze! – tuonò frate Felipe.
– Padre! Se i soldati
la riprendessero, sarebbe rinchiusa di nuovo in prigione, e probabilmente
orribilmente
maltrattata. Vi prego
abbiate cura di lei.
– E tu che farai, figliolo?
– Mi porterò dietro i
militari. Vi farò sapere poi mie notizie, va bene padre?
– Certo! – rispose
solennemente frate Felipe. – E fatti stringere la mano, figliolo mio.
La stretta di mano fu
breve, ma piena di calore. Zorro sciolse Lolita dal suo abbraccio, che fino ad
allora era
rimasta legata al suo
collo come a volergli impedire di andar via, poi si girò verso la porta.
– Spegnete la vostra
candela, padre! Non devono vedere nessuna luce quando apro la porta.
In un attimo frate
Felipe spense la candela, e la stanza piombò nelle tenebre. Lolita sentì sulle
sue labbra il
bacio di Zorro. Il suo
cuore piombò nello sconforto quando la porta si aprì, ma subito sentì il
braccio forte
di frate Felipe darle
protezione.
– Dai tregua al tuo
cuore, figliola. Questo ragazzo, ha come molte vite come un gatto, e qualcosa
mi dice che
non è nato per essere
ucciso dai soldati di Sua Eccellenza.
Zorro rise con
leggerezza a queste parole, poi chiuse dolcemente dietro di sé la porta.
L’ombra degli grandi
alberi di eucalipto avvolgono la parte anteriore della casa nell’ombra, e sotto
l’ombra
aspettava Tornado.
Zorrò notò, mentre correva verso il cavallo, che i soldati erano al galoppo
lungo il
vialetto, che erano
molto più vicino di quanto si fosse aspettato.
Mentre correva verso
Tornado, stanco com’era, Zorro inciampò su una pietra e cadde a terra spaventando
il
suo superbo destriero.
Tornado fece una mezza dozzina di passi in avanti e finì sotto la luce della
luna piena.
Il primo degli
inseguitori urlò quando vide Tornado, e si precipitò verso di lui. Zorro si
tirò su, scattando
come una molla, prese
le redini e salì in sella.
Ma ormai erano su di
lui, e lo circondarono, le loro lame lampeggiavano al chiaro di luna. Zorro
sentì la
voce rauca del
sergente Gonzales dare ordini ai suoi uomini.
– Ci sei finalmente!
Avanti soldati! Sua Eccellenza stessa punirà la canaglia per i suoi crimini.
Sotto, soldati!
Per tutti i santi!
Zorro parò un colpo
con difficoltà e si trovò disarcionato. Ormai a piedi lottò con i soldati per
tornare
nell'ombra. E si
ritrovò con la schiena sul tronco di un albero.
Tre scesero di sella
per correre contro di lui. Zorro cercò di passare da una pianta all'altra, per
cercare di
raggiungere Tornado,
ma senza riuscirci. La stanchezza pesava ma non era ancora domato. Vide infatti
un
cavallo privo del suo
soldato, e gli montò in sella e galoppò giù per il pendio verso il recinto e i
fienili.
– Dietro a quel ladro!
– urlò il sergente Gonzales. – Oppure Sua Eccellenza ci farà scorticare vivi se
questo
brigante ci sfugge!
Gonzales era troppo
desideroso di vincere la promozione e la ricompensa, e in fondo la sentiva già
in tasca
sua. Ma Zorro stava
per giocargli un bel trucco. Dopo essere finito sotto l'ombra proiettata da un
grande
fienile, scivolò di
sella, e allo stesso tempo fece al cavallo, un taglio con la sua lama che non
aveva ancora
rimesso nel fodero. Il
povero animale fece un sorprendente balzo in avanti, sbuffando per il dolore e
lo
spavento, e i soldati
si portarono subito al suo inseguimento.
Zorro aspettò fino a
quando furono tutti passati e poi corse rapidamente di nuovo su per la collina.
Ma
vide che alcuni dei
soldati era rimasto a guardia della casa, evidentemente con l'intenzione di
cercarlo lì in
un secondo momento, e
così scoprì che non poteva raggiungere il suo cavallo.
E ancora una volta
risuonò quel particolare urlo, metà grido e metà gemito, con il quale Zorro
aveva
spaventato tutti alla hacienda di don Carlos Pulido. Tornado alzò la
testa, nitrì una volta in risposta alla sua
chiamata, e passò al
galoppo verso di lui.
Zorro tornò in sella
in un istante, buttandosi attraverso un campo direttamente di fronte a lui.
Tornado
balzò oltre un recinto
di pietra, con un salto perfetto. E poi Zorro si ritrovò di nuovo il fiato dei
soldati sul
collo.
Avevano scoperto il
trucco che aveva usato. Si erano quindi divisi per coprire il muro di pietra da
entrambi i
lati. Sentiva il
sergente Pedro Gonzáles gridare a squarciagola ai suoi uomini di catturarlo in
nome del
governatore.
Sperava di aver
distolto tutti i soldati dalla casa di frate Felipe, ma non poteva esserne
sicuro, e la cosa era,
ora più che mai, di
fondamentale importanza.
Esorto crudelmente
Tornado a correre attraverso una terra arata, il cui percorso toglieva forze al
suo
povero cavallo.
Cercava una pista dura, dalla strada larga.
E finalmente la trovò.
Ora girò la testa di Tornado verso Reina de Los Angeles, perché aveva ancora del
lavoro da fare lì.
Tornado non aveva più Lolita in sella insieme a Zorro, e sentiva piacevolmente
la
differenza.
Zorro si guardò
indietro e esultò nel vedere che era ormai sfuggito ai soldati.
Ma vi era ancora da
superare una collina per essere al sicuro e doveva stare in guardia,
naturalmente,
perché ci potrebbero
essere altri soldati di fronte a lui. Sua Eccellenza potrebbe aver inviato
altri rinforzi al
sergente Gonzales, o
aver messo di guardia degli uomini sulle cime delle colline.
Guardò il cielo e vide
che la luna era sul punto di scomparire dietro un banco di nubi. Sapeva che
avrebbe
dovuto utilizzare il
breve periodo di oscurità, per avere buona sicurezza.
Si buttò giù nella
piccola valle e si guardò indietro per scoprire che i suoi inseguitori erano
ancora solo
sulla cresta della
collina. Poi venne il buio, e fu al momento giusto. Zorro aveva un vantaggio di
mezzo
miglio sui soldati che
lo inseguivano ora, ma non era sua intenzione di permettere loro di inseguirlo
fino al
pueblo.
Aveva degli amici in
quella località. Ai bordi della carreggiata vi era una capanna, dove viveva un
nativo
che Zorro aveva
salvato da un pestaggio. Smontò rapidamente davanti alla capanna e bussò
furiosamente
contro la porta. Il
nativo spaventato aprì e si trovò con sollievo di fronte Zorro.
– Sono inseguito,
amico mio!
Era tutto ciò che
doveva sapere l’indio. Spalancò la sua porta e vi fece entrare l’uomo
mascherato con
Tornado che quasi
riempì la piccola capanna, chiudendo poi la porta frettolosamente.
Poi i due uomini
rimasero in ascolto, Zorro con pistola in una mano e la lama nuda nell'altra.
Capitolo 33: col fiato
in gola
Il fatto che
l’inseguimento di Zorro e dei Caballeros fosse
stato così sollecito era dovuto alla ostinazione del
sergente Pedro
Gonzales.
Gonzales aveva sentito
gli spari e si era precipitato fuori dalla taverna con altri soldati alle
calcagna, felice
di avere una scusa per
scappare senza pagare il vino che aveva ordinato. Aveva sentito il grido del
carceriere, e subito
aveva capito la situazione.
– Zorro sta facendo
fuggire i prigionieri! – strillò. – A cavallo, soldati, all’inseguimento!
Ricordatevi della
ricompensa.
Tutti i soldati
sapevano tutto sulla ricompensa, in particolare i membri della guardia del
corpo del
governatore, che
avevano sentito sua eccellenza promettere il grado di capitano a quel soldato
che lo avrebbe
catturato e portato la
sua carcassa.
Si erano precipitarono
ai loro cavalli, buttandosi in sella, e si precipitarono verso il Carcel con il sergente
Gonzales alla loro
testa.
E lì videro il gruppo
dei caballeros mascherati attraversare al galoppo tutta la
piazza, tanto che il sergente
Gonzales si stropicciò
gli occhi con il dorso di una mano giurando a se stesso di aver bevuto troppo.
Quante
volte aveva mentito su
un gruppo di uomini alle spalle di Zorro, ed ora vedeva materializzare davanti
a sé la
sua bugia.
Quando i caballeros si divisero in tre distaccamenti, il
sergente Gonzales e suoi soldati erano già alle loro
costole così poterono
osservare la manovra. Allora Gonzales dividesse rapidamente in tre gruppi i
suoi soldati,
e inviò una truppa
dietro ogni banda.
Vide il leader dei caballeros dirigersi verso San Gabriele, lo riconobbe proprio grazie a Tornado, un
cavallo
simile non poteva
certo confondersi tra gli altri, e con il cuore esultante, ordinò di catturare
o di uccidere
quel maledetto
brigante piuttosto che di riprendere i prigionieri liberati. Il sergente Pedro
Gonzales non
aveva certo
dimenticato il brutto tiro che Zorro gli aveva fatto nella taverna e voleva
vendetta.
Aveva anche visto come
correva sempre Tornado, e si chiedeva perché non riuscisse ad aumentare la
distanza tra sé e gli inseguitori.
E finalmente anche nel cervello addormentato del sergente Gonzales si fece
strada il motivo.
Zorro aveva con sé la signorina Lolita Pulido.
Gonzales era in testa,
e ogni tanto girava la testa per urlare ordini e incoraggiamenti ai suoi
soldati. Le
miglia volava sotto di
loro, e Gonzales era felice perché riusciva a mantenere Zorro in vista.
– Ma certo! Da andando
da padre Felipe! – disse fra sé Gonzales. – Sapevo che quel vecchio frate era
in
combutta con il
bandito! In qualche modo mi ha ingannato quando cercai Zorro alla sua hacienda.
Ah! Per
tutti i santi, non mi
ingannerà di nuovo!
I loro cavalli avevano
cominciando a mostrare già una certa stanchezza, ma non li risparmiarono.
Quando Gonzales vide
Zorro imboccare la strada privata che portava alla casa di frate Felipe,
ridacchiò
basso in gola perché
aveva visto giusto.
Ora il brigante era
nelle sue mani! Se Zorro continuava a galoppare, avrebbe potuto essere visto e
seguito
sotto il chiaro di
luna, se invece si fermava, non poteva sperare di affrontare con successo una
decina di
soldati con Gonzales
alla loro testa.
Corsero fino alla
parte anteriore della casa e ha iniziato a circondarla. Avevano visto Tornado.
E poi hanno
visto lo stesso Zorro,
e Gonzales maledì il fatto che una mezza dozzina di soldati fossero tra lui e
la sua
preda, minacciando di
terminare il lavoro prima che Gonzales avrebbe potrebbe raggiungere la scena.
Cercò di forzare il
suo cavallo per partecipare alla lotta mortale che Zorro conduceva, vide la sua
fuga a
cavallo e i suoi
soldati che lo inseguivano. Gonzales, ancora troppo lontano, ubbidì al suo
dovere, ed ordinò
ad alcuni dei suoi
soldati di circondare la casa in modo che nessuno potesse andarsene.
Poi vide Zorro saltare
la recinzione in pietra, e iniziò a inseguirlo con i suoi soldati dietro,
tranne
naturalmente le
guardie attorno alla casa. Ma il sergente Gonzales non andò oltre la cresta
della prima
collina. Si accorse
subito che non poteva più recuperare Tornado. Forse il sergente poteva
guadagnare un po’
di gloria se fosse
tornato alla casa di frate Felipe e rianquantare la signorina.
La casa era ancora
sorvegliata quando smontato da cavallo, e i suoi uomini gli riferirono che
nessuno aveva
tentato di lasciare
l'edificio. Chiamò due dei suoi uomini al suo fianco e bussò alla porta. Quasi
subito frate
Felipe.
– Sei caduto dal
letto, frate? – chiese Gonzales.
– Perché, è forse una
notte in cui gli uomini onesti possano riposare? – chiese frate Felipe chiese a
sua volta.
– Parrebbe di no,
frate, visto che siamo qui. Non abbiamo fatto abbastanza rumore da svegliarti?
– Ho sentito rumori di
lotta.
– E devi aver sentito
di più, frate. Vedi di rispondere bene alle mie domande, altrimenti sentirai la
puntura
di una frusta di
nuovo. Non negare che Zorro è stato qui?
– Non lo farò.
– Muy bien! Ora.
Ammetti, allora, che sei in combutta con quel brigante, anzi che lo hai finora
protetto? Lo
ammetti frate?
– Ma non ammetto
niente del genere. – rispose con forza frate Felipe. – Non ho mai visto questo
Signor
Zorro, fino a
pochissimi minuti fa.
– Dillo a quei stupidi
indigeni, ma non cercare di far fesso a un poliziotto saggio, frate. Che cosa
ti ha
chiesto Zorro?
– Bà! Gli eri così
vicino a quell'uomo, sergente, che non aveva certo il tempo di chiedermi chissà
che.
– Eppure avrai scambiato
qualche parola con lui?
– Ho aperto la porta
al suo bussare, sergente, come ho fatto con voi a vostra volta.
– Che ti ha detto?
– Che i soldati lo
stavano inseguendo.
– E ti chiese che
nasconderlo, in modo da poter sfuggire alla cattura?
– No. Non lo fece.
– Cercava un cavallo
fresco, vero?
– No sergente. Se
fosse un ladro come lo si dipinge, senza dubbio avrebbe semplicemente preso un
cavallo
senza chiederlo, senza
chiederlo.
– Ah! Basta! Che
voleva chiedervi, allora? Sarebbe bene per voi rispondere, frate.
– Voleva un favore da
me?
– Ah! Per tutti i
santi.
– Non nominare troppo
volte i santi , signor mio, non con la tua bocca da millantatore e ubriacone!
– Vuoi ricevere
un’altra dose di frustate, frate? Sono qui per eseguire gli ordini di Sua Eccellenza.
Non mi
dare ulteriore
ritardo! Che cosa ti ha chiesto quel dannato brigante?
– Nulla che io sia
libero di ripetervi, signore!
Il sergente Gonzales
lo spinse da parte ed entrò nella sala, con i suoi due soldati alle calcagna.
– Luce! Voglio della
luce! – Gonzales ordinò ai suoi uomini. – Prendete delle candele, e frugate
questa casa
da cima a fondo.
– Cosa cercate nella
mia povera casa? Che cosa vi aspettate di trovare?
– Mi aspetto di
trovare la bella mercanzia che Zorro ti ha lasciato, frate.
– E cosa immagini che
sia?
– Ah! Un bel pacchetto
di abbigliamento, suppongo! Un fascio di bottino! Una bottiglia di vino! Una
sella
da riparare! Qualcosa
ti abbia lasciato quando il tuo compare ti ha lasciato, frate? Vedi, mi ha
colpito una
cosa di Zorro. Il suo
cavallo aveva un carico doppio, quando arrivò qui. Ma non aveva nessuno quando
se ne
andò.
– E allora cosa volete
trovare?
– L'altra metà del
carico del cavallo. – rispose Gonzales. – Non riuscendo a trovarlo, potremo
dare una
torsione o due del tuo
braccio per vedere se vuoi parlare.
– Osereste?
Scendereste a un tale livello di bassezza? Torturereste un uomo?
– Roba da polenta e
latte di capra! – disse il sergente Gonzales. – Mi hai ingannato già una volta,
ma non
mi ingannerai di
nuovo. Frugate in casa, soldati, e cercate bene. Rimarrò in questa stanza e
continuerò a
discutere con questo
divertente frate. Cercherò di capire ciò che provava mentre veniva frustato per
truffa.
– Vigliacco e bruto! –
tuonò frate Felipe. – Ci sarà un giorno in cui cesserà la persecuzione.
– Roba da polenta e
latte di capra!
– Quando finiranno
tutti questi oltraggi e quando gli uomini onesti non dovranno pagare più tutte
queste
tasse ingiuste!
Quand’è che coloro che hanno fondato un ricco impero con i frutti del loro
lavoro, non
saranno più derubati
da politici disonesti e dai loro lacchè!
– Roba da polenta e
latte di capra, frate!
– Quando ci saranno
mille e più Zorro, che corrano su e giù per El Camino Real a punire chi fa del
male?! A
volte vorrei non
essere un frate, in modo da poter riparare io stesso alle ingiustizie!
– Perché no? Così
potremo allungare una corda con il vostro peso. – gli disse il sergente
Gonzales. – Se
aiutassi di più i
soldati Sua Eccellenza, forse Sua Eccellenza ti tratterebbe con maggiore
considerazione.
– Io non aiuterò a
deporre le uova del diavolo! – rispose padre Felipe.
– Ah! Ora sta
crescendo la tua rabbia e questo è contro i vostri principi. Non è forse dovere
di chi indossa
l’abito da frate
ricevere ciò che incontra sulla sua strada e rendere grazie per questo, non
importa quanto si
sia pesante per lui?
Rispondimi, su frate.
– Hai più conoscenza
di come si guida un cavallo che dei principi e dei doveri di un francescano.
– Io monto un cavallo
saggio, un nobile animale. Arriva quando lo chiamo e galoppa quando glielo
comando. Non lo
deridono fino a che non lo batto. Ah! Una burla eccellente, credetemi.
– Imbecille!
– Roba da polenta e
latte di capra!
Capitolo 34: Il sangue
dei Pulido
I due soldati
rientrarono nella stanza. Avevano perquisito per bene, frugando in ogni angolo,
e non
avevano trovato
traccia di nessun’altra persona se non degli indigeni che aiutavano Padre
Felipe. Questi
erano terrorizzati dai
soldati, ma dissero di non aver visto nessuno entrare nella Hacienda.
– Ah! Sai nascondere bene
le cose, devo ammetterlo! – disse Gonzales. – Frate, che cosa c’è in un
quell’angolo della
stanza?
– Balle di pelli. –
rispose frate Felipe.
– Il commerciante di
San Gabriele deve avere proprio ragione quando vi ha accusato che non le curate
adeguatamente.
– Io le pelli le tengo
bene.
– Allora perché si
muovono? – chiese il sergente Gonzales. – Tre volte le ho viste muoversi.
Soldati, cercare
lì.
Frate Felipe balzò in
piedi.
– Basta con queste
sciocchezze! – gridò. – Avete cercato in casa e non avete trovato nulla.
Cercate pure nei
fienili e poi
andatevene! Almeno lasciatemi essere padrone in casa mia. Hai disturbato il mio
riposo già
abbastanza.
– Dammi la tua solenne
parola, frate, che non c'è niente e nessuno dietro quelle balle di pelli! –
Frate Felipe
esitò e questo fece
sorridere il sergente Gonzales come un gatto davanti a un topo in trappola. –
Non sei
ancora pronto a
mentire, eh? – chiese il sergente. – Infatti stai esitando, cara la mia tonaca
da francescano.
Soldati, ricercate tra
le balle.
I due uomini si
avviarono verso l'angolo. Ma non avevano coperto metà della distanza quando la
signorina Lolita
Pulido si alzò in piedi da dietro le balle di pelli e si mise di fronte a loro.
– Ah! finalmente!
piagnucolò con gioia Gonzales. – Eccolo il pacchettino che Zorro ha lasciato
nella
tenuta del frate. Ed è
un gran bel pacchettino! Ma ora tornerà al suo posto nel Carcel, dopo questa inutile
fuga!
Ma vi era del sangue
caldo nelle vene della signorina Pulido, del quale Gonzales con sua gran
sorpresa non
aveva tenuto conto.
Difatti la ragazza si rizzò in piedi sopra il mucchio di pelli, in modo che la
luce delle
candele la colpisce in
pieno.
– Un momento, signori.
La sua mano dalla
candita pelle venne fuori da dietro la schiena, impugnando un lungo coltello
acuto in
genere utilizzato per
scuoiare le pecore. Mise la punta del coltello sul petto, e li sfidò con il suo
coraggio.
– La signorina Lolita
Pulido non rivedrà il carcere, né ora, né in qualsiasi altro momento, signori.
– ha
detto. – Piuttosto si
tufferà questo coltello nel cuore, per morire come dovrebbe una donna di sangue
nobile. Se sua
Eccellenza vorrà un prigioniero morto, lo avrà.
Il sergente Gonzales
emise un'esclamazione di fastidio. Non aveva alcun dubbio sul fatto che la
signorina
avrebbe fatto ciò che
minacciava, se i suoi uomini avessero fatto un qualsiasi tentativo di
afferrarla. La
ragazza non era certo
un prigioniero comune e il governatore avrebbe potuto pure infuriarsi se avesse
dato
quell’ordine. Dopo
tutto, la signorina Pulido era pur sempre la figlia di un nobile, e il suo
suicidio avrebbe
dato sgradevoli
problemi per sua Eccellenza. Potrebbe rivelarsi la scintilla per la polveriera.
– Signorina, la invito
a riflettere. Se mette così a rischio la sua vita rischia la dannazione eterna
– fece
Gonzales. – Chiedete a
questo frate, se non è così. Siete solo agli arresti, non colpevole e
condannata. Se siete
innocente, senza
dubbio presto sarete messa in libertà.
– Non c’è tempo per le
menzogne, signore. – rispose Lolita. – Mi rendo conto delle circostanze fin
troppo
bene! ho detto che non
tornerò in carcere e così sarà. Un passo verso di me, e affonderò il coltello
nel petto.
– Figliola…! – provò
frate Felipe a parlarle.
– È inutile che
cerchiate di fermarmi, mio buon padre. – lo interruppe lei. – Il mio orgoglio
non mi ha
lasciato, grazie ai
santi. E sua Eccellenza avrà solo il mio cadavere, giuro!
– Ecco un bel
pasticcio. – esclamò il sergente Gonzales. – Credo che non possiamo far altro
che ritirarci e
lasciare la signorina
alla sua libertà.
– Ah, no, signore! –
gridò in fretta. – Sei intelligente, ma non abbastanza furbo. Credi che non
abbia capito
che se tu te ne
andresti, non lasceresti degli uomini di guardia intorno alla casa, in attesa
di un’occasione
favorevole per potermi
catturare?
Gonzales ringhiò bassa
in gola, perché questa era la sua intenzione, e la ragazza, più furba di lui,
l’aveva
capito.
– Ed ora camminate
all'indietro, schiena contro il muro, signori. Fatelo subito, altrimenti mi
tuffo questo
coltello nel mio seno.
Non potevano fare
altro che obbedire. I soldati guardarono al sergente per avere istruzioni, e il
sergente
aveva paura che si
sarebbe suicidata davvero, sapendo che poi l'ira del governatore sarebbe
piombata sulla
sua testa.
Forse, dopo tutto,
sarebbe meglio lasciar la ragazza in casa. Poteva catturarla in seguito, perché
sicuramente una
ragazza non poteva sfuggire ai suoi soldati.
Lei li osservava da
vicino mentre attraversava la stanza fino alla porta. Il coltello era ancora
tenuta sul
seno.
– Padre, venga con me,
– disse Lolita – Se rimanete sarete punito.
– Io deve rimanere,
figliola. Non posso scappare. che i santi ti proteggano. Vai!
La ragazza affrontò
ancora Gonzales e i suoi soldati.
– Esco da questa porta
– fece Lolita. – Voi rimanete in questa stanza. Ci sono dei soldati al di
fuori, certo, e
cercheranno di
fermarmi. Io dirò loro che ho il permesso di andarsene. Se vi chiamano e vi
chiedono
istruzioni, tu dovrai
dire che ho il tuo permesso.
– E se non lo faccio?
– Lo sai! Affonderò il
coltello!
Lolita aprì la porta,
girò la testa per un istante e guardò fuori.
– Confido che il
vostro cavallo sia eccellente, signore, perché intendo usarlo. Disse al
sergente.
Poi si precipitò
improvvisamente attraverso la porta, e la sbatté chiusa dietro di lei.
– Dietro di lei! –
piagnucolò Gonzales. – Gli ho guardato negli occhi! Non userà il coltello, ha
troppa
paura!
Gonzales si lanciò
attraverso la stanza, i due soldati con lui. Ma frate Felipe era stato fermo
troppo a lungo.
Entrò in azione ora,
senza nemmeno riflettere. Buttò fuori una gamba, e fece un bel sgambetto al
sergente
Gonzales. I due
soldati si schiantarono contro di lui, e tutti e tre andarono a terra in un
comico groviglio.
Il buon padre con
questa semplice mossa aveva fatto guadagnato un certo tempo alla ragazza, ed
era stato
sufficiente. Lolita si
era precipitata sul cavallo ed era saltata in sella. Avrebbe potuto cavalcare
come un
nativo. I suoi piedini
non raggiungevano nemmeno la metà delle staffe del sergente, ma non importava.
Ruotò la testa del
cavallo, lo prese a calci lungo i fianchi mentre un soldato si precipitava
dietro l'angolo
della casa. Una palla
di pistola passò fischiando sopra la sua testa. Si chinò bassa sul collo del
cavallo e lo
spronò alla fuga.
Ora, esclamando
maledizioni, il sergente Gonzales spuntò sulla veranda, gridando ai suoi uomini
di
arrivare a cavallo e
seguirla. La luna era finita di nuovo dietro un banco di nubi. Non potevano
dire quale
direzione stava
prendendo la signorina se non, forse, ascoltando i suoni degli zoccoli del cavallo.
Ma ormai
avevano perso troppo
tempo.
Capitolo 35: Un nuovo scontro di lame.
Zorro era fermo come
una statua nella capanna del nativo, mentre con una mano teneva il muso del
cavallo. Il nativo era
al suo fianco.
Dalla strada
sopraggiunse il furioso rumore degli zoccoli dei cavalli. Poi arrivò alle loro
orecchie il rumore
dell'inseguimento
spezzato dalle urla degli uomini che maledivano, gli uni agli altri, tutto quel
buio, mentre
si precipitarono giù
per la valle.
Zorro aprì la porta e
guardò fuori, ascoltò per un attimo, e poi portò fuori il suo cavallo. Volle
offrire al
nativo una moneta.
– Non da voi, signore.
– disse il nativo.
– No! Prendilo. Tu ne
hai bisogno, amico mio.
Si voltò in sella e
girò Tornado verso il ripido pendio della collina dietro la capanna. Il cavallo
fece del
rumore salendo fino
alla vetta. Zorro discese poi nella depressione dal lato opposto, ed arrivò ad
uno stretto
sentiero, e lungo
questo guidò al galoppo lento, fermando la sua cavalcatura di tanto in tanto
per ascoltare i
suoni di eventuali
cavalieri.
Cavalcò verso Reina de
Los Angeles, ma lui sembrava non aver fretta di arrivare al pueblo. Zorro aveva
un'altra idea in
testa, e doveva essere realizzata nel momento adatto e in determinate
condizioni.
Erano passate due ore
quando arrivò sulla cresta della collina sopra la città: rimase seduto
tranquillamente
in sella per qualche
tempo, a rimirare la scena. La luce della luna era incostante, ma di tanto in
tanto poteva
vedere la piazza.
Non vide soldati, che
dovevano essere ancora alla sua caccia, ho a quella di don Carlos e di Dona
Catalina.
Vi erano le luci nella
taverna, nel presidio e nella casa dove sua Eccellenza era ospite.
Zorro aspettò fino a
quando fu buio completo e poi spinse il cavallo in avanti lentamente, ma fuori
della
strada principale.
Girò il pueblo, e si avvicinò piano al presidio dal retro.
Scese da Tornado e
tenendolo per le briglie, si fece avanti lentamente, fermandosi spesso ad
ascoltare. Non
poteva permettersi
nessun errore per realizzare la sua idea.
Poi fermò il suo amico
a quattro zampe dietro il presidio dove la parete del palazzo getterebbe
un'ombra se
la luna sarebbe venuta
fuori dalle nubi, e andò avanti con cautela, seguendo il muro come aveva fatto
altre
volte in quella notte.
Quando arrivò alla
finestra dell'ufficio, sbirciò dentro. Il capitano Ramon era lì da solo,
guardando alcune
segnalazioni sparse
sul tavolo davanti a lui, evidentemente in attesa del ritorno dei suoi uomini.
Zorro strisciò verso
l'angolo del palazzo e appurò così l'assenza della guardia. Aveva intuito e
sperato che
il comandante aveva
mandato tutti gli uomini a disposizione in caccia, ma sapeva bene che, per
attuare la
sua idea, avrebbe
dovuto agire in fretta, prima del ritorno di qualcuno dei soldati.
Scivolò attraverso la
porta e attraversò il grande dormitorio, e così giunse alla porta dell'ufficio.
La pistola
era nella sua mano, e
se qualcuno avrebbe potuto vedere i suoi occhi dietro la maschera, avrebbe
visto la sua
determinazione.
Come nell’altra sera,
il capitano Ramon si girò sulla sedia quando sentì la porta aprirsi alle sue
spalle, e
ancora una volta vide
gli occhi di Zorro scintillante attraverso la sua maschera, e al di sotto di
essi la canna
minacciosa della
pistola spianata su di lui.
– Non fare una mossa e
non emettete nessun suono. Ricorda! Ho troppo voglia di riempirti con del
piombo caldo. – gli
disse Zorro. – Tu sei solo, i tuoi sciocchi soldati stanno inseguendo un
fantasma.
– Per tutti i santi! –
fece il capitano Ramon.
– Ho detto che non
devi emettere nemmeno un sussurro, capitano, se speri di vivere ancora. Volta
le
spalle!
– Vuoi commettere un
omicidio?
– Mi chiamate
brigante, bandito e altro ancora, ma non sono un vile assassino. E non lo
ripeterò più: non
emettete più alcun
suono. Mettete le mani dietro la schiena, sto per legare i polsi.
Il capitano Ramon
ubbidì. Zorro lo fece venire avanti rapidamente, e gli legò i polsi con la sua
cintura, che
gli strappò dalla sua
vita. Poi girò Ramon per restare faccia a faccia.
– Dove è sua
Eccellenza?
– A casa di Don
Giovanni Estados.
– Vedremo se stasera
si preferirà dire la verità. E per far questo chiameremo il governatore.
– Per chiamare…
– A sua Eccellenza, ho
detto. E ora silenzio. Vieni con me.
Zorro afferrò il
capitano Ramon per un braccio e si affrettò ad uscire dall'ufficio con lui,
attraversò il
dormitorio, e furono
fuori dalla porta. Poi arrivarono dove Tornado era in attesa.
– Monta! – ordinò il
giustiziere mascherato. – Io mi siederò dietro di te, con il muso di questa
pistola alla
base del tuo cervello.
Non commettere errori, comandante, a meno che tu non sia stanco di vivere. Sono
troppo risoluto,
questa notte. – Ramon fece come gli era stato ordinato. Montò e con lui Zorro
con le redini in
una mano e la pistola
nell'altra.
Ramon sentiva bene il
tocco del freddo acciaio dietro la sua testa.
Zorro guidò il suo
cavallo con le ginocchia invece che con le redini. Esortò Tornado ad andare giù
per il
pendio e girò nella
città ancora una volta, tenendosi lontano dai sentieri battuti, per arrivare
infine nel retro
della casa dove la sua
eccellenza era ospite.
Ecco la parte
difficile della sua idea. Voleva portare il capitano Ramon davanti al
governatore, voleva
parlare con entrambi,
e farlo senza avere nessun altro interferire. Costrinse il capitano a scendere,
e lo
condusse alla parete
posteriore della casa, dov’era un patio ed entrarono.
Zorro sembrava
conoscere bene l'interno della casa. Entrò nella stanza di un servo, sempre con
il capitano
Ramon, e passarono nel
corridoio senza risvegliare il nativo. Andarono lungo il corridoio lentamente.
Da
una stanza veniva un
sonoro russare. Da sotto un’altra porta filtrava della luce in trasparenza.
Zorro si fermò davanti
a quella porta e mise un occhio a una crepa al lato di essa. Se il capitano
Ramon
nutriva pensieri di
dar allarme, o di offrire battaglia, il tocco della pistola alla nuca glielo
impediva.
E non ebbe nemmeno il
tempo di pensare a una via d'uscita da questa situazione, perché
improvvisamente
Zorro spalancò la
porta, lanciato il capitano Ramon attraverso essa, per entrare poi lui stesso,
e chiudersi poi
la porta dietro. Nella
stanza vi erano Sua Eccellenza e i suoi uomini.
– Fate silenzio, e non
muovetevi. – fece Zorro. – Un minimo allarme, e pianto una palla di pistola
nella
testa del governatore.
capito? Molto bene, signori.
– Zorro! – il
governatore rimase a bocca aperta.
– Io stesso,
eccellenza. Vi chiedo di non aver paura, perché io non intendo farvi nulla di
male. Capitano
Ramon, vi prego, sedetevi
al tavolo del governatore. Sono lieto di trovare il nostro capo di stato
sveglio e in
attesa di notizie da
coloro che mi stanno inseguendo. A cervello sveglio potrà comprendere meglio
ciò che
sarà detto.
– Cosa significa
questo oltraggio? – esclamò il governatore.
– Capitano Ramon, tu
sei un ufficiale! Come avete permesso che avvenisse tutto ciò?
– Non incolpare il
comandante. – fece Zorro. – Lui sa che è morto se fa un solo gesto. C'è una
piccola
questione da chiarire,
e dato che non posso venire da voi in pieno giorno come qualsiasi altro uomo,
sono
costretto ad adottare
questo metodo. Mettetevi comodi, signori. Questo può richiedere un po’ di
tempo.
Sua Eccellenza si
agitava sulla sedia.
– Eccellenza oggi
avete insultato una famiglia di buon sangue. Avete dimenticato la loro nobiltà
al punto
tale che avete
ordinato di gettarli nella più miserabile cella del Carcel, dimenticando che
erano un hidalgo e
la sua dolce moglie e
la figlia innocente. Come giustificate un simile oltraggio?
– Sono dei traditori!
– disse sua Eccellenza.
– Cosa hanno fatto per
esser accusati di tradimento?
– Tu sei un fuorilegge
con una taglia sul tuo capo. Essi si sono resi colpevoli di ospitarvi, di darvi
aiuto.
– Dove avete ottenuto
queste informazioni?
– Il capitano Ramon mi
ha dato prove in abbondanza.
– Ah! Il comandante,
eh? Vediamo! Il capitano Ramon è presente, e possiamo arrivare alla verità.
Posso
chiedere la natura
della vostra prova?
– Eravate alla
hacienda Pulido. – disse il governatore.
– Lo ammetto.
– Un nativo diede
l’allarme al presidio. I soldati si affrettarono a uscire per effettuare la tua
cattura.
– Un momento. Chi ha
detto che un nativo lanciato l'allarme?
– Il capitano Ramon mi
ha assicurato così.
– Ecco la prima
occasione per il capitano di dire la verità. È vero, comandante, che fu don
Carlos Pulido
stesso ad inviarvi il
nativo? La verità!
– L’allarme è stato
dato da un nativo. – fece Ramon.
– E non avete detto al
vostro sergente che fu don Carlos ad averlo mandato? Non gli avete detto che
don
Carlos gli aveva dato
le informazioni a bassa voce mentre stava portando sua moglie svenuta nella sua
stanza? Non è forse
vero che Don Carlos fece del suo meglio per trattenermi alla sua hacienda fino
a quando
arrivarono i soldati,
che avrebbero dovuto catturarmi? Don Carlos non ha dunque cercare di mostrare
la sua
fedeltà al
governatore?
– Per tutti i santi,
Ramon, non mi hai mai detto tutto! – piagnucolò, da vero serpente che era, il
governatore.
– Sono dei traditori –
dichiarò ostinatamente Ramon.
– Quali sono le prove?
– chiese Zorro.
– Perché, quando
arrivarono i soldati, con un trucco vi siete nascosto in un armadio. – disse il
governatore.
– E sopraggiunto sulla
scena il capitano Ramon, siete sbucato fuori e a tradimento lo avete colpito
alle spalle
prima di prendere la
fuga. Era più che evidente che fu don Carlos a nascondervi nell’armadio.
– Per l’Inferno! –
esclamò Zorro. – l’avevo capito, Ramon, che non eri abbastanza uomo per
ammettere la
sconfitta, pur essendo
un mascalzone in altre cose. Ed ora dì la verità!
– Questa è la verità.
– Dì la verità! –
comandò Zorro, spostando la canna della pistola dalla schiena alla tempia del
capitano. –
Che sono uscito dallo
stanzino e ho parlato con voi, dandoti il tempo di sguainare la spada e di
metterti in
guardi, e che abbiamo
duellato per ben dieci minuti. Allora?
– Ammetto liberamente
da parte mia che per un attimo mi hai lasciato perplesso, e poi ti ho lasciato
dar
battaglia alla tua
maniera perché ti sapevo alla mia mercé. Avrei potuto facilmente ucciderti, ma
ti ho fatto
un semplice graffio
alla spalla. Non è questa la verità? rispondi, se vuoi sperare di vivere
ancora!
Il capitano Ramon si
leccò le labbra secche, non riuscendo a sostenere lo sguardo del governatore.
– Rispondi! – tuonò
Zorro.
– È la verità! –
riconobbe il capitano.
– Ah! Così ti avevo
colpito alle spalle, eh? È un insulto per la mia lama di averla bagnata col tuo
sangue.
Vede, eccellenza, che
razza di uomo che avete qui di comandante. Avete bisogno di altre prove?
– Sì! – fece con una
voce irritante il governatore. – Quando i Pulido sono stati ospiti in casa di
don Diego
Vega, e don Diego era
assente, il capitano Ramon andò a far la corte alla signorina Lolita e si
trovava lì solo
con la loro figlia.
– E che proverebbe
questo?
– Che tu sei in
combutta con i Pulido. Che ti hanno ospitato anche in casa di don Diego, un
uomo leale. E
quando il capitano ti
scoprì lì, la signorina si gettò su di lui per trattenerlo, fin quando non sei
riuscito a
fuggire da una
finestra. Non è abbastanza?
Zorro si piegò in
avanti, e i suoi occhi castani sembravano bruciare attraverso la maschera
fissando quelli
del capitano Ramon.
– Bel raccontino
davvero! – fece il brigante. – È risaputo anche da voi Eccellenza, che il
capitano Ramon è
innamorato della
signorina Pulido. Quella sera andò a casa di Vega, dove la costrinse a subire
le sue
attenzioni
avvertendola che non doveva opporsi con un padre così in disgrazia con il
governatore. Fu a quel
punto che chiese aiuto
e io dovetti rispondere.
– Per quale motivo ti
trovavi lì?
– Non posso rispondere
a questa domanda, ma vi do il mio giuramento che la signorina non sapeva della
mia presenza. Ha
chiesto aiuto, e io ho risposto come ogni buon gentiluomo deve fare. dopo aver
visto cosa
stava facendo ho
costretto questa cosa che si chiama comandante ad inginocchiarsi davanti a lei
e chiedergli
scusa. E poi l’ho
portato alla porta e lo buttato fuori di casa a calci nel sedere facendolo
finire nella polvere!
Subito dopo gli ho
fatto visita al presidio per fargli capire che non doveva insultare così una
signorina.
– Sembrerebbe che tu
abbia un profondo interesse per la giovane Pulido. – fece con occhi maligni il
governatore.
– Sì, eccellenza, e
sono orgoglioso di ammetterlo.
– Ah, tu condanni lei
e i suoi genitori con codesta affermazione! Neghi ora che sono in combutta con
te?
– Certo che sì! I suoi
genitori non sanno del nostro amore.
– Quella signorina
tiene un comportamento scandaloso.
– Signore! Governatore
o no, un altro pensiero del genere e verserò il tuo sangue. – urlò Zorro. – Vi
ho
detto cosa è successo
quella notte in casa di Don Diego Vega. Il capitano Ramon ha testimoniato che
ciò che
ho detto è la pura
verità. Non è così, comandante? Rispondi!
– È la verità. – Il
capitano deglutì, guardando la canna della pistola del giustiziere mascherato.
– Allora tu mi hai
detto il falso, e non può più essere un mio ufficiale! – piagnucolò il
governatore. –
Sembra che questo
brigante può fare ciò che vuole con voi. Ah! Ma io continuo a credere che don
Carlos
Pulido è un traditore,
e con lui i membri della sua famiglia. Questa scenetta non vi ha aiutato per
nulla
Zorro. I miei soldati
continuano ad inseguirti! E prima di catturarti, avrò trascinato i Pulido nel
fango, poi,
poi ti farò fare un
bel nodo scorsoio per veder pendere la tua carcassa!
– Ma che bel
discorsetto coraggioso. – osservò Zorro. – Hai già dato abbastanza lavoro ai
tuoi soldati
stasera, eccellenza
dei miei stivali, salvando i tuoi tre prigionieri.
– Saranno ricatturati.
– Solo il tempo lo
dirà. E ora ho altro da svolgere. Eccellenza, prendete le sedie e portatele a
quell'angolo
laggiù e si sieda lì
insieme ai soldati, e il vostro ospite siederà accanto a voi. E lì rimarrete
finché non avrò
finito.
– Che vuol fare? –
fece sudando di paura il governatore.
– Mi ubbidisca! –
disse con voce profonda Zorro. – Ho poco tempo per ascoltarvi, governatore.
Zorro osservò mentre
le sedie venivano collocate all’angolo della stanza e il governatore e i suoi
uomini si
erano seduti. E si
portò a un passo più vicino al capitano Ramon per guardarlo bene con occhi
scintillanti di
rabbia.
– Hai insultato una
ragazza pura e innocente, comandante – fece. – Per questo, dovrai combattere.
Il graffio
alla tua spalla è
guarito ormai, e hai la tua lama al fianco. Un uomo come te non deve respirare
l’aria pura di
Dio. Il paese sarà
migliore con la vostra assenza. In piedi, signore, e in guardia!
Il capitano Ramon era
bianco di collera. Sapeva bene che era rovinato dopo esser stato costretto a
confessare le sue
menzogne. Lo stesso governatore lo aveva rimosso dal suo rango. E la causa di
tutto era di
fronte a lui.
Forse nella sua rabbia
poteva riuscire ad uccidere questo Zorro, questa maledicion de Capistrano,
vedere
sul pavimento scorrere
la sua linfa vitale. Forse, e se lo ha fatto, sua Eccellenza lo avrebbe
guardato con
occhio benevolo.
Balzò dalla sedia e
indietro verso il lato del governatore.
– Allentatemi i polsi!
– gridò. – Lasciatemi duellare con questo cane!
– Molti prima di te mi
hanno indicato con quella parola e ora… – Zorro fece una sinistra pausa. – ora
sono
morti.
I polsi del comandante
vennero slegati e con rabbia tirò fuori la sua lama, balzò in avanti con un
grido, e si
lanciò in un attacco
furioso sul giustiziere mascherato.
Zorro si spostò per
bene prima di questo attacco, e trovò così una posizione in cui la luce delle
candele non
gli dessero fastidio
agli occhi. Era sempre stato abile con una lama, e si era trincerato molte
volte in una
buona difesa, sapeva
qual’era il pericolo dell’attacco di un uomo insultato anche se l’ingiuria era
stata fatta
in base al codice
d’onore dei spadaccini.
E sapeva anche che la
rabbia, seppur cattiva consigliera, può portare un colpo di fortuna alla
persona
ingiuriata. E così si
ritirò passo dopo passo, stando bene in guardia, parando ogni colpo vizioso,
restando
all’erta per ogni
mossa inaspettata.
Il governatore e i sui
uomini erano seduti nel loro angolo, ma si piegavano in avanti per guardare il
combattimento.
– Dategli addosso,
Ramon, e io vi darò una promozione! – piagnucolò sua Eccellenza.
L’animo del comandante
si sollevò a quelle parole. Intanto Zorro trovò il suo avversario combattere
molto
meglio di quanto non
aveva fatto in casa di don Carlos Pulido. Si vide costretto a venir fuori da un
punto
pericoloso, e la
pistola che teneva in mano sinistra per intimidire il governatore e il suo
esercito gli dava
fastidio.
Perciò,
improvvisamente la gettò sul tavolo, e poi si girò di scatto in modo che
nessuno dei due uomini
potesse metterlo in un
angolo e con il rischio di ricevere una lama tra le costole. E lì si mosse e combatté
con
più agilità.
La lama del capitano
Ramon sembrava essere in vantaggio. Zorro si precipitò dentro e fuori, cercando
di
trovare una breccia
nella difesa del capitano, era ansioso di dare una fine a questo duello e di
andarsene.
Sapeva che l'alba non
era lontana, e temeva l’arrivo di qualche altro soldato.
– Lotta, insultatore
di ragazze! – gridò Zorro. – Combatti, insulsa razza di mascalzone, che inventa
bugie
per rovinare una
nobile famiglia nobile! Lotta, codardo e poltrone! La vedi la morte in faccia?
Avanti,
abbiamo quasi finito!
Ramon malediva e
caricava, ma Zorro lo respingeva indietro e così teneva la sua posizione. Il
sudore ormai
colava a grossi
goccioloni dalla fronte del capitano. Il suo respiro era pesante tra le labbra
socchiuse. I suoi
occhi erano vivaci e
sporgenti.
– Lotta, debole! – Il
bandito lo insultava. – Stavolta non sto attaccando alle spalle. Se hai delle
preghiere da
recitare, fallo, che
il tempo scorre veloce.
Le lame saettavano, i
piedi si spostavano veloci sul pavimento, il respiro pesante dei combattenti e
degli
spettatori di questa
lotta per la vita o la morte, erano gli unici suoni nella stanza. Sua
Eccellenza saltò in piedi
in avanti sulla sedia,
con i pugni talmente stretti che mani che le nocche erano divenute bianche.
– Uccidimi questo
brigante! – gridò. – Usa tutta la tua buona abilità, Ramon!
Ramon si precipitò di
nuovo, chiamando in appello tutte le sue ultime forze. Tuttavia le sue braccia
erano
come il piombo, il suo
respiro pesante. Si lanciò all’attacco, ma fece un errore di una frazione di
pollice.
Come la lingua di un
serpente, la lama di Zorro girò tre volte e poi si lanciò in avanti, e sulla
fiera fronte di
Ramon, proprio in
mezzo agli occhi, ci fu improvvisamente una fiammata rossa, e comparve una
sanguinosa
Z.
– Il segno di Zorro! –
il brigante gridò. – Ora l’avrai per sempre, comandante!
La faccia di Zorro
divenne più severa. La sua lama ruotò di nuovo e affondò. Dalla ferita uscì
gocciolando
di rosso. Il
comandante rimase a bocca aperta e scivolò a terra.
– Lo hai ucciso! –
gridò il governatore. – Gli hai tolto la vita, miserabile!
– D’ora in poi non
insulterai più nessuno.
Zorro guardò il suo
nemico caduto, osservò il governatore per un istante, poi pulì la lama sulla
fascia che
aveva legato i polsi
del comandante. rimise la lama nel fodero e prese la pistola dal tavolo.
– Il mio lavoro è
finito, stanotte.
– Ti farò appendere
per questo! – piagnucolò sua Eccellenza.
– Forse, quando mi
catturerai, e sempre se resterai governatore. – rispose la maledizione di
Capistrano,
inchinandosi
cerimoniosamente.
Dopo un ultimo sguardo
al corpo coperto di sangue del capitano Ramon, uscì e si diresse in fretta al
patio
raggiungendo il suo
Tornado.
Capitolo 36: Contro
tutti
Ma sfrondò nel
pericolo.
Era ormai l'alba; le
prime striature rosa apparivano nel cielo ad Oriente, e poi ecco alzarsi in
fretta il sole
sopra le alture a est,
illuminando tutta la piazza. Non c'era un filo di nebbia, le colline lontano
spiccava in
rilievo. Non era un
mattino in cui si poteva correr via sognando la libertà.
Zorro avevano
ritardato troppo a lungo dal governatore, giudicando male l'ora. Montò in sella
e esortò
Tornado ad uscire dal
patio, e realizzò in un attimo il pericolo che era sopra dei lui.
Dal sentiero di San
Gabriele veniva il sergente Pedro Conzales e i suoi soldati. Lungo la strada di
Pala
arrivava il
distaccamento dei soldati che erano stati all’inseguimento del corteo che
portava don Carlos al
sicuro e che ora
tornavano scornati. Ed oltre la collina verso il presidio veniva il terzo corpo
di uomini, che si
era lanciato a dar la
caccia a coloro che avevano salvato Dona Catalina. Zorro si trovò circondato da
suoi
nemici.
La maledizione di
Capistrano deliberatamente fermò il cavallo e per un momento contemplò le
alternative. Guardò i
tre gruppi di soldati, stimando la distanza. E fu in quel istante che con
distacco il
sergente Gonzales lo
vide e diede un furioso allarme.
Sapevano tutti a chi
appartavano quel cavallo magnifico, quel lungo mantello viola, quella maschera
nera
e quel largo sombrero.
i soldati videro davanti a loro lo stesso uomo che avevano inseguito invano per
tutta
la notte, lo stesso
uomo che li aveva giocati attraverso valli e colline come degli sciocchi.
Temevano la rabbia
di sua eccellenza e
dei loro ufficiali superiori, e nei loro cuori e nelle loro menti venne rapida
la
determinazione di
catturare o uccidere quella maledetta maledizione di Capistrano, visto che il
destino
offriva loro questa
occasione.
Zorro spronò il
cavallo e si precipitò in mezzo la piazza, sotto gli occhi di una ventina di
cittadini. Così
come il governatore e
i suoi due alti ufficiali, che si erano precipitati fuori di casa, urlando che
Zorro era un
assassino e deve
essere preso. I nativi corsero come lesti daini in cerca di rifugio; degli
uomini di rango
invece si fermano
rimanendo a bocca aperta per lo stupore.
Zorro, dopo aver
attraversato la piazza, guidò il suo cavallo alla massima velocità dritto verso
la strada
principale. Il
sergente Gonzales e i suoi soldati si precipitarono a tagliargli la via,
gridando l'un l'altro,
pistole in mano, e
lame sguainate dai foderi. La ricompensa e la promozione era sicura per loro se
avessero
catturato il bandito
qui e ora.
Zorro si vide
costretto a deviare dal suo primo percorso, ormai insicuro. Non aveva preso la
pistola dalla
cintura, ma aveva
estratto la sua lama, ed ora pendeva dal suo polso destro in maniera tale che
poteva
afferrarla
immediatamente.
Attraversò la piazza
di nuovo, quasi a spron battuto passando davanti alcuni uomini di rango che
erano in
strada. Non solo,
passò a pochi passi del governatore infuriato e i suoi due ufficiali, e poi si
lanciò tra due
case, e si precipitò
da lì in direzione delle colline vicine.
Sembrava avere una
piccola possibilità di sfuggire al cordone dei suoi nemici. Disprezzò percorsi
e
sentieri, e tagliò sul
terreno aperto. Da entrambi i lati i soldati arrivavano al galoppo, cercando di
raggiungere l'angolo
del cuneo, per tagliargli così ogni via di scampo.
Gonzales gridava
ordini nella sua grande voce, mentre inviava una parte dei suoi uomini giù al
pueblo, in
modo che se il bandito
si sarebbe voltato di nuovo, avrebbero potuto impedirgli di fuggire a ovest.
Zorro raggiunse la
strada principale e cominciò a scendere verso sud. Non era la direzione che
avrebbe
voluto prendere, ma
non aveva altra scelta. Si precipitò intorno ad una curva della strada, dove
alcune
capanne di nativi
tagliavano la vista, e improvvisamente tirò a sé Tornado, quasi da farlo
scalzare.
Qui infatti una nuova
minaccia si era presentata. Davanti a sé volavano letteralmente un cavallo e
cavaliere, e dietro di
loro correvano una mezza dozzina di soldati.
Zorro girò il suo
cavallo. Non poteva girare a destra a causa di una recinzione in pietra.
Tornado avrebbe
potuto saltato, ma
dall'altro lato vi era è del terreno arato, troppo soffice da percorrere, e i
soldati lo
avrebbero tirato giù
con un semplice colpo di pistola.
Né poteva girare a
sinistra, perché vi era un precipizio a strapiombo verso il basso. Doveva
tornare
indietro verso il
sergente Gonzales e gli uomini che cavalcavano con lui, sperando di recuperare
una
distanza di un paio di
centinaio di metri, dove avrebbe poteva buttarsi in una discesa, prima
dell’arrivo di
Gonzales e dei suoi
uomini.
Afferrò la sua spada
pronto a combattere, era arrivato il momento. Si guardò veloce alle spalle e
rimase a
bocca aperta. Ebbe la
sorpresa più grande della sua giovane vita.
Era Lolita che
cavalcava quel cavallo e che era inseguita dai soldati, quella stessa ragazza
che pensava al
sicuro presso la
fattoria di frate Felipe. I suoi lunghi capelli neri si agitavano al vento
dietro di lei. I suoi
tacchi erano incollati
ai fianchi del cavallo. Era chinata in avanti mentre cavalcava, tenendo le
redini in basso,
e Zorro, anche in quel
momento, ne ammiravano la sua abilità da amazzone.
– Senor! – la sentì
gridare.
Zorro la raggiunse al
suo fianco, e poi cavalcavano insieme, precipitandosi come arieti su Gonzales e
i suoi
soldati.
– Mi hanno dato la
caccia per ore! – le disse. – Dopo che sono dovuto fuggire dalla casa di padre
Felipe.
– Restami vicino e non
sprecare fiato! – gli urlo Zorro.
– Il mio cavallo è
quasi sfinito, signore!
Zorro lanciò una
rapida occhiata al povero cavallo di Gonzales e vide che era con la bava alla
bocca. Ma
non c'era niente da
farci ora. I soldati dietro di loro avevano guadagnato alcuni metri, mentre
quelli di fronte
continuavano ad essere
una terribile minaccia.
Volavano lungo il
sentiero, fianco a fianco, dritti verso Gonzales e i suoi uomini. Zorro vedeva
il riflesso
del sole sulle canne
delle loro pistole, non aveva dubbi che quel serpente del governatore aveva
dato ordine
di catturarlo vivo o
morto.
Spronò Tornado a pochi
passi davanti alla cavalcatura di Lolita, e la esortò a cavalcare sulle tracce
del suo
cavallo. Lasciò cadere
le redini sul collo della sua cavalcatura, e tiene la sua lama pronta. Ora il
magnifico
giustiziere aveva due
armi formidabili da usare, la sua lama e il suo Tornado.
Poi arrivò lo
schianto. Zorro deviò il suo cavallo al momento giusto, e Lolita riuscì a
seguirlo da preso. Ferì
il soldato alla sua
sinistra, e colpendo poi un altro alla sua destra. Il suo Tornado si è schiantò
in quello di un
terzo soldato,
scagliandolo contro l'animale che guidava il sergente.
Sentiva le sue grida
stridule contro di lui. Zorro sapeva che gli uomini che stavano inseguendo Lolita
aveva incontrato gli
altri, e che quindi era nata una confusione tale che non potevano usare lame
per paura
di abbattersi l'un
l'altro.
Ebbe Lolita di nuovo
al suo fianco, arrivati ai margini della piazza. Purtroppo anche Tornado dava
segni
di stanchezza, e senza
aver trovato una via di scampo.
Per la strada di San
Gabriel non v’era via di uscita, quella di Pala era chiusa, non potevano
fuggire dalla
parte dei terreni
arati, e sul lato opposto della piazza vi erano dei soldati in sella in attesa
di tagliarlo fuori,
non importa in quale
direzione sarebbe andato.
– Siamo presi! –
gridò. – Ma non è ancora finita, Lolita!
– Il mio cavallo è
stroncato, ormai! – gridò lei.
Zorro vide che era
così. Sapeva che quella povera e generosa bestia non poteva fare un altro
centinaio di
metri. Guardò Lolita
negli occhi e gli urlò.
– Per la taverna!
Percossero tutta la
piazza al galoppo. Alla porta della taverna la povera cavalcatura di Lolita
vacillò e
cadde. Zorro prese la
ragazza tra le sue braccia in tempo per salvarla da una brutta caduta e, sempre
con lei,
si lanciò attraverso
la porta della taverna.
– Fuori di qui! –
gridò al padrone di casa e al suo servo nativo. – Fuori! – gridò anche a una
mezza
dozzina di vagabondi,
mostrando la sua pistola. Padrone e avventori si precipitarono fuori dalla
porta, nella
piazza.
Il bandito raggiunse
la porta e la chiuse. Vide che ogni finestra era chiusa, tranne la sua
preferita, quella
che dava sulla piazza.
Si avvicinò al tavolo e poi si girò verso Lolita.
– Potrebbe essere la fine.
– Senor! Sicuramente i
santi saranno gentili con noi.
– Siamo circondati dai
nemici, Lolita. A me non importa di morire, se morirò come un cavaliere, ma
voi…
– Non mi
rinchiuderanno di nuovo al Carcel
fallo di nuovo, signor! Lo giuro! Piuttosto morire con te.
Poi Lolita prese di
nuovo in mano il coltello per tosare le pecore e se lo portò al seno.
– Lolita, NO!
– Vi ho donato il mio
cuore, segnor. O viviamo insieme o moriremo insieme!
Capitolo 37: La baia
della volpe
Si lanciò verso la
finestra e guardò fuori. ormai i soldati avevano circondato l'edificio. Poteva
vedere
l’infame governatore
che strillava ordini nella piazza. Lungo il sentiero di San Gabriele stava
arrivando il
fiero don Alejandro
Vega, per far visita al governatore, che, fermatosi al bordo della piazza
cominciò a
interrogare le persone
presenti sulla causa di tutta quella confusione.
– Tutti aspettano la
mia morte – disse Zorro, ridendo. – Mi chiedo dove siano ora i miei coraggiosi
caballeros coraggiosi,
quelli che avevo guidato.
– Vi aspettate i loro
aiuti? – gli chiese Lolita.
– Non certo così,
signorina. Dovrebbero restare tutti insieme per affrontare il governatore. È
stata una bella
avventura per tutti
loro, ma non posso certo aspettare aiuti da essi. Combattere da solo come
sempre.
– Non da solo,
Signore, vi sono io al tuo fianco. – Lui la strinse tra le sue braccia, la
strinse a sé.
– Vorrei che potremmo
avere l’opportunità di stare insieme. Ma sarebbe una follia, ho già portato
troppo
disastro nella tua
vita. Non avete mai visto la mia faccia ancora, Lolita. Dovresti dimenticarmi.
Potresti
andartene da questo
luogo e dare la tua parola a don Diego Vega che sarai la sua sposa, e allora
governatore
sarebbe costretto a
metterti in libertà e chiaramente mondare i tuoi genitori di tutte le colpe.
– Ah, signor.
– Pensa, Lolita. Pensa
cosa vorrebbe dire. Sua Eccellenza non oserebbe mettersi contro un Vega. I tuoi
genitori riavrebbero
le loro terre, i loro privilegi. Saresti la sposa del più ricco giovane del
paese. avresti tutto
per essere felice.
– Tutto Tranne
l'amore, signore, e senza l'amore il resto è nulla.
– Pensa, Lolita, e
decidi una volta per tutte. Hai un solo momento, ma adesso!
– Ho preso la mia
decisione molto tempo fa, senor. Un Pulido ama ma una volta, e non può sposare
altri
che chi ama.
– Cara! – gridò, e la
strinse di nuovo a sé. In quel momento un colpo percosse la porta.
– Senor Zorro! –
piagnucolò il sergente Gonzales.
– Sono qui, sergente,
che c’è?
– Ho un'offerta per
voi da sua eccellenza il governatore.
– Parla, ti ascolto.
– Sua Eccellenza non
ha alcun desiderio di provocare la morte o lesioni alla signorina che è con
voi. Chiede
che usciate con lei.
– A che scopo?
– Vi sarà fatto un
giusto processo, per voi e per la signorina. Così si può sfuggire alla morte e
avere solo il
carcere.
– Ah, certo! Ho visto
i processi equi di sua Eccellenza. Credi davvero che io sia un imbecille?
– Questa era l’offerta
di sua Eccellenza, e sarà la vostra ultima possibilità. L’offerta non sarà
rinnovata.
– Sua Eccellenza è
bene che non sprechi altro fiato rinnovandola. Che cresca il suo grasso.
– Che cosa ci si può
aspettare di ottenere dalla resistenza, salvo la morte? Come potete sperare di
salvarvi? Siamo in
grado di abbattere la porta.
– Dopo che alcuni di
voi si saranno allungati senza vita sul pavimento. Dimmi, chi sarà il primo
attraverso
la porta, il mio
sergente?
– Per l'ultima volta.
– Vieni a bere un
boccale di vino con me, sergente. – gli disse ridendo Zorro.
– Poltiglia
Ristorazione e latte di capra! – disse irato il sergente Gonzales. Ci fu
silenzio allora per una volta,
e Zorro, guardando
attraverso la finestra con cautela, in modo da non attirare un colpo di
pistola, osservò
che il governatore era
in consultazione con il sergente e alcuni soldati.
La consultazione si
era appena conclusa, che Zorro vide guizzarli vicino alla finestra. Quasi
immediatamente,
l'attacco alla porta cominciò. Battevano su di essa con travi pesanti, cercando
di
distruggerla dal
basso. Zorro, in piedi nel mezzo della stanza, puntò la pistola alla porta e
sparò, la palla
attraversò il legno e
al di fuori qualcuno mandò un urlo di dolore, egli si precipitò al tavolo e
cominciò a
caricare la pistola di
nuovo.
Poi corse verso la
porta, ed osservare il foro in cui il proiettile l’aveva attraversata. La tavola
aveva una
piccola crepa. Zorro
mise la punta della lama a questa crepa, e attese.
Anche in questo caso
il legname pesante fu schiantato contro la porta, con i soldati che gettavano
il suo
peso su di esso. La
lama di Zorro penetrò attraverso la fessura come un fulmine, quando la ritirò
era rossa di
sangue, nello stesso
istante ci fu un grido di fuori. E ora una raffica di palle di pistola furono
dirette verso la
porta, ma Zorro,
ridendo, era di già fuori dalla zona pericolosa.
– Ben fatto, signore!
– fece Lolita.
– Abbiamo marchiato
alcuni di quei cani.
– Vorrei che avrei
potuto aiutarti, senor."
– Mi stai aiutando
Lolita! È il tuo amore che mi dà la mia forza.
– Se potessi usare una
lama…
– Eh no, Lolita,
questo è ciò che deve fare un uomo.
– E alla fine, signor
mio, se si vede che non ce ne sono in giro. Potrò vedere il tuo viso caro?
– Te lo giuro Lolita,
e sentirai le mie braccia su di te, e le mie labbra sul tuo viso. La morte così
non sarà
amara.
L'attacco sulla porta
veniva rinnovato con più forza. Ora i colpi di pistola erano frequenti, anche
attraverso
la finestra, e per
Zorro non c’era altro da fare che aspettare, spada in pugno, in mezzo alla
stanza e aspettare.
Ancora pochi minuti
poi la porta sarebbe stata fracassata e si sarebbero precipitati su di lui.
La signorina strisciò
vicino a lui, le lacrime le rigavano le guance, e l’afferrò per un braccio.
– Non hai dimenticato?
– Io non dimentico
mai, Lolita.
– Poco prima di
sfondare la porta, senor. Prendimi nelle tue braccia e fammi vedere il tuo viso
caro e
baciami. Poi potremo
morire e di buon grado, anche.
– Tu devi vivere.
– Per finire in una
cella, senor. E poi cosa sarebbe la mia vita senza di te?
– C'è don Diego.
– Penso a nessun’altro
che a voi, signore. Una Pulido saprà morire. E forse la mia morte farò sapere a
tutti
gli uomini della
perfidia del governatore. Forse servirà a questo scopo.
Ancora una volta il
legno colpiva pesante contro la porta. Si poteva sentire sua eccellenza gridare
per
incoraggiare i
soldati, si poteva sentire le grida dei nativi e il sergente Gonzales
piagnucolare i suoi ordini.
Zorro si affrettò di
nuovo verso la finestra sfiorando un proiettile, e guardò fuori. Vide che una
mezza
dozzina di soldati
avevano le loro lame in mano, pronti a correre quando la porta venisse
abbatuta. Lo
avrebbero fatto, sì,
ma pochi di loro sarebbero sopravissuti.
– Siamo quasi alla
fine, Signore.
– Lo so, Lolita.
–Vorrei avessimo avuto
miglior fortuna, ma morirò felice. Ora signore, viso e labbra!
Lolita Smise di
singhiozzare, e alzò il viso con coraggio. Zorro sospirò, e una mano stava per
togliersi la
sua maschera.
Ma improvvisamente ci
fu un tumulto di fuori nella piazza, e le percosse alla porta cessarono,
sentirono
voci alte che non
avevano mai udito prima.
Zorro lasciò la sua
maschera dov’era, e si precipitò alla finestra.
Capitolo 38: a volto
scoperto
Ventitre cavalieri
arrivarono al galoppo nella piazza. Le bestie che cavalcavano erano magnifiche,
sella e
briglie erano
d’argento, i loro mantelli erano realizzate dei migliori materiali, e
indossavano cappelli con
piume meravigliose,
come se i loro abiti fossero di ricca fattura e volessero che tutti lo
sapessero. Ogni uomo
era seduto dritto e
fiero sulla sua sella, con la sua spada al fianco, e ogni lama aveva un’elsa
ingioiellata,
essendo al tempo
stesso un utile e ricco ornamento.
Essi si fermarono
lungo tutto il tragitto della taverna, tra la porta ed i soldati che cercavano
d’abbatterla,
tra l'edificio e il
governatore ed i cittadini riuniti, e lì si voltarono sui loro cavalli fianco a
fianco, di fronte a
sua Eccellenza.
– Aspettate! C’è un
modo migliore! – gridò il loro capo.
– Capisco. – fece il
governatore. – Qui abbiamo i giovani di tutte le famiglie nobili del Sud. Siete
venuti per
mostrare la loro
lealtà prendendo questo maledizione di Capistrano. Vi ringrazio, caballeros. Ma
non è il mio
desiderio di vedere
qualcuno di voi ucciso da costui. Non è degno delle vostre lame, signori.
Saranno i
soldati a occuparsi
della canaglia. Ancora una volta vi ringrazio per questa dimostrazione di
lealtà.
– Pace! – il loro capo
gridò. – Eccellenza, noi rappresentiamo il potere in questa sezione, non è
vero?
– Che volete dire,
caballeros? – fece il governatore.
– Le nostre famiglie
devono decidere, quali leggi devono essere adeguate, non è vero?
– Hanno una grande
influenza – ammise il governatore.
– Non avrebbe l’idea
di mettersi contro di noi?
– Non contro la
maggior parte di voi, certo! – piagnucolò sordamente sua Eccellenza. – Ma vi
prego, di
lasciar fare ai
soldati. Non è decoroso che un cavaliere deve subire ferite o la morte per la
lama di un
delinquente.
– È davvero un peccato
che lei non voglia capire.
– Capire? – fece il
governatore, in un tono interrogativo, guardando su e giù tutti gli uomini a
cavallo.
– Abbiamo avuto
consiglio tra di noi, Eccellenza. Conosciamo la nostra forza e il nostro
potere, e abbiamo
deciso certe cose. Ci
sono state azioni che non possiamo tollerare. I frati delle missioni sono regolarmente
spogliati dai
funzionari. I nativi sono stati trattati peggio dei cani. Anche gli uomini di
sangue nobile sono
stati derubati perché
non più nelle grazie dell’alto potere.
– Caballero!
– Pace, Eccellenza,
fino a quando parlerò io. Questa cosa è venuto a una crisi quando un hidalgo
con la
moglie e la sua figlia
sono stati gettati in una cella del Carcel per i vostri ordini. Una cosa del
genere non
può essere tollerata,
Eccellenza, e così ci siamo riuniti, e qui vi si rende nota la nostra
decisione. Dovete
sapere Zorro ci ha
guidato quando ha invaso il Carcel e salvato i prigionieri, che abbiamo portato
don Carlos
e Dona Catalina in
luoghi sicuri, e che ci siamo promessi dando le nostre parole e sul nostro
onore sopra le
nostre lame che non
saranno più perseguitati.
– Io direi…
– Fate silenzio, fino
a quando non avrò finito! Siamo uniti, e la forza delle nostre famiglie sono
tutte unite
con noi. Ed ora
gettate i vostri soldati ad attaccarci, se ne avete il coraggio! Ogni
gentiluomo di sangue nobile
che viva lungo tutto
il percorso del Camino Real si armerebbe a nostra difesa, rimovendovi dal
vostro
incarico, nella Vostra
più vergognosa umiliazione. Aspettiamo la vostra risposta, Eccellenza.
– Che - che cosa
volete fare? – Sua Eccellenza rimase a bocca aperta.
– In primo luogo, un
più adeguato rispetto per don Carlos Pulido e la sua famiglia. Il Carcel non è per loro.
E se avrete ancora il
coraggio di accusarli tradimento, dovremo essere sicuri che ci sarà un processo
equo e
giusto, e
perseguiteremo ogni uomo che darà una testimonianza spergiura, e qualsiasi
magistrato che non
lo conduca in maniera
corretta. Attento Eccellenza: siamo ben determinati.
– Forse sono stato
troppo frettoloso nella mia inchiesta, ma ero stato portato a credere certe
cose. –
incominciò a dire il
governatore, con le mani tremanti. – Io do licenza ai vostri desideri. Ora
fatevi da parte,
caballeros, mentre i
miei uomini arriveranno a quella canaglia nella taverna.
– Non abbiamo ancora
finito – fece il loro portavoce. – Abbiamo delle cose da dire riguardo a questo
signor
Zorro. Che cosa ha
fatto, in realtà, Eccellenza? È lui colpevole di tradimento? Non ha derubato
nessun uomo
ad eccezione di quelli
che rubavano a degli indifesi. Ha frustato sì, delle persone, ma tutte
ingiuste. Egli è
sempre stato dalla
parte dei perseguitati, una cosa che stanotte abbiamo avuto l'alto onore di
condividere
con lui. Per fare una
cosa del genere, a rischiato la vita con le proprie mani. E ogni volta ha eluso
con
successo i vostri
soldati, cercando di far il possibile per far meno vittime tra di loro. Ha solo
punito chi
insultava, come ogni
uomo ha il diritto di farlo.
– Che cosa vuoi?
– Un perdono completo,
qui e ora, per l'uomo mascherato conosciuto come Zorro.
– Mai! – strillò il
governatore, con gli occhi fuori dalle orbite. – Mi ha offeso personalmente.
Egli deve
morire della peggior
morte! – Si voltò e vide Don Alejandro Vega in piedi vicino a lui.
– Don Alejandro, voi
siete l'uomo più influente in questo paese del sud. voi siete un uomo contro il
quale
anche un governatore
non oserebbe stare in piedi. Voi siete un uomo di giustizia. Dite a questi
giovani
caballeros che ciò che
vogliono non posso loro concedere. Offro loro di ritirarsi nelle loro case, e
questo
spettacolo di
tradimento sarà dimenticato.
– Io sono con loro! –
tuonò don Alejandro.
– Voi - voi siete con
loro?
– Sì, eccellenza. Mi
unisco ad ogni parola che è stata detta in vostra presenza. La persecuzione
deve
cessare. Concedete
grazie alle loro richieste, vedrete che i vostri funzionari svolgeranno con
onestà il loro
lavoro d'ora in poi,
tornate a San Francisco de Asis, e avrete il mio giuramento che non vi sarà più
nessun
tradimento nel Sud. Io
ve ne do completa garanzia. Ma contrastateli, Eccellenza, e mi schiererò contro
di voi,
e sarà la vostra
rovina.
– Questo Sud è un
paese orribile! –strillò con voce tremula il governatore.
– La vostra risposta?
– esigette don Alejandro con voce ferma e forte.
– Non posso fare altro
che essere d’accordo! – fece a testa bassa il governatore. – Ma una cosa…
– Dica?
– Risparmierò la vita
dell'uomo mascherato se si arrende, ma dovrà affrontare un processo per
l'omicidio
del capitano Ramon.
– Omicidio? – fece il
portavoce dei caballeros. – È stato un duello tra gentiluomini, Eccellenza.
Zorro
lottava per lavare
l’insulto del comandante alla signorina Pulido.
– Ma Ramon era un
caballero!
– E lo stesso è per il
signor Zorro. Così ci giurò davanti a noi, e noi gli crediamo, perché non c'era
falsità
nella sua voce. È
stato un duello, eccellenza, secondo il codice d’onore dei gentiluomini, e il
capitano Ramon
è stato sfortunato ad
avere davanti una lama migliore di lui. Questo è comprensibile? La vostra
risposta.
– Sono d'accordo –
disse il governatore con voce flebile. – Io lo perdono, e me ne torno a casa a
San
Francisco de Asis, e
la persecuzione cessa in questa località. Ma don Alejandro, faccio fede alla
sua promessa
che non vi sarà
tradimento contro di me qui, se faccio queste cose".
– Ho dato la mia
parola! – fece don Alejandro.
I caballeros urlavano
alta la loro felicità e smontarono. I soldati si allentarono dalla porta,
mentre il
sergente Gonzales
ringhiava sotto i baffi perché il premio desiderato gli era ormai sfuggito di
mano.
– Signor Zorro! –
gridò uno. – Ha sentito tutto?
– Ho sentito,
cavaliere!
– Apri la porta ed
uscì in mezzo a noi, come un uomo libero!
Ci fu un attimo di esitazione,
e poi la porta si aprì, e Zorro uscì con Lolita abbracciata a lui. Si fermò
proprio davanti alla
porta, si tolse il sombrero e si prostrò davanti a loro.
– Una buona giornata a
voi, caballeros! – gridò. – Sergente, mi dispiace che hai perso la ricompensa,
ma
vedrò di saldare io il
debito che tu e i tuoi uomini avete con il proprietario della taverna.
– Per tutti i santi,
siete un vero cavaliere! – piagnucolò contento Gonzales.
– Uomo mascherato! –
strillò il malefico governatore. – Vorrei vedere le fattezze della persona che
ha
ingannato i miei
soldati, che ha guadagnato il rispetto di questi caballeros, e mi ha costretto
a scendere ad un
compromesso.
– Temo che sarete
delusi quando vedrete il mio viso. – rispose ridendo Zorro. – Vi aspettate che
il mio
aspetto sia come
quello di Satana? Oppure se possibile, che io abbia un viso angelico?
Sorisse, guardò
Lolita, e poi si strappò la maschera.
Un coro di rantoli,
una esclamazione esplosiva di stupore dei soldati, alte grida di gioia dai
caballeros, e un
urlo misto di orgoglio
e di gioia di un vecchio hidalgo, rispose al movimento.
– Diego, figlio mio,
figlio mio!
A quel punto Diego
piego le spallle in avanti, sospirò e parlò con voce languida.
– Questi sono tempi
turbolenti. Potrà mai un uomo meditare su musica e poesia?
Poi Diego, la
maledizione di Capistrano, finì tra le braccia del padre.
Capitolo 39: Roba da
polenta e latte di capra
Soldati, nativi,
caballeros si accalcarono intorno a Diego e a Lolita, la quale lo abbracciava e
non finiva di
mangiarselo con i suoi
occhi scintillanti.
– Spiegateci, don
Diego, spiegateci! – gridarono tutti in coro.
– È tutto iniziato
dieci anni fa, quando ero un ragazzo di quindici anni. Non sentivo altro che
racconti di
ingiustizie e di
persecuzioni. Vedevo i miei amici frati derisi e derubati. Finché poi un giorno
vidi i soldati
battere un vecchio
indigeno che era mio amico. E decisi di pro fine giocare a tutto questo.
Sapevo che sarebbe
stato una partita difficile da giocare. Così ebbi l’idea di fingermi un indifeso
ometto
interessato a poesie e
letteratura per potermi trasformare nel bandito che volevo diventare. In
segreto,
imparavo tutti i
segreti dell’equitazione e della scherma.
– Per tutti i santi,
ci ha giocato ben bene! – ringhiò il sergente Gonzales.
– Una metà di me è
stato il languido don Diego che tutti voi conoscevate, e l'altra metà quella
che poi avete
chiamato la
maledizione di Capistrano. Signori. Nel momento in cui ho indossato il mantello
e la maschera,
un sangue nuovo mi
scorse nelle vene, la mia voce crebbe forte e ferma. Avevo fatto amicizia con
questo
grande sergente
Gonzales, e per i miei scopi.
– Ah! Bello scopo,
caballeros! – piagnucolò Gonzales. – Ogni volta non voleva sentir parlare di
violenza e
spargimenti di sangue,
ma solo dei movimenti dei miei soldati.
– Hai detto bene,
Pedro! – fece Diego ridendo alla stessa di come gli altri ridevano di lui. –
Quella sera di
pioggia violenta ti
sentii vantare, perciò uscì ad indossar maschera e mantello e venni ad
incrociare le lame
con te, così avrei
avuto un’altra occasione per allontanare da me i sospetti che potessi essere
Zorro. Poi
tornai a scherzare con
te.
– Ha!Proprio un bello
scherzo.
– Il giorno dopo
visitai la fattoria dei Pulido come don Diego ma poi come Zorro feci per la
prima volta la
corte a questa
splendida fanciulla. A proposito pedro, quasi stavi per catturarmi quella
stessa sera da frate
Felipe.
– Ma lui mi disse di
non aver visto Zorro.
– Ed era vero. Mi
presentai a lui come Diego. Ora potete facilmente capire, perchè come Zorro,
ero a casa
mia in città quando il
comandante insultò Lolita. E tu Lolita mi devi perdonare l'inganno. Ti ho
corteggiata
come don Diego, e non
ti ero piaciuto. Allora ci ho provato come Zorro, e grazie ai santi, mi ha
donato il tuo
amore.
– Eccellenza, questa
signorina sarà mia moglie, e d’ora in poi credo ci penserete due volte prima di
infastidire la sua
famiglia ulteriormente.
Sua Eccellenza ha
gettato le mani in un gesto di rassegnazione.
– Solo con anni di
pratica sono riuscito ad ingannarvi tutti. Ma ora Zorro sparirà perchè un uomo
sposato
dovrebbe prendere cura
della sua famiglia.
– Io ero innamorata di
Zorro. – disse Lolita arrossendo. – E in fondo continuo ad amarlo.
– Ci sforzeremo di
arrivare ad un compromesso tra lui e me. – rispose Diego, ridendo di nuovo. –
Vedremo
se il matrimonio farà
di Diego un vero uomo.
Si chinò e si
baciarono lì davanti a tutti.
– Bà! Roba da polenta
e latte di capra! – esclamò sospirando Gonzales.
Fine
Marco Pugacioff
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
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