Zorro:
la maledizione di Capistrano.
di Johnston McCulley
Traduzione e libero
adattamento di Marco Pugacioff
Non revisionato
Testo ripreso da: http://en.wikisource.org/wiki/The_Curse_of_Capistrano
Parte 2
Capitolo 13: L’amore
corre veloce
Il domestico si
affrettò ad aprire.
– Mi dispiace signore,
ma don Diego non è in casa. – disse. – È alla sua hacienda.
– Ma io ho saputo che
Don Carlos con la moglie e la figlia sono qui, non è vero?
– Don Carlos e sua moglie
sono fuori in visita questa sera, signore.
– La Senorita?
– È qui, naturalmente.
– In questo caso,
vorrei salutare la Senorita. – disse il capitano Ramon.
– Signore! Mi scusi,
ma la signorina è sola.
– Non sono io l'uomo
giusto? – chise il capitano.
– Non buon costume per
una signorina ricevere la visita di un signore quando la madre non è presente.
– Chi sei tu per
parlarmi del buon costume? – Rispose il capitano Ramon. –Levati di mezzo,
feccia! Ho ti
farò punire. So bene
da me quali siano le cose che mi riguardano.
Il volto del domestico
divenne bianco. Il capitano non minacciava invano e lui avrebbe potuto
ritrovarsi in
carcere. Eppure sapeva
di aver ragione.
– Ma, signore… –
protestò.
Il capitano Ramon lo
respinse con il braccio sinistro ed entrò nel grande soggiorno. Lolita si mise
in allarme
quando lo vide in
piedi davanti a lei.
– Ah, signorina, mi
auguro che non averla spaventata. – disse. – Mi dispiace che i vostri genitori
siano
assenti, ma devo
scambiare qualche parola con voi. Questo servo mi nega l'ingresso, ma immagino
che avete
nulla da temere da un
uomo con un braccio ferito.
– Ne dovrei essere
sicura, signore?" chiese la ragazza, un po’ spaventata.
– Mi sento sicuro che
nulla di male potrà venire. – disse il capitano.
Andò attraverso la stanza
e si sedette su una delle estremità del divano e ammirato la sua bellezza con
franchezza. Il
domestico aleggiava vicino.
– Andate nella vostra
cucina, servo! – Comandò Ramon.
– No! Permettetegli di
rimanere. – pregò Lolita. – Così gli ha ordinato mio padre e avrà dei guai se
se ne va.
– Li avrà, se rimarrà.
Vattene!
Il domestico dovette
ritirarsi.
Il capitano Ramon si
voltò verso la ragazza, e gli sorrise. Si lusingava di sapere che le donne
amano vedere
la superiorità di
qualcuno sugli altri.
– Siete più bella che
mai, signorina. – disse con voce soffusa. – Sono davvero felice di trovarvi da
sola,
perché c'è qualcosa
che vorrei dirvi.
– Che cosa volete
dirmi, signore?
– Ieri sera alla
fattoria di vostro padre ho chiesto il permesso di farvi la corte. La vostra
bellezza ha
infiammato il mio
cuore, signorina, e vi voglio per moglie. Tuo padre acconsentì, solo che aveva
dato il
permesso prima a Don
Diego Vega. Così sembra che ci sia don Diego tra voi e me.
– Vi sembra il caso di
parlarne, signore? – chiese Lolita.
– Certamente Don Diego
Vega non è l'uomo per voi. – proseguì. – Non ha né coraggio, né spirito. È
sempre
oggetto di scherno a
causa della sua debolezza.
– Parlate male di lui
in casa sua? – Disse Lolita con gli occhi lampeggianti.
– Dico la verità,
signorina. Avrei il vostro favore? Non riescireste a guardarmi con gentilezza?
Mi dareste la
speranza che io possa
vincere il vostro cuore e la mano?
– Capitano Ramon,
tutto questo è indegno. – fece Lolita. – Non è il modo corretto, e voi lo
sapete. Vi prego
di lasciarmi adesso.
– Attendo la tua
risposta, signorina.
L’orgoglio do Lolita
fu profondamente offeso. Perché non poteva essere corteggiata come le altre
Senoritas,
nel modo giusto?
Perché questo uomo doveva essere così audace nelle sue parole? Perché ignorava
le buone
convenienze?
– Devi lasciarmi! –
disse Lolita con fermezza. – tutto ciò è sbagliato, e voi lo sapete. Volete che
il mio nome
sia insultato,
capitano Ramon? Immaginate se arrivarse qualcuno?
– Nessuno verrà,
signorina. Mi dia una risposta?
– No! – gridò,
cercando di andarsene. – Non solo non l’avrete, ma mio padre, vi assicuro,
saprà di questa
visita!
– Vostro padre… –
sghignazzò il capitano malignamente. – …è un uomo che ha perso la fiducia del
governatore. Un uomo
che non ha più alcun sostegno politico. Io non paura di vostro padre. Dovrà
essere
orgoglioso del fatto
che il capitano Ramon guardi sua figlia.
– Senor!
– Non scappate. –
disse, fermandola. – Vi ho fatto l'onore di chiedere di essere mia moglie
– Mi ha fatto l'onore!
– gridò con rabbia, e quasi in lacrime. – È l'uomo che ha un grande onore,
quando una
donna lo accetta.
– Mi piaci quando vi
arrabbiate. – osservò. – Si sieda di nuovo accanto a me qui. E ora datemmi la
vostra
risposta.
– Senor!
– Tu mi sposerai,
naturalmente. Io intercederò presso il governatore per tuo padre e riavrà una
parte del
suo patrimonio
restituito. Io ti porterò a San
Francisco de Asis, nella casa del
governatore, dove si possono
ammirare persone di
gran rango.
– Signore! Lasciatemi
andare!
– La mia risposta,
signorina, mi avete tenuto fuori abbastanza.
Lolita si strappò via
da lui, e lo guardò con gli occhi fiammeggianti, le manine strette lungo i
fianchi.
– Maritarvi con voi? –
gridò. – Piuttosto farei la serva per tutta la vita, piuttosto mi sposarei con
un nativo,
piuttosto morirei pur
di non sposarvi con voi! Ho sposerò un cavaliere, un signore, o nessuno! E non
posso
dire che voi lo siate!
– Belle parole dalla
figlia di un uomo che sta rovinata.
– La rovina non
cambierebbe il sangue dei Pulidos, signore. Dubito che possiate capirlo avendo
il vostro
sangue malato. Don
Diego è buon amico di mio padre e saprà tutto.
– E vorreste sposare
il ricco Don Diego, eh, per raddrizzare gli affari di tuo padre? Invece di
sposare un
soldato d'onore,
prefersci venderti, eh?
– Signore! – strillò.
L’insulto era oltre
ogni sopportazione. Era sola e non aveva nessuno vicino a vendicarla perciò si
vendicò lei
stessa.
Come un lampo la sua
mano diede uno schiaffo sonoro contro la guancia del capitano Ramon. Poi Lolita
saltò indietro, ma lui
la prese per un braccio e l'attirò a sé.
– Prenderò un bacio a
pagamento di questo schiaffo – disse Ramon. – Una belvetta femminile può essere
gestito anche con un
solo braccio, grazie ai santi.
Lei lottò con
violenza, colpendo e graffiando il petto del capitano, ma senza riuscire a
raggiungere il suo
volto. Ma il capitano
ridere di lei e dei suoi sforzi, e la tenne stretta finché non fu quasi spenta
e senza fiato,
e alla fine si gettò
indietro la testa e la guardò negli occhi.
– Un bacio come
pagamento, signorina. – disse. – Sarà un vero piacere domare una puledrina così
selvaggia.
Lolita cercò di
combattere di nuovo, ma non poteva. Chiamò tutti i santi in suo aiuto ma il
capitano Ramon
ridere di più e chinava
la testa perché le sue labbra si avvicinassero alle sue.
Era tempo! Da un
angolo della stanza uscì una voce che era allo stesso tempo profondo e dura.
– Un momento, signore!
Il capitano Ramon
lasciò la ragazza e si girò su un tallone. Lui strizzò gli occhi per vedre nel
buio, poi sentì
Lolita dare un grido
di gioia.
Poi il capitano Ramon,
proferì una maledizione ad alta voce, Zorro gli stava davanti.
Non si chiese come il
bandito fosse entrato in casa, non si è fermato a pensarci sù. Si rese conto
che era
senza una spada al suo
fianco, e che comunque non poteva utilizzarla a causa della sua ferita alla
spalla.
Zorro e stava
camminando verso di lui da un angolo.
– Sarò un fuorilegge
ma rispetto le donne! – disse la maledizione di Capistrano. – E tu non mi
sembri un
ufficiale dell'esercito.
Che ci fai qui, capitano Ramon?
– E tu cosa fai qui?
– Ho sentito urlare
una signora, che è garanzia sufficiente per qualsiasi caballero per entrare in
qualsiasi
luogo, signore. Mi sembra, che si siano spezzate molte buone creanze.
– Forse anche la signora
non le ha mantenute.
– Signore! – Ruggì rabbiosamente l’uomo mascherato. – Un altro sporco
pensiero del genere e ti affilo dove
ti trovi, anche se sei
un uomo ferito! Come dovrei punirti?
– Domestici! Nativi! –
Gridò il capitano improvvisamente. – Qui c’è Zorro! Un premio a chi l’affronta!
L'uomo mascherato si
mise a ridere.
– Così cerchi aiuto.
Risparmia il fiato per le tue preghiere, piuttosto.
– Minacciate un uomo
ferito.
– Ti meriti la morte, signore, ma prima di fuggire ti voglio vedere in ginocchio a chieder
scusa alla
signorina. E poi te ne
andrai da questa casa tenendo la bocca chiusa riguardo a ciò che è avvenuto
qui. Se
non lo farai, ti
prometto che macchierò la mia lama con il tuo sangue.
– Ah!
– In ginocchio,
signore, e subito! – comandò Zorro comandato. – Non ho tempo da perdere.
– Sono un ufficiale…
– In ginocchio! –
comandò Zorro di nuovo, con voce terribile. Balzò in avanti e afferrò il
capitano Ramon
sulla spalla buona e
lo gettò a terra.
– Presto, miserabile!
Dite alla signorina che le chiedete umilmente perdono, cosa che non concederà,
ovviamente, visto
quello che è successo. Dillo, o, giuro che avrai fatto fatto il tuo ultimo
discorso!
Il capitano Ramon lo
fece. Poi Zorro lo afferrò per il collo e lo sollevò, e lo spinse verso la
porta e lo
scaraventò nelle
tenebre. E se gli stivali non fossero stati dalla suola morbida come quella dei
mocassini
indiani, il capitano
Ramon sarebbe stato ferito più profondamente, sia nei sentimenti che nel
fondoschiena.
Zorro chiuse la porta
e allo stesso momento il domestico entrò di corsa nella stanza, fissando con
spavento
l'uomo mascherato.
– Signorina, spero di
avervi reso un buon servizio. – disse il bandito. – Quel mascalzone non vi
disturberà
più, altrimenti
sentirà di nuovo il pungiglione della mia lama.
– Oh, grazie, signore,
grazie! – gridò. – Dirò a mio padre della buona azione che avete fatto.
Cameriere,
portate del vino!
Non c'era altro da
fare per il maggiordomo che obbedire, e corse via dalla sala, meditando sui
tempi che si
vivevano.
Lolita passo a fianco
dell'uomo mascherato.
– Signore! – alitò
nella stanza semibuia verso Zorro – mi avete salvato da un insulto. Mi avete
salvato
dall'inquinamento
delle labbra di quell'uomo. Signore, anche se mi ritengono in debito, e vi
offro
gratuitamente il bacio
che dovevo avere.
Alzò il viso e chiuse
gli occhi.
– E io non guarderò
sotto la maschera. – disse Lolita.
– È veramente troppo,
signorina. – disse. – Mi basta la tua mano, non le tue labbra.
– Che vergogna,
signore. Ero così audace da offrirmi, e voi mi rifiutate. Ne avete forse
imbarazzo. – fece
Lolita.
Zorro non resistete.
Si chinò rapidamente e sfiorò le labbra con la sua, ma poi non andò oltre.
– Ah, signorina. –
disse. – Vorrei essere un uomo onesto e per poter rivendicarvi apertamente. Il
mio
cuore è pieno di amore
per voi.
– E con il mio amore
per te.
– Questa è una follia.
Nessuno deve saperlo.
– Non avrei paura di
dirlo al mondo, signore.
– Tuo padre e la sua
fortuna! Don Diego!
– Ti amo, Senor.
– La vostra
possibilità di essere una gran signora! Pensi che non sapevo che era don Diego
l'uomo di cui
parlavi quando abbiamo
parlato nel patio di tuo padre? Forse il tuo è solo un capriccio, signorina.
– È amore, signore, né
più né o meno. E un Pulido non ama due volte.
– Quello che forse
potrebbe avvenire, non t’angoscia?
– Vedremo. Dio è
buono.
– È una follia.
– Una dolce follia,
signore.
Lui la strinse a sè e
chinò la testa ancora, chiudendo gli occhi e prese il suo bacio, un bacio che
durò a
lungo. Lei non fece
alcuno sforzo per vedere il suo volto.
– Posso essere brutto.
– Ma io ti amo.
– potrei esser
sfigurato, signorina.
– Ancora ti amerei.
– Che speranza
possiamo avere?
– Andate, signore,
prima del ritorno dei miei genitori. Non dirò altro se non che mi hai salvato
dagli insulti
e poi la strada di
nuovo. Penseranno che sei venuto a rubare a casa di Don Diego. sii onesto,
signore, per
amor mio. Nessuno
conosce il tuo volto, e se ti toglierai la maschera per sempre, nessuno saprà
mai delle tur
colpe. Lo so che tu
non sei un ladro comune. Lo so che vuoivendicare gli indifesi, e punire i
politici crudeli,
So che hai dato quello
che hai rubato ai poveri. Oh, signore!
– Ma il mio compito
non è ancora finito, signorina, e non posso fermarmi.
– Allora ritorna da me
quando tutto sarà finito, e che i santi ti proteggano e so che lo faranno. E
quando
ritornerai da me ti
riconoscerò sotto qualsiasi veste.
– Non devo aspettare
così a lungo, signorina. Vi vedrò spesso. Non potrei far altro.
– Sta in guardia.
– In verità, ora ne ho
una doppia ragione. La vita non è mai stato così dolce come da adesso.
Zorro si allontanò da
lei lentamente. Si voltò e guardò verso una finestra a portata di mano.
– Devo andare. –
disse. – Non posso aspettare per il vino.
– Fu solo un
sotterfugio per poter restare da sola con te.
– Fino alla prossima
volta, signorina, e non sarà a lungo termine questa separazione.
– Resta sempre in
guardia, mio signore!
– Sempre, mia amata, a
presto!
Ancora una volta i
loro occhi si incontrarono, poi Zorro si chiuse il mantello un gesto e si
lanciò attraverso
la finestra, e se ne
andò attraverso di essa. Il buio lo inghiottì.
Capitolo 14: il
capitano Ramon scrive una lettera
Rialzandosi dalla
polvere davanti alla porta di Don Diego Vega, il capitano Ramon sfrecciò
nell'oscurità su
per il sentiero che
con un dolce pendio arrivava al presidio.
Il suo sangue era
rovente d'ira, il suo viso era viola dall’ira. Vi erano rimasti al presidio non
più di una
mezza dozzina di
soldati, la maggior parte della guarnigione era andato con il sergente
Gonzales, e di quelli
rimasti mezza dozzina
erano sulla lista dei malati e due erano necessari come guardie.
Così il capitano Ramon
non poteva inviare gli uomini fino alla casa di Vega, per carcare di catturare
il
bandito, e poi,
sicuramente Zorro non sarebbe rimasto lì più di qualche minuto, ma sarebbe
montato a
cavallo e fuggito via,
quel bandito era rinomato per non restare a lungo in un posto.
Oltre a ciò, il
capitano Ramon non aveva alcun desiderio di far far sapere in giro che si era
trovato di fronte
Zorro una seconda
volta, e lo aveva trattato come fosse un peone. Si sarebbe anche potuto sapere
che aveva
insultato un
signorina, e che per questo era stato punito da Zorro facendolo mettere in
ginocchio a chieder
scusa e poi lo aveva
cacciato dalla porta principale come un cane?
Il capitano capì che
era meglio per non parlare dell'evento. Egli suppone che la signorina Lolita lo
avrebbe
detto ai suoi
genitori, e che il cameriere avrebbe confermato i fatti, ma dubitava che Don
Carlos facesse
qualcosa. Don Carlos
ci penserebbe due volte prima d’accusar di villania un ufficiale dell'esercito,
così
malvisto dal
governatore com’era. Ramon poteva solo sperare che non si muovesse Don Diego,
perché se un
Vega avrebbe alzato la
mano su di lui, non avrebbe avuto scampo.
Passeggiando avanti e
indietro nel suo ufficio, pensando a queste cose e molte altre, il capitano
Ramon
sentiva crescere la
sua ira. Si era tenuto al passo coi tempi, ben sapendo che il governatore
avendo un
disperato bisogno di
soldi per i suoi bagordi, ad ogni minimo sospetto si era calato su uomini
ricchi e
facoltosi, e forse ora
aveva bisogno di una nuova vittima.
Forse il capitano
poteva suggerire la famiglia vega come nuova vittima al governatore?
In poco tempo decise.
in questa maniera avrebbe avuto piena vendetta verso la figlia dei Pulido. A
questo
pensiero il capitano
sorrise subito a questo pensiero, nonostante la sua ira.
Si mise a scrivere e
nel contempo, ordinò che uno dei suoi uomini si organizzasse per un viaggio
come
corriere.
Seduto sul suo grande
tavolo indirizzò il suo messaggio a Sua Eccellenza il governatore, nella sua
villa a
San Francisco de Asis.
E così scrisse:
A sua eccelenza il
governatore,
Le vostre
informazioni riguardo al brigante chiamato Zorro, sò che sono a vostra
conoscenza. Sono spiacente di non
inviarvi questo
scritto per segnalarvi la cattura del ladro, ma spero che sarete clemente con
me in materia, visto
l’estrema
particolarità del caso.
Ho speso la maggior
parte della mia forza nella ricerca del fuorilegge, con l'ordine di catturarlo
o di farmi portarmi il
suo cadavere. Ma
questo Zorro non combatte da solo. Costui ha avuto soccorso in certi luoghi dei
dintorni, dove poteva
rimanere in
clandestinità, dove poteva avere dei cavalli in ricambio, e senza dubbio anche
cibo e bevande.
Nella giornata scorsa
ha visitato la fattoria di Don Carlos Pulido, un caballero noto per essere
ostile a Vostra
Eccellenza. Inviai
immediatamente degli uomini e poi mi recai sul posto anch’io. Mentre i miei
soldati si mesero sulle
sue tracce ed io ero
in casa, l'uomo mascherato sbucò da un armadio del salotto di Don Carlos e mi
attaccò a tradimento.
Mi ferì alla spalla
destra, ma ruscii ancora a lottare con lui, finchè non fuggì spaventato. Devo
dire di essere stato
alquanto ostacolato
da Don Carlos nel rincorrere il bandito. Inoltre, quando sono arrivato alla
hacienda, le indicazioni
erano che l'uomo era
intento a far cena.
La hacienda Pulido è
un posto eccellente come nascondiglio per un tale criminale, visto che si trova
fuori dalla strada
principale. Temo che
Zorro vi abbia il suo quartier generale quando si trova in questa zona, e
attendo le vostre
istruzioni in
materia. Posso aggiungere che Don Carlos mi ha appena appena trattato con
rispetto, mentre ero in sua
presenza, e che la
sua figlia, la signorina Lolita, difficilmente riusciva a trattenersi dal
mostrare la sua ammirazione per
questo bandito e
dello sforzo fatto dai soldati per catturarlo.
Vi sarebbero anche
indicazioni di un altra famiglia ricca e famosa di questo borgo che potrebbe
vacillare nella fedeltà
alla vostra
eccellenza, ma come capirà, non posso informarla di una cosa del genere in una
missiva inviata, tramite
corriere.
Con profondo
rispetto,
Capitano Ramon,
Comandante del Presidio di Reina de Los Angeles.
Ramon sorrise di nuovo
mentre finiva la lettera. Il governatore avrebbe sicuramente indovinato di
quale
famiglia parlava in
quest’ultima nota. Della famiglia Vega! l'unica ricca e famosa che poteva
corrispondere
alla descrizione. Per
quanto riguarda i Pulido, il capitano Ramon immaginava perfettamente cosa
sarebbe
loro successo. Il
governatore non avrebbe esitato a punirli, e forse la signorita Lolita
trovandosi senza
protezione, non
avrebbe potuto rifiutare le avances di un capitano dell'esercito.
Ora Ramon si preoccupò
di fare una seconda copia della lettera, con l'intenzione di mandare
l’originale con
suo corriere e di
conservare l’altra nei suoi archivi, nel caso potesse servirgli in futuro.
Terminata la copia,
piegò l'originale e lo sigillò, lo portò ai soldati nel loro alloggiamento, e
lo diede a
l'uomo che aveva
scelto come corriere. Il soldato salutò, corse a cavallo, e si diresse
furiosamente verso nord,
verso San Fernando e Santa Barbara,
e da lì a San Francisco de Asis, con gli ordini che gli ronzavono nelle
orecchie di non fermarsi
mai e di avere un cambio di cavalli ad ogni missione o pueblo che avesse
incontrato, in nome di
Sua Eccellenza.
Ramon tornò nel suo
ufficio e si versò una misura di vino, e rilesse la copia della sua lettera.
Avrebbe
voluto scriverla più
pesantemente, ma era meglio non esagerare per non far irritare il governatore.
Ogni tanto smetteva di
leggere e malediva il nome di Zorro, e rifletteva sulla bellezza e la grazia
della
signorina Lolita, che
doveva essere punita per il modo in cui lo aveva trattato.
Pensava che Zorro era
a miglia di distanza in quel momento da Reina de Los Angeles, ma si sbagliava. La
maledizione di
Capistrano, come era chiamato Zorro dai soldati, non era corso via dopo aver
lasciato la casa
di Diego de la Vega.
Capitolo 15: Al
Presidio
Zorro si era diretto
poco più in là al buio, nella parte posteriore della capanna di un nativo, dove
aveva
lasciato il suo
destriero, e si era fermato rimuginando sul sentimento che era nato dentro di
sé.
In quell’attimo
sorrise contento sotto i baffi quasi compiaciuto, poi montò il suo cavallo e lo
guidò
lentamente verso il
cammino che portava al presidio. Sentì in lontananza un cavaliere mettersi al
galoppo e
pensò che il capitano
Ramon avesse inviato un uomo a richiamare il sergente Gonzales e i soldati che
erano
sulle sue tracce.
Zorro sapeva tutto ciò
che accadeva nel presidio, sapeva quanti soldati fossero lì, e che quattro
erano a letto
con la febbre, e che
quindi rimaneva solo un uomo valido ora, oltre al capitano.
Rise di nuovo e fece
risalire la china verso il presidio al suo destriero, facendogli fare poco
rumore. Sul
retro del presidio
smontò, e lasciò le redini a terra, sapendo che il suo amico a quattro zampe
non si sarebbe
mosso.
Strisciò nelle tenebre
contro la parete del palazzo facendosi strada con attenzione finché giunse ad
una
finestra. Si sollevò
su una pila di mattoni crudi e guardò all’interno.
Era l’ufficio del
capitano Ramon dove guardava. Vide il comandante del presidio seduto davanti a
un gran
tavolo che leggeva una
lettera che sembrava aver appena finito di scrivere. Ramon stava parlando a se
stesso, come fanno
molti uomini dall’anima perfida.
– Questo causerà molto
dolore alla bella signorina, – stava dicendo. – Così imparerà a rifiutarsi un
ufficiale
delle forze di Sua
Eccellenza. Quando suo padre sarà nelle prigioni del presidio, accusato di alto
tradimento,
con le sue proprietà
confiscate, allora forse scenderà a più miti consigli.
Zorro non ebbe
difficoltà a capire quelle parole. Capì immediatamente che il capitano Ramon
aveva
organizzato una
meschina vendetta verso i Pulido. Sotto la sua maschera il volto di Zorro
divenne nero di
rabbia.
Scese dalla pila di
mattoni crudi e scivolò lungo il muro fino ad arrivare all'angolo del palazzo.
In una
presa di corrente a
lato della porta d'ingresso vi era una torcia in fiamme, e alla sua luce
passeggiava avanti e
indietro davanti al
portone l’unico soldato di guardia, con una pistola alla cintura e una lama al
suo fianco.
Zorro notò bene la
durata del breve tragitto del militare. Giudicò la distanza con precisione, e
proprio
Mentre l'uomo voltava
le spalle per riprendere la sua marcia, l’uomo mascherato saltò.
Le sue mani si
chiusero sulla gola del soldato mentre il suo ginocchio lo colpiva alla
schiena.
Immediatamente furono
a terra, il soldato sorpreso cercava di far del suo meglio per liberarsi. Ma
Zorro, non
poteva permettersi
alcun rumore, perciò colpì pesantemente il militare con il calcio della sua
pistola,
mandandolo nel mondo
dei sogni.
Lo strascinò poi al
buio, lo imbavagliò con una striscia strappata alla fine del suo poncho, e gli
legò mani e
piedi con altre
strisce. Poi dopo aver dato un’occhiata intorno per esser sicuro di non aver
attirato qualche
attenzione all'interno
dell'edificio, scivolò verso la porta.
Fu in un istante all’interno.
Davanti a lui vi era una grande sala con il pavimento sporco, con dei lunghi
tavoli e letti a
castello e boccali di vino e finimenti e selle e briglie. Visto che non vi era
nessuno lì, Zorro si
diresse rapidamente e
silenziosamente verso la porta che dava sull'ufficio del comandante.
Fece in modo di avere
la sua pistola pronta all’uso e aprì la porta. Il capitano Ramon era seduto
dandogli
la schiena, e si girò
con un ghigno sulle labbra pensando che uno dei suoi uomini fosse entrati senza
bussare,
e già provava il gusto
di sgridarlo.
– Non provi a dire una
sola parola, signore. – avvertì l’uomo mascherato, esclamando
la parola signore
quasi con disgusto. –
Se solo apre la bocca, morirà.
Tenendo gli occhi su
quelli del comandante, Zorro chiuse la porta dietro di lui, e avanzò nella
stanza.
Camminava avanti
lentamente, senza parlare, la pistola spianata contro il capitano, che era con
le mani sopra
al tavolo e la faccia
bianca dalla paura.
– Che cosa fate qui? –
chiese il capitano, ignorando l'ordine di non proferir suono, ma parlando con
un
sottile filo di voce.
– Ritengo che questa
visita sia necessaria, signore. Non sono certo qui per vedere la bellezza
del tuo viso.
– Mi è capitato di
guardare alla finestra. – Prosegui Zorro. – E ho visto prima una lettera sul
tavolo, e poi vi
ho sentito parlare. È
un brutto vizio per un uomo, parlare a se stesso. Se sareste rimasto in
silenzio avrebbe
potuto concludere
tranquillamente la sua serata.
– Va bene, signore, e
allora? – chiese il capitano, mentre un po’ della sua arroganza ritornava a
galla.
– Ho voglia di leggere
quella lettera.
– È così grande il suo
interesse per le mie imprese militari?
– Quanto a questo,
direi che no esiste, signore. Gentilmente vorreste togliere le mani dal
tavolo, ma senza
raggiungere la pistola
al vostro fianco se non volete morire all'istante. Sappiate che non avrò nessun
pentimento inviare la
vostra anima nell'aldilà.
Il comandante fece
come gli era stato ordinato, e Zorro è fece avanti con cautela e afferrò la
lettera. Poi
indietreggiò di
qualche passo, sempre guardando l'ufficiale davanti a lui.
– Ora leggerò questa
lettera. – disse Zorro. – ma vi avverto anche che vi osseverò con attenzione.
Vi
conviene restar
immobile, signore, a meno che non vogliate visitare i
vostri antenati.
Lesse rapidamente, e
quando finì alzò gli occhi sul comandante dritto negli occhi. A lungo, senza
parlare.
Non c’era bisogno, i
suoi occhi brillavano malevolmente attraverso la maschera. e il capitano Ramon
cominciò a sentirsi
più a disagio.
Zorro varcò il tavolo,
ancora guardando Ramon, e diede la lettera alle fiamme di una candela. Una
volta
presa fuoco, la
lettera arse, e rimase a terra, solo un po’ di cenere. Zorro ci mise il piede
sopra.
– La lettera non sarà
consegnata. – disse. – Così si combattono le donne, vero, signore? E voi sareste un
valoroso ufficiale, un
ornamento alle forze di Sua Eccellenza, eppure dubito che egli vi conceda la
promozione se sapesse
la verità. Vorreste causare una gran disgrazia a una ragazza che avete
insultato e che
vi giustamente
respinto, facendo leva sul malocchio che il potere ha contro il padre, è
veramente un atto
infame.
Fece un passo in
avanti e avvicinò la sua pistola al militare.
– Sarà bene che non
venga a sapere che una lettera simile a quella che ho appena distrutto, arrivi
al
governatore. – fece
poi. – Mi dispiace in questo momento non possiate incrociare la vostra spada
con me.
Sarebbe un insulto far
scorrere il vostro sangue sulla mia lama, ma sarebbe un atto doveroso per
liberare il
mondo da un mascalzone
come voi.
– Tu parli
spavaldamente ad un uomo ferito.
– Non c'è dubbio che
la ferita guarirà, signore. Mi terrò sempre informato al riguardo. E
quando sarà
guarita e sarete di
nuovo in forze, mi risponderete di quel che avete tentato di fare questa notte.
Voglio
essere chiaro con voi.
Ancora una volta i
loro occhi brillavano, gli uni contro gli altri, e Zorro fece un passo
indietro, quando
all’improvviso alle
loro orecchie arrivò il runore di zoccoli sul terreno. La voce rauca del
sergente Pedro
Gonzales, salì nel
buio.
– Non smontate! –
piagnucolò il sergente ai suoi uomini dalla porta. – Faccio il mio rapporto, e
poi
torniamo dietro alla
canaglia! Non avremo pace finché non lo troveremo!
Zorro diede una rapida
occhiata alla stanza, perché ormai la fuga dall'ingresso è inutilizzabile.
Negli occhi
del capitano Ramon
brillò una luce di speranza.
– Qui, Gonzales! –
gridò sorprendendo Zorro. – Salvatemi, Gonzales! Zorro è qui!
E poi sudando guardò
il bandito con aria di sfida, come per vedere se avesse avuto il fegato di
tirare il
grilletto.
Ma Zorro non far
fuoco. Non voleva far scorrere il sangue dell’ufficiale così. Voleva vedere la
sua linfa
vitale solo quando
sarebbe guarito, incrociando di nuovo le lame con lui.
– Rimanete dove siete!
– gli comandò e si precipitò verso la finestra più vicina.
Il grande sergente
aveva comunque sentito. Ordinò ai suoi uomini di seguirlo, e si precipitò nella
stanza
grande verso la porta
dell'ufficio e la spalancò. Un muggito di rabbia gli sfuggì quando vide l'uomo
mascherato in piedi
accanto al tavolo, dov’era seduto il comandante.
– Per tutti i santi,
lo teniamo! – piagnucolò Gonzales. – Qua soldati! Di guardia alle porte! Altri
alle
finestre!
Zorro aveva messo la
pistola nella mano sinistra, e aveva tirato fuori la sua lama facendola
svollazzalare in
avanti e lateralmente,
così da colpire le candele sul tavolo. Poi mise il piede sopra l'unica che era
rimasta
accesa gettando così
la camera nl buio.
– Presto! Portate una
torcia! – strillò Gonzales…
Zorro saltò da una
parte, contro il muro, facendosi strada il più rapidamente possibile, mentre
Gonzales e
altri due uomini
balzarono nella stanza, e uno rimase di guardia alla porta, mentre di fuori si
cercava una
torcia.
Un uomo con una torcia
si precipitò dalla porta, ma urlò subito. Una lama gli aveva attraversato il
petto, e
la torcia cadendo a
terra si spense.
Gonzales ruggì le sue
maledizioni e cercava l'uomo mascherato che voleva uccidere. Il capitano gli
piagnucolava di stare
attento a non infilzare un soldato per sbaglio. Finchè Non arrivò un altro uomo
con
un’altra torcia.
Zorro fece sentire la
sua pistola, colpendo la torcia nella mano del militare. Di nuovo si
ritrovarono al buio,
Zorro cambiava la sua
posizione rapidamente, ascoltando il respiro profondo dei suoi nemici che gli
avrebbe
rivelato la loro
esatta posizione.
– Fermate quella
canaglia! – urlava intanto il comandante. – Stupidi! Può un uomo solo giocarvi
così?
Poi smise di parlare.
Zorro lo aveva afferrato alle spalle ed ora era la voce dell’uomo mascherato a
risuonare nel buio
come fosse un richiamo infernale.
– Soldati! ho in mano
il vostro capitano! Lo porterò con me fuori della porta. Attraverserò la stanza
e andro
all'esterno
dell'edificio. Ho già scaricato la mia pistola, ma adesso ho in mano quella del
capitano Ramon e la
tengo puntata sulle
sue cervella. Quando uno di voi mi attaccherà, io farò fuoco, e voi non avrete
più un
comandante.
Il capitano sentiva il
freddo acciaio dietro della sua testa, e gridò ai suoi uomini di usar cautela.
Zorro se lo
portò fino alla porta
mentre i soldati e Gonzales li seguivano da vicino senza osar fare una mossa,
sperando
bene o male di poterlo
liberare.
Attraversata la grande
sala del presidio, arrivarono alla porta. Zorro aveva timore degli uomini al di
fuori,
che custodivano le
finestre. Una torcia bruciava appena fuori la porta, ma Zorro alzando la mano
la spense.
Eppure vi era ancora
pericolo nell’uscire.
Gonzales e i soldati
si erano sparsi a ventaglio attraverso la stanza. Gonzales teneva una pistola
in mano,
sperando di poter
colpire Zorro senza mettere in pericolo la vita del suo capitano.
– Indietro, signori! –
comandò ora l’uomo mascherato. – Vorrei avere più spazio per la mia partenza. –
i
soldati dovettero
ubbidire.
– Vi ringrazio.
Sergente Gonzales, se le probabilità non fossero così a mio sfavore, avremo
potuto incrociare
di nuovo le armi per
disarmarvi di nuovo.
– Per tutti i santi!
Io t’ammazzerò!
– Un'altra volta, caro
sergente. Ed ora, signori, attenzione! Mi dispace dirvelo, ma non avevo nessuna
pistola. Ciò che il
capitano ha sentire per tutto questo tempo alla base del suo cervello non era
altro che una
fibbia che ho raccolto
da terra. Non è stato un bello scherzo? Senores, adios!
Buttò all’improvviso
il capitano avanti a sé, a mordere di nuovo la polvere e poi si lanciò in mezzo
al buio.
Sentiva fischiare
intorno a sé le pallottole dei soldati, ma raggiunse il suo cavallo che spinse
poi al galoppo. E
i soldati sentirono la
sua risata mentre una fredda breccia soffiava dal mare in lontananza.
Capitolo 16: la fine
della caccia
Zorro buttò il suo
cavallo giù per il ripido pendio pieno di ghiaia della collina, dove un passo
falso avrebbe
potuto dare origine ad
un disastro, e dove i soldati facevano fatica a seguirlo. Il sergente Gonzales
però aveva
del coraggio da
vendere e degli uomini lo seguirono, mentre altri galopparono a destra e a
sinistra, con
l’intento di
intercettare il fuggitivo quando avesse raggiunto il fondo.
Zorro tuttavia era
molto davanti a loro, prese il sentiero verso San Gabriel con
un galoppo furioso, mentre i
soldati gli correvano
ancora dietro, chiamandosi gli uni con gli altri, e scaricando una pistola con
un grande
spreco di polvere e di
palle.
Presto la luna si
scoprì. Zorro già ne era a conoscenza, e sapeva che gli avrebbe reso più difficile
la fuga.
Ma il suo cavallo era
fresco e forte, mentre quelli dei soldati aveva fatto molti chilometri durante
il giorno, e
così non avevano più
speranza di catturarlo.
Ora poteva essere
visto chiaramente da coloro che lo inseguivano, e poteva sentire il sergente
Conzales
piagnucolare ai sui
suoi uomini di spronare le loro bestie al massimo per catturarlo. Si guardò
alle spalle
mentre galoppava, e
osservava che i soldati si disperdevano in una lunga fila, in cui i cavalli più
forti e più
freschi guadagnavano
terreno sugli altri.
Andarono avanti così
per circa cinque miglia, i soldati tenevano la distanza, ma senza guadagnare
terreno. Zorro sapeva
che presto i loro cavalli si sarebbero indeboliti, al contrario del suo che
dava alcun
segno di fatica. Solo
una cosa poteva disturbarlo, qualcuno che viaggiase in direzione opposta.
Qui le colline si
profilarono di scatto su entrambi i lati della strada, e non era possibile per
lui allontanarsi,
né vi erano dei
sentieri da poter seguire, e se avesse tentato di dar la scalata alle colline,
si sarebbe rallentato
troppo e i soldati
avrebbero potuto ferirlo, se non peggio.
Così tirò dritto,
guadagnando un po’ di terreno, sapendo che a due chilometri più a valle c'era
un sentiero
che girava a destra,
su cui avrebbe potuto far perdere le sue tracce.
Aveva quasi coperto
quei due chilometri quando si ricordò solo allora della notizia della frana
causata
dalle recenti piogge
torrenziali e che aveva bloccato quel sentiero. Così quando vi giunse non potè
usarlo, e
un pensiero audace gli
attraversò in mente.
Come superò un lieve
aumento del terreno, si guardò alle spalle e vide che due dei soldati a cavallo
erano
fianco a fianco. Erano
ben dispersi, e aveva una certa distanza da loro. Era l’ideale per il suo
piano.
Si precipitò dietro
una curva della strada e si fermò. Girò la testa del suo cavallo all'indietro
verso dove era
venuto, e si piegò in
avanti sulla sella ad ascoltare. Quando sentì il rumore del cavallo del suo più
vicino
inseguitore, egli
sfoderò la sua lama, svolse le redini intorno al suo polso sinistro, e
improvvisamente colpì la
sua bestia nei fianchi
crudelmente con i suoi speroni taglienti.
L'animale non aveva
mai sentito gli speroni, tranne quando in galoppo Zorro voleva una maggiore
velocità.
Così balzò in avanti
come un fulmine, irrompendo sulla strada come uno stallone selvaggio, e
portando
sconcerto nei nemici
di Zorro.
– Fate largo! – urlò
Zorro.
Il primo uomo cade
subito a terra, e quando capì che era Zorro gridò di fare attenzione a quelli
dietro, che
non capivano la causa
del rumore di zoccoli sulla strada dura.
Zorro piombò così sul
secondo uomo, incrociò per un attimo le spade con lui, lo buttò a terra e poi
cavalcò
via. Si precipitò su
un'altra curva, e il suo cavallo colpì un altro inseguitore, e lo scaraventò
sulla strada.
Zorro fu oscillato
dall’urto del quarto uomo, ma il contraccolpo gli spianò la strada, perché il
soldato si
ritrovò stesso a
terra.
E ora vi era altro che
il tratto rettilineo della strada davanti di lui, con i suoi nemici che gli
venivano contro.
Come un pazzo cavalcò
in mezzo a loro, sbalzandoli uno ad uno al suo passaggio. Il sergente Conzales,
molto indietro a causa
del suo cavallo stanco, capì cosa stava accadendo e strillò ai suoi uomini di
far
attenzione, ma per
quando strepitasse, non poté impedire che qualcosa di simile ad un fulmine
colpisse il
suo cavallo,
defenestrandolo.
Dopo il passaggio di
Zorro, i suoi nemici si rimisero al suo inseguimento, con alla testa il loro
sergente che
proferiva maledizioni
a più non posso, ma ad una distanza leggermente maggiore rispetto
all’inseguimento
di prima.
Adesso Zorro poteva
permettere al suo cavallo di andare un po’ più lento, visto che ormai manteneva
bene
le distanze, e arrivò
al sentiero che non potè prendere prima. Qui infilò un terreno più alto e si
guardò
indietro per vedere
come andava l’inseguimento dei suoi nemici, ancora in marcia, ma ormai molto
lontani.
– È stato un bel
trucco. – disse Zorro al suo cavallo, accarezzandolo. – Ma non potremo usarlo
spesso!
Superando l'hacienda
di un uomo amichevole al governatore, gli venne un pensiero. Forse Gonzales si
sarebbe fermato qui
per avere dei cavalli freschi.
In fondo non era
un’idea sballata. Infatti i soldati arrivarono al vialetto, e i cani ulularono
un benvenuto. Il
padrone della hacienda
giunse alla porta,con una lanterna in alto sopra la sua testa.
– Abbiamo la caccia a
Zorro, amico! – piagnucolò Gonzales. – Abbiamo bisogno di cavalli fresci, in
nome
del governatore!
I servi furono
avvertiti, e Gonzales ei suoi uomini si affrettarono al corral. C’erano
magnifici cavalli nel
recinto, cavalli,
quasi come quella che aveva il bandito, e tutti erano freschi. I soldati
rapidamente tolsero
selle e briglie dalle
loro cavalcature stanche per metterli sui destrieri freschi, e poi si precipitò
in pista di
nuovo per riprese
l'inseguimento. Zorro aveva guadagnato un bel po’ di terreno, ma c'era solo una
traccia
che volevano seguire.
A tre miglia di
distanza, sulla cresta di una piccola collina, c'era una hacienda che era stata
donata alla
missione di San Gabriel da un cavaliere che era morto senza
lasciare eredi. Il governatore aveva minacciato di
confiscarla per lo
Stato, ma finora non ci era riuscito, e i francescani di San Gabriel avevano qualcuno che
proteggeva la loro
proprietà con determinazione.
Responsabile di questa
hacienda era infatti Frate Felipe, ormai avanti negli anni, e sotto la sua
direzione la
fattoria prosperava,
vi era molto bestiame e un continuo invio ai magazzini di grandi quantità di
pelli e di
sego e miele e frutta,
così come il vino.
Gonzales sapeva il
sentiero che stavano seguendo portava a questa hacienda, e che appena al di là
c'era un
altro sentiero che si
biforcava, da una parte andava a San Gabriel e
l'altra ritornava a Reina de Los Angeles con
un percorso più lungo.
Se Zorro superava
l'hacienda, si sarebbe trovato sul sentiero che correva verso il pueblo, dal
momento che,
se avesse voluto
andare a San Gabriel, egli avrebbe continuato lungo la strada,
con il rischio di ritrovarsi i
soldati di fronte.
Ma non credeva che
Zorro l’avrebbe superata. Perché era ben noto che il bandito puniva duramente
coloro
che perseguitavano i
frati, perciò era indotto a credere che ogni buon francescano gli avrebbe dato
rifugio.
I soldati arrivarono
in vista della hacienda, e non vedeva la luce. Gonzales li fermò dove iniziava
il vialetto,
e ascoltato invano
qualsiasi tipo di rumore sospetto. Scese da cavallo e ispezionò la strada
polverosa, ma non
capì se un cavaliere
avesse cavalcato di recente verso la casa.
Diede degli ordini veloci,
e separò la truppa, metà degli uomini rimasero con lui e agli altri fece
circondare
la casa, le capanne
degli indigeni, e guardare nei grandi granai.
Poi Gonzales si avviò
nel vialetto con quella metà di uomini che erano con lui alle sue spalle, costringendo
il suo cavallo a
salire le scale della veranda. Un bel segnale per indicare quale rispetto
avesse per questo
luogo, difatti bussò
alla porta con l’elsa della sua spada.
Capitolo 17: Il
sergente Gonzales incontra un amico
Una luce si mostrò
attraverso le finestre, e subito dopo la porta si spalancò, e il profilo in
ombra di frate
Felipe con una candela
con la mano si affacciò. Era un vero gigante di ormai sessant'anni, che fece
parlare
di sè in passato.
– Chi è che fa tanto
rumore? – chiese con voce profonda. – E perché, figlio del male, fai cavalcare
il tuo
destriero sulla mia
veranda?
– Siamo a caccia di
Zorro, frate, quell’uomo che chiamiamo la maledizione di Capistrano. – disse
Gonzales.
– E ti aspetti di
trovarlo in questa povera casa?
– Troppe strane cose
sono successe. Rispondimi, frate! Hai sentito il galoppo furioso di un
cavaliere questa
notte?
– Io non ho sentito
niente.
– Zorro vi ha fatto
visita di recente?
– Non conosco l'uomo
di cui parli.
– Ma avrete sentito
parlare di lui, presumo?
– Ho sentito dire che
lui cerca di aiutare gli oppressi, che punisce coloro che compiono un
sacrilegio, e che
ha frusta coloro che
hanno battuto gli indiani.
– Non mi piacciono le
tue parole.
– È nella mia natura
dire la verità, soldato.
– Così sarete sempre
in difficoltà con i potenti, voialtri francescani.
– Non ci interessa la
politica, soldato.
– Mi piacciono sempre
di meno le tue parole, frate. Ho una mezza idea di smontare e di farti
assaggiare la
mia frusta!
– Signore! – fece
frate Felipe. – Se avessi dieci anni di meno sulle mie spalle potrei
trascinarti nel fango!
– Per ora farò finta
di non aver sentito. E torniamo al motivo di questa visita. Non avete mai visto
un
diavolo mascherato che
va sotto il nome di Zorro?
– Non ho visto
nessuno, soldato.
– Manderò i miei
uomini a fare delle ricerche in casa tua.
– Mi accusano di
mentire? – fece frate Felipe.
– I miei uomini devono
fare qualcosa per passare il tempo, e possono anche cercare in casa. Tanto non
avrete niente da
nascondere, no?
– Conoscendo l'identità
dei miei ospiti, potrei anche nascondere le brocche di vino, – disse frate
Felipe.
Il sergente Gonzales
si permise di mormorar a fior di labbra un peccato, poi scese da cavallo. Anche
i suoi
soldati smontarono,
mentre il sergente fece portar via il suo cavallo dalla veranda.
Poi Gonzales si tolse
i guanti, ringuainando la spada, ed entrò dalla porta con gli altri alle
calcagna, mentre
frate Felipe
protestava contro l'intrusione.
Da un divano in un
angolo della stanza si levò un uomo, che fu illuminato dal faschio di luce
proiettato
dalla lanterna.
– Cosa vedono i miei
occhi, il mio amico in divisa! – gridò.
– Don Diego, tu qui? –
Gonzales rimase a bocca aperta.
– Vengo dalla mia
hacienda dove ho sbrigato i miei affari, e siccome si è fatta notte prima del
previsto
sono passato da frate
Felipe, che mi conosce fin dall'infanzia. Che tempi turbolenti! Ho pensato che
qui,
almeno, in questa
hacienda che è un po’ fuori strada, avrei potuto avere un po’ di pace, senza
sentire parlare
di violenza e
spargimenti di sangue. Ma sembra che non sia possibile. Non c'è posto in questo
paese in cui
un uomo possa meditare
in pace su musica e poesia?
– E dai con ‘sta roba
da polenta e latte di capra! – piagnucolò Gonzales. – Don Diego, tu sei un mio
buon
amico e un vero
cavaliere. Dimmi, hai visto Zorro stasera?
– No di certo, caro
sergente.
– Non hai sentito
galoppare furiosamente oltre la fattoria?
– Veramente no. Ma un
uomo può cavalcare passando qui vicino e può non essere udito qui in casa.
Frate
Felipe ed io abbiamo
parlato insieme, ed erano sul punto di andare a coricarci quando sei arrivato
tu.
– Allora il ladro ha
cavalcato verso il pueblo! – fece il sergente.
– Lo avevate trovato.
– chiese Diego.
– Ah! Eravamo alle sue
calcagna, caballero! Ma a una svolta della strada maestra si è ricongiunto con
una
ventina di uomini
della sua banda. Cavalcarono contro di noi tentato di farci disperdere, ma
siamo riusciti a
separarlo dai suoi
compagni e abbiamo continuato la caccia.
– Tu dici che ha un
bel po’ di uomini con sé?
– Veramente un bel po’,
come i miei uomini possono testimoniare. È una vera spina nel fianco per noi
soldati, ma ho giurato
catturarlo! E lo faremo una volta che ci troveremo faccia a faccia.
– E tu mi narrerai
tutto poi? – chiese Diego, sfregandosi le mani, come un bimbo in attesa di una
bella
storia. – Mi riferirai
come lo portavi in giro mentre lottavate, come hai giocato di scherma con lui,
di come…
– Per tutti i santi!
Ti fai beffe di me, caballero?
– Ma su, che stavo
scherzando, mio caro sergente. Ora che ci siamo capiti, forse Frate Felipe darà
del vino a
voi e ai vostri
uomini. Dopo un inseguimento, dovete essere stanchi.
– Accetteremo ben
volentieri del buon vino! – fece il sergente.
Il suo caporale venne
poi a riferire che le ricerche nelle capanne e nei fienili, e anche nel
recinto, avevano
dato esito negativo.
Frate Felipe servì il
vino, anche se lo fece con una certa riluttanza, visto che lo fece solo per
rispondere alle
richieste di Diego.
– E che fai ora, mio
caro sergente? – chiese Diego, dopo che il vino era stato portato al tavolo. –
Ritornerai
alla caccia in tutto
il paese con la paura che venga un tumulto?
– Il ladro
evidentemente è tornato a Reina
de Los Angeles, caballero. – rispose
il sergente. – Lui pensa di
essere furbo come
l’animale di cui porta il nome, senza dubbio, ma ho capito il suo piano.
– Ah sì! E quale
sarebbe?
– Lui girerà intorno Reina de Los Angeles e prenderà poi il sentiero di San Luis Rey. Riposare per un po’,
senza dubbio, dopo
questo indiavolato inseguimento, e poi proseguirà per la vicinanze di San Juan
Capistrano. Dove ha iniziato le sue maledette
imprese, e per questo motivo che lo chiamano “La maldición de
Capistrano”. Sì, lui andrà a Capistrano.
– E voi soldati? –
chiese Diego.
– Noi lo seguiremo da
presso. Saremo presso Capistrano, e quando avremo notizia della sua grassazione
successiva, saremo a
breve distanza da lui invece che al presidio del nostro pueblo. Troveremo la
pista
fresca, e quindi riprenderemo
l'inseguimento. Non avremo riposo fino a quando il ladro non sarà fatto
prigioniero oppure
ucciso.
– E avrete così la
ricompensa. – aggiunse Diego.
– Parlate bene,
caballero. La ricompensa sarà buona cosa. Ma io cerco anche la vendetta. Il
ladro mi ha
disarmato una volta.
– Ah! Quella volta ti
tenne una pistola in faccia e ti costrinse a combattere non troppo bene?
– Proprio così mio
buon amico. Oh un conto in sospeso con lui.
– Che tempi
turbolenti. – sospirò Diego – non avranno mai fine. Un uomo non ha alcuna
possibilità per
meditare. Ci sono
momenti in cui vorrei andarmene lontano in collina, dove non c’è vita, tranne
serpenti a
sonagli e coyote, e
passarci un po’ di tempo. Solo in questo modo un uomo può meditare.
43
– Perché meditare? –
piagnucolò Gonzales. – Perché non la smettete con i pensieri e vi mettete in
azione?
Che uomo sareste,
caballero, se non vi lasciate andare di tanto in tanto, a mostrar i denti.
Quello che vi serve
è un paio di nemici.
– Che i santi ci
preservino! – piagnucolò Diego.
– È la verità,
caballero! Lottare un po', fare l'amore con qualche bella ragazza, ubriacarsi!
Sveglia e fa essere
un uomo!
– Parola mia, tu quasi
mi convinci, mio caro sergente. Ma no. Non ho mai potuto sopportare la fatica.
Gonzales brontolò
qualcosa sotto i grandi baffi poi si alzò dal tavolo.
– Non ho particolare
simpatia per voi, frate, ma ti ringrazio per il vino, che era eccellente. –
disse. –
Dobbiamo continuare il
nostro cammino. Il dovere di un soldato non finisce mai, finche lui vive.
– Non parlarmi di
viaggi! – piagnucolò Diego. – Devo ripartire domani. Ho ormai svolto i miei
affari alla
hacienda, e devo
tornare al pueblo.
– Lasciami esprimere
la speranza, mio buon amico, che sopraviverai al disagio del viaggio di
ritorno. Fece
Gonzales.
Capitolo 18: Il ritorno
di Diego
Lolita dovete
ovviamente riferire ai suoi genitori, di ciò che era accaduto durante la loro
assenza, anche il
cameriere riferì i
fatti come avvennero e così li avrebbe riferiti a don Diego quando sarebbe
tornato, e Lolita
fu abbastanza saggio
da capire che sarebbe stato meglio fermarsi con le spiegazioni.
Il cameriere, essendo
stato inviato a prender del vino, non sapeva nulla della scena d'amore che era
successa, e Lolita gli
disse solo che Zorro era corso via. Il che era più che ragionevole, visto che
era
perseguito dai
soldati.
Così la ragazza riferì
al padre e la madre che il capitano Ramon era arrivato mentre erano loro
assenti, e
che si era aperto la
strada nel grande soggiorno a parlare fino a lei, minacciando il camerire.
Forse aveva
bevuto troppo vino, e
stava ancora male a causa della sua ferita, spiegò la ragazza, ma fu comunque
troppo
audace, e sentirsi
premuta la sua divisa con ardore su di lei fu ripugnante, non solo, insisteva
per volere un
bacio.
Al che, fece la
signorina, comparve Zorro da un angolo buio della stanza. Non sapeva cosa
facesse lì ma
aveva costretto il
capitano Ramon a chiedergli scusa, e poi lo aveva buttato fuori di casa.
Infine, e qui ha
evitò di dire tutta la
verità, Zorro gli fece un cortese inchino e se ne corse via.
L’infuriato don Carlos
voleva prendere una spada e andar subito al presidio per sfidare il capitano
Ramon
ad un combattimento
mortale, ma Dona Catalina che era più calma, e gli fece capire che così sarebbe
stato il
modo migliore per far
sapere a tutti che la loro figlia era stata offesa, e in più litigare con un
ufficiale
dell’esercito non li
avrebbe certo alcun aiutati nelle loro fortune. Del resto Dona Catalina aveva
anche paura
di restar una vedova
piangente.
Così Don Carlos ri
rassegnò a percorrere con rabbia il pavimento del grande salone fumando,
rimpiangendo di non
avere dieci anni di meno o almeno di non avere più potere, ma promettè a se
stesso che
una volta che sua
figlia avrebbe sposato don Diego, lui avrebbe fatto di tutto per vedere il
capitano Ramon
cadere in disgrazia e
la sua uniforme strappata dalle spalle.
Seduta nella camera
che le era stata assegnata, Lolita sentiva i vaneggiamenti del padre, e si
trovò di fronte
ad una spiacevole
situazione. Naturalmente, non poteva più sposare Don Diego. Aveva donato le
labbra e il
suo amore ad un altro,
un uomo di cui non aveva mai visto il volto, una canaglia perseguita dai
soldati. Lei
aveva detto il vero
quando disse che un Pulido amava una sola volta.
Cercò di spiegare
tutto a se stessa, dicendo che si trattava di un impulso generoso che la
costrinse a dare le
sue labbra all'uomo
mascherato, ma sapeva che non era la verità, che il suo cuore era agitato come
quando
gli comparve la prima
volta alla fattoria di suo padre durante l'ora di siesta.
Non era ancora pronta
a rivelare ai suoi genitori l'amore che era venuto nella sua vita, un po’
perché era
dolce mantenere il
segreto, e un po’ perché temeva che suo padre la mandasse via in qualche posto
dove
Zorro non potesse
trovarla.
Attraverso la finestra
guardò fuori nella piazza e vide Diego che si avvicina in lontananza. Galoppava
lentamente, come se
molto stanco, e i suoi due servitori indigeni erano a breve distanza dietro di
lui.
Qualcuno lo chiamò
mentre si avvicinava alla casa, e agitò la mano verso di loro languidamente in
risposta
al loro saluto. Diego
scese da cavallo lentamente, mentre uno degli indigeni teneva la staffa e poi
si fece
spazzolar via la
polvere dai suoi vestiti e si avviò verso la porta.
Don Carlos e sua
moglie erano in piedi per salutarlo, con volti raggianti. Erano stati di nuovo
accettati nella
società la sera prima,
proprio perché erano ospiti di don Diego.
– Mi dispiace che non
fossi qui quando sei arrivati, – fece Diego. – ma ho fiducia che siate stati
bene nella
mia povera casa.
– Più che comodi in
questo palazzo stupendo! – esclamò Don Carlos.
– Allora siete stati
fortunati, perché solo i santi sanno come sono stato abbastanza a disagio.
– Ma che dite, Don
Diego? – chiese Dona Catalina.
– Fatto il mio lavoro
alla hacienda, sono andato da Frate Felipe, per passar lì la notte in
tranquillità. Ma
quando stavamo per
andare a coricarci, ci fu un rumore tonante alla porta, e subito il sergente
Gonzales e la
sua truppa di soldati
entrarono. Sembra che erano state inseguendo il bandito chiamato Zorro, e che
lo
abbiano perso nelle
tenebre!
Nell'altra stanza, una
delicata signorina ringraziò il cielo per questo.
– Questi sono tempi
turbolenti, – continuò Diego, sospirando e asciugandosi il sudore dalla fronte.
– Quei
militari rumorosi
restarono con noi un'ora o anche più, e poi continuarono l'inseguimento. E per
quel che mi
raccontarono, ho
vissuto un incubo orribile. Così questa mattina sono stato costretto a
ritornare a Reina de Los
Angeles.
– Qui ci fu un momento
terribile. – fece Don Carlos. – Zorro era qui, caballero, in casa vostra, prima
che
fosse inseguito dai
soldati.
– Ma cosa mi state
dicendo? – fece Diego mettendosi seduto dritto sulla sedia e tradento un
improvviso
interesse.
– Senza dubbio è
venuto a rubare, oppure a rapirti per chiedere un riscatto a tuo padre. – Dona
Catalina
osservato. – Ma penso
che volesse solo rubare, quando Don Carlos ed io eravamo in visita a degli
amici e
Lolita rimase qui da
sola. E… c’è una faccenda dolorosa di cui dobbiamo informarvi.
– Vi prego, parlate. –
fece Diego.
– Mentre eravamo fuori,
il capitano Ramon, è arrivato dal presidio, si è fatto strada in casa vostra e
si è
comportato in maniera
odiosa verso nostra figlia. Zorro entrò in quel momento e ha costretto il
capitano a
chiederle scusa e poi
lo ha buttato fuori di casa.
– Beh, questo è ciò
che io chiamo un bravo bandito! – esclamò Diego. – La signorina ha sofferto di
questa
esperienza?
– Direi di no. – disse
Dona Catalina. – È del parere che il capitano Ramon avesse bevuto troppo vino.
Ora
la chiamò.
Dona Catalina andò
alla porta della camera e chiamò sua figlia. Lolita entrò nella stanza e saluto
cortesemente Don Diego
come avrebbe fatto qualsiasi fanciulla di buona famiglia.
– Mi dispiace di aver
saputo che siate stata insultata in casa mia. – disse Diego. – Prenderò a cuore
questa
vicenda.
Dona Catalina fece un
gesto a suo marito, e andarono in un angolo lontano per sedersi, perché i
giovani
rimanessero da soli,
cosa che sembrava piacere a Don Diego, ma non certo alla signorina.
Capitolo 19: il
capitano Ramon si scusa
– Il capitano Ramon è
una bestia! – disse la ragazza a voce non troppo alta.
– È un uomo privo di
valori. – Diego concordato.
– Lui… lui, voleva
baciarmi.
– E tu ti sei opposta,
vero?
– Signore!
– Un attimo, non
arrabbiarti. Certamente non lo hai permesso. Confido che lo hai preso a
schiaffi.
– lo fatto. – disse
Lolita. – E poi mi ha afferrato, dicendomi che non doveva comportarsi così la
figlia di un
uomo che si trova in
disgrazia presso il governatore.
– Che bruto infernale!
– esclamò Diego.
– È tutto quello che
hai da dire al riguardo, caballero?
– Non posso certo
esprimere delle imprecazioni in vostra presenza.
– Tu non capisci,
signore? Quell'uomo è entrato in casa tua e ha insultato la ragazza a cui hai
chiesto di
essere tua moglie!
– Accidenti a quel
mascalzone! Quando vedrò Sua Eccellenza, gli chiederò di rimuovere
quell'ufficiale in
un posto sperduto.
– Oh! – gridò la
ragazza. – Non avete più spirito in corpo tutti quanti? Farlo rimuovere? Se sei
un uomo
corretto, Don Diego,
dovresti andare al presidio, a render conto a questo capitano Ramon, dovresti
passare la
tua spada attraverso
il suo corpo per dare a tutti testimonianza che un uomo non può insultare una
signorina e sfuggire
alle conseguenze.
– È un tale sforzo
combattere – fece Diego. – Non parliamo di violenza. Andro al presidio e lo
rimproverò.
– Lo rimprovera! –
gridò la ragazza.
– Parliamo di qualcosa
d'altro, signorina. Parliamo in merito all’argomento dell'altro giorno. Mio
padre
arriverà tra non molto
e vorrei sapere se posso dirgli che sto per prendere moglie. Non possiamo
rprendere
quella questione? Se
avete deciso il giorno?
– Non ho detto che ti
avrei sposato! – rispose dura la ragazza.
– Ma perché sei così
restia? – disse Diego. – Hai visto la mia casa? Sono sicuro che ti piace.
Potrai inoltre
trasformala secondo i
tuoi gusti, ma ti prego senza esagerar troppo, amo poco la confusione. Avrai
anche
una vettura nuova e
tutto ciò che potrai desiderare.
– E questo sarebbe la
tua maniera per corteggiare? – Fece Lolita, guardandolo con la coda degli occhi.
– Per me è un fastidio
il corteggiamento – disse Diego. – Dovrei suonare una chitarra, e fare bei
discorsi? Ti
prego! Non puoi darmi
la tua risposta senza che tutte queste sciocchezze?
Per Lolita paragonare
l'uomo che aveva accanto a lei con Zorro, era improponibile. Voleva farla
finita con
questa farsa, di avere
don Diego fuori dei suoi pensieri, e pensar a nessun’altro se non a Zorro.
– Devo parlare con
franchezza a voi, caballero. – disse Lolita. – Ho visto nel mio cuore, e non vi
è amore
per te. Mi dispiace,
perché so che può significare il nostro matrimonio per i miei genitori, e per
me nella
questione finanziaria.
Ma io non ti posso sposare, Diego, ed è inutile che insisti.
– Santi benedetti!
Avevo pensato che era tutto risolto. – rispose Diego. – Avete sentito, Don
Carlos? Tua
figlia dice che non
può sposarsi con me, che non sono nel suo cuore.
– Lolita, tornate alla
vostra camera! – esclamò Dona Catalina.
La ragazza ubbidì ben
volentieri. Don Carlos e sua moglie si affrettarono attraverso la stanza per
sedersi
accanto a Diego.
– Ragazzo mio, temo
che tu non capisci le donne. – disse Don Carlos. – Non devi prendere ciò che
dice una
donna per la sua
ultima risposta. È sempre possibile che in seguito mutino idea. Una donna ama
mantenere
un uomo in tensione,
facendo vibrare il suo cuore a ogni mutamento d’animo. Lasciala riflettere.
Alla fine, ne
sono certo, troverai
la strada del suo cuore.
– È di là delle mie
forze! – piagnucolo Diego. – Che cosa dovrei fare ora? Le ho detto che le
avrebbe dato
tutto ciò che il suo
cuore desidera.
– Credo che il suo
cuore desideri solo amore. – disse Dona Catalina con profonda saggezza di ogni
donna.
– Ma certamente io
sono pieno d'amore per lei. Non le ho donato il mio cuore? potrebbe un Vega
mancare
alla parola data in
merito una cosa così importante?
– Dovresti darti da
fare con un po’ di corteggiamento. – esortò Don Carlos.
– Ma è un fastidio.
– Qualche parola
dolce, una pressione della mano di tanto in tanto, un sospiro o due, uno
sguardo
languendo dagli occhi…
– Sono solo
sciocchezze!
– Ma è quello che una
fanciulla si aspetta. Non parlate di matrimonio per un certo tempo. Lasciate
crescere
l'idea su di lei.
– Ma mio padre
potrebbe in qualsiasi momento venire al pueblo per chiedermi quando sto per
prendere
moglie. Mi ha ordinato
di farlo.
– Sono più che sicuro
che tuo padre capirà. – fece Don Carlos. – Digli che io e mia moglie siamo
dalla tua
parte e che si stanno
godendo il piacere di capitolare la ragazza.
46
– Credo che dovremmo
tornare alla fattoria domani. – suggerì Dona Catalina. – Lolita ha visto questa
splendida casa, e lei
lo confronterà con la nostra. Si renderà conto cosa vuol dire sposarti. E c'è
un antico
detto che quando un
uomo e una ragazza sono distanziati corri più affetto di quel che si pensi.
– Non vorrei che ve
andaste così presto.
– Penso che sia meglio
date le circostanze. E tu Diego tornerai da noi, diciamo fra tre giorni, e non
dubito
che troverai nostra
figlia più accondiscende.
– Presumo che abbiate
ragione. – disse Diego. – Ma dovete rimanere almeno fino a domani. E ora penso
non sarà male che vada
al presidio e vedere questo capitano Ramon. Devo chiedere spiegazioni della sua
condotta con la
signorina. Lei pensa che sia la cosa che dovrei fare.
Don Carlos sapeva che
poteva una cosa molto pericolosa per un uomo che non ha mai fatto pratica con
le
armi, ma si astenne
dal dirlo. Non poteva. Anche se un cavaliere va incontro alla morte, stava
facendo la
cosa giusta, e se
sarebbe morto, sarebbe morto come un vero caballero.
Così Don Diego uscì casa
e si avvicinò lentamente al presidio pensato di andare a combattere contro un
uomo.
Ma ebbe comunque
un’accoglienza fredda, quando don Diego entrò nell'ufficio del comandante.
Diego si inchinò
cortesemente, e Ramon rispose a sua volta. Il capitano si meravigliò che don
Diego non
aveva una lama al suo
fianco.
– Sono stato costretto
a venire nel presidio per parlare con voi di una questione delicata – fece
Diego. –
Sono stato informato
che avete visitato la mia casa durante la mia assenza, e insultato una giovane
donna
che è mia ospite.
– Davvero? – disse il
capitano.
– Avevate dato fondo
forse alle vostre bottiglie di vino?
– Senor?
– Potrebbe scusare in
parte il vostro comportamento. E poi naturalmente eravate ferito, e
probabilmente
con un po’ di febbre.
È così, capitano?
– Senza dubbio. –
disse Ramon.
– Essere febbricitante
è una cosa terribile, ne ho avuto un attaco una volta. Ma non avreste dovuto
importunare la
signorina. Non solo, ma l’avete anche offesa. Ho chiesto alla signorina di
diventare mia
moglie. Anche se la
questione non è ancora risolta, ho anch’io il diritto di offendermi.
– Sono entrato nella
vostra casa in cerca di notizie di Zorro. – mentì il capitano.
– E l’avete poi
trovato? – chiese Diego. Davanti a lui, il comandante arrossì.
– L'uomo era lì e lui
mi ha aggredito. – replicò poi Ramon. – Sono stato ferito, ovviamente, e
portava delle
armi, in modo da
potermi imporre la sua volontà.
– È cosa molto strana…
– osservò Diego. – …che nessuno di voi soldati sia in grado di contrastare la
maldición de
Capistrano, eppure dovreste
essere a parità di condizioni. Infatti vi colpisce con la sua spada
sempre quando siete
impotenti, o perché vi minaccia con una pistola, o avendo dietro di sé una
ventina di
uomini. Vede ier sera
ho incontrato il sergente Gonzales e i suoi uomini alla hacienda di Frate Felipe. Il nostro
gran sergente mi ha
fatto un racconto straziante su come quel bandito e la sua ventina di uomini
avrebbero
giocato i vostri
soldati.
– Noi lo prenderemo
comunque. – assicurò il capitano. – E vorrei inoltre farvi notare dei fatti ben
particolari,
caballero. Don Carlos Pulido, come sapete, è ormai in disgrazia con l’autorità.
E Zorro era alla
hacienda Pulido, come
ricorderà, e mi attaccò lì, sbucando a tradimento da un armadio.
– Ah! Che cosa
vorreste dire?
– Ancora una volta,
ieri notte, era in casa vostra mentre eravate fuori e i Pulido erano vostri
ospiti. Mi viene
da pensare che Don
Carlos sia immischiato nel lavoro di Zorro. Sono quasi convinto che Don Carlos
è un
traditore e sta aiutando
quella canaglia. Fareste meglio a pensarci due volte, o una decina di volte,
prima di
contrare matrimonio
con la figlia di un tale personaggio.
– Benemeriti santi,
che discorso! – esclamò Diego quasi in ammirazione. – Sinceramente, mi ha dato
alla
testa. Hai fatto il
mio anello povera testa. Credete davvero tutto questo?
– Ma certamente,
caballero.
– Bè, i Pulido stanno per
tornare alla loro casa, credo domani. Ma ho chiesto loro di essere miei ospiti
in
modo che siano lontani
dalle malefatte di Zorro.
– E Zorro li seguirà
al pueblo. Vedete?
– Può essere
possibile? – Diego rimase a bocca aperta. – Devo esaminare la questione. Oh,
questi tempi
turbolenti! Ma loro
ritorneranno alle loro casa domani. Naturalmente non vorrei che sua eccellenza
pensase
che ho ospitato un
traditore.
Diego si alzò in
piedi, si inchinò cortesemente, e poi si avviò lentamente verso la porta. E
sembrò ricordare
qualcosa
improvvisamente, infatti si girò verso il capitano.
– Ah, Quasi
dimenticavo il motivo della mia visita: l’insulto! – esclamò. – Che cosa hai da
dire, caro il mio
capitano, sugli eventi
di ieri sera?
– Naturalmente,
cavaliere, mi scuso con lei molto umilmente. – rispose il capitano Ramon.
– Suppongo che dovrei
accettare le tue scuse. Ma per favore che una cosa del genere non accada di
nuovo.
Hai spaventato a morte
il mio povero cameriere, un domestico eccellente.
Poi Don Diego Vega si
inchinò di nuovo e lasciò il presidio, e il capitano Ramon rise a lungo e
forte, tanto
da far credere agli
uomini ammalati nell’infermeria che il loro comandante avesse perso il senno.
– Che razza di uomo! –
esclamò il capitano. – Credo però, d’averlo allontanato da quella stupida della
Pulido. Ed ero io
stesso uno stupido a suggerire al governatore che potrebbe essere capace di
tradimento.
Devo rettificare che
la mia lettera di iersera in qualche modo. Quella sottospecie di uomo non ha
spirito
sufficiente per essere
un traditore!
Capitolo 20: Don Diego
mostra interesse
La temuta pioggia non
venne quel giorno né la notte stessa, e la mattina seguente il sole brillava
nel cielo
azzurro cielo e
nell’aria vi era profumo dei fiori.
Subito dopo il pasto
del mattino, la carrozzina dei Pulido venne portata dai domestici di don Diego
nella
parte anteriore della
casa, e don Carlos e la moglie e la figlia si preparò a partire per ritornare
alla loro
hacienda.
– Mi sconforta… –
disse Diego alla porta. – …che non ci possa essere alcuna corrispondenza tra me
e la
signorina. Cosa dirò a
mio padre?
– Non perdere la
speranza, Diego. – lo consigliò Don Carlos. – Forse quando saremo di nuovo a
casa, e
Lolita confronterà la
nostra umile dimora con la magnificenza della vostra casa, cambierà idea. Una
donna
cambia idea,
cavaliere, come spesso cambia pettinatura ai capelli.
– Avevo pensato che
tutto si sarebbe stato organizzato in poco tempo. – disse Diego. – Pensate si
sia
ancora speranza?
– Confido di sì. –
fece Don Carlos, ma dentro di sé ne dubitava, ricordando lo sguardo che aveva
visto in
faccia a sua figlia.
Tuttavia, fargli un discorsetto serio una volta a casa, per farla decidersi al
matrimonio.
Così dopo i saluti, e
che la carrozzina era partita, Diego tornò nella sua casa a testa in giù, come
chi ha
sempre quando ha dei
pensieri.
Sentì il bisogno di
aver compagnia per il momento, e uscì di casa per attraversare la piazza ed
entrare nella
taverna. Il grasso posadero si precipitò a salutarlo, lo condusse ad un
tavolo vicino ad una finestra, e andò
prendere del vino,
senza che Diego gliel’avesse ordinato.
Diego passava anche
un'ora intera guardando attraverso la finestra della piazza, osservando gli
uomini e le
donne che venivano a
andavano, e i nativi che lavorarono, e ogni tanto guardando il sentiero che
correva
verso la strada di San Gabriel.
Da quel percorso, vide
arrivare due uomini a cavallo, e tra i loro cavalli un terzo uomo a piedi, e
Diego
poté vedere che era
legato alle selle dei cavalieri.
– In nome dei santi,
che cosa succede? – esclamò, alzandosi dalla panchina e andando vicino alla
finestra.
– Ha! – disse l'oste
al suo fianco. – Quello che sta arrivando sarà il prigioniero.
– Prigioniero? – fece
don Diego, guardando il posadero
con una domanda nel
suo sguardo.
– Un nativo ci ha dato
la notizia non molto tempo fa, caballero.
– Di che notizia
parli, oste?
– Quell'uomo dovrà
comparire immediatamente davanti al magistrado
per essere giudicato. Dicono che
ha truffato un
commerciante di pelli, e dovrà essere punito. Voleva essere processato a San Gabriel, ma non
gli è stato permesso,
dal momento che laggiù tutti sono in favore delle missioni e dei frati.
– Chi è l'uomo? –
chiese Diego.
– È chiamato Frate
Felipe, caballero.
– Che cosa? Ma frate
Felipe è un uomo vecchio, e un mio buon amico. Ho passato l'ultima notte con
lui
prima di ritornar qui
al pueblo.
– Senza dubbio si è
sempre preso gioco di voi, cavaliere, come ha fatto con tanti altri.
Ora Diego mostrò un
certo leggero interesse. Uscì in fretta dalla taverna ed entrò in un in un
piccolo
edificio mattoni sul
lato opposto della piazza, dove era situato l'ufficio del magistrato. I
cavalieri erano
appena arrivati con il
loro prigioniero. Erano due soldati che erano di stanza a San Gabriel, e il frate era stato
pure costretto a dare
loro vitto e alloggio in nome del governatore.
Era proprio frate
Felipe, che si era fatto l’intero percorso legato alle selle delle sue guardie,
che
sicuramente avevano
mandato ogni tanto al galoppo i cavalli per sfiancare la sua resistenza.
Il saio di frate
Felipe era ormai uno straccio, ed era coperto di polvere e sudore. Coloro che
gli si
affollavano intorno lo
fece bersaglio di fischi e lazzi grossolani, ma il padre teneva la testa con
orgoglio e
facendo finta di non
vederli.
I soldati dopo aver
smontato lo costrinsero ad entrare nell’ufficio del magistrato facendosi strada
tra i
fannulloni e nativi
affollati davanti la porta. Diego esitò un momento, e poi si aprì il passo
verso la porta. –
Fate largo! – gridò, e
gli indigeni lo fecero passare.
Entrò sempre però
pressato dalla folla. Il Magistrado
lo vide e gli indicò con un cenno un sedile anteriore.
Ma Diego non voleva
sedersi per ora.
– Si può sapere cosa
succede qui? – chiese. – Costui è frate Felipe, un uomo pio e mio buon amico.
– È un truffatore. –
replicò uno dei soldati.
– Se lo fosse davvero,
allora non potremo dare la nostra fiducia a nessuno. – osservò Diego.
– Tutto questo è
abbastanza irregolare, caballero. – insisté il magistrado, facendosi avanti. – Le accuse sono
state precise, e
l'uomo è qui per essere giudicato. – Poi Diego si sedette, e la corte fu
convocata. L'uomo che
aveva fatto la
denuncia si fece avanti e disse che era un commerciante con un magazzino a San Gabriel.
– Sono andato alla
hacienda gestita da questo frate, ed ho acquistato dieci pelli. – testimoniò. –
Dopo avergli
dato le monete che mi
aveva chiesto in pagamento sono tornato al mio magazzino e ho scoperto che le
pelli
non erano per niente
buone. Erano tutte rovinate. Sono ritornato alla fattoria, chiedendo al frate
di
restituirmi il denaro,
cosa che si è rifiutato di fare.
– Le pelli erano
buone. – fece frate Felipe – Gli ho detto che avrebbe riavuto i soldi se mi
avesse riportato le
pelli.
– Non potevo farlo! –
dichiarò il mercante. – Il mio assistente qui presente, può testimoniare tutto.
Puzzavano talmente che
le ho dovuto subito bruciare.
L'assistente infatti
confermò tutto.
– Hai qualcosa da dire
in tua difesa, frate? – chiese il magistrato.
– Bà! So già che non
mi servirà a nulla – dichiaro frate Felipe. – Tanto mi volete colpevole e mi
condannerete. Sarebbe
stato diverso solo se fossi stato seguace di un governatore licenzioso, invece
di essere
un francescano.
– Tu dici parole piene
di tradimento? – piagnucolò il magistrado.
– Io dico parole piene
di verità.
Il Magistrado increspò le labbra e aggrottò
la fronte. – Abbiamo ormai verificato tutto su questa truffa. –
disse infine. – Un
uomo che indossa una veste sacra non può rubare impunemente. In questo caso,
ritengo
doveroso dare un
esempio, che il frate veda che non può approfittare della sua vocazione. Frate
dovrai
rimborsare l'uomo del
prezzo delle pelli rovinate. E per la truffa riceverai sulla schiena nuda dieci
frustate. E
per le tue parole di
tradimento, riceverai cinque frustate aggiuntive. La seduta è tolta.
Capitolo 21: Le
frustate
I nativi fischiarono e
applaudirono. Il volto di Diego divenne bianco, e per un istante i suoi occhi
incontrarono quelli di
frate Felipe, e vi lesse lo sconforto.
La sentenza doveva
essere eseguita, e i due soldati portarono frate Felipe nel luogo
dell’esecuzione al
centro della piazza.
Diego vide che il magistrato rideva di gusto e si rese conto che il processo
era stato una
farsa.
– Questi tempi
turbolenti! – disse a un signore di sua conoscenza che gli stava vicino.
Strapparono la veste
già a brandelli sulla schiena di frate Felipe e iniziarono a frustarlo al palo.
Ma il frate
era stato un uomo di
grande forza ai sui tempi, e nonostante la sua età avanzata, e in un attimo
capì che non
doveva soffrire quella
ignominia.
Improvvisamente si
girò sui soldati li sbatté da una parte e si chinò ad afferrare la frusta da
terra.
– Tu hai rimosso il
mio abito! – gridò. – Sono un uomo ora, non un frate! State giù cani!
Cominciava a picchiare
con la frusta. Sfregiò in faccia uno dei militari. Colpì due nativi che
saltarono
contro di lui. Ma poi
la folla fu su di lui, picchiandolo forte, con calci e pugni.
Diego si mosse veloce.
Non poteva vedere il suo amico trattato in questo modo nonostante la sua indole
apparentemente docile.
Si precipitò in mezzo alla folla, costringendo i nativi a farlo passare. Ma
sentì una
mano afferrargli il
braccio, si voltò e vide gli occhi del magistrato su di lui.
– Queste non sono
azioni degne di un caballero del vostro rango. – fece il giudice a bassa voce.
– L'uomo è
ormai stato
condannato. Chiunque alzi la mano per dargli aiuto, alzerà la mano contro sua
eccellenza. Non
dimenticatelo, Don
Diego Vega?
Diego rifletté. E si
rese conto anche che non avrebbe potuto fare nulla di buono al suo amico,
agendo così.
Fece un cenno con la
testa al magistrado e si voltò.
Ma non andò lontano. I
soldati avevano soprafatto frate Felipe ormai e lo avevano preparato per
scagliato
la fustigazione. Un
ulteriore insulto,infatti la fustigazione era solo per i nativi insubordinati.
La sferza oscillò
in aria, e poi Diego
vide il sangue schizzare dalla schiena nuda di frate Felipe.
Voltò la faccia
allora, perché non poteva sopportare di guardar oltre. Ma poteva contare il
canto che faceva
la frusta attraverso
l'aria, e sapeva anche che frate Felipe era un vecchio orgoglioso e non avrebbe
gettato
nessun lamento a costo
di morire.
Sentì i nativi ridere
e tornò indietro per scoprire che la fustigazione era ormai alla fine.
– Il denaro deve
essere rimborsato entro due giorni, oppure avrete quindici frustate in più. –
fece il
magistrato.
Frate Felipe fu
sciolto e lasciato cadere a terra, ai piedi del palo. La folla ha cominciato a
sciogliersi. Due
frati che aveva
arrivati da San Gabriel aiutarono il fratello a rimettersi in piedi
e mentre lo portavano via, i
nativi gli fischiavano
dietro. Diego tornò a casa sua.
– Mandami Bernardo. –
ordinò al cameriere.
Il maggiordomo si
morse le labbra per evitare di sorridere mentre andava a fare come gli era
stato
ordinato. Bernardo era
un nativo sordo-muto al quale Diego era molto legato, che si presento subito
nel
grande salotto e si
prostrò davanti a lui.
– Bernardo, sei un
gioiello. – disse Diego. – Non puoi né parlare né sentire, non puoi scrivere né
leggere. Tu
sei il solo uomo al
mondo a cui posso parlare senza dover avere risposta.
Bernardo chinò la
testa come se avesse capito. Faceva sempre così quando Diego muoveva le labbra.
– Questi sono tempi
turbolenti, Bernardo. – continuò Diego. – Un uomo non può avere un luogo dove
possa meditare. Un
luogo dove possa calmare i suoi nervi a pezzi. Anche l’altra notte da frate
Felipe ci fu un
gran sergente che
bussò alla porta. E poi la fustigazione del vecchio frate Felipe, Bernardo, ci
lascia l’augurio
che Zorro, vedendo chi
compia ingiustizia, agisca di conseguenza.
Bernardo chinò di
nuovo la testa.
– Per quanto mi
riguarda, mi trovo in una bella salamoia. – continuò Diego. – Mio padre mi ha
ordinato di
prender moglie, e la
signorina che desidero mi ha respinto. E mio padre mi tirerà gli orecchi.
– Bernardo, è tempo
per me di lasciare questo pueblo per alcuni giorni. Andrò alla fattoria di mio
padre, a
dirgli che non ho
nessuna donna da sposare ancora, e chiedere la sua indulgenza. E lì, sulle
larghe colline
dietro casa, sperare
di trovare qualche posto dove possa riposare e consultare i miei poeti
preferiti per un
giorno intero senza
che briganti, sergenti e magistrati ingiusti possano infastidirmi. E tu, mio
caro Bernardo,
mi accompagnerai,
naturalmente. Posso parlarti senza far uscire le parole dalla mia bocca.
Bernardo chinò di
nuovo la testa. Ha intuito ciò che stava per venire. Era abitudine di Diego
parlargli così a
lungo, solo quando era
in programma un viaggio. Cosa Che a Bernardo piaceva, perché adorava Diego, e
perché gli piaceva
visitare la fattoria del padre di Diego, dove è sempre stato trattato con
gentilezza.
Il cameriere aveva
ascoltato tutto nella stanza accanto, e aveva dato gli ordini perché fosse
preparato i
cavalli e qualcosa che
i due avrebbero portato con sé.
In breve tempo Diego
partì a cavallo e dietro di lui, Bernardo lo seguiva con un mulo. Si
affrettarono
lungo la strada
maestra e dopo una svolta, videro i due francescani su un carrettino che
accompagnavano
frate Felipe, che
cercava di trattenere i gemiti di dolore. Diego smontò accanto al carrettino
che si era
fermato. Si avvicinò e
strinse le mani di frate Felipe mani nelle sue.
– Diego!
– Mio povero amico. – rispose
il giovane.
– Oggi Diego, hai
assistito ad un altro esempio di ingiustizia. – fece frate Felipe. – Per venti
lunghi anni
abbiamo visto le
nostre missioni sottoposte a questi sorprusi, cercando comunque di prosperare.
Quando il
santo Junipero Serra arrivò
in questa terra selvaggia, di cui tutti avevano paura, costruì la prima
missione a
San Diego de Alcala. la prima missione di quella che sarebbe
diventata una catena, dando così un impero al
mondo. Il nostro unico
errore è stato quello di prosperare. Abbiamo fatto il lavoro, e gli altri
raccolgono i
vantaggi.
Diego annuì, e l'altro
continuò:
– Hanno iniziato a
prendere la terra delle missioni, a noi che avevamo le terre coltivate, lì dove
era un
deserto e che i miei
fratelli hanno trasformato in giardini e frutteti. Ci hanno derubati dei beni
materiali. E
non contenti ora ci
stanno perseguitando.
Ma presto tutto
finirà, Diego. Non è molto lontano il tempo in cui i tetti della missione crolleranno
e le loro
pareti si
sbricioleranno. Un giorno la gente guarderà quelle rovine e si chiederanno come
una cosa del
genere sia potuta
accadere. Ma noi possiamo fare nulla tranne che essere presenti. È uno dei
nostri principi.
E per un attimo l’ho
dimenticato in piazza a Reina de Los Angeles, quando ho preso la frusta e ho
colpito un
uomo. È il nostro fato
Diego, che ci impone di essere presenti.
– A volte… – rifletté
Diego. – …io vorrei essere un uomo d'azione.
– Tu doni tanta
simpatia, figliolo, che vale il suo peso in pietre preziose. E ricordati che
un'azione espressa
in maniera sbagliata è
molto peggio che non fare nessuna azione. Dove andate?
– Alla fattoria di mio
padre, padre. Devo chiedere il suo perdono e la sua indulgenza. Mi ha ordinato
di
prender moglie, e lo
trovo un compito difficile.
– È strano, figliolo.
Questo dovrebbe essere un compito facile per un Vega. Ogni fanciulla sarebbe
orgogliosa di assumere
questo nome.
– Avevo sperato di
poter sposare la signorina Lolita Pulido. Ma mi è andata male.
– Una fanciulla degna!
Suo padre, inoltre, è stata sottoposto ad una ingiusta oppressione. Se tu
unisci la tua
famiglia alla sua,
nessuno avrebbe osato alzare la mano contro di lui.
– Questo è vero,
padre. Ma sembra che io non abbia abbastanza spirito.
– Credo sia solo
difficile da accontentare, Diego. O forse gioca a essere una civetta con la
speranza di
aumentare il tuo
ardore. Le ragazze amano stuzzicare gli uonimi, figliolo. È loro privilegio.
– Gli ho mostrato la
mia casa nel pueblo con la mia grande ricchezza e avrei acquistato una vettura
nuova
per lei.
– Ragazzo mio, hai
provato a mostrare il tuo cuore, hai cercato di farle capire il tuo amore, per
poi poter
essere un marito
perfetto?
Diego lo guardò un
attimo senza capire, poi sbattè rapidamente i suoi occhi, e si grattò il mento,
come
faceva quando era perplesso.
– Che idea
perfettamente stupida! – esclamò dopo un po’.
– Provaci figliolo.
Può avere un ottimo effetto.
Capitolo 22: Una veloce
punizione
Frate Felipe alzò la
mano benedicente, su Diego e Bernardo e poi lui e i suoi confratelli ripresero
la strada, e
così fecero i due
cavalieri.
Nel pueblo, intanto,
il commerciante era al centro dell’attenzione nella taverna. Il grasso posadero gli stava
servendo del vino, che
sarebbe stato pagato con una parte del denaro che aveva truffato a frate
Felipe. Con
lui c’era anche il
magistrato.
Ci fu una risata
chiassosa quando raccontò come schizzò il sangue di frate Felipe.
– Non lanciò un solo
lamento! – gridò il commerciante di pelli. – È un vecchio coyote coraggioso!
Pensate,
il mese scorso ne
abbiamo frustato un’altro di frate a San Fernando,
e lui urlava chiedendò pietà, ma qualcuno
ha detto che era
malato e debole, e forse era vero. Ah! Questi frati. Sono davvero bravi nel
lanciare i loro
ululati. Più vino,
padrone di casa! È frate Felipe che sta pagando!
Ci fu uno scoppio di
risate, e l’assistente del commerciante, che aveva dato testimonianza
spergiura, lanciò
una moneta per pagare
il vino a tutti gli avventori, con grande soddisfazione del posadero.
– Sei forse un frate,
con tutte quelle monete indosso? – gli disse il posadero.
Quelli nella taverna
ulularono di nuovo con allegria, e il posadero, che aveva preso più
denaro del dovuto,
sorrise mentre tornò
al suo lavoro. Era una buona giornata per il posadero.
– Aspetta! Chi era
quel cavaliere che ha mostrato misericordia verso il frate? – Chiese il
commerciante.
– Era don Diego Vega.
– rispose il padrone di casa.
– Ba! Si è voluto
mettere nei guai.
– Non don Diego. –
fece il posadero. – Hai sentito parlare della grande
famiglia Vega, non è vero, signore?
Sua Eccellenza stessa
gode del loro favore. I Vega sono talmente potenti che ad una loro sola parola,
ci
sarebbe una
sollevazione politica da queste parti.
– Allora è un uomo
pericoloso? – Chiese il commerciante.
Un fiume di risate gli
rispose.
– Pericoloso? Don
Diego Vega? – gridò il posadero, mentre le lacrime scorrevano sulle sue guance
grasse. –
Ah! Tu mi ammazzerai!
Don Diego non fa altro che sedersi al sole e sognare. Porta quasi sempre una
lama,
ma solo per una
questione di prestigio. Egli geme se deve fare pochi chilometri a cavallo. Don
Diego è tanto
pericoloso quanto una
lucertola che prende il sole.
Ma comunque è un
grande signore! – aggiunse poi in fretta, non sia mai che sue parole fossero
arrivate alle
orecchie di don Diego
e perdere poi un così buon cliente.
Era quasi buio quando
il commerciante lasciò la taverna con il suo assistente, ondeggiando nel
camminare,
per il troppo vino
bevuto.
Misero piede nella
loro carrozzino, sventolato un amichevole addio al gruppo di persone che ancora
stazionavano davanti
alla porta della taverna, e presero lentamente il sentiero verso San Gabriel.
Iniziarono il loro
viaggio senza fretta, continuando a bere da un boccale di vino che s’erano
portati dietro.
Passarono la cresta
della collina, e il pueblo di Reina de Los Angeles scomparve alla loro vista, e tutto ciò che
potevano vedere era
solo la strada tortuosa davanti a loro che si snodava come un grande serpente
polveroso tra le
colline brune, e alcuni edifici in lontananza, dove alcuni nobili aveva la sua
fattoria.
Fecero una svolta e si
trovarono davanti un cavaliere, seduto comodamente in sella, con il suo cavallo
in
piedi dall'altra parte
della strada in modo tale che non potevano passare.
– Togli da lì il tuo
cavallo oppure passeremo sopra la tua bestia! – fece il commerciante.
L'assistente diede una
esclamazione di paura, guardando più da vicino il cavaliere. La sua bocca si
spalancò come i suoi
occhi.
– Zorro! – esclamò. –
Che i santi ci proteggano! La maledizione di Capistrano, qui vicino a San
Gabriel. La
prego signor Zorro, io
sono solo un povero uomo, e senza soldi. Solo ieri, una frate mi ha truffato, e
sono
stato dal magistrato
de Los Angeles in cerca di giustizia.
– Ma davvero? – chiese
Zorro.
– Il magistrato ha
ordinato al frate di rimborsarmi, ma non so quando riavrò i soldi.
– Scendete dalla
carrozzina! – ordinò Zorro.
– Ma non ho soldi. –
protestò il commerciante.
– Fuori dalla
carrozzina, se non volete finire sotto terra! Non lo ripeterò più!
In quel momento il
commerciante vide spianata davanti a lui la pistola e strillando dalla paura,
scese al più
presto possibile
seguito dal suo assistente, fermandosi sulla strada polverosa e implorando
pietà.
– Non ho soldi con me,
gentile bandito, ma te li farò avere. – piagnucolò il commerciante. – Li darò a
chi
vuoi.
– Silenzio, bestia! –
fece Zorro. – Non voglio i tuoi sporchi soldi, spergiuro. So tutto del processo
farsa di
Reina de Los Angeles. Ho avuto modo di scoprire tutto
rapidamente, bugiardo e ladro! Sei tu il truffatore.
Quel povero vecchio ha
avuto ben quindici frustate sulla schiena nuda per le menzogne che avete detto.
E tu
e il magistrato vi
dividerete pure i soldi che gli avete truffato.
– Giuro per i santi…
– Non farlo! Hai già
fatto troppi giuramenti falsi oggi. Fate un passo avanti.
Il commerciante
tremava come se avesse una malattia, e anche l’assistente non stava meglio
vista la faccia
bianca.
– Avanti! – comandò di
nuovo Zorro.
Improvvisamente il
commerciante incominciò a chiedere pietà, perché Zorro aveva preso nella sua
mano
destra una frusta da
sotto il suo lungo mantello, mentre continuava teneva a tenere la pistola nella
sinistra.
– Voltate le spalle!
– Misericordia, buon
bandito! Non merito d’essere picchiato e derubato. Non si può colpire un
commerciante onesto a
causa di una frate ladro?
Il primo colpo colpì
con enorme violenza, e il commerciante urlò di dolore. La sua osservazione di
poco
prima aveva fatto
colpire ancora più forte. Poi partì un secondo colpo e il commerciante di pelli
finì in
ginocchio sulla strada
polverosa. E continuò, continuò fino a ridurgli gli abiti a degli stracci e la
schiena a
una massa
sanguinolenta.
Poi Zorro rinfoderò la
sua pistola nella cintura, si fece avanti e afferrò i capelli dell’assistente
con la mano
sinistra, in maniera
da tenerlo su, e con la destra fece piovere dei colpi pesanti con la sua frusta
sulla schiena
del giovane, fino a
far cadere a pezzi il suo cappotto di tela dura e la camicia che finirono
fradici di sangue.
Zorro si fermò e andò
davanti a loro.
– Questo perché con i
tuoi spergiuri hai fatto punire un frate onesto. – disse al commerciante. Poi
rivolse la
sua attenzione
all'assistente. – Senza dubbio, giovanotto, tu hai eseguito gli ordini del tuo
padrone quando
hai mentito davanti al
magistrato. Ma devi imparare ad essere onesto e leale, in ogni circostanza.
– Misericordia,
signore! – urlava l'assistente.
– Non eri forse tu che
ridevi quando il frate veniva frustato? Sarete pieni di vino, ma dovete capire
che per
mano mia avete
ricevuto il castigo divino che l'uomo riceve sempre per ciò che fa d’ingiusto!
Zorro afferrò il
giovane per la nuca, girò intorno a lui, e gli mollò uno schiaffone sul cranio,
pesante come
un pugno. Il ragazzo
urlava e piagnucolava. Cinque altri schiaffoni gli mollò, poi si fermò per non
renderlo
incosciente. E infine
lasciò il ragazzo.
– Spero abbiate
imparato la lezione – fece. – Rimontate nel carrozzino e andatevene. E quando
parlerete di
questo evento, dite la
verità. Che io non a sapere che si dica in giro che ero circondato da quindici
o venti
uomini, mentre
lavoravo con la frusta… – aggiunse poi con occhi carichi d’odio – …altrimenti
vi ritroverò e
vi punirò di nuovo!
L'apprendista saltò
sul carrozzino, e il suo padrone lo seguì, e scomparvero in una nuvola di
polvere in
direzione di San Gabriel. Zorro si tolse il cappello e poi la
maschera e si asciugò il sudore dalla fronte,
tremando ancora per il
furore. Poi rimontò a cavallo fissando la frusta al pomo della sella e spinse
il suo
cavallo al galoppo.
Capitolo 23: Altre
Punizioni
Zorro salì rapidamente
la cresta della collina sotto la quale vi era il pueblo, e poi fermò il suo
cavallo e
guardò giù verso il
paese:
Era quasi buio, ma ci
vedeva abbastanza bene per il suo scopo. Delle candele erano state accese nella
taverna, e
dall'edificio venne il suono dei canti rauchi e degli scherzi fatti ad alta
voce. Altre candele
ardevano al presidio,
e da alcune case veniva l'odore di cottura degli alimenti.
Zorro cavalcò giù
dalla collina. Quando arrivò nella piazza fermò il cavallo e si precipitò fino
alla porta
della taverna, prima
che fosse notato da una mezza dozzina di uomini riuniti lì davanti, quasi tutti
sotto
l'effetto del vino.
– Posadero! – gridò.
Nessuno degli uomini
davanti alla porta gli fece una particolare attenzione in un primo momento,
pensando che era solo
qualche cavaliere che cercava ristoro dopo un lungo viaggio. Il posadero uscì in fretta,
fregandosi le grassi
mani con soddisfazione, e si accostò al cavallo. E poi si accorse che aveva
davanti a lui
un uomo mascherato,
con in mano una pistola che lo minacciava.
– Il magistrato è
dentro? – chiese Zorro.
– Si, signore!
– Resta dove sei e
chiamalo. Digli che qui c'è un caballero che vuole parlare con lui in merito a
una
particolare questione.
Il posadero terrorizzato urlava verso l’interno della
taverna per chiamare il magistrato. Il giudice venne
fuori barcollando,
gridando a gran voce di sapere voler sapere chi fosse che lo aveva distolto dal
suo
piacevole
intrattenimento.
Barcollò fino al
cavallo, e mise una mano su di lui, alzò lo sguardo e trovò due occhi
scintillanti che lo
fissarono con odio,
attraverso una maschera. Aprì la bocca per gridare, ma Zorro lo avvertì in
tempo.
– Non è un suono o sei
morto! – fece. – Sono venuto a punirti. Oggi hai dato una ingiusta sentenza
sopra
un uomo pio che era innocente.
Io sò della sua innocenza, e il suo processo non era altro che una farsa. Per
la
vostra ingiustizia
riceverai un certo numero di frustate, come pagamento.
– Tu oserai…
– Silenzio! – Comandò
Zorro. – Tu, sulla porta vieni qui.
Chiamò uno dei peones
che erano sulla porta e questi accorse pensando che fosse un cavaliere che
voleva
un servizio e che lo
avrebbe pagato in oro. Nel crepuscolo non vide la maschera e la pistola fino a
quando
non si fermò accanto
al cavallo, ma ormai era troppo tardi per ritirarsi.
– Stiamo per punire
questa ingiusto magistrato. – Zorro disse loro. – Cinque di voi lo prendano e
lo
portino al palo in
mezzo alla piazza, e legatelo lì. Il primo uomo che non ubbidirà riceverà un
proiettile di
piombo della mia
pistola, e poi la mia lama si occuperà della altri. E che sia fatto tutto in
fretta.
La paura stava
facendosi strada nel magistrato.
– Ridete ad alta voce,
che non si sentano le sue grida – ordinò Zorro, e gli uomini risero più forte
che
potevano, anche se le
loro risate avevano una qualità particolare: la paura.
Presero il magistrato
per le braccia e lo portarono al palo legandolo alle cinghie.
– Tu! – fece Zorro ad
uno di essi. – Prendi questa frusta. Ognuno di voi frusterà quest'uomo cinque
volte. Io
starò a guardare, e se
verò cadere una sola volta la frusta leggermente, vi punirò pesantemente.
Iniziate.
Buttò la frusta al
primo uomo, e la punizione iniziò. Le parole di Zorro furono di sprone per i
peones, che
colpirono con grande
forza il magistrato.
– Ora anche tu, posadero! – fece Zorro all’oste.
– Ma così mi mettete
nei guai… – piagnucolò costui.
– Preferisci il
carcere o una bara ?
Era evidente che il
posadero preferiva il carcere. Prese in mano la frusta, e superò i peones nel
colpire la
schiena del
magistrato.
Il magistrado ormai
pendeva semisvenuto pesantemente dal palo. L’incoscienza era subentrata in lui
dopo
l’ultimo colpo e aveva
agito più della paura.
– Staccare quell'uomo.
– ordinò Zorro.
Due uomini si fecero
avanti per eseguire i suoi ordini.
– Portatelo a casa
sua. – disse loro il giustiziere mascherato. – E dite alla gente del pueblo che
questo è il
modo in cui Zorro
punisce coloro che opprimono i poveri e che, con verdetti ingiusti, rubano in
nome della
legge.
Il magistrato,
gemendo, riprese coscienza grazie al dolore, mentre veniva portato via. Zorro
si rivolse
ancora al posadero.
– Torna alla taverna.
– disse. – E vammi a prendere un bicchiere di vino, poi resterai accanto al mio
cavallo
mentre bevo. Sarebbe
solo uno spreco di fiato per me dire cosa accadrà a voi se mi si tenta un
tradimento
lungo la strada.
Ma nel cuore del posadero vi era paura sia del magistrato, sia di
Zorro. Quindi tornò alla taverna solo per
dare l'allarme.
– Fuori c’è Zorro! –
sibilò a quelli più vicini al tavolo. – Mi ha mandato a prendere un po’ di vino
dopo che
aver fatto frustare a
sangue il magistrato.
Poi passò alla botte
del vino e cominciò a versare la bevanda il più lentamente possibile.
Ci fu un'attività
improvvisa all'interno della taverna. Vi erano una mezza dozzina di caballeros, tutta gente
fidata del
governatore. Tirarono fuori le loro lame e avanzarono lentamente verso la
porta. Uno di loro che
possedeva una pistola
e l'aveva nella sua fascia, la trasse fuori, e si accodò al gruppo.
Zorro, seduto sul suo
cavallo una ventina di metri dalla porta della taverna, improvvisamente vide
venire
verso di lui una folla
e il bagliore delle loro lame. Sentì anche uno sparo e una palla gli sfiorò la
testa.
Il posadero era in piedi sulla porta, pregando che il
bandito venisse catturato, cosicché, forse il magistrato
non lo avrebbe punito.
Zorro colpì Tornado
coi suoi speroni. Il superbo animale balzò in avanti, in mezzo ai caballeros,
disperdendoli.
Questo era quello che
avrebbe voluto fare Zorro. La sua lama era già fuori dal suo fodero, e trapassò
il
braccio di un uomo,
facendo schizzar fuori il suo sangue.
Manovrava il suo
cavallo in modo da tener separati i suoi nemici. Mentre l'aria si riempiva di
urla e grida,
e gli uomini del
pueblo si affacciavano dalle loro case per cercar di capire la causa di tanto
fracasso. Zorro
sapeva bene che
qualcuno di loro erano armato di pistola, e avrebbero potuto colpirlo.
Così buttò di nuovo il
suo Tornado in avanti, e prima che il grasso posadero se
ne rendesse conto, Zorro era
davanti a lui e l’aveva
afferrato per un braccio. Il superbo stallone schizzò via, trascinandosi dietro
il grasso
posadero, che urlava per essere salvato e
implorando pietà nello stesso tempo. Zorro si preparò a fustigarlo.
– Passami la frusta. –
gli comandò.
Il posadero ubbidì, e invitò tutti i santi a
proteggerlo. E poi Zorro lui li fece calare la frusta in modo da
legarlo alla sua vita
e poi iniziò a frustarlo. A volte frustava qualcuno del gruppo dei caballeros che accorsero
verso il palo, per
tenerli a distanza, ma continuava con la sua punizione.
– Hai tentato di
tradirmi! – gridò. – Cane di un ladro! Mi hai mandato un po’ di persone, per
farmi
catturare, eh? E io ti
punisco come meriti.
– Misericordia! –
gridò il posadero, e poi cadde a terra.
Zorro poi buttò il suo
Tornado sul più vicino dei suoi nemici. Un'altra palla pistola fischiò sopra la
sua
testa, mentre un altro
uomo balzava su di lui per infilzarlo come uno spiedo. Zorro allora gli
trapassò la
spalla e poi spronò
Tornado.
Galoppò verso l’uscita
della piazza poi fermò Tornado e gridò ai suoi nemici:
– Spiacente! Ma non
siete abbastanza per fare un gradevole scontro, signori
Sollevò il suo
sombrero e si inchinò loro, in una bella e solenne presa in giro, e poi uscì
dal pueblo a spron
battuto.
Capitolo 24: Alla Hacienda
di don Alejandro
Zorro aveva lasciato
dietro di sé letteralmente un gran bordello. Le urla del grasso posadero si udivano per
tutto il pueblo. Gli
uomini benestanti arrivavano di corsa, accompagnato dai loro servi con delle
torce in
mano. Le donne sbirciarono
dalle finestre delle loro case. Mentre i nativi dentro di loro rabbrividivano,
perché, per atroce
esperienza, sapevano che ogni volta che c'erano dei disordini, pagavano colpe
non loro.
Molti giovani caballeros di sangue caldo erano lì, visto che da
molto tempo non vi era stata più alcuna
emozione nel pueblo di
Reina de Los Angeles. Questi giovani si accalca nella taverna e
ascoltavano i lamenti
del posadero, e alcuni si affrettarono a casa del magistrato e vedendo le sue
ferite, e lo sentirono declamare
dell'umiliazione che
era stata data alla legge, e quindi a sua eccellenza il governatore.
Il capitano Ramon uscì
dal presidio, e quando seppe la causa del tumulto sputò grandi giuramenti, e
ordinò al suo unico
uomo valido di cavalcare dal sergente Gonzales e i suoi soldati, e dir loro di
far ritorno,
dato che al momento
stavano seguendo una falsa pista.
Ma i giovani caballeros videro in questa circostanza l'occasione
per smuovere la loro noia, e chiesero
l'autorizzazione al
comandante per formare una squadra e dar la caccia a Zorro, un permesso che
ebbero
immediatamente.
Una trentina di loro
montarono a cavallo, e dopo aver dato un’occhiata alle loro armi, proposero di
dividersi in tre
gruppi di dieci persone ognuno, e prendere le tre direzioni del sentiero.
I loro concittadini
gli applaudirono dietro, come si avviarono al galoppo rapidamente su per la
collina e
verso la strada di San Gabriel, facendo un gran fracasso e felici che la
lana si era aperta, sicuri che questo
avrebbe permesso loro
di vedere.
Subito dopo si
separarono, dieci in direzione di San Gabriel,
dieci prendendo il sentiero che portava alla
fattoria di frate
Felipe, e gli altri dieci, verso una strada che curvava verso valle dove
v’erano una serie di
ricche fattorie.
Proprio lungo questa
strada, Diego aveva cavalcato poco tempo prima, insieme a Bernardo. Diego
gironzolò a lungo, e
fu solo dopo il tramonto, che ritornò sulla strada principale e di seguito ad
una più
stretta che portava
verso la casa di suo padre.
Don Alejandro Vega, il
patrono della famiglia, sedeva solo al suo tavolo, i resti del pasto serale
erano
davanti lui, quando
sentì arrivare un cavaliere alla porta. Un domestico corse ad aprire, e Diego
entrò,
accompagnato da
Bernardo.
– Ah, Diego, figlio
mio! – gridò don Alejandro, aprendo le braccia.
Diego abbracciò il
padre, poi si sedette accanto al tavolo e afferrò un boccale di vino. Dopo
averlo lasciato
bere, Don Alejandro
restò in attesa che Diego parlasse, e infatti subito dopo.
– Che viaggio
faticoso.
– E perché l’avresti
fatto, figlio mio?
– Sentivo che avrei
dovuto venire in fattoria – fece Diego. – Non c’è modo di restare al pueblo.
Dovunque
non c’è altro che
violenza e spargimenti di sangue a cusa di questo Zorro.
– Ah! Ancora lui?
– Per favore, non
“Ha!”, papà. Non facevo altro che “Ha!” dalla mattina alla sera in questi
giorni, sono
tempi turbolenti.
– Questo Zorro ha
fatto pure una visita alla fattoria dei Pulido e sono tutti spaventati. Sono
andato alla mia
hacienda per sbrigare
del lavoro, e da lì sono andato a vedere il vecchio frate Felipe, pensando che
potrei
avere la possibilità
di meditare in sua presenza. E chi fa la sua apparizione, un grosso sergente e
suoi soldati
in cerca di questo
Zorro.
– Lo hanno preso?
– Credo di no, papà.
Al giorno dopo sono tornato al pueblo. E sapessi cosa è successo lì. Ci hanno
portato
frate Felipe,
accusato, lui!, di aver truffato un commerciante, e dopo la beffa di un
processo farsa lo hanno
frustato legato al
palo al centro della piazza. Gli hanno dato una quindicina di frustate sulla
schiena.
– Mascalzoni! – urlò
don Alejandro.
– Io ne potevo più, e
così ho deciso di venire a farti visita. Ovunque mi giro c'è fermento. È più
che
sufficiente per far
diventare un uomo folle. Puoi chiederlo a Bernardo se non lo è così
Don Alejandro diede
un'occhiata al sordomuto e un tenero sorriso si disegnò sul suo volto. Bernardo
sorrise anche lui come
risposta, non sapendo che non si poteva in presenza di un Don. Ma Don Alejandro
non era certo così
maligno, e lo lasciava fare. Poi fissò intensamente suo figlio e gli fece:
– Hai qualcosa da
dirmi?
– Oh santi! Proprio
adesso. Speravo di evitarlo, papà.
– Voglio sapere!
– Ho fatto una visita
alla fattoria Pulido e ha parlato con Don Carlos e sua moglie, ed anche con la
signorina Lolita.
– Eri soddisfatto
della signorina?
– Lei è bella come
qualsiasi ragazza di mia conoscenza, anzi di più. – fece Diego. – Ho comunque
parlato
con Don Carlos della
questione del matrimonio, e lui sembrava essere felice.
– Ah! Sarebbe.
– Ma il matrimonio
temo non possa avvenire.
– Che significa? C'è
qualche ombra sulla signorina?
– Non che io sappia.
Lei sembra essere una fanciulla dolce e innocente, papà. Avevo fatto in modo
che
venissero a Reina de Los Angeles per trascorrere un paio di giorni a casa
mia. Così che la signorina potesse
vedere l'arredamento e
vedere la mia ricchezza.
– E 'stata una saggia
disposizione, figlio mio.
– Ma lei non ne vuole
sapere di me.
– Come? Rifiuta di
sposare un Vega? Rifiuta di diventare alleata alla famiglia più potente del
paese, con il
miglior sangue sulla
faccia della terra?
– Mi ha lasciato
capire, papà, che io non sono il tipo di uomo per lei. Lei è incline alla
follia, credo.
Avrebbe voluto vedermi
suonare la chitarra sotto la sua finestra, forse, e fargli gli occhi dolci, e
tenerci per
mano quando la madre
non sta guardando, e tante altre stupidità.
– Ma per tutti i
santi! Sei un Vega, oppure no? Non sei un uomo degno di fare cose del genere?
Delle
serenate al chiaro di
luna come qualsiasi caballero? Queste piccole cose stupide sono
l'essenza stessa
dell'amore. È naturale
che la signorina era scontento di te.
– Ma non pensato che
la questione fosse necessaria.
– E così sei andato
dalla signorina e a sangue freddo gli hai chiesto di sposarla, vero? Avevi già
l'idea, eh!
signorino, di
acquistare quella fanciulla come si acquista un cavallo o un toro? Per tutti i
santi! E così ora non
hai alcuna possibilità
di sposare quella ragazza? Una fanciulla con il miglior sangue nelle vene dei
dintorni.
– Don Carlos mi disse
di avere speranza. Quando sarebbe tornata alla loro hacienda, e fatto il
confronto tra
la sua casa e la mia
forse lei potrebbe cambiare idea.
– Lei potrebbe esser
tua, se giochi bene la partita. Sei sempre un Vega, e quindi il miglior partito
del paese.
Ma non se sarai un mezzo
amante. Che tipo di sangue hai nelle vene? Ho una mezza idea di aprirle e
vederlo.
– Non possiamo metter
da parte questo matrimonio d'affari per il momento? – chiese Diego.
– Tu hai ormai 25
anni. Ed io ero già avanti con l’età quando sei nato. Presto me ne andrò via
dei miei
padri. Tu sei il mio
unico figlio, l'erede, e devi avere una moglie e prole. La famiglia Vega deve
forse morire
perché il tuo sangue è
acqua? Ho ti trovi una moglie, o lascio il mio patrimonio ai francescani,
quando
passerò a miglior
vita.
– Ma papà!
– Dico sul serio.
Trova un po’ di vita dentro te! Vorrei che tu avessi la metà del coraggio e
dello spirito di
questo Zorro, di quel
bandito da strada, ha! Lui ha nel suo cuore dei sani ideali. Egli aiuta gli
indifesi e
vendica gli oppressi.
Ora ti saluto! Avrei preferito che mio figlio corra il rischio di morire o di
finire in
prigione come Zorro,
piuttosto che avere un sognatore senza vita!
– Ma padre mio! Sono
sempre stato un figlio rispettoso.
– Vorrei che tu fossi
stato un po’ più selvaggio. – sospirò Don Alejandro. – Invece sei senza vita.
Risveglia
te stesso, giovanotto!
Ricordati che sei un Vega. Quando avevo la tua età, non ero uno zimbello. Ero
pronto a
combattere per una
strizzatina d'occhio di una bella fanciulla, contro qualsiasi caballero. Ah!
– Ti prego, non fare
“Ah!”, papà. Ho i nervi a fior di pelle.
– Devi essere più
uomo.
– Cercherò di esserlo
immediatamente. – fece Diego, raddrizzandosi sulla poltrona. – Speravo di
evitarlo,
ma sembra che non si
può. Farò la corte alla signorina Lolita come fanno tutti gli altri uomini.
Volevi dire
questo quando ti
riferivi alla tua fortuna?
– Infatti.
– Allora agirò. Non
sia mai che la fortuna, i nostri averi lascino la nostra famiglia. Mediterò su
questi
argomenti in pace e
tranquillità stasera. Forse, potrò essendo lontano dal pueblo. Con l’aiuto dei
santi!
Ma subito dopo
l'esclamazione ci fu un improvviso tumulto di fuori della casa. Don Alejandro e
suo figlio
sentirono l’arresto un
certo numero di cavalieri al di fuori, nel cortile.
– Non c'è pace in
tutto il mondo – disse Diego con tristezza profonda.
– Sembrano una decina
di uomini. – fece don Alejandro.
Un domestico aprì ai caballeros la porta, e costoro entrarono nella sala
grande con le lame al fianco e pistole
alla cintura.
– Ah, Don Alejandro! Moriamo
dalla voglia di avere la vostra ospitalità! – Piagnucolò il primo di essi.
– Ve la darò senza
problemi, caballeros. Che sorta di viaggio è questo che fate?
– Inseguiamo Zorro, il
bandito.
– Per tutti i santi! –
piagnucolò Diego. – Nemmeno qui posso sfuggire alla violenza e allo spargimento
di
sangue!
– Ha invaso la piazza
a Reina de Los Angeles – continuò il portavoce. – Ha fatto
frustare il magistrato per
aver condannato frate
Felipe. E dopo di lui ha frustato il posadero, e lottato contro una
decina di uomini. Poi
si è allontanato, e
abbiamo formato un gruppo per inseguirlo. Lui non è stato in questo zona?
– Non che io sappia, –
disse don Alejandro. – Mio figlio è arrivato da poco, e non so se…
– Non ho visto
nessuno, per mia fortuna. – fece Diego.
Don Alejandro fece
portare da mangiare per i caballeros. Diego capì subito che loro ricerca del
bandito era
al termine, il loro
entusiasmo era scemato. Restarono alla casa di suo padre fino al mattino, cantando
e
raccontando delle
storie per poi ritornare a Reina
de Los Angeles, come tanti eroi.
Era l’usanza.
L'inseguimento di Zorro, era solo un pretesto per passare un di tempo in
allegria. E nella casa
di Don Alejandro
potevano farlo. La madre di Diego non c’era più da anni e queste smargiassate
piacevano a
don Alejandro e i
giovani caballeros potevano far rumore tutta la notte.
Nel momento in cui
misero da parte le pistole e coltelli, cominciarono a vantare e vantarsi, e Don
Alejandro
fece nascondere dai
suoi domestici tutte le armi, perché non ci scappasse dopo un litigio un morto
o due in
casa sua.
Diego beve e parlò con
loro per un certo tempo, e poi si sedette ad un lato e restò ad ascoltare, come
se
fosse annoiato.
– Se avessimo visto
questo Zorro. –piagnucolò uno di loro. – Ognuno di noi è pronto per scontrarsi
con lui.
Se avessimo dei bravi
soldati sarebbe stata preso molto tempo prima.
– Ah, e senza dargli
una possibilità! – strillò un altro. – Come ululava il posadero quando veniva frustato!
– S è diretto in
questa direzione? – chiese don Alejandro.
– Non ne siamo sicuri.
Zorro ha preso il sentiero di San Gabriele,
e trenta di noi si sono messi al suo
inseguimento. Ci siamo
separati in tre gruppi, ciascuno andando una direzione diversa. La fortuna di
imbattersi in lui
l’avrà una delle altre bande ora, suppongo. Ma è la nostra fortuna è di essere
qui.
Diego si alzò davanti
a tutti.
– Signori, sono certo
di essere scusato, se mi ritiro. Sono molto affaticato con dal viaggio.
– Ritirati pure. –
piagnucolò uno dei suoi amici. – E quando ti sarai riposato, ritorna di nuovo e
far festa.
E risero tutti di
gusto, alle spalle del buon Diego che si inchinò cerimoniosamente, e uscì dalla
sala seguito
da Bernardo.
Entrava in una stanza
che era sempre pronta per lui, e in cui una candela già stava bruciando, e
chiuse la
porta alle spalle,
mentre Bernardo si sdraiò sul pavimento appena fuori dalla porta, per fargli la
guardia
durante la notte.
Nel grande soggiorno,
don Alejandro era accigliato e si torceva i baffi, perché suo figlio, non era
come gli
altri giovani. Nella
sua giovinezza non si ritirava mai presto la sera. E ancora una volta sospirò
che non
aveva un figlio con il
sangue rosso nelle vene.
I caballeros cantavano ora, unendosi al coro di una
canzone d'amore popolare, e le loro voci discordanti
riempiva la grande
sala. Don Alejandro sorrise mentre ascoltava, perché ritornava giovane.
I giovani erano
stravaccati su sedie e panche ai lati del lungo tavolo, battendo le loro tazze
mentre
cantavano, ridevano
chiassosamente di tanto in tanto.
– Se questo Zorro
fosse qui adesso! Gli faremo… – uno di loro gridò.
Una voce dalla porta
gli rispose.
– Signori, sono qui!
Capitolo 25: Si forma
una lega.
Tacquero di colpo le
canzoni e le risate. e tutti guardarono dall'altra parte della stanza. Zorro,
dopo essere
entrato dalla veranda,
era ora sulla porta. Indossava il suo lungo mantello e la maschera, e in una
mano
teneva la sua pistola
verso il tavolo.
– Quindi sareste voi
che mi inseguite e che sperate di prendermi. – disse Zorro. – Non fate una
mossa,
altrimenti sparerò
immediatamente. Vedo che le vostre armi sono in un angolo. Avrei potuto
uccidere
qualcuno di voi e poi
me ne sarei andato prima che poteste reagire.
– È lui! È lui! –
piagnucolava uno caballero brillo.
– Il vostro rumore
poteva essere sentito un miglio di distanza, signori. Che maniera schiocca per
un
drappello di inseguire
un uomo! Questo sarebbe la vostra dedizione al dovere? Perché fate festa,
mentre
Zorro galoppa lungo la
strada?
– Datemi la mia lama e
lasciatemi duellare lui! – gridò uno di loro.
– Potrei permettere a
qualcuno di duellare con me. – rispose Zorro. – Se c’è questo qualcuno in
allegra
brigata che sia in
grado di duellare con me?
– Qualcuno c'è! –
gridò Don Alejandro, a voce alta, balzando in piedi. – Io dico apertamente che
ho
ammirato alcune delle
cose che avete fatto, signor mio, ma ora siete entrato in casa senza permesso e
state
abusando miei ospiti,
e me ne dovrete rendere conto!
– Non sono venuto per
litigare con voi, don Alejandro, e non intento incrociare le mia lama con la
vostra.
Sono venuto a vedere
se questi uomini intendono mantenere ciò che urlavano ad alta voce contro di
me!
– Per tutti i santi,
certo che lo faranno e così anch’io!
– Un momento, don
Alejandro! Signori, per l’età che ha il padrone di casa, se lottasi con lui una
minima
ferità potrebbe
significare la morte per lui. Non lo permettere, spero?
– Don Alejandro non
deve combattere le nostre battaglie! – gridò uno di loro.
Per tutta risposta don
Alejandro avanzò risolutamente in avanti, ma due dei caballeros saltarono avanti a lui
e lo invitarono a
tornare indietro, dicendo che il suo onore era al sicuro, perché ha offerto
combattimento. A
questo punto, don
Alejandro si fermò.
– Un degno gruppo di
lame giovani. – sogghignò Zorro. – Bevete vino e fate festa mentre io rimedio
all’ingiustizia.
Prendete le vostre spade in mano e venite all’attacco! Date libero sfogo al
vostro sangue blu! E
associatevi a quei
politici che rubano la terra, invece di proteggere i frati che vi hanno donato
un’enorme
quantità di acri
grazie al loro sacrificio! Siate uomini, non figurini ubriachi!
– Per tutti i santi! –
sbraitò uno di essi balzando in piedi.
– Indietro, o sparo!
Io non sono venuto qui per combattere contro di te in casa di don Alejandro. Io
ho
troppo rispetto per
l’ospitalità che vi ha recato. Sono solo venuto a sputarvi queste verità in
faccia.
– Il potere delle
vostre famiglie potrebbe distruggere una vita umana! Formate una lega contro il
corroto
governatore, tutti voi
insieme per una buona causa, caballeros, e
farete un buon uso della vostra vita. Potrete
farlo, se non avete
paura. Cercate avventura? Eccone un mare di avventura: combattendo le
ingiustizie.
– Per tutti i santi,
canta come un’allodola! – gridò uno in risposta.
– Dì pure come un
fringuello se ti piace, ma si deve fare qualcosa di buono. Sapete che i
politici osano
prendere posizione
contro di voi, rampolli delle famiglie più potenti? Formate un lega tra di voi
e datevi un
nome. Lottate per la
vostra terra.
– Sarebbe tradimento!
– Non è tradimento rovesciare
un tiranno, caballeros! Non mi direte che avete paura?
– Per tutti i santi,
no! – gridarono in coro.
– Allora agite di
conseguenza!
– Tu ci guiderai?
– Si, signori!
– Ma sei di buon
sangue?"
– Io sono un
cavaliere, di sangue buono come qualsiasi altro qui presente. – disse loro
Zorro.
– Il tuo nome? Dove
risiede la sua famiglia?
– Queste cose devono
rimanere segreti per il momento. Io vi ho dato la mia parola.
– Il tuo volto.
– Deve rimanere dietro
la maschera per ora, signori. – Zorro stava per andarsene quando lo acclamarono
selvaggiamente.
– Aspetta! – gridò
uno. – Stiamo facendo una scortesia a chi ospita e potrebbe non avere in
simpatia la
nostra causa.
– Avete la mia
simpatia, caballeros, ed anche il mio sostegno. – disse don Alejandro.
Il rumore degli
applausi riempì la grande sala. Nessuno poteva andare contro di loro se don
Alejandro
Vega era con loro.
Nemmeno il governatore stesso avrebbe osato opporsi a lui.
– E sia! – gridarono.
– Da oggi in poi saremo i Vendicatori! Andremo lungo El Camino Real e daremo terrore
a coloro che derubano
gli uomini onesti e maltrattano gli indigeni! Dobbiamo buttare i politici ladri
fuori
dalla porta!
– Così sarete caballeros, cavalieri protettori dei deboli. –
esclamò Zorro. – Mai vi pentirete di questa
decisione, signori!
Avrete la mia lealtà e mi aspetto anche l'obbedienza ai miei ordini.
– Che cosa dobbiamo
fare? – gridarono.
– Questa riunione
dovrà rimanere un segreto. Domani mattina, ritornati a Reina de Los Angeles e dite che
non siete riusciti ha
catturare Zorro, che in fondo è la verità. Siate pronti a riunirvi, al momento
in cui vi
chiamerò.
– In che modo?
– Conosco tutti voi.
Farò in modo di informare uno di voi che poi avvertirà gli altri. Siete
d'accordo?
– D'accordo! –
gridarono.
– Allora ora vi lascio.
Restare in questa stanza, e nessuno di voi provi a seguirmi. È un ordine.
Buenos
nocte, caballeros! –
Si inchinò davanti a loro, poi si girò verso la porta aperta, vi si precipitò e
la sbatté alle
sue spalle.
Si sentì il rumore di
zoccoli di un cavallo sul viale, che svanì in lontananza. tutti Sollevarono i
loro boccali
di vino e bevvero alla
formazione della loro nuova lega per la soppressione dei truffatori e dei ladri
e alla
salute di Zorro, la
maledicion de Capistrano, e di Don Alejandro Vega, ben conscio dell'accordo
raggiunto
nella sua casa e di
cosa significasse. Si sedette di nuovo e cominciò a parlare di torti che dovevano
essere
raddrizzati.
Ma don Alejandro Vega
sedeva in un angolo, addolorato, perché il suo unico figlio dormiva e aveva
sangue rosso non basta
prendere una parte in una simile impresa, quando ne avrebbe avuto tutto il
diritto.
Avrebbe dovrebbe
essere uno dei leader.
Per colmo del suo
dispiacere, comparve in quel momento nella sala suo figlio Diego,
stropicciandosi gli
occhi e sbadigliando e
guardando tutti come se fosse stato disturbato.
– È impossibile per un
uomo dormire in questa casa stasera. – disse. – Datemi un bicchiere di vino, e
prenderò posto insieme
a voi. Per chi fate tanto chiasso?
– Zorro è stato qui. –
fece suo padre.
– Il brigante? È stato
qui? Per tutti i santi! È più di quanto un uomo possa sopportare.
– Siediti, figlio mio.
– lo esorto suo padre. – Sono avvenute delle cose importanti. Avrai la
possibilità di
mostrare che tipo di
sangue scorre nelle tue vene.
Don Alejandro parlo in
maniera molto determinata.
Capitolo 26: La
comprensione
Il resto della notte
fu speso dai caballeros vanitosi di quello che avevano deciso di
fare, e facendo progetti
da sottoporre a Zorro
per la sua approvazione, anche se sembravano tanti fringuelli in cerca di
avventura,
c'era però un fondo di
serietà nel loro modo. sapevano bene che tempi correvano e già avevano tutti
pensato
di far qualcosa, ma
non si erano mai riuniti insieme, ma ora avevano un capo. Un giovane cavaliere
mascherato che avrebbe
guidato ognuno di quei giovani, che era comparso al momento giusto.
Diego fu informato di
tutto dal padre che voleva che dimostrasse che tipo di uomo era. Diego dichiarò
che
una cosa del genere
avrebbe causato la sua morte, ma avrebbe agito per amore di suo padre.
La mattina presto i caballeros dopo aver fatto una rapida colazione
offerta da don Alejandro, fecero ritorno
a Reina de Los Angeles. Diego cavalcò con loro per far piacere al
padre. Nulla doveva essere detto riguardo i
loro piani. però
avrebbero ricercato delle reclute dal resto dei trenta che erano partiti alla
ricerca di Zorro.
Sapevano che alcuni si
sarebbero subito uniti a loro subito, ma altri troppo fedeli al governatore,
dovevano
essere tenuti
all'oscuro su tutta la faccenda.
Cavalcarono piacevole,
cos a che fu grata a Diego. Bernardo lo seguiva sul mulo, ma era un po’
dispiaciuto
perché non si era
rimasti di più alla fattoria. però aveva capito che qualcosa di importante
bolliva in pentola
e avrebbe voluto
essere come gli altri uomini, poter udire e parlare.
Quando raggiunsero la
piazza, videro che le altre due parti erano già lì, scornati per la caccia
andata a
male. qualcuno
dichiarò di averlo visto in lontananza, e uno che aveva sparato un colpo di
pistola contro di
lui, i caballeros che erano stati ospitati da don Alejandro
non dissero niente e si guardarono l'un l'altro in un
modo particolare.
Diego lasciò i suoi
compagni e si precipitò a casa sua, dove ha indossato abiti freschi e ben
curati. Lasciò
libero Bernardo, e lui
andò a sedersi in cucina in attesa di venir richiamato. Poi Diego ordinò di
preparare la
sua carrozza per fare
un giro. La carrozza era una delle più che si fossero viste lungo il Camino Real, ma
restava un mistero sul
perché Diego l’aveva acquistata, visto che non la usava mai. Qualcuno diceva
per
mostrare la sua
ricchezza, Ci sono stati alcuni che ha detto lo ha fatto per mostrare la sua
ricchezza, mentre
altri dichiararono che
il rivenditore aveva assillato così tanto Diego che la comprò solo per liberarsi
di lui.
Diego uscì da casa sua
con indosso il suo vestito migliore ma non entrò in carrozza. Ancora una volta
ci fu
un gran caos nella
piazza, causato dal sergente Pedro Gonzales e dai suoi soldati. L'uomo che il
capitano
Ramon aveva inviato
loro li aveva raggiunti facilmente, visto che non avevano percorso molti
chilometri.
– Ah, Don Diego, amico
mio! – piagnucolò Gonzales. – sei ancora vivo, in questo mondo turbolento?
– Per necessità. –
rispose Diego. – Hai catturato Zorro?
– L'uccello ci è
sfuggito, caballero. Sembra che quella notte si era diretto verso San Gabriel, mentre noi gli
davamo la caccia verso
Pala. Ah, bene, abbiamo fatto un piccolo
errore. La nostra vendetta sarà maggiore
quando lo troveremo.
– Che cosa fai ora,
mio caro sergente?
– ho portato i miei
uomini a rinfrescarsi, e poi li guiderò verso San Gabriel. Si dice che il
bandito sia in
quella zona, anche se
una trentina di giovani di sangue nobile non sono riusciti a trovarlo ieri sera
dopo che
aveva fatto frustare
il magistrato. Senza dubbio era nascosto tra i cespugli e ridacchiava nel
vedere quei
caballeros alla loro caccia.
– Che il vostro
cavallo vi dia la velocità e il vostro braccio la forza per tener la spada. –
gli disse Diego e
poi salì sulla sua
carrozza.
Due magnifici cavalli
erano attaccati a questa mentre un cocchiere in una ricca livrea si faceva
strada tra i
nativi. Diego si
distese sui cuscini e socchiuse gli occhi come iniziò il viaggio. Il conducente
attraversò la
piazza, uscì dal
pueblo e si avviò verso l'hacienda di don Carlos Pulido.
Seduto sulla sua
veranda, Don Carlos vide la splendida carrozza si avvicina, e ringhiò tra sé,
poi si alzò e
corse in casa, per
affrontare la moglie e la figlia.
– Figlia mia, arriva
don Diego. – disse. – Ti ho già indicato cosa dovresti fare con quel giovane, e
ho fiducia
che mi darai retta
come dovrebbe fare una ragazza perbene.
Poi si voltò e uscì
sulla veranda di nuovo, e la signorina si precipitò nella sua stanza e si gettò
su un divano
a piangere. I santi
sapevano che lei che lei avrebbe voluto sentire un po’ di amore per Diego e
prenderlo
come marito per
aiutare le fortune di suo padre, ma non ci riusciva. Perché quell'uomo agiva
come un
caballero? Perché non mostrava una certa misura di
buon senso? Perché non dimostrava che era un giovane
pieno di salute,
invece di agire come un vecchio con un piede nella fossa?
Don Diego dalla
carrozza salutava, poi disse al conducente di portare in un luogo riparato.
Salutò don
Carlos languidamente,
e don Carlos fu sorpreso nel vedere che don Diego aveva una chitarra sotto un
braccio. Diego mise la
chitarra a terra, si tolse il sombrero, e sospirò.
– Sono stato da mio
padre. – gli disse.
– Ah! Don Alejandro
sta bene, spero?
– È in ottima salute,
come al solito. Egli mi ha spronato a continuar a far la corte alla signorina
Lolita. Se
sposo entro un certo
tempo, dice, lui lascerà, dopo la sua scomparsa, la sua fortuna ai francescani.
– Davvero?
– L’ha detto eccome, e
mio padre non è un uomo che spreca le parole. Don Carlos, devo vincere la
signorina. Non conosco
nessun altra donna giovane che sia gradita a mio padre.
– Un po’ di
corteggiamento, don Diego, non ti farà male.
– Ho deciso di
corteggiarla come farebbero gli altri uomini, anche se senza dubbio non sarò un
gran che.
Potete provare a darmi
suggerimento per iniziare?
– È difficile dare
consigli in tal caso. – rispose don Carlos, cercando disperatamente di
ricordarsi cosa aveva
fatto per conquistare
Dona Catalina. – Un uomo in realtà dovrebbe averle già vissute, non può certo
pretendere che sappia
subito come agire.
– Temo sarà
impossibile. – disse Diego, sospirando ancora una volta e alzando gli occhi
stanchi sulla faccia
di don Carlos.
– Poteva essere stata
un'ottima cosa non parlar subito di matrimonio in un primo momento, ma
piuttosto
dirle parole d’amore.
Provate a parlare a voce bassa e ricca. Dire delle paroline dolci a una donna
giovane
può dare buoni
risultati.
– Temo che sia una
cosa oltre le mie possibilità. Ma devo provare, naturalmente. Potrei vedere la
signorina
ora?
Don Carlos si avviò
verso la porta e chiamò la moglie e la figlia. Lei sorrise con timore a Diego
che si sentì
un po’ rincuorato. Ma
Lolita aveva donato il suo cuore a Zorro, e non poteva amare, né sposare nessun
altro
uomo, nemmeno per
salvare il padre dalla povertà.
Diego condusse Lolita
verso una panchina ad una estremità della veranda, e parlò di cose in generale,
pizzicando intanto le
corde della sua chitarra, mentre don Carlos e sua moglie si misero all'altra
estremità
della veranda e
sperando che le cose fossero andate bene.
Lolita era contenta
però che Diego non parlava di matrimonio come sempre. Infatti, gli raccontò ciò
che era
accaduto nel pueblo,
delle frustate date ingiustamente a frate Felipe, e di come Zorro aveva poi
punito il
magistrato, e come
lottò contro una dozzina di uomini prima di fuggire. Nonostante la solita aria
languida,
Diego parlò in maniera
interessante, e Lolita lo trovo piacevole.
Diego gli disse anche
di come fosse andato alla hacienda di suo padre, e della visita dei caballeros durante la
notte e della festa
che seguì, ma non disse nulla della visita di Zorro e della lega che si era
formata.
– Mio padre minaccia
di diseredarmi se non mi sposo entro un termine preciso – disse poi Diego. –
Dimmi, vorresti
vedermi perdere il patrimonio di mio padre, Lolita?
– Certo che no. –
rispose lei. – Ci sono molte ragazze che sarebbero fiere di sposarti, Diego.
– Ma non è vero!
– Certo che sì, ne
sarebbero orgogliose. Ma una ragazza non potrebbe farci niente se il suo cuore
è già
occupato? Non ti
augurerei mai una moglie che non ti ama. Pensa ai lunghi anni che dovresti
passare
accanto a lei, sarebbe
insopportabile.
– Cosa vuoi dire con
queste parole?
Improvvisamente la
ragazza mise il suo visino di fronte a lui e parlò in toni bassi, e seriamente.
– Tu sei un cavaliere
di buon sangue, Diego. Posso fidarmi di te?
– Fino alla morte,
signorina.
– Allora ho qualcosa
da dirti. E ti chiedo di lasciare che rimanga il vostro segreto. Si tratta di
una
spiegazione in un
certo senso.
– Parla, Lolita.
– Se me lo dicesse il
mio cuore, niente mi farebbe più piacere che diventare tua moglie, Diego,
perché
riporterei la fortuna
a mio padre. Ma ritengo di essere onesta per sposare un uomo che non amo. E c'è
un
ottimo motivo per cui
non posso amarti.
– C'è qualcun altro
nel tuo cuore, vero?
– Hai indovinato,
Diego. Il mio cuore è pieno di amore per questo uomo. E spero che tu manterai
il mio
segreto di fronte ai
miei genitori, io giuro per i santi che ho detto la.... verità.
– L'uomo è degno?
– Sono certo che lo
sia, caballero. La dimostrato di fronte a me, e non
potrei mai amare un altro uomo. Hai
capito ora?
– Capisco appieno,
signorina. Posso esprimere la speranza che potrai amare degnamente quest’uomo.
– Sapevo che saresti
stato un vero caballero.
– Ma se le cose
dovrebbero andar male, e avrai bisogno di un amico, ricordati di me, Lolita.
– Mio padre non deve
sospettare di tutto ciò. Dobbiamo fargli pensare che ancora mi vogliate. E a
poco a
poco potrai cessare le
visite.
– Capisco, Lolita. Ma
certo tutto ciò mi lascia in un a brutta situazione. Ho chiesto a tuo padre il
permesso
di corteggiarti, ma se
vado a corteggiare un'altra ragazza ora, provocherò la sua rabbia. Ma se non lo
faccio
provocherò la rabbia
di mio padre. Che pena!
– Forse non sarà per
molto tempo, Diego.
62
– Ah! Ma certo! Che
cosa fa un uomo quando è deluso in amore? Fa un viso lungo, si rifiuta di
partecipare
alla vita mondana. Lolita,
mi hai comunque salvato. Io continuerò a languire, perché non trovo più il mio
amore. Allora le
persone mi lasceranno in pace quando sognerò sotto il sole e mediterò invece di
cavalcare e
combattere come un
pazzo. Mi sarà finalmente permesso di andare in pace per la mia strada, e un
fascino
romantico sarà gettato
su di me. Un pensiero eccellente!
– Diego, sei
incorreggibile! – esclamò Lolita, ridendo.
Don Carlos e Dona
Catalina nel sentirla ridere, si guardarono intorno, e poi si scambiarono
un'occhiata
veloce. Don Diego Vega
va finalmente d'accordo con la signorina, pensarono.
Poi Diego continuato
l'inganno suonando la chitarra e cantando una strofa di una canzone che aveva a
che
fare con gli occhi
luminosi e l’amore. Don Carlos e sua moglie guardò di nuovo, questa volta in
apprensione, e
desiderò che smettesse presto, visto la brutta voce e temendo così che potesse
perdere tutto
ciò che aveva
guadagnato in simpatia con Lolita.
Ma a Lolita importava
poco, del canto sgraziato di Diego. Subito dopo conversarono ancora un po’ e
poco
prima della siesta
Diego li salutò e se ne andò con la sua splendida carrozza.
Capitolo 27: Ordini di
arresto
Il corriere che il
capitano Ramon aveva inviato a nord con la lettera per il governatore, sapeva
di una certa
signorina a San Francesco de Asis, la cui bellezza gli aveva rubato il
cuore.
Così gallonò come un
demonio dopo aver avuto l’incarico dal suo comandante, cambiò monta a San
Fernando e ad una hacienda lungo la strada, e poi di
nuovo al galoppo verso Santa
Barbara sotto al
crepuscolo.
Ma Santa Barbara, il povero ragazzo vide infrangersi la sua
speranza di rivedere la sua fidanzata a San
Francisco de Asis. Davanti alla porta del presidio vi era
una sontuosa carrozza che faceva apparire quella di
Diego come un povero
carretto dei contadini, insieme ad una ventina di cavalli legati ai pali. Il
ragazzo vide
anche più soldati di
quelli regolarmente di stanza a Santa Barbara che
ridevano e scherzavano tra di loro sulla
strada.
Era chiao: Il
governatore era lì a Santa Barbara.
Sua Eccellenza aveva
lasciato San Francisco de Asis, alcuni giorni prima per un viaggio di
ispezione, per
arrivare più a sud
fino a San Diego de Alcala, per rafforzare le sue alleanze politiche,
premiando i suoi amici e
assegnando punizioni
ai suoi nemici.
Aveva raggiunto Santa Barbara un'ora prima, e stava ascoltando la
relazione del comandante del presidio,
prima di andar a passar
la notte da un amico, per poi proseguire il suo viaggio l’indomani.
Il corriere capitano
Ramon comunicò alle guardie che la lettera portava era della massima
importanza, e
così egli si affrettò
verso l'ufficio del comandante e vi entrò come se fosse un uomo di rango
elevato.
– Vengo da parte del
capitano Ramon, comandante a Reina de Los Angeles, con una lettera di grande
importanza per Vostra
Eccellenza. – riferì restando rigidamente in piedi dopo aver salutato.
Il governatore grugnì
e prese la lettera, e il comandante fece cenno al corriere di ritirarsi. Sua
Eccellenza
lesse velocemente la
lettera, e quando finì, un bagliore empio bruciò nei suoi occhi, e si lisciò i
baffi con
evidente
soddisfazione. Rilesse di nuovo la lettera e aggrottò la fronte.
Gli piaceva il
pensiero di poter schiacciare definitivamente don Carlos Pulido, ma non amava
pensare che
Zorro, l'uomo
mascherato che lo aveva offeso, fosse ancora in libertà. Si alzò e inizio a
camminare sul
pavimento per un po’,
poi si girò verso il comandante.
– Partirò per il sud
al levar del sole. – gli disse. – La mia presenza è richiesta urgentemente a Reina de Los
Angeles. Fate sapere al corriere che farà il
viaggio di ritorno insieme alla mia scorta. Ora vado a casa del mio
amico.
E così, al mattino, il
governatore prese la via per il sud, con la sua scorta di venti soldati per
protezione, e
con il povero corriere
in mezzo a loro. Viaggiarono in fretta, e pochi giorni dopo a metà mattina
entrò nella
piazza di Reina de Los Angeles. Era la stessa mattina stessa in cui
Diego, con a fianco la sua chitarra, partì
verso la hacienda Pulido con la sua bella carrozza.
La sontuosa diligenza
si fermò davanti alla taverna, e al grasso posadero, ancora dolorante per
la punizione
inflittagli da Zorro,
venne quasi subito un colpo apoplettico perché non era stato avvisato della
venuta del
governatore, e aveva
paura che il governatore si lamentasse del pavimento sporco della taverna.
Ma il governatore non
scese dalla sua carrozza e non entrò quindi nella taverna. I suoi occhi rapaci
stavano
guardando tutt’intorno
la piazza, osservando molte cose. Non era mai stato sicuro della fedeltà degli
uomini
di rango elevato di
questo pueblo. Non era mai riuscito ad avere un controllo serio su di essi.
Guardò con attenzione
come si sparse la notizia del suo arrivo e di come i caballeros si affrettarono a dargli
il benvenuto. Notò
bene quanti di loro erano veramente sinceri, e notò anche che molti erano
assenti.
Ai presenti spiegò che
sarebbe stato ben volentieri loro ospite ma che ora doveva proseguire verso il
presidio. Ricordando
la lettera del capitano Ramon, notò fin troppo bene che Don Diego Vega non era
in
piazza.
Il sergente Gonzales e
i suoi uomini erano ancora via alla caccia di Zorro, e fu così che solo il
capitano
Ramon ad attendere Sua
Eccellenza all'ingresso del presidio, e lo salutò gravemente, e si prostrò
davanti a
lui ordinò al
comandante della scorta di disporsi in guardia davanti al presidio, in onore
del governatore.
Infine condusse sua
eccellenza nel suo ufficio privato, e il governatore si sedette.
– Quali sono le ultime
novità? – chiese subito.
– I miei uomini sono a
caccia del bandito. Ma, come vi ho scritto, questo parassita di Zorro ha molti
amici,
una legione di amici,
il mio sergente ha riferito che due volte ebbe uno scontro a fuoco con una
banda di suoi
seguaci.
– Devono essere
trovato, ucciso! – gridò il governatore. – Un uomo di quel genere potrà trovare
altri
seguaci, talmente
tanti altri, fino a farci avere enormi problemi. Quali altre atrocità ha commesso?
– Sì, eccellenza. Ieri
un frate di San Gabriele è stato frustato per truffa. Zorro ha
catturato i suoi accusatori
sulla strada maestra,
e li frustati quasi a morte. Non contento di questo è arrivato, qui nel pueblo
e ha
riservato la stessa
sorte al magistrato che aveva emesso la sentenza. I miei soldati erano sulle
sue tracce in
quel momento. Sembra
proprio che Zorro conosca i movimenti dei nostri uomini visto ch e colpisce
sempre
al momento opportuno.
– Allora ha davvero
delle spie che lo avvertono dei nostri movimenti?
– Sembrerebbe proprio
di sì, eccellenza. La scorsa notte diedi la mia autorizzazione a che una
trentina di
giovani caballeros gli dessero la caccia, ma sono tornati
questa senza aver trovato una sola traccia di quel
mascalzone.
– Don Diego Vega era
con loro?
– Non era in paese
ieri sera, ma è tornato con loro. Sembra che fosse ritirato presso l’hacienda
di suo padre.
Forse avrete
indovinato che volevo indicare i Vega nella mia lettera. Anche se sono ora
convinto, eccellenza,
che i miei sospetti in
questo senso sono stati ingiusti. Questo Zorro ha anche invaso la casa di don
Diego, una
notte, mentre don
Diego era fuori.
– Che storia è questa?
– Don Carlos Pulido e
la sua famiglia erano lì.
– Ah! In casa di don
Diego? E qual’era il motivo?
– È una cosa
divertente. – fece il capitano Ramon, ridendo leggermente. – Ho sentito dire
che Don
Alejandro abbia
ordinato, pochi giorni fa, al figlio di trovarsi una moglie. Ma il giovane non
è tipo da
corteggiare le donne.
È senza spina dorsale.
– Conosco quell'uomo.
Andiamo avanti.
– Così cavalcò subito
alla fattoria di Don Carlos per chiedere il permesso a don Carlos di
corteggiare la sua
unica figlia. Zorro
era ancora alla macchia, e don Diego, andando alla sua hacienda per i propri
affari, chiese
a don Carlos di venire
al pueblo con la sua famiglia, dove sarebbe stato più sicuro, e di occupare la
sua casa
fino al suo ritorno. I
Pulido non potevano ovviamente rifiutare. E Zorro, a quanto pare, li ha
seguiti.
– Ah! Vada avanti.
– È davvero ridicolo
pensare che don Diego li accolse in casa sua per fargli sfuggire all'ira di
Zorro,
quando, in realtà, i
Pulido sono a braccetto con il bandito. Se ben ricorda, venivamo avvisati da un
nativo che
Zorro era a cena alla
hacienda Pulido e quasi i nostri soldati lo stavano per catturarlo. Si era
nascosto in un
armadio, e mentre ero
lì solo, con i miei uomini sulle sue tracce, è sbucato dall’armadio, si
precipitò su di me
ferendomi alla spalla
da dietro e poi fuggì.
– Volgare mascalzone!
– esclamò il governatore. – Ma pensate che ci sarà un matrimonio tra Don Diego
e la
signorina Pulido?
– Immagino che non
dovrete avere nessuna preoccupazione riguardo a questo, eccellenza. Io sono del
parere che il padre di
don Diego ha messo una pulce nell'orecchio, richiamato l'attenzione del figlio
sul fatto
che don Carlos non ha
più la simpatia di vostra eccellenza, al contrario delle figlie di altri
gentiluomini.
Credo sia questo il
vero motivo. In ogni caso, i Pulido tornarono alle loro hacienda dopo il
ritorno di don
Diego, e lui venne a
cercarmi qui al presidio. Sembrava ansioso di farmi sapere che fosse certo un
uomo tale
da macchiarsi di
tradimento.
– Sono felice di
sentirlo! I Vega sono molto, troppo potenti. Non sono mai stati miei sinceri
sostenitori, ma
non hanno mai alzato
le mani contro di me, quindi non mi posso lamentare. Sarebbe buon senso
tenerseli
amici, se possibile.
Ma questi Pulidos?
– Anche la signorina
sembra dare aiuto a questo brigante. – disse il capitano Ramon. – Si è vantava
con me di
quello che lei definiva
il suo coraggio. Ha anche deriso i soldati alla sua ricerca. Don Carlos Pulido
e
qualcuno dei frati
stanno proteggendo quel bandito, dandogli cibo e nascondendolo, e dandogli
notizie dove
sono dislocati i
soldati. I Pulido stanno sicuramente ostacolando i nostri sforzi per catturare
il ladro.
Personalmente avrei
dato avvio a misure opportune, ma ho pensato che fosse meglio prima informare
voi e
attendere la vostra
decisione.
– È inutile, bisogna
prendere una decisione, per quanto dolorosa che sia. – disse altezzosamente il
governatore. – Non
importa quanto sia antico il sangue di un uomo, o che abbia un alto rango, non
si può
commettere atto di
tradimento senza subire le conseguenze. Avevo pensato che don Carlos avesse
imparato
la lezione, ma sembra
proprio di no. Qualcuno dei vostri uomini è ancora nel presidio?
– Pochi e malati,
Eccellenza.
– Il vostro corriere
che è ritornato con la mia scorta, conosce bene i dintorni del vostro paese?
– Certamente,
Eccellenza. È di stanza qui da un bel po’ di tempo.
– Allora potrà fare da
guida. Inviate subitola metà della mia scorta alla fattoria di don Carlos
Pulido. Fatelo
arrestare e
incarceratelo. Sarà un duro colpo per la sua dignità. Ne ho abbastanza di
questi Pulido.
– E la superba moglie
che mi ha deriso, e l’orgogliosa segnorina che disprezzava i nostri soldati?
– Ah! Fate incarcerare
anche loro due. È davvero una buona idea. Sarà una buona lezione per tutti
quanti
in questa località. –
disse il governatore.
Capitolo 28:
L'oltraggio
Diego era appena
arrivato davanti casa sua, quando il drappello di soldati passarono in una
nuvola di
polvere, diretti verso
la casa dei Pulido. Non riconobbe nessuno di loro.
– Ah! Così ci sono
nuovi soldati sulle tracce di Zorro? – chiese a un uomo in piedi vicino a lui.
– Sono una parte della
scorta del governatore, caballero.
– Il governatore è
qui?
– È arrivato poco
tempo fa, caballero, ed è andato subito al presidio.
– Suppongo che devono
avere notizie fresche di questo bandito per mandarli a cavallo furiosamente
nella
polvere, sotto questo
pesante sole. È davvero un mascalzone imprendibile. Per tutti i santi! Ora che
penso, se
fossi stato qui,
quando arrivò il governatore, avrei potuto alloggiarlo in casa mia. Ora
qualcun’altro avrà
l'onore di ospitarlo.
È deplorevole.
Detto questo Diego
entrò in casa, e l'uomo con cui aveva parlato non sapeva se dubitare della
sincerità di
quella osservazione.
Intanto, guidati dal
corriere, che conosceva la via, la squadra di soldati galoppava veloce lungo la
strada
maestra, per svoltare
poi sul sentiero che portava alla casa di Don Carlos. Andavno con la stessa
carica con
cui sarebbero andati a
catturare un desperado. Mentre entrarono nel vialetto, si sparsero a destra e a
sinistra,
stracciando le aiuole
di Dona Catalina e facendo starnazzare le galline dalla paura, circondando la
casa in
breve tempo.
Don Carlos era seduto
sulla veranda nel suo solito posto, in dormiveglia, e non notò l'avanzata dei
soldati
finché non sentì il
battito degli zoccoli dei cavalli. Si alzò in piedi allarmandosi, chiedendosi
se Zorro fosse
nelle vicinanze e i
soldato fossero sulle sue tracce.
Tre di loro smontarono
prima che la nuvola di polvere scendesse a terra, e il sergente che li
comandava si
fece strada,
spolverandosi con i guanti la sua uniforme.
– Siete voi don Carlos
Pulido? – chiese a gran voce.
– Ho questo onore,
signore.
– Ho l'ordine di mettervi
in stato d’arresto.
– Arresto! – urlò don
Carlos. – Chi ti ha dato questi ordini?
– Sua Eccellenza, il
governatore. Che ora si trova a Reina de Los Angeles, signore.
– E l'accusa?
– Tradimento e aiuto
ai nemici dello stato.
– Ridicolo! – fece don
Carlos. – Sono accusato di tradimento quando, anche se vittima di oppressione,
ho
trattenuto la mia mano
contro chi detiene il potere? Quali sono i particolari delle accuse?
– Dovrà chiederlo al
magistrato, signore. Non so nulla della questione se non che ho l’ordine di
arrestarvi.
– Devo venire con voi?
– Purtroppo sì,
signore.
– Sono di sangue
nobile, un caballero.
– Ho i miei ordini.
– Così devo venire immediatamente?
Ma forse l'udienza si terrà prontamente. Tanto meglio, per tutti i
Santi. Faremo
chiarezza più rapidamente. Andiamo al presidio?
– Signore, andate in
prigione! – disse il sergente.
– In prigione? – urlò
don Carlos. – Come osate? Come potete buttare un caballero in un carcere sporco?
Nello stesso posto di
nativi insubordinati e criminali comuni?
– Questi sono i miei
ordini, signore. Preparatevi ad accompagnarci.
– Devo prima dare le
mie istruzioni al soprintendente per quanto riguarda la gestione della fattoria.
– Devo venire con voi,
signore.
Il volto di don Carlos
divenne rosso sangue. Le sue mani strette come a volesse prendere il sergente
alla
gola.
– Dovrei essere
insultati ad ogni mia parola? – gridò. – Pensate davvero che fuggirei come un
criminale?
– Ho i miei ordini,
signore. – ripeté il militare.
– Almeno posso dare
questa notizia a mia moglie e mia figlia senza avere un estraneo alle mie
spalle?
– Vostra moglie è
Pulido Dona Catalina Pulido?
– Certamente.
– Mi è stato ordinato
di arrestare anche lei, signore.
– All’inferno! –
sbottò don Carlos. – Osereste mettere le mani su una donna? E per di più
cacciarla dalla sua
casa?
– Questi sono gli
ordini. Anche la signora viene accusata di tradimento e di aiuto ai nemici
dello stato.
– Per Dio! Questo è
troppo! Mi batterò contro di voi e i vostri uomini finché avrò respiro in
corpo!
– Il che non sarà per
molto, don Carlos. Devo eseguire i miei ordini.
– La mia amata moglie
messa agli arresti come una fanciulla nativa! E dove vorreste portarla,
sergente?
– Anche lei verrà in
prigione.
– Mia moglie in quel
luogo infame? Non c'è giustizia in questo paese? Lei è una signora di nobile
sangue.
– Basta così, signore.
I miei ordini sono ordini, e li devo eseguire. Io sono un soldato e obbedisco.
Ora Dona Catalina
arrivò di corsa sulla veranda, dopo aver ascoltato tutto dietro la porta. Il
suo viso era
bianco, ma v'era
stampato anche un grande orgoglio. Temeva che suo marito attaccasse il
militare, e poteva
finire ferito o
ucciso.
– Avete sentito? –
chiese don Carlos.
– Ho sentito, marito
mio. Sì, ma non siamo troppo orgogliosi per l’ordini di questi soldati, che
stanno
ubbidendo ai loro
ordini. Un Pulido resta un Pulido, marito mio, anche dentro ad un carcere.
– Ma che vergogna! –
fece don Carlos. – Che cosa significa tutto questo? Dove andrà a finire? E
nostra figlia
che resterà sola qui
con i servi. Non abbiamo parenti, né amici.
– Vostra figlia è la
signorina Lolita Pulido? – chiese il sergente. – Allora non piangete, signor
mio, non vi
separeremo. Ho un
ordine di arresto anche per vostra figlia.
– Anche lei?
– Lo stesso, senor.
– E dove volete
portarla?
– In prigione.
– Un innocente, una
nobile, una ragazza così dolce?
– Questi sono i miei
ordini, signore. – disse il sergente.
– Che i santi possano
dannare l'uomo che li ha rilasciati! – urlò don Carlos. – Hanno portato via le
mie
ricchezze e le mie
terre. Hanno gettato la vergogna su di me e la mia famiglia. Ma, grazie ai
santi, quei cani
non spezzeranno il
nostro orgoglio!
Poi don Carlos con gli
occhi umidi, ma a capo dritto, prese sua moglie per un braccio ed entrò in
casa, con
il sergente alle
calcagna. Diede poi la notizia alla signorina Lolita, che rimase dapprima muta,
e poi scoppiò
in un torrente di
lacrime. Ma poi l'orgoglio della sua famiglia tornò in lei, e si asciugò gli
occhi, e guardò con
disprezzo il sergente,
passandogli accanto.
I domestici portarono
il carrozzino davanti alla porta, don Carlos e la moglie e la figlia vi
salirono, e il
viaggio della vergogna
iniziò.
Il loro cuore era
pieno di dolore, ma non uno dei Pulido lo mostrarono. Le loro teste erano alte,
guardavano diritto,
fingevano di non sentire gli insulti dei soldati.
Per la strada si
affollò gente che, meravigliata, non parlava. Alcuni guardavano con colore, ma
altri
sorridevano, a seconda
di chi era leali verso il corrotto governatore e ha chi invece aborriva
l’ingiustizia.
E così, finalmente,
sono arrivarono a Reina de Los Angeles, e lì i Pulido furono insultati senza
mezzi termini.
Il governatore aveva
fatto diffondere la notizia del loro arrestato dai soldati e in più aveva
pagato i peones e
i nativi per far
deridere i prigionieri. Secondo il governatore era un esempio per impedire alle
altre famiglie
nobili di andare
contro il suo potere, e in maniera che i Pulido fossero odiati da tutte le classi.
Furono accolti dalla
folla ai margini della piazza. Ci furono crudeli fischi e lazzi, alcuni dei
quali un
innocente signorina
non avrebbe dovuto sentire. Il volto del furioso don Carlos era una maschera di
sangue,
e Dona Catalina e sua
figlia aveva le lacrime agli occhi, le loro labbra tremavano, ma restarono
fisse nel loro
atteggiamento
orgoglioso.
L'arrivo alla piazza
del Carcel, la prigione, fu fatta volutamente lenta.
Alla porta della locanda c'erano una
folla di monelli che
avevano bevuto vino a scapito del governatore, e le loro urla si aggiunsero al
frastuono.
Qualcuno gettò del
fango sul petto di Don Carlos, ma lui rifiutò di accorgersene. Aveva un braccio
intorno
a sua moglie, l'altro
intorno a sua figlia, come per dare loro l’unica protezione che aveva, il suon
affetto, e
continuava a guardare
dritto davanti a sé.
Ci sono furono anche
dei gentiluomini che assistettero alla scena, ma non presero parte nel tumulto.
Alcuni di loro avevano
la stessa età di don Carlos, e questo nutrì nel loro cuore l'odio per il
governatore.
Ma altri erano
giovani, con il sangue che scorreva caldo nelle loro vene, e rivolgendo lo
sguardo al volto
sofferente di Dona
Catalina immaginarono con rabbia la loro stessa madre al suo posto, e così
vedendo il bel
viso della signorina
vedendoci la sorella o la fidanzata.
E alcuni di loro si
scambiarono un'occhiata furtiva, e anche se non parlavano stavano chiedendo la
stessa
cosa, se Zorro, saputo
di questa infamia, avrebbe inviato parola in giro per radunare i membri della nuova
lega.
Il carrozzino si fermò
infine davanti al carcere, circondata dalla folla dei chiassosi nativi e
peones. I soldati
fecero finta di far in
modo di calmarli poi il sergente smontò da cavallo e costrinse don Carlos,
insieme a sua
moglie e a sua figlia
a scendere a terra.
Gli uomini rozzi ed
ubriachi li urtavano mentre camminavano su per le scale fino alla porta. Venne
gettato
altro fango, che
schizzò l’abito di Dona Catalina. Ma se la folla aspettava un'esplosione di
rabbia da parte
dell’anziano caballero, rimase delusa. Don Carlos restò a testa
alta, ignorando completamente la folla.
Il sergente batté con
forza sulla porta, usando l'elsa pesante della sua spada. Un spioncino venne
aperto, e
in esso apparve
maligno, il volto sorridente del carceriere.
– Che cosa abbiamo
oggi? – chiese.
– Tre prigionieri
sotto accusa di tradimento. – rispose il sergente.
La porta si spalancò.
Ci fu un ultima sequenza di fischi dalla folla, e poi i prigionieri furono
dentro, e la
porta fu rinchiusa e
sprangata di nuovo.
Il carceriere aprì la
strada lungo un maleodorante corridoio e spalancò un'altra porta.
– Dentro voi. – disse
poi alla famiglia Pulido.
I tre prigionieri
vennero spinti all'interno, e la porta fu chiusa e sbarrata. Gli occhi
sbatterono le palpebre
nella semioscurità. A
poco a poco si cominciò a vedere due finestre, alcune panchine, e alcuni
relitti umani
distesi contro i muri.
Non avevano dato ai
Pulito neanche la cortesia di un ambiente pulito, o di una cella privata. Don
Carlos
con la moglie e la
loro unica figlia erano stati gettati insieme con la feccia del pueblo, con
ubriaconi e ladri
con donne disonorato e
nativi offensivi.
Si sedettero su una
panchina in un angolo della stanza, il più lontano possibile dagli altri. E poi
Dona
Catalina e sua figlia
cedette alle lacrime, e le lacrime percorse anche il volto dell’anziano don
Carlos mentre
cercava di
confortarle.
– Come sarei grato ai
santi se don Diego Vega fosse stato il tuo fidanzato, ora Lolita. – sospirò don
Carlos.
Sua figlia strinse il
suo braccio.
– Forse, padre mio, un
amico verrà. – sussurrò. – E forse l'uomo malvagio che ha causato questa
sofferenza
avrà la sua punizione.
In quei attimi di
sofferenza apparve alla fanciulla il volto mascherato di Zorro, a dargli quella
fiducia che
Marco Pugacioff
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