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venerdì 27 settembre 2019

Zorro: la maledizione di Capistrano. parte 2


Zorro:
la maledizione di Capistrano.
di Johnston McCulley
Traduzione e libero adattamento di Marco Pugacioff
Non revisionato

Parte 2




Capitolo 13: L’amore corre veloce


Il domestico si affrettò ad aprire.
– Mi dispiace signore, ma don Diego non è in casa. – disse. – È alla sua hacienda.
– Ma io ho saputo che Don Carlos con la moglie e la figlia sono qui, non è vero?
– Don Carlos e sua moglie sono fuori in visita questa sera, signore.
– La Senorita?
– È qui, naturalmente.
– In questo caso, vorrei salutare la Senorita. – disse il capitano Ramon.
– Signore! Mi scusi, ma la signorina è sola.
– Non sono io l'uomo giusto? – chise il capitano.
– Non buon costume per una signorina ricevere la visita di un signore quando la madre non è presente.
– Chi sei tu per parlarmi del buon costume? – Rispose il capitano Ramon. –Levati di mezzo, feccia! Ho ti
farò punire. So bene da me quali siano le cose che mi riguardano.
Il volto del domestico divenne bianco. Il capitano non minacciava invano e lui avrebbe potuto ritrovarsi in
carcere. Eppure sapeva di aver ragione.
– Ma, signore… – protestò.
Il capitano Ramon lo respinse con il braccio sinistro ed entrò nel grande soggiorno. Lolita si mise in allarme
quando lo vide in piedi davanti a lei.
– Ah, signorina, mi auguro che non averla spaventata. – disse. – Mi dispiace che i vostri genitori siano
assenti, ma devo scambiare qualche parola con voi. Questo servo mi nega l'ingresso, ma immagino che avete
nulla da temere da un uomo con un braccio ferito.
– Ne dovrei essere sicura, signore?" chiese la ragazza, un po’ spaventata.
– Mi sento sicuro che nulla di male potrà venire. – disse il capitano.
Andò attraverso la stanza e si sedette su una delle estremità del divano e ammirato la sua bellezza con
franchezza. Il domestico aleggiava vicino.
– Andate nella vostra cucina, servo! – Comandò Ramon.
– No! Permettetegli di rimanere. – pregò Lolita. – Così gli ha ordinato mio padre e avrà dei guai se se ne va.
– Li avrà, se rimarrà. Vattene!
Il domestico dovette ritirarsi.
Il capitano Ramon si voltò verso la ragazza, e gli sorrise. Si lusingava di sapere che le donne amano vedere
la superiorità di qualcuno sugli altri.
– Siete più bella che mai, signorina. – disse con voce soffusa. – Sono davvero felice di trovarvi da sola,
perché c'è qualcosa che vorrei dirvi.
– Che cosa volete dirmi, signore?
– Ieri sera alla fattoria di vostro padre ho chiesto il permesso di farvi la corte. La vostra bellezza ha
infiammato il mio cuore, signorina, e vi voglio per moglie. Tuo padre acconsentì, solo che aveva dato il
permesso prima a Don Diego Vega. Così sembra che ci sia don Diego tra voi e me.
– Vi sembra il caso di parlarne, signore? – chiese Lolita.
– Certamente Don Diego Vega non è l'uomo per voi. – proseguì. – Non ha né coraggio, né spirito. È sempre
oggetto di scherno a causa della sua debolezza.
– Parlate male di lui in casa sua? – Disse Lolita con gli occhi lampeggianti.
– Dico la verità, signorina. Avrei il vostro favore? Non riescireste a guardarmi con gentilezza? Mi dareste la
speranza che io possa vincere il vostro cuore e la mano?
– Capitano Ramon, tutto questo è indegno. – fece Lolita. – Non è il modo corretto, e voi lo sapete. Vi prego
di lasciarmi adesso.
– Attendo la tua risposta, signorina.
L’orgoglio do Lolita fu profondamente offeso. Perché non poteva essere corteggiata come le altre Senoritas,
nel modo giusto? Perché questo uomo doveva essere così audace nelle sue parole? Perché ignorava le buone
convenienze?
– Devi lasciarmi! – disse Lolita con fermezza. – tutto ciò è sbagliato, e voi lo sapete. Volete che il mio nome
sia insultato, capitano Ramon? Immaginate se arrivarse qualcuno?
– Nessuno verrà, signorina. Mi dia una risposta?
– No! – gridò, cercando di andarsene. – Non solo non l’avrete, ma mio padre, vi assicuro, saprà di questa
visita!
– Vostro padre… – sghignazzò il capitano malignamente. – …è un uomo che ha perso la fiducia del
governatore. Un uomo che non ha più alcun sostegno politico. Io non paura di vostro padre. Dovrà essere
orgoglioso del fatto che il capitano Ramon guardi sua figlia.
– Senor!
– Non scappate. – disse, fermandola. – Vi ho fatto l'onore di chiedere di essere mia moglie
– Mi ha fatto l'onore! – gridò con rabbia, e quasi in lacrime. – È l'uomo che ha un grande onore, quando una
donna lo accetta.
– Mi piaci quando vi arrabbiate. – osservò. – Si sieda di nuovo accanto a me qui. E ora datemmi la vostra
risposta.
– Senor!
– Tu mi sposerai, naturalmente. Io intercederò presso il governatore per tuo padre e riavrà una parte del
suo patrimonio restituito. Io ti porterò a San Francisco de Asis, nella casa del governatore, dove si possono
ammirare persone di gran rango.
– Signore! Lasciatemi andare!
– La mia risposta, signorina, mi avete tenuto fuori abbastanza.
Lolita si strappò via da lui, e lo guardò con gli occhi fiammeggianti, le manine strette lungo i fianchi.
– Maritarvi con voi? – gridò. – Piuttosto farei la serva per tutta la vita, piuttosto mi sposarei con un nativo,
piuttosto morirei pur di non sposarvi con voi! Ho sposerò un cavaliere, un signore, o nessuno! E non posso
dire che voi lo siate!
– Belle parole dalla figlia di un uomo che sta rovinata.
– La rovina non cambierebbe il sangue dei Pulidos, signore. Dubito che possiate capirlo avendo il vostro
sangue malato. Don Diego è buon amico di mio padre e saprà tutto.
– E vorreste sposare il ricco Don Diego, eh, per raddrizzare gli affari di tuo padre? Invece di sposare un
soldato d'onore, prefersci venderti, eh?
– Signore! – strillò.
L’insulto era oltre ogni sopportazione. Era sola e non aveva nessuno vicino a vendicarla perciò si vendicò lei
stessa.
Come un lampo la sua mano diede uno schiaffo sonoro contro la guancia del capitano Ramon. Poi Lolita
saltò indietro, ma lui la prese per un braccio e l'attirò a sé.
– Prenderò un bacio a pagamento di questo schiaffo – disse Ramon. – Una belvetta femminile può essere
gestito anche con un solo braccio, grazie ai santi.
Lei lottò con violenza, colpendo e graffiando il petto del capitano, ma senza riuscire a raggiungere il suo
volto. Ma il capitano ridere di lei e dei suoi sforzi, e la tenne stretta finché non fu quasi spenta e senza fiato,
e alla fine si gettò indietro la testa e la guardò negli occhi.
– Un bacio come pagamento, signorina. – disse. – Sarà un vero piacere domare una puledrina così
selvaggia.
Lolita cercò di combattere di nuovo, ma non poteva. Chiamò tutti i santi in suo aiuto ma il capitano Ramon
ridere di più e chinava la testa perché le sue labbra si avvicinassero alle sue.
Era tempo! Da un angolo della stanza uscì una voce che era allo stesso tempo profondo e dura.
– Un momento, signore!
Il capitano Ramon lasciò la ragazza e si girò su un tallone. Lui strizzò gli occhi per vedre nel buio, poi sentì
Lolita dare un grido di gioia.
Poi il capitano Ramon, proferì una maledizione ad alta voce, Zorro gli stava davanti.
Non si chiese come il bandito fosse entrato in casa, non si è fermato a pensarci sù. Si rese conto che era
senza una spada al suo fianco, e che comunque non poteva utilizzarla a causa della sua ferita alla spalla.
Zorro e stava camminando verso di lui da un angolo.
– Sarò un fuorilegge ma rispetto le donne! – disse la maledizione di Capistrano. – E tu non mi sembri un
ufficiale dell'esercito. Che ci fai qui, capitano Ramon?
– E tu cosa fai qui?
– Ho sentito urlare una signora, che è garanzia sufficiente per qualsiasi caballero per entrare in qualsiasi
luogo, signore. Mi sembra, che si siano spezzate molte buone creanze.
– Forse anche la signora non le ha mantenute.
Signore! – Ruggì rabbiosamente l’uomo mascherato. – Un altro sporco pensiero del genere e ti affilo dove
ti trovi, anche se sei un uomo ferito! Come dovrei punirti?
– Domestici! Nativi! – Gridò il capitano improvvisamente. – Qui c’è Zorro! Un premio a chi l’affronta!
L'uomo mascherato si mise a ridere.
– Così cerchi aiuto. Risparmia il fiato per le tue preghiere, piuttosto.
– Minacciate un uomo ferito.
– Ti meriti la morte, signore, ma prima di fuggire ti voglio vedere in ginocchio a chieder scusa alla
signorina. E poi te ne andrai da questa casa tenendo la bocca chiusa riguardo a ciò che è avvenuto qui. Se
non lo farai, ti prometto che macchierò la mia lama con il tuo sangue.
– Ah!
– In ginocchio, signore, e subito! – comandò Zorro comandato. – Non ho tempo da perdere.
– Sono un ufficiale…
– In ginocchio! – comandò Zorro di nuovo, con voce terribile. Balzò in avanti e afferrò il capitano Ramon
sulla spalla buona e lo gettò a terra.
– Presto, miserabile! Dite alla signorina che le chiedete umilmente perdono, cosa che non concederà,
ovviamente, visto quello che è successo. Dillo, o, giuro che avrai fatto fatto il tuo ultimo discorso!
Il capitano Ramon lo fece. Poi Zorro lo afferrò per il collo e lo sollevò, e lo spinse verso la porta e lo
scaraventò nelle tenebre. E se gli stivali non fossero stati dalla suola morbida come quella dei mocassini
indiani, il capitano Ramon sarebbe stato ferito più profondamente, sia nei sentimenti che nel fondoschiena.
Zorro chiuse la porta e allo stesso momento il domestico entrò di corsa nella stanza, fissando con spavento
l'uomo mascherato.
– Signorina, spero di avervi reso un buon servizio. – disse il bandito. – Quel mascalzone non vi disturberà
più, altrimenti sentirà di nuovo il pungiglione della mia lama.
– Oh, grazie, signore, grazie! – gridò. – Dirò a mio padre della buona azione che avete fatto. Cameriere,
portate del vino!
Non c'era altro da fare per il maggiordomo che obbedire, e corse via dalla sala, meditando sui tempi che si
vivevano.
Lolita passo a fianco dell'uomo mascherato.
– Signore! – alitò nella stanza semibuia verso Zorro – mi avete salvato da un insulto. Mi avete salvato
dall'inquinamento delle labbra di quell'uomo. Signore, anche se mi ritengono in debito, e vi offro
gratuitamente il bacio che dovevo avere.
Alzò il viso e chiuse gli occhi.
– E io non guarderò sotto la maschera. – disse Lolita.
– È veramente troppo, signorina. – disse. – Mi basta la tua mano, non le tue labbra.
– Che vergogna, signore. Ero così audace da offrirmi, e voi mi rifiutate. Ne avete forse imbarazzo. – fece
Lolita.
Zorro non resistete. Si chinò rapidamente e sfiorò le labbra con la sua, ma poi non andò oltre.
– Ah, signorina. – disse. – Vorrei essere un uomo onesto e per poter rivendicarvi apertamente. Il mio
cuore è pieno di amore per voi.
– E con il mio amore per te.
– Questa è una follia. Nessuno deve saperlo.
– Non avrei paura di dirlo al mondo, signore.
– Tuo padre e la sua fortuna! Don Diego!
– Ti amo, Senor.
– La vostra possibilità di essere una gran signora! Pensi che non sapevo che era don Diego l'uomo di cui
parlavi quando abbiamo parlato nel patio di tuo padre? Forse il tuo è solo un capriccio, signorina.
– È amore, signore, né più né o meno. E un Pulido non ama due volte.
– Quello che forse potrebbe avvenire, non t’angoscia?
– Vedremo. Dio è buono.
– È una follia.
– Una dolce follia, signore.
Lui la strinse a sè e chinò la testa ancora, chiudendo gli occhi e prese il suo bacio, un bacio che durò a
lungo. Lei non fece alcuno sforzo per vedere il suo volto.
– Posso essere brutto.
– Ma io ti amo.
– potrei esser sfigurato, signorina.
– Ancora ti amerei.
– Che speranza possiamo avere?
– Andate, signore, prima del ritorno dei miei genitori. Non dirò altro se non che mi hai salvato dagli insulti
e poi la strada di nuovo. Penseranno che sei venuto a rubare a casa di Don Diego. sii onesto, signore, per
amor mio. Nessuno conosce il tuo volto, e se ti toglierai la maschera per sempre, nessuno saprà mai delle tur
colpe. Lo so che tu non sei un ladro comune. Lo so che vuoivendicare gli indifesi, e punire i politici crudeli,
So che hai dato quello che hai rubato ai poveri. Oh, signore!
– Ma il mio compito non è ancora finito, signorina, e non posso fermarmi.
– Allora ritorna da me quando tutto sarà finito, e che i santi ti proteggano e so che lo faranno. E quando
ritornerai da me ti riconoscerò sotto qualsiasi veste.
– Non devo aspettare così a lungo, signorina. Vi vedrò spesso. Non potrei far altro.
– Sta in guardia.
– In verità, ora ne ho una doppia ragione. La vita non è mai stato così dolce come da adesso.
Zorro si allontanò da lei lentamente. Si voltò e guardò verso una finestra a portata di mano.
– Devo andare. – disse. – Non posso aspettare per il vino.
– Fu solo un sotterfugio per poter restare da sola con te.
– Fino alla prossima volta, signorina, e non sarà a lungo termine questa separazione.
– Resta sempre in guardia, mio signore!
– Sempre, mia amata, a presto!
Ancora una volta i loro occhi si incontrarono, poi Zorro si chiuse il mantello un gesto e si lanciò attraverso
la finestra, e se ne andò attraverso di essa. Il buio lo inghiottì.

Capitolo 14: il capitano Ramon scrive una lettera

Rialzandosi dalla polvere davanti alla porta di Don Diego Vega, il capitano Ramon sfrecciò nell'oscurità su
per il sentiero che con un dolce pendio arrivava al presidio.
Il suo sangue era rovente d'ira, il suo viso era viola dall’ira. Vi erano rimasti al presidio non più di una
mezza dozzina di soldati, la maggior parte della guarnigione era andato con il sergente Gonzales, e di quelli
rimasti mezza dozzina erano sulla lista dei malati e due erano necessari come guardie.
Così il capitano Ramon non poteva inviare gli uomini fino alla casa di Vega, per carcare di catturare il
bandito, e poi, sicuramente Zorro non sarebbe rimasto lì più di qualche minuto, ma sarebbe montato a
cavallo e fuggito via, quel bandito era rinomato per non restare a lungo in un posto.
Oltre a ciò, il capitano Ramon non aveva alcun desiderio di far far sapere in giro che si era trovato di fronte
Zorro una seconda volta, e lo aveva trattato come fosse un peone. Si sarebbe anche potuto sapere che aveva
insultato un signorina, e che per questo era stato punito da Zorro facendolo mettere in ginocchio a chieder
scusa e poi lo aveva cacciato dalla porta principale come un cane?
Il capitano capì che era meglio per non parlare dell'evento. Egli suppone che la signorina Lolita lo avrebbe
detto ai suoi genitori, e che il cameriere avrebbe confermato i fatti, ma dubitava che Don Carlos facesse
qualcosa. Don Carlos ci penserebbe due volte prima d’accusar di villania un ufficiale dell'esercito, così
malvisto dal governatore com’era. Ramon poteva solo sperare che non si muovesse Don Diego, perché se un
Vega avrebbe alzato la mano su di lui, non avrebbe avuto scampo.
Passeggiando avanti e indietro nel suo ufficio, pensando a queste cose e molte altre, il capitano Ramon
sentiva crescere la sua ira. Si era tenuto al passo coi tempi, ben sapendo che il governatore avendo un
disperato bisogno di soldi per i suoi bagordi, ad ogni minimo sospetto si era calato su uomini ricchi e
facoltosi, e forse ora aveva bisogno di una nuova vittima.
Forse il capitano poteva suggerire la famiglia vega come nuova vittima al governatore?
In poco tempo decise. in questa maniera avrebbe avuto piena vendetta verso la figlia dei Pulido. A questo
pensiero il capitano sorrise subito a questo pensiero, nonostante la sua ira.
Si mise a scrivere e nel contempo, ordinò che uno dei suoi uomini si organizzasse per un viaggio come
corriere.
Seduto sul suo grande tavolo indirizzò il suo messaggio a Sua Eccellenza il governatore, nella sua villa a
San Francisco de Asis.
E così scrisse:
A sua eccelenza il governatore,
Le vostre informazioni riguardo al brigante chiamato Zorro, sò che sono a vostra conoscenza. Sono spiacente di non
inviarvi questo scritto per segnalarvi la cattura del ladro, ma spero che sarete clemente con me in materia, visto
l’estrema particolarità del caso.
Ho speso la maggior parte della mia forza nella ricerca del fuorilegge, con l'ordine di catturarlo o di farmi portarmi il
suo cadavere. Ma questo Zorro non combatte da solo. Costui ha avuto soccorso in certi luoghi dei dintorni, dove poteva
rimanere in clandestinità, dove poteva avere dei cavalli in ricambio, e senza dubbio anche cibo e bevande.
Nella giornata scorsa ha visitato la fattoria di Don Carlos Pulido, un caballero noto per essere ostile a Vostra
Eccellenza. Inviai immediatamente degli uomini e poi mi recai sul posto anch’io. Mentre i miei soldati si mesero sulle
sue tracce ed io ero in casa, l'uomo mascherato sbucò da un armadio del salotto di Don Carlos e mi attaccò a tradimento.
Mi ferì alla spalla destra, ma ruscii ancora a lottare con lui, finchè non fuggì spaventato. Devo dire di essere stato
alquanto ostacolato da Don Carlos nel rincorrere il bandito. Inoltre, quando sono arrivato alla hacienda, le indicazioni
erano che l'uomo era intento a far cena.
La hacienda Pulido è un posto eccellente come nascondiglio per un tale criminale, visto che si trova fuori dalla strada
principale. Temo che Zorro vi abbia il suo quartier generale quando si trova in questa zona, e attendo le vostre
istruzioni in materia. Posso aggiungere che Don Carlos mi ha appena appena trattato con rispetto, mentre ero in sua
presenza, e che la sua figlia, la signorina Lolita, difficilmente riusciva a trattenersi dal mostrare la sua ammirazione per
questo bandito e dello sforzo fatto dai soldati per catturarlo.
Vi sarebbero anche indicazioni di un altra famiglia ricca e famosa di questo borgo che potrebbe vacillare nella fedeltà
alla vostra eccellenza, ma come capirà, non posso informarla di una cosa del genere in una missiva inviata, tramite
corriere.
Con profondo rispetto,
Capitano Ramon, Comandante del Presidio di Reina de Los Angeles.
Ramon sorrise di nuovo mentre finiva la lettera. Il governatore avrebbe sicuramente indovinato di quale
famiglia parlava in quest’ultima nota. Della famiglia Vega! l'unica ricca e famosa che poteva corrispondere
alla descrizione. Per quanto riguarda i Pulido, il capitano Ramon immaginava perfettamente cosa sarebbe
loro successo. Il governatore non avrebbe esitato a punirli, e forse la signorita Lolita trovandosi senza
protezione, non avrebbe potuto rifiutare le avances di un capitano dell'esercito.
Ora Ramon si preoccupò di fare una seconda copia della lettera, con l'intenzione di mandare l’originale con
suo corriere e di conservare l’altra nei suoi archivi, nel caso potesse servirgli in futuro.
Terminata la copia, piegò l'originale e lo sigillò, lo portò ai soldati nel loro alloggiamento, e lo diede a
l'uomo che aveva scelto come corriere. Il soldato salutò, corse a cavallo, e si diresse furiosamente verso nord,
verso San Fernando e Santa Barbara, e da lì a San Francisco de Asis, con gli ordini che gli ronzavono nelle
orecchie di non fermarsi mai e di avere un cambio di cavalli ad ogni missione o pueblo che avesse
incontrato, in nome di Sua Eccellenza.
Ramon tornò nel suo ufficio e si versò una misura di vino, e rilesse la copia della sua lettera. Avrebbe
voluto scriverla più pesantemente, ma era meglio non esagerare per non far irritare il governatore.
Ogni tanto smetteva di leggere e malediva il nome di Zorro, e rifletteva sulla bellezza e la grazia della
signorina Lolita, che doveva essere punita per il modo in cui lo aveva trattato.
Pensava che Zorro era a miglia di distanza in quel momento da Reina de Los Angeles, ma si sbagliava. La
maledizione di Capistrano, come era chiamato Zorro dai soldati, non era corso via dopo aver lasciato la casa
di Diego de la Vega.

Capitolo 15: Al Presidio

Zorro si era diretto poco più in là al buio, nella parte posteriore della capanna di un nativo, dove aveva
lasciato il suo destriero, e si era fermato rimuginando sul sentimento che era nato dentro di sé.
In quell’attimo sorrise contento sotto i baffi quasi compiaciuto, poi montò il suo cavallo e lo guidò
lentamente verso il cammino che portava al presidio. Sentì in lontananza un cavaliere mettersi al galoppo e
pensò che il capitano Ramon avesse inviato un uomo a richiamare il sergente Gonzales e i soldati che erano
sulle sue tracce.
Zorro sapeva tutto ciò che accadeva nel presidio, sapeva quanti soldati fossero lì, e che quattro erano a letto
con la febbre, e che quindi rimaneva solo un uomo valido ora, oltre al capitano.
Rise di nuovo e fece risalire la china verso il presidio al suo destriero, facendogli fare poco rumore. Sul
retro del presidio smontò, e lasciò le redini a terra, sapendo che il suo amico a quattro zampe non si sarebbe
mosso.
Strisciò nelle tenebre contro la parete del palazzo facendosi strada con attenzione finché giunse ad una
finestra. Si sollevò su una pila di mattoni crudi e guardò all’interno.
Era l’ufficio del capitano Ramon dove guardava. Vide il comandante del presidio seduto davanti a un gran
tavolo che leggeva una lettera che sembrava aver appena finito di scrivere. Ramon stava parlando a se
stesso, come fanno molti uomini dall’anima perfida.
– Questo causerà molto dolore alla bella signorina, – stava dicendo. – Così imparerà a rifiutarsi un ufficiale
delle forze di Sua Eccellenza. Quando suo padre sarà nelle prigioni del presidio, accusato di alto tradimento,
con le sue proprietà confiscate, allora forse scenderà a più miti consigli.
Zorro non ebbe difficoltà a capire quelle parole. Capì immediatamente che il capitano Ramon aveva
organizzato una meschina vendetta verso i Pulido. Sotto la sua maschera il volto di Zorro divenne nero di
rabbia.
Scese dalla pila di mattoni crudi e scivolò lungo il muro fino ad arrivare all'angolo del palazzo. In una
presa di corrente a lato della porta d'ingresso vi era una torcia in fiamme, e alla sua luce passeggiava avanti e
indietro davanti al portone l’unico soldato di guardia, con una pistola alla cintura e una lama al suo fianco.
Zorro notò bene la durata del breve tragitto del militare. Giudicò la distanza con precisione, e proprio
Mentre l'uomo voltava le spalle per riprendere la sua marcia, l’uomo mascherato saltò.
Le sue mani si chiusero sulla gola del soldato mentre il suo ginocchio lo colpiva alla schiena.
Immediatamente furono a terra, il soldato sorpreso cercava di far del suo meglio per liberarsi. Ma Zorro, non
poteva permettersi alcun rumore, perciò colpì pesantemente il militare con il calcio della sua pistola,
mandandolo nel mondo dei sogni.
Lo strascinò poi al buio, lo imbavagliò con una striscia strappata alla fine del suo poncho, e gli legò mani e
piedi con altre strisce. Poi dopo aver dato un’occhiata intorno per esser sicuro di non aver attirato qualche
attenzione all'interno dell'edificio, scivolò verso la porta.
Fu in un istante all’interno. Davanti a lui vi era una grande sala con il pavimento sporco, con dei lunghi
tavoli e letti a castello e boccali di vino e finimenti e selle e briglie. Visto che non vi era nessuno lì, Zorro si
diresse rapidamente e silenziosamente verso la porta che dava sull'ufficio del comandante.
Fece in modo di avere la sua pistola pronta all’uso e aprì la porta. Il capitano Ramon era seduto dandogli
la schiena, e si girò con un ghigno sulle labbra pensando che uno dei suoi uomini fosse entrati senza bussare,
e già provava il gusto di sgridarlo.
– Non provi a dire una sola parola, signore. – avvertì l’uomo mascherato, esclamando la parola signore
quasi con disgusto. – Se solo apre la bocca, morirà.
Tenendo gli occhi su quelli del comandante, Zorro chiuse la porta dietro di lui, e avanzò nella stanza.
Camminava avanti lentamente, senza parlare, la pistola spianata contro il capitano, che era con le mani sopra
al tavolo e la faccia bianca dalla paura.
– Che cosa fate qui? – chiese il capitano, ignorando l'ordine di non proferir suono, ma parlando con un
sottile filo di voce.
– Ritengo che questa visita sia necessaria, signore. Non sono certo qui per vedere la bellezza del tuo viso.
– Mi è capitato di guardare alla finestra. – Prosegui Zorro. – E ho visto prima una lettera sul tavolo, e poi vi
ho sentito parlare. È un brutto vizio per un uomo, parlare a se stesso. Se sareste rimasto in silenzio avrebbe
potuto concludere tranquillamente la sua serata.
– Va bene, signore, e allora? – chiese il capitano, mentre un po’ della sua arroganza ritornava a galla.
– Ho voglia di leggere quella lettera.
– È così grande il suo interesse per le mie imprese militari?
– Quanto a questo, direi che no esiste, signore. Gentilmente vorreste togliere le mani dal tavolo, ma senza
raggiungere la pistola al vostro fianco se non volete morire all'istante. Sappiate che non avrò nessun
pentimento inviare la vostra anima nell'aldilà.
Il comandante fece come gli era stato ordinato, e Zorro è fece avanti con cautela e afferrò la lettera. Poi
indietreggiò di qualche passo, sempre guardando l'ufficiale davanti a lui.
– Ora leggerò questa lettera. – disse Zorro. – ma vi avverto anche che vi osseverò con attenzione. Vi
conviene restar immobile, signore, a meno che non vogliate visitare i vostri antenati.
Lesse rapidamente, e quando finì alzò gli occhi sul comandante dritto negli occhi. A lungo, senza parlare.
Non c’era bisogno, i suoi occhi brillavano malevolmente attraverso la maschera. e il capitano Ramon
cominciò a sentirsi più a disagio.
Zorro varcò il tavolo, ancora guardando Ramon, e diede la lettera alle fiamme di una candela. Una volta
presa fuoco, la lettera arse, e rimase a terra, solo un po’ di cenere. Zorro ci mise il piede sopra.
– La lettera non sarà consegnata. – disse. – Così si combattono le donne, vero, signore? E voi sareste un
valoroso ufficiale, un ornamento alle forze di Sua Eccellenza, eppure dubito che egli vi conceda la
promozione se sapesse la verità. Vorreste causare una gran disgrazia a una ragazza che avete insultato e che
vi giustamente respinto, facendo leva sul malocchio che il potere ha contro il padre, è veramente un atto
infame.
Fece un passo in avanti e avvicinò la sua pistola al militare.
– Sarà bene che non venga a sapere che una lettera simile a quella che ho appena distrutto, arrivi al
governatore. – fece poi. – Mi dispiace in questo momento non possiate incrociare la vostra spada con me.
Sarebbe un insulto far scorrere il vostro sangue sulla mia lama, ma sarebbe un atto doveroso per liberare il
mondo da un mascalzone come voi.
– Tu parli spavaldamente ad un uomo ferito.
– Non c'è dubbio che la ferita guarirà, signore. Mi terrò sempre informato al riguardo. E quando sarà
guarita e sarete di nuovo in forze, mi risponderete di quel che avete tentato di fare questa notte. Voglio
essere chiaro con voi.
Ancora una volta i loro occhi brillavano, gli uni contro gli altri, e Zorro fece un passo indietro, quando
all’improvviso alle loro orecchie arrivò il runore di zoccoli sul terreno. La voce rauca del sergente Pedro
Gonzales, salì nel buio.
– Non smontate! – piagnucolò il sergente ai suoi uomini dalla porta. – Faccio il mio rapporto, e poi
torniamo dietro alla canaglia! Non avremo pace finché non lo troveremo!
Zorro diede una rapida occhiata alla stanza, perché ormai la fuga dall'ingresso è inutilizzabile. Negli occhi
del capitano Ramon brillò una luce di speranza.
– Qui, Gonzales! – gridò sorprendendo Zorro. – Salvatemi, Gonzales! Zorro è qui!
E poi sudando guardò il bandito con aria di sfida, come per vedere se avesse avuto il fegato di tirare il
grilletto.
Ma Zorro non far fuoco. Non voleva far scorrere il sangue dell’ufficiale così. Voleva vedere la sua linfa
vitale solo quando sarebbe guarito, incrociando di nuovo le lame con lui.
– Rimanete dove siete! – gli comandò e si precipitò verso la finestra più vicina.
Il grande sergente aveva comunque sentito. Ordinò ai suoi uomini di seguirlo, e si precipitò nella stanza
grande verso la porta dell'ufficio e la spalancò. Un muggito di rabbia gli sfuggì quando vide l'uomo
mascherato in piedi accanto al tavolo, dov’era seduto il comandante.
– Per tutti i santi, lo teniamo! – piagnucolò Gonzales. – Qua soldati! Di guardia alle porte! Altri alle
finestre!
Zorro aveva messo la pistola nella mano sinistra, e aveva tirato fuori la sua lama facendola svollazzalare in
avanti e lateralmente, così da colpire le candele sul tavolo. Poi mise il piede sopra l'unica che era rimasta
accesa gettando così la camera nl buio.
– Presto! Portate una torcia! – strillò Gonzales…
Zorro saltò da una parte, contro il muro, facendosi strada il più rapidamente possibile, mentre Gonzales e
altri due uomini balzarono nella stanza, e uno rimase di guardia alla porta, mentre di fuori si cercava una
torcia.
Un uomo con una torcia si precipitò dalla porta, ma urlò subito. Una lama gli aveva attraversato il petto, e
la torcia cadendo a terra si spense.
Gonzales ruggì le sue maledizioni e cercava l'uomo mascherato che voleva uccidere. Il capitano gli
piagnucolava di stare attento a non infilzare un soldato per sbaglio. Finchè Non arrivò un altro uomo con
un’altra torcia.
Zorro fece sentire la sua pistola, colpendo la torcia nella mano del militare. Di nuovo si ritrovarono al buio,
Zorro cambiava la sua posizione rapidamente, ascoltando il respiro profondo dei suoi nemici che gli avrebbe
rivelato la loro esatta posizione.
– Fermate quella canaglia! – urlava intanto il comandante. – Stupidi! Può un uomo solo giocarvi così?
Poi smise di parlare. Zorro lo aveva afferrato alle spalle ed ora era la voce dell’uomo mascherato a
risuonare nel buio come fosse un richiamo infernale.
– Soldati! ho in mano il vostro capitano! Lo porterò con me fuori della porta. Attraverserò la stanza e andro
all'esterno dell'edificio. Ho già scaricato la mia pistola, ma adesso ho in mano quella del capitano Ramon e la
tengo puntata sulle sue cervella. Quando uno di voi mi attaccherà, io farò fuoco, e voi non avrete più un
comandante.
Il capitano sentiva il freddo acciaio dietro della sua testa, e gridò ai suoi uomini di usar cautela. Zorro se lo
portò fino alla porta mentre i soldati e Gonzales li seguivano da vicino senza osar fare una mossa, sperando
bene o male di poterlo liberare.
Attraversata la grande sala del presidio, arrivarono alla porta. Zorro aveva timore degli uomini al di fuori,
che custodivano le finestre. Una torcia bruciava appena fuori la porta, ma Zorro alzando la mano la spense.
Eppure vi era ancora pericolo nell’uscire.
Gonzales e i soldati si erano sparsi a ventaglio attraverso la stanza. Gonzales teneva una pistola in mano,
sperando di poter colpire Zorro senza mettere in pericolo la vita del suo capitano.
– Indietro, signori! – comandò ora l’uomo mascherato. – Vorrei avere più spazio per la mia partenza. – i
soldati dovettero ubbidire.
– Vi ringrazio. Sergente Gonzales, se le probabilità non fossero così a mio sfavore, avremo potuto incrociare
di nuovo le armi per disarmarvi di nuovo.
– Per tutti i santi! Io t’ammazzerò!
– Un'altra volta, caro sergente. Ed ora, signori, attenzione! Mi dispace dirvelo, ma non avevo nessuna
pistola. Ciò che il capitano ha sentire per tutto questo tempo alla base del suo cervello non era altro che una
fibbia che ho raccolto da terra. Non è stato un bello scherzo? Senores, adios!
Buttò all’improvviso il capitano avanti a sé, a mordere di nuovo la polvere e poi si lanciò in mezzo al buio.
Sentiva fischiare intorno a sé le pallottole dei soldati, ma raggiunse il suo cavallo che spinse poi al galoppo. E
i soldati sentirono la sua risata mentre una fredda breccia soffiava dal mare in lontananza.

Capitolo 16: la fine della caccia

Zorro buttò il suo cavallo giù per il ripido pendio pieno di ghiaia della collina, dove un passo falso avrebbe
potuto dare origine ad un disastro, e dove i soldati facevano fatica a seguirlo. Il sergente Gonzales però aveva
del coraggio da vendere e degli uomini lo seguirono, mentre altri galopparono a destra e a sinistra, con
l’intento di intercettare il fuggitivo quando avesse raggiunto il fondo.
Zorro tuttavia era molto davanti a loro, prese il sentiero verso San Gabriel con un galoppo furioso, mentre i
soldati gli correvano ancora dietro, chiamandosi gli uni con gli altri, e scaricando una pistola con un grande
spreco di polvere e di palle.
Presto la luna si scoprì. Zorro già ne era a conoscenza, e sapeva che gli avrebbe reso più difficile la fuga.
Ma il suo cavallo era fresco e forte, mentre quelli dei soldati aveva fatto molti chilometri durante il giorno, e
così non avevano più speranza di catturarlo.
Ora poteva essere visto chiaramente da coloro che lo inseguivano, e poteva sentire il sergente Conzales
piagnucolare ai sui suoi uomini di spronare le loro bestie al massimo per catturarlo. Si guardò alle spalle
mentre galoppava, e osservava che i soldati si disperdevano in una lunga fila, in cui i cavalli più forti e più
freschi guadagnavano terreno sugli altri.
Andarono avanti così per circa cinque miglia, i soldati tenevano la distanza, ma senza guadagnare
terreno. Zorro sapeva che presto i loro cavalli si sarebbero indeboliti, al contrario del suo che dava alcun
segno di fatica. Solo una cosa poteva disturbarlo, qualcuno che viaggiase in direzione opposta.
Qui le colline si profilarono di scatto su entrambi i lati della strada, e non era possibile per lui allontanarsi,
né vi erano dei sentieri da poter seguire, e se avesse tentato di dar la scalata alle colline, si sarebbe rallentato
troppo e i soldati avrebbero potuto ferirlo, se non peggio.
Così tirò dritto, guadagnando un po’ di terreno, sapendo che a due chilometri più a valle c'era un sentiero
che girava a destra, su cui avrebbe potuto far perdere le sue tracce.
Aveva quasi coperto quei due chilometri quando si ricordò solo allora della notizia della frana causata
dalle recenti piogge torrenziali e che aveva bloccato quel sentiero. Così quando vi giunse non potè usarlo, e
un pensiero audace gli attraversò in mente.
Come superò un lieve aumento del terreno, si guardò alle spalle e vide che due dei soldati a cavallo erano
fianco a fianco. Erano ben dispersi, e aveva una certa distanza da loro. Era l’ideale per il suo piano.
Si precipitò dietro una curva della strada e si fermò. Girò la testa del suo cavallo all'indietro verso dove era
venuto, e si piegò in avanti sulla sella ad ascoltare. Quando sentì il rumore del cavallo del suo più vicino
inseguitore, egli sfoderò la sua lama, svolse le redini intorno al suo polso sinistro, e improvvisamente colpì la
sua bestia nei fianchi crudelmente con i suoi speroni taglienti.
L'animale non aveva mai sentito gli speroni, tranne quando in galoppo Zorro voleva una maggiore velocità.
Così balzò in avanti come un fulmine, irrompendo sulla strada come uno stallone selvaggio, e portando
sconcerto nei nemici di Zorro.
– Fate largo! – urlò Zorro.
Il primo uomo cade subito a terra, e quando capì che era Zorro gridò di fare attenzione a quelli dietro, che
non capivano la causa del rumore di zoccoli sulla strada dura.
Zorro piombò così sul secondo uomo, incrociò per un attimo le spade con lui, lo buttò a terra e poi cavalcò
via. Si precipitò su un'altra curva, e il suo cavallo colpì un altro inseguitore, e lo scaraventò sulla strada.
Zorro fu oscillato dall’urto del quarto uomo, ma il contraccolpo gli spianò la strada, perché il soldato si
ritrovò stesso a terra.
E ora vi era altro che il tratto rettilineo della strada davanti di lui, con i suoi nemici che gli venivano contro.
Come un pazzo cavalcò in mezzo a loro, sbalzandoli uno ad uno al suo passaggio. Il sergente Conzales,
molto indietro a causa del suo cavallo stanco, capì cosa stava accadendo e strillò ai suoi uomini di far
attenzione, ma per quando strepitasse, non poté impedire che qualcosa di simile ad un fulmine colpisse il
suo cavallo, defenestrandolo.
Dopo il passaggio di Zorro, i suoi nemici si rimisero al suo inseguimento, con alla testa il loro sergente che
proferiva maledizioni a più non posso, ma ad una distanza leggermente maggiore rispetto all’inseguimento
di prima.
Adesso Zorro poteva permettere al suo cavallo di andare un po’ più lento, visto che ormai manteneva bene
le distanze, e arrivò al sentiero che non potè prendere prima. Qui infilò un terreno più alto e si guardò
indietro per vedere come andava l’inseguimento dei suoi nemici, ancora in marcia, ma ormai molto lontani.
– È stato un bel trucco. – disse Zorro al suo cavallo, accarezzandolo. – Ma non potremo usarlo spesso!
Superando l'hacienda di un uomo amichevole al governatore, gli venne un pensiero. Forse Gonzales si
sarebbe fermato qui per avere dei cavalli freschi.
In fondo non era un’idea sballata. Infatti i soldati arrivarono al vialetto, e i cani ulularono un benvenuto. Il
padrone della hacienda giunse alla porta,con una lanterna in alto sopra la sua testa.
– Abbiamo la caccia a Zorro, amico! – piagnucolò Gonzales. – Abbiamo bisogno di cavalli fresci, in nome
del governatore!
I servi furono avvertiti, e Gonzales ei suoi uomini si affrettarono al corral. C’erano magnifici cavalli nel
recinto, cavalli, quasi come quella che aveva il bandito, e tutti erano freschi. I soldati rapidamente tolsero
selle e briglie dalle loro cavalcature stanche per metterli sui destrieri freschi, e poi si precipitò in pista di
nuovo per riprese l'inseguimento. Zorro aveva guadagnato un bel po’ di terreno, ma c'era solo una traccia
che volevano seguire.
A tre miglia di distanza, sulla cresta di una piccola collina, c'era una hacienda che era stata donata alla
missione di San Gabriel da un cavaliere che era morto senza lasciare eredi. Il governatore aveva minacciato di
confiscarla per lo Stato, ma finora non ci era riuscito, e i francescani di San Gabriel avevano qualcuno che
proteggeva la loro proprietà con determinazione.
Responsabile di questa hacienda era infatti Frate Felipe, ormai avanti negli anni, e sotto la sua direzione la
fattoria prosperava, vi era molto bestiame e un continuo invio ai magazzini di grandi quantità di pelli e di
sego e miele e frutta, così come il vino.
Gonzales sapeva il sentiero che stavano seguendo portava a questa hacienda, e che appena al di là c'era un
altro sentiero che si biforcava, da una parte andava a San Gabriel e l'altra ritornava a Reina de Los Angeles con
un percorso più lungo.
Se Zorro superava l'hacienda, si sarebbe trovato sul sentiero che correva verso il pueblo, dal momento che,
se avesse voluto andare a San Gabriel, egli avrebbe continuato lungo la strada, con il rischio di ritrovarsi i
soldati di fronte.
Ma non credeva che Zorro l’avrebbe superata. Perché era ben noto che il bandito puniva duramente coloro
che perseguitavano i frati, perciò era indotto a credere che ogni buon francescano gli avrebbe dato rifugio.
I soldati arrivarono in vista della hacienda, e non vedeva la luce. Gonzales li fermò dove iniziava il vialetto,
e ascoltato invano qualsiasi tipo di rumore sospetto. Scese da cavallo e ispezionò la strada polverosa, ma non
capì se un cavaliere avesse cavalcato di recente verso la casa.
Diede degli ordini veloci, e separò la truppa, metà degli uomini rimasero con lui e agli altri fece circondare
la casa, le capanne degli indigeni, e guardare nei grandi granai.
Poi Gonzales si avviò nel vialetto con quella metà di uomini che erano con lui alle sue spalle, costringendo
il suo cavallo a salire le scale della veranda. Un bel segnale per indicare quale rispetto avesse per questo
luogo, difatti bussò alla porta con l’elsa della sua spada.

Capitolo 17: Il sergente Gonzales incontra un amico

Una luce si mostrò attraverso le finestre, e subito dopo la porta si spalancò, e il profilo in ombra di frate
Felipe con una candela con la mano si affacciò. Era un vero gigante di ormai sessant'anni, che fece parlare
di sè in passato.
– Chi è che fa tanto rumore? – chiese con voce profonda. – E perché, figlio del male, fai cavalcare il tuo
destriero sulla mia veranda?
– Siamo a caccia di Zorro, frate, quell’uomo che chiamiamo la maledizione di Capistrano. – disse Gonzales.
– E ti aspetti di trovarlo in questa povera casa?
– Troppe strane cose sono successe. Rispondimi, frate! Hai sentito il galoppo furioso di un cavaliere questa
notte?
– Io non ho sentito niente.
– Zorro vi ha fatto visita di recente?
– Non conosco l'uomo di cui parli.
– Ma avrete sentito parlare di lui, presumo?
– Ho sentito dire che lui cerca di aiutare gli oppressi, che punisce coloro che compiono un sacrilegio, e che
ha frusta coloro che hanno battuto gli indiani.
– Non mi piacciono le tue parole.
– È nella mia natura dire la verità, soldato.
– Così sarete sempre in difficoltà con i potenti, voialtri francescani.
– Non ci interessa la politica, soldato.
– Mi piacciono sempre di meno le tue parole, frate. Ho una mezza idea di smontare e di farti assaggiare la
mia frusta!
– Signore! – fece frate Felipe. – Se avessi dieci anni di meno sulle mie spalle potrei trascinarti nel fango!
– Per ora farò finta di non aver sentito. E torniamo al motivo di questa visita. Non avete mai visto un
diavolo mascherato che va sotto il nome di Zorro?
– Non ho visto nessuno, soldato.
– Manderò i miei uomini a fare delle ricerche in casa tua.
– Mi accusano di mentire? – fece frate Felipe.
– I miei uomini devono fare qualcosa per passare il tempo, e possono anche cercare in casa. Tanto non
avrete niente da nascondere, no?
– Conoscendo l'identità dei miei ospiti, potrei anche nascondere le brocche di vino, – disse frate Felipe.
Il sergente Gonzales si permise di mormorar a fior di labbra un peccato, poi scese da cavallo. Anche i suoi
soldati smontarono, mentre il sergente fece portar via il suo cavallo dalla veranda.
Poi Gonzales si tolse i guanti, ringuainando la spada, ed entrò dalla porta con gli altri alle calcagna, mentre
frate Felipe protestava contro l'intrusione.
Da un divano in un angolo della stanza si levò un uomo, che fu illuminato dal faschio di luce proiettato
dalla lanterna.
– Cosa vedono i miei occhi, il mio amico in divisa! – gridò.
– Don Diego, tu qui? – Gonzales rimase a bocca aperta.
– Vengo dalla mia hacienda dove ho sbrigato i miei affari, e siccome si è fatta notte prima del previsto
sono passato da frate Felipe, che mi conosce fin dall'infanzia. Che tempi turbolenti! Ho pensato che qui,
almeno, in questa hacienda che è un po’ fuori strada, avrei potuto avere un po’ di pace, senza sentire parlare
di violenza e spargimenti di sangue. Ma sembra che non sia possibile. Non c'è posto in questo paese in cui
un uomo possa meditare in pace su musica e poesia?
– E dai con ‘sta roba da polenta e latte di capra! – piagnucolò Gonzales. – Don Diego, tu sei un mio buon
amico e un vero cavaliere. Dimmi, hai visto Zorro stasera?
– No di certo, caro sergente.
– Non hai sentito galoppare furiosamente oltre la fattoria?
– Veramente no. Ma un uomo può cavalcare passando qui vicino e può non essere udito qui in casa. Frate
Felipe ed io abbiamo parlato insieme, ed erano sul punto di andare a coricarci quando sei arrivato tu.
– Allora il ladro ha cavalcato verso il pueblo! – fece il sergente.
– Lo avevate trovato. – chiese Diego.
– Ah! Eravamo alle sue calcagna, caballero! Ma a una svolta della strada maestra si è ricongiunto con una
ventina di uomini della sua banda. Cavalcarono contro di noi tentato di farci disperdere, ma siamo riusciti a
separarlo dai suoi compagni e abbiamo continuato la caccia.
– Tu dici che ha un bel po’ di uomini con sé?
– Veramente un bel po’, come i miei uomini possono testimoniare. È una vera spina nel fianco per noi
soldati, ma ho giurato catturarlo! E lo faremo una volta che ci troveremo faccia a faccia.
– E tu mi narrerai tutto poi? – chiese Diego, sfregandosi le mani, come un bimbo in attesa di una bella
storia. – Mi riferirai come lo portavi in giro mentre lottavate, come hai giocato di scherma con lui, di come…
– Per tutti i santi! Ti fai beffe di me, caballero?
– Ma su, che stavo scherzando, mio caro sergente. Ora che ci siamo capiti, forse Frate Felipe darà del vino a
voi e ai vostri uomini. Dopo un inseguimento, dovete essere stanchi.
– Accetteremo ben volentieri del buon vino! – fece il sergente.
Il suo caporale venne poi a riferire che le ricerche nelle capanne e nei fienili, e anche nel recinto, avevano
dato esito negativo.
Frate Felipe servì il vino, anche se lo fece con una certa riluttanza, visto che lo fece solo per rispondere alle
richieste di Diego.
– E che fai ora, mio caro sergente? – chiese Diego, dopo che il vino era stato portato al tavolo. – Ritornerai
alla caccia in tutto il paese con la paura che venga un tumulto?
– Il ladro evidentemente è tornato a Reina de Los Angeles, caballero. – rispose il sergente. – Lui pensa di
essere furbo come l’animale di cui porta il nome, senza dubbio, ma ho capito il suo piano.
– Ah sì! E quale sarebbe?
– Lui girerà intorno Reina de Los Angeles e prenderà poi il sentiero di San Luis Rey. Riposare per un po’,
senza dubbio, dopo questo indiavolato inseguimento, e poi proseguirà per la vicinanze di San Juan
Capistrano. Dove ha iniziato le sue maledette imprese, e per questo motivo che lo chiamano “La maldición de
Capistrano”. Sì, lui andrà a Capistrano.
– E voi soldati? – chiese Diego.
– Noi lo seguiremo da presso. Saremo presso Capistrano, e quando avremo notizia della sua grassazione
successiva, saremo a breve distanza da lui invece che al presidio del nostro pueblo. Troveremo la pista
fresca, e quindi riprenderemo l'inseguimento. Non avremo riposo fino a quando il ladro non sarà fatto
prigioniero oppure ucciso.
– E avrete così la ricompensa. – aggiunse Diego.
– Parlate bene, caballero. La ricompensa sarà buona cosa. Ma io cerco anche la vendetta. Il ladro mi ha
disarmato una volta.
– Ah! Quella volta ti tenne una pistola in faccia e ti costrinse a combattere non troppo bene?
– Proprio così mio buon amico. Oh un conto in sospeso con lui.
– Che tempi turbolenti. – sospirò Diego – non avranno mai fine. Un uomo non ha alcuna possibilità per
meditare. Ci sono momenti in cui vorrei andarmene lontano in collina, dove non c’è vita, tranne serpenti a
sonagli e coyote, e passarci un po’ di tempo. Solo in questo modo un uomo può meditare.
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– Perché meditare? – piagnucolò Gonzales. – Perché non la smettete con i pensieri e vi mettete in azione?
Che uomo sareste, caballero, se non vi lasciate andare di tanto in tanto, a mostrar i denti. Quello che vi serve
è un paio di nemici.
– Che i santi ci preservino! – piagnucolò Diego.
– È la verità, caballero! Lottare un po', fare l'amore con qualche bella ragazza, ubriacarsi! Sveglia e fa essere
un uomo!
– Parola mia, tu quasi mi convinci, mio caro sergente. Ma no. Non ho mai potuto sopportare la fatica.
Gonzales brontolò qualcosa sotto i grandi baffi poi si alzò dal tavolo.
– Non ho particolare simpatia per voi, frate, ma ti ringrazio per il vino, che era eccellente. – disse. –
Dobbiamo continuare il nostro cammino. Il dovere di un soldato non finisce mai, finche lui vive.
– Non parlarmi di viaggi! – piagnucolò Diego. – Devo ripartire domani. Ho ormai svolto i miei affari alla
hacienda, e devo tornare al pueblo.
– Lasciami esprimere la speranza, mio buon amico, che sopraviverai al disagio del viaggio di ritorno. Fece
Gonzales.

Capitolo 18: Il ritorno di Diego

Lolita dovete ovviamente riferire ai suoi genitori, di ciò che era accaduto durante la loro assenza, anche il
cameriere riferì i fatti come avvennero e così li avrebbe riferiti a don Diego quando sarebbe tornato, e Lolita
fu abbastanza saggio da capire che sarebbe stato meglio fermarsi con le spiegazioni.
Il cameriere, essendo stato inviato a prender del vino, non sapeva nulla della scena d'amore che era
successa, e Lolita gli disse solo che Zorro era corso via. Il che era più che ragionevole, visto che era
perseguito dai soldati.
Così la ragazza riferì al padre e la madre che il capitano Ramon era arrivato mentre erano loro assenti, e
che si era aperto la strada nel grande soggiorno a parlare fino a lei, minacciando il camerire. Forse aveva
bevuto troppo vino, e stava ancora male a causa della sua ferita, spiegò la ragazza, ma fu comunque troppo
audace, e sentirsi premuta la sua divisa con ardore su di lei fu ripugnante, non solo, insisteva per volere un
bacio.
Al che, fece la signorina, comparve Zorro da un angolo buio della stanza. Non sapeva cosa facesse lì ma
aveva costretto il capitano Ramon a chiedergli scusa, e poi lo aveva buttato fuori di casa. Infine, e qui ha
evitò di dire tutta la verità, Zorro gli fece un cortese inchino e se ne corse via.
L’infuriato don Carlos voleva prendere una spada e andar subito al presidio per sfidare il capitano Ramon
ad un combattimento mortale, ma Dona Catalina che era più calma, e gli fece capire che così sarebbe stato il
modo migliore per far sapere a tutti che la loro figlia era stata offesa, e in più litigare con un ufficiale
dell’esercito non li avrebbe certo alcun aiutati nelle loro fortune. Del resto Dona Catalina aveva anche paura
di restar una vedova piangente.
Così Don Carlos ri rassegnò a percorrere con rabbia il pavimento del grande salone fumando,
rimpiangendo di non avere dieci anni di meno o almeno di non avere più potere, ma promettè a se stesso che
una volta che sua figlia avrebbe sposato don Diego, lui avrebbe fatto di tutto per vedere il capitano Ramon
cadere in disgrazia e la sua uniforme strappata dalle spalle.
Seduta nella camera che le era stata assegnata, Lolita sentiva i vaneggiamenti del padre, e si trovò di fronte
ad una spiacevole situazione. Naturalmente, non poteva più sposare Don Diego. Aveva donato le labbra e il
suo amore ad un altro, un uomo di cui non aveva mai visto il volto, una canaglia perseguita dai soldati. Lei
aveva detto il vero quando disse che un Pulido amava una sola volta.
Cercò di spiegare tutto a se stessa, dicendo che si trattava di un impulso generoso che la costrinse a dare le
sue labbra all'uomo mascherato, ma sapeva che non era la verità, che il suo cuore era agitato come quando
gli comparve la prima volta alla fattoria di suo padre durante l'ora di siesta.
Non era ancora pronta a rivelare ai suoi genitori l'amore che era venuto nella sua vita, un po’ perché era
dolce mantenere il segreto, e un po’ perché temeva che suo padre la mandasse via in qualche posto dove
Zorro non potesse trovarla.
Attraverso la finestra guardò fuori nella piazza e vide Diego che si avvicina in lontananza. Galoppava
lentamente, come se molto stanco, e i suoi due servitori indigeni erano a breve distanza dietro di lui.
Qualcuno lo chiamò mentre si avvicinava alla casa, e agitò la mano verso di loro languidamente in risposta
al loro saluto. Diego scese da cavallo lentamente, mentre uno degli indigeni teneva la staffa e poi si fece
spazzolar via la polvere dai suoi vestiti e si avviò verso la porta.
Don Carlos e sua moglie erano in piedi per salutarlo, con volti raggianti. Erano stati di nuovo accettati nella
società la sera prima, proprio perché erano ospiti di don Diego.
– Mi dispiace che non fossi qui quando sei arrivati, – fece Diego. – ma ho fiducia che siate stati bene nella
mia povera casa.
– Più che comodi in questo palazzo stupendo! – esclamò Don Carlos.
– Allora siete stati fortunati, perché solo i santi sanno come sono stato abbastanza a disagio.
– Ma che dite, Don Diego? – chiese Dona Catalina.
– Fatto il mio lavoro alla hacienda, sono andato da Frate Felipe, per passar lì la notte in tranquillità. Ma
quando stavamo per andare a coricarci, ci fu un rumore tonante alla porta, e subito il sergente Gonzales e la
sua truppa di soldati entrarono. Sembra che erano state inseguendo il bandito chiamato Zorro, e che lo
abbiano perso nelle tenebre!
Nell'altra stanza, una delicata signorina ringraziò il cielo per questo.
– Questi sono tempi turbolenti, – continuò Diego, sospirando e asciugandosi il sudore dalla fronte. – Quei
militari rumorosi restarono con noi un'ora o anche più, e poi continuarono l'inseguimento. E per quel che mi
raccontarono, ho vissuto un incubo orribile. Così questa mattina sono stato costretto a ritornare a Reina de Los
Angeles.
– Qui ci fu un momento terribile. – fece Don Carlos. – Zorro era qui, caballero, in casa vostra, prima che
fosse inseguito dai soldati.
– Ma cosa mi state dicendo? – fece Diego mettendosi seduto dritto sulla sedia e tradento un improvviso
interesse.
– Senza dubbio è venuto a rubare, oppure a rapirti per chiedere un riscatto a tuo padre. – Dona Catalina
osservato. – Ma penso che volesse solo rubare, quando Don Carlos ed io eravamo in visita a degli amici e
Lolita rimase qui da sola. E… c’è una faccenda dolorosa di cui dobbiamo informarvi.
– Vi prego, parlate. – fece Diego.
– Mentre eravamo fuori, il capitano Ramon, è arrivato dal presidio, si è fatto strada in casa vostra e si è
comportato in maniera odiosa verso nostra figlia. Zorro entrò in quel momento e ha costretto il capitano a
chiederle scusa e poi lo ha buttato fuori di casa.
– Beh, questo è ciò che io chiamo un bravo bandito! – esclamò Diego. – La signorina ha sofferto di questa
esperienza?
– Direi di no. – disse Dona Catalina. – È del parere che il capitano Ramon avesse bevuto troppo vino. Ora
la chiamò.
Dona Catalina andò alla porta della camera e chiamò sua figlia. Lolita entrò nella stanza e saluto
cortesemente Don Diego come avrebbe fatto qualsiasi fanciulla di buona famiglia.
– Mi dispiace di aver saputo che siate stata insultata in casa mia. – disse Diego. – Prenderò a cuore questa
vicenda.
Dona Catalina fece un gesto a suo marito, e andarono in un angolo lontano per sedersi, perché i giovani
rimanessero da soli, cosa che sembrava piacere a Don Diego, ma non certo alla signorina.

Capitolo 19: il capitano Ramon si scusa

– Il capitano Ramon è una bestia! – disse la ragazza a voce non troppo alta.
– È un uomo privo di valori. – Diego concordato.
– Lui… lui, voleva baciarmi.
– E tu ti sei opposta, vero?
– Signore!
– Un attimo, non arrabbiarti. Certamente non lo hai permesso. Confido che lo hai preso a schiaffi.
– lo fatto. – disse Lolita. – E poi mi ha afferrato, dicendomi che non doveva comportarsi così la figlia di un
uomo che si trova in disgrazia presso il governatore.
– Che bruto infernale! – esclamò Diego.
– È tutto quello che hai da dire al riguardo, caballero?
– Non posso certo esprimere delle imprecazioni in vostra presenza.
– Tu non capisci, signore? Quell'uomo è entrato in casa tua e ha insultato la ragazza a cui hai chiesto di
essere tua moglie!
– Accidenti a quel mascalzone! Quando vedrò Sua Eccellenza, gli chiederò di rimuovere quell'ufficiale in
un posto sperduto.
– Oh! – gridò la ragazza. – Non avete più spirito in corpo tutti quanti? Farlo rimuovere? Se sei un uomo
corretto, Don Diego, dovresti andare al presidio, a render conto a questo capitano Ramon, dovresti passare la
tua spada attraverso il suo corpo per dare a tutti testimonianza che un uomo non può insultare una
signorina e sfuggire alle conseguenze.
– È un tale sforzo combattere – fece Diego. – Non parliamo di violenza. Andro al presidio e lo rimproverò.
– Lo rimprovera! – gridò la ragazza.
– Parliamo di qualcosa d'altro, signorina. Parliamo in merito all’argomento dell'altro giorno. Mio padre
arriverà tra non molto e vorrei sapere se posso dirgli che sto per prendere moglie. Non possiamo rprendere
quella questione? Se avete deciso il giorno?
– Non ho detto che ti avrei sposato! – rispose dura la ragazza.
– Ma perché sei così restia? – disse Diego. – Hai visto la mia casa? Sono sicuro che ti piace. Potrai inoltre
trasformala secondo i tuoi gusti, ma ti prego senza esagerar troppo, amo poco la confusione. Avrai anche
una vettura nuova e tutto ciò che potrai desiderare.
– E questo sarebbe la tua maniera per corteggiare? – Fece Lolita, guardandolo con la coda degli occhi.
– Per me è un fastidio il corteggiamento – disse Diego. – Dovrei suonare una chitarra, e fare bei discorsi? Ti
prego! Non puoi darmi la tua risposta senza che tutte queste sciocchezze?
Per Lolita paragonare l'uomo che aveva accanto a lei con Zorro, era improponibile. Voleva farla finita con
questa farsa, di avere don Diego fuori dei suoi pensieri, e pensar a nessun’altro se non a Zorro.
– Devo parlare con franchezza a voi, caballero. – disse Lolita. – Ho visto nel mio cuore, e non vi è amore
per te. Mi dispiace, perché so che può significare il nostro matrimonio per i miei genitori, e per me nella
questione finanziaria. Ma io non ti posso sposare, Diego, ed è inutile che insisti.
– Santi benedetti! Avevo pensato che era tutto risolto. – rispose Diego. – Avete sentito, Don Carlos? Tua
figlia dice che non può sposarsi con me, che non sono nel suo cuore.
– Lolita, tornate alla vostra camera! – esclamò Dona Catalina.
La ragazza ubbidì ben volentieri. Don Carlos e sua moglie si affrettarono attraverso la stanza per sedersi
accanto a Diego.
– Ragazzo mio, temo che tu non capisci le donne. – disse Don Carlos. – Non devi prendere ciò che dice una
donna per la sua ultima risposta. È sempre possibile che in seguito mutino idea. Una donna ama mantenere
un uomo in tensione, facendo vibrare il suo cuore a ogni mutamento d’animo. Lasciala riflettere. Alla fine, ne
sono certo, troverai la strada del suo cuore.
– È di là delle mie forze! – piagnucolo Diego. – Che cosa dovrei fare ora? Le ho detto che le avrebbe dato
tutto ciò che il suo cuore desidera.
– Credo che il suo cuore desideri solo amore. – disse Dona Catalina con profonda saggezza di ogni donna.
– Ma certamente io sono pieno d'amore per lei. Non le ho donato il mio cuore? potrebbe un Vega mancare
alla parola data in merito una cosa così importante?
– Dovresti darti da fare con un po’ di corteggiamento. – esortò Don Carlos.
– Ma è un fastidio.
– Qualche parola dolce, una pressione della mano di tanto in tanto, un sospiro o due, uno sguardo
languendo dagli occhi…
– Sono solo sciocchezze!
– Ma è quello che una fanciulla si aspetta. Non parlate di matrimonio per un certo tempo. Lasciate crescere
l'idea su di lei.
– Ma mio padre potrebbe in qualsiasi momento venire al pueblo per chiedermi quando sto per prendere
moglie. Mi ha ordinato di farlo.
– Sono più che sicuro che tuo padre capirà. – fece Don Carlos. – Digli che io e mia moglie siamo dalla tua
parte e che si stanno godendo il piacere di capitolare la ragazza.
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– Credo che dovremmo tornare alla fattoria domani. – suggerì Dona Catalina. – Lolita ha visto questa
splendida casa, e lei lo confronterà con la nostra. Si renderà conto cosa vuol dire sposarti. E c'è un antico
detto che quando un uomo e una ragazza sono distanziati corri più affetto di quel che si pensi.
– Non vorrei che ve andaste così presto.
– Penso che sia meglio date le circostanze. E tu Diego tornerai da noi, diciamo fra tre giorni, e non dubito
che troverai nostra figlia più accondiscende.
– Presumo che abbiate ragione. – disse Diego. – Ma dovete rimanere almeno fino a domani. E ora penso
non sarà male che vada al presidio e vedere questo capitano Ramon. Devo chiedere spiegazioni della sua
condotta con la signorina. Lei pensa che sia la cosa che dovrei fare.
Don Carlos sapeva che poteva una cosa molto pericolosa per un uomo che non ha mai fatto pratica con le
armi, ma si astenne dal dirlo. Non poteva. Anche se un cavaliere va incontro alla morte, stava facendo la
cosa giusta, e se sarebbe morto, sarebbe morto come un vero caballero.
Così Don Diego uscì casa e si avvicinò lentamente al presidio pensato di andare a combattere contro un
uomo.
Ma ebbe comunque un’accoglienza fredda, quando don Diego entrò nell'ufficio del comandante.
Diego si inchinò cortesemente, e Ramon rispose a sua volta. Il capitano si meravigliò che don Diego non
aveva una lama al suo fianco.
– Sono stato costretto a venire nel presidio per parlare con voi di una questione delicata – fece Diego. –
Sono stato informato che avete visitato la mia casa durante la mia assenza, e insultato una giovane donna
che è mia ospite.
– Davvero? – disse il capitano.
– Avevate dato fondo forse alle vostre bottiglie di vino?
– Senor?
– Potrebbe scusare in parte il vostro comportamento. E poi naturalmente eravate ferito, e probabilmente
con un po’ di febbre. È così, capitano?
– Senza dubbio. – disse Ramon.
– Essere febbricitante è una cosa terribile, ne ho avuto un attaco una volta. Ma non avreste dovuto
importunare la signorina. Non solo, ma l’avete anche offesa. Ho chiesto alla signorina di diventare mia
moglie. Anche se la questione non è ancora risolta, ho anch’io il diritto di offendermi.
– Sono entrato nella vostra casa in cerca di notizie di Zorro. – mentì il capitano.
– E l’avete poi trovato? – chiese Diego. Davanti a lui, il comandante arrossì.
– L'uomo era lì e lui mi ha aggredito. – replicò poi Ramon. – Sono stato ferito, ovviamente, e portava delle
armi, in modo da potermi imporre la sua volontà.
– È cosa molto strana… – osservò Diego. – …che nessuno di voi soldati sia in grado di contrastare la
maldición de Capistrano, eppure dovreste essere a parità di condizioni. Infatti vi colpisce con la sua spada
sempre quando siete impotenti, o perché vi minaccia con una pistola, o avendo dietro di sé una ventina di
uomini. Vede ier sera ho incontrato il sergente Gonzales e i suoi uomini alla hacienda di Frate Felipe. Il nostro
gran sergente mi ha fatto un racconto straziante su come quel bandito e la sua ventina di uomini avrebbero
giocato i vostri soldati.
– Noi lo prenderemo comunque. – assicurò il capitano. – E vorrei inoltre farvi notare dei fatti ben
particolari, caballero. Don Carlos Pulido, come sapete, è ormai in disgrazia con l’autorità. E Zorro era alla
hacienda Pulido, come ricorderà, e mi attaccò lì, sbucando a tradimento da un armadio.
– Ah! Che cosa vorreste dire?
– Ancora una volta, ieri notte, era in casa vostra mentre eravate fuori e i Pulido erano vostri ospiti. Mi viene
da pensare che Don Carlos sia immischiato nel lavoro di Zorro. Sono quasi convinto che Don Carlos è un
traditore e sta aiutando quella canaglia. Fareste meglio a pensarci due volte, o una decina di volte, prima di
contrare matrimonio con la figlia di un tale personaggio.
– Benemeriti santi, che discorso! – esclamò Diego quasi in ammirazione. – Sinceramente, mi ha dato alla
testa. Hai fatto il mio anello povera testa. Credete davvero tutto questo?
– Ma certamente, caballero.
– Bè, i Pulido stanno per tornare alla loro casa, credo domani. Ma ho chiesto loro di essere miei ospiti in
modo che siano lontani dalle malefatte di Zorro.
– E Zorro li seguirà al pueblo. Vedete?
– Può essere possibile? – Diego rimase a bocca aperta. – Devo esaminare la questione. Oh, questi tempi
turbolenti! Ma loro ritorneranno alle loro casa domani. Naturalmente non vorrei che sua eccellenza pensase
che ho ospitato un traditore.
Diego si alzò in piedi, si inchinò cortesemente, e poi si avviò lentamente verso la porta. E sembrò ricordare
qualcosa improvvisamente, infatti si girò verso il capitano.
– Ah, Quasi dimenticavo il motivo della mia visita: l’insulto! – esclamò. – Che cosa hai da dire, caro il mio
capitano, sugli eventi di ieri sera?
– Naturalmente, cavaliere, mi scuso con lei molto umilmente. – rispose il capitano Ramon.
– Suppongo che dovrei accettare le tue scuse. Ma per favore che una cosa del genere non accada di nuovo.
Hai spaventato a morte il mio povero cameriere, un domestico eccellente.
Poi Don Diego Vega si inchinò di nuovo e lasciò il presidio, e il capitano Ramon rise a lungo e forte, tanto
da far credere agli uomini ammalati nell’infermeria che il loro comandante avesse perso il senno.
– Che razza di uomo! – esclamò il capitano. – Credo però, d’averlo allontanato da quella stupida della
Pulido. Ed ero io stesso uno stupido a suggerire al governatore che potrebbe essere capace di tradimento.
Devo rettificare che la mia lettera di iersera in qualche modo. Quella sottospecie di uomo non ha spirito
sufficiente per essere un traditore!

Capitolo 20: Don Diego mostra interesse

La temuta pioggia non venne quel giorno né la notte stessa, e la mattina seguente il sole brillava nel cielo
azzurro cielo e nell’aria vi era profumo dei fiori.
Subito dopo il pasto del mattino, la carrozzina dei Pulido venne portata dai domestici di don Diego nella
parte anteriore della casa, e don Carlos e la moglie e la figlia si preparò a partire per ritornare alla loro
hacienda.
– Mi sconforta… – disse Diego alla porta. – …che non ci possa essere alcuna corrispondenza tra me e la
signorina. Cosa dirò a mio padre?
– Non perdere la speranza, Diego. – lo consigliò Don Carlos. – Forse quando saremo di nuovo a casa, e
Lolita confronterà la nostra umile dimora con la magnificenza della vostra casa, cambierà idea. Una donna
cambia idea, cavaliere, come spesso cambia pettinatura ai capelli.
– Avevo pensato che tutto si sarebbe stato organizzato in poco tempo. – disse Diego. – Pensate si sia
ancora speranza?
– Confido di sì. – fece Don Carlos, ma dentro di sé ne dubitava, ricordando lo sguardo che aveva visto in
faccia a sua figlia. Tuttavia, fargli un discorsetto serio una volta a casa, per farla decidersi al matrimonio.
Così dopo i saluti, e che la carrozzina era partita, Diego tornò nella sua casa a testa in giù, come chi ha
sempre quando ha dei pensieri.
Sentì il bisogno di aver compagnia per il momento, e uscì di casa per attraversare la piazza ed entrare nella
taverna. Il grasso posadero si precipitò a salutarlo, lo condusse ad un tavolo vicino ad una finestra, e andò
prendere del vino, senza che Diego gliel’avesse ordinato.
Diego passava anche un'ora intera guardando attraverso la finestra della piazza, osservando gli uomini e le
donne che venivano a andavano, e i nativi che lavorarono, e ogni tanto guardando il sentiero che correva
verso la strada di San Gabriel.
Da quel percorso, vide arrivare due uomini a cavallo, e tra i loro cavalli un terzo uomo a piedi, e Diego
poté vedere che era legato alle selle dei cavalieri.
– In nome dei santi, che cosa succede? – esclamò, alzandosi dalla panchina e andando vicino alla finestra.
– Ha! – disse l'oste al suo fianco. – Quello che sta arrivando sarà il prigioniero.
– Prigioniero? – fece don Diego, guardando il posadero con una domanda nel suo sguardo.
– Un nativo ci ha dato la notizia non molto tempo fa, caballero.
– Di che notizia parli, oste?
– Quell'uomo dovrà comparire immediatamente davanti al magistrado per essere giudicato. Dicono che
ha truffato un commerciante di pelli, e dovrà essere punito. Voleva essere processato a San Gabriel, ma non
gli è stato permesso, dal momento che laggiù tutti sono in favore delle missioni e dei frati.
– Chi è l'uomo? – chiese Diego.
– È chiamato Frate Felipe, caballero.
– Che cosa? Ma frate Felipe è un uomo vecchio, e un mio buon amico. Ho passato l'ultima notte con lui
prima di ritornar qui al pueblo.
– Senza dubbio si è sempre preso gioco di voi, cavaliere, come ha fatto con tanti altri.
Ora Diego mostrò un certo leggero interesse. Uscì in fretta dalla taverna ed entrò in un in un piccolo
edificio mattoni sul lato opposto della piazza, dove era situato l'ufficio del magistrato. I cavalieri erano
appena arrivati con il loro prigioniero. Erano due soldati che erano di stanza a San Gabriel, e il frate era stato
pure costretto a dare loro vitto e alloggio in nome del governatore.
Era proprio frate Felipe, che si era fatto l’intero percorso legato alle selle delle sue guardie, che
sicuramente avevano mandato ogni tanto al galoppo i cavalli per sfiancare la sua resistenza.
Il saio di frate Felipe era ormai uno straccio, ed era coperto di polvere e sudore. Coloro che gli si
affollavano intorno lo fece bersaglio di fischi e lazzi grossolani, ma il padre teneva la testa con orgoglio e
facendo finta di non vederli.
I soldati dopo aver smontato lo costrinsero ad entrare nell’ufficio del magistrato facendosi strada tra i
fannulloni e nativi affollati davanti la porta. Diego esitò un momento, e poi si aprì il passo verso la porta. –
Fate largo! – gridò, e gli indigeni lo fecero passare.
Entrò sempre però pressato dalla folla. Il Magistrado lo vide e gli indicò con un cenno un sedile anteriore.
Ma Diego non voleva sedersi per ora.
– Si può sapere cosa succede qui? – chiese. – Costui è frate Felipe, un uomo pio e mio buon amico.
– È un truffatore. – replicò uno dei soldati.
– Se lo fosse davvero, allora non potremo dare la nostra fiducia a nessuno. – osservò Diego.
– Tutto questo è abbastanza irregolare, caballero. – insisté il magistrado, facendosi avanti. – Le accuse sono
state precise, e l'uomo è qui per essere giudicato. – Poi Diego si sedette, e la corte fu convocata. L'uomo che
aveva fatto la denuncia si fece avanti e disse che era un commerciante con un magazzino a San Gabriel.
– Sono andato alla hacienda gestita da questo frate, ed ho acquistato dieci pelli. – testimoniò. – Dopo avergli
dato le monete che mi aveva chiesto in pagamento sono tornato al mio magazzino e ho scoperto che le pelli
non erano per niente buone. Erano tutte rovinate. Sono ritornato alla fattoria, chiedendo al frate di
restituirmi il denaro, cosa che si è rifiutato di fare.
– Le pelli erano buone. – fece frate Felipe – Gli ho detto che avrebbe riavuto i soldi se mi avesse riportato le
pelli.
– Non potevo farlo! – dichiarò il mercante. – Il mio assistente qui presente, può testimoniare tutto.
Puzzavano talmente che le ho dovuto subito bruciare.
L'assistente infatti confermò tutto.
– Hai qualcosa da dire in tua difesa, frate? – chiese il magistrato.
– Bà! So già che non mi servirà a nulla – dichiaro frate Felipe. – Tanto mi volete colpevole e mi
condannerete. Sarebbe stato diverso solo se fossi stato seguace di un governatore licenzioso, invece di essere
un francescano.
– Tu dici parole piene di tradimento? – piagnucolò il magistrado.
– Io dico parole piene di verità.
Il Magistrado increspò le labbra e aggrottò la fronte. – Abbiamo ormai verificato tutto su questa truffa. –
disse infine. – Un uomo che indossa una veste sacra non può rubare impunemente. In questo caso, ritengo
doveroso dare un esempio, che il frate veda che non può approfittare della sua vocazione. Frate dovrai
rimborsare l'uomo del prezzo delle pelli rovinate. E per la truffa riceverai sulla schiena nuda dieci frustate. E
per le tue parole di tradimento, riceverai cinque frustate aggiuntive. La seduta è tolta.

Capitolo 21: Le frustate

I nativi fischiarono e applaudirono. Il volto di Diego divenne bianco, e per un istante i suoi occhi
incontrarono quelli di frate Felipe, e vi lesse lo sconforto.
La sentenza doveva essere eseguita, e i due soldati portarono frate Felipe nel luogo dell’esecuzione al
centro della piazza. Diego vide che il magistrato rideva di gusto e si rese conto che il processo era stato una
farsa.
– Questi tempi turbolenti! – disse a un signore di sua conoscenza che gli stava vicino.
Strapparono la veste già a brandelli sulla schiena di frate Felipe e iniziarono a frustarlo al palo. Ma il frate
era stato un uomo di grande forza ai sui tempi, e nonostante la sua età avanzata, e in un attimo capì che non
doveva soffrire quella ignominia.
Improvvisamente si girò sui soldati li sbatté da una parte e si chinò ad afferrare la frusta da terra.
– Tu hai rimosso il mio abito! – gridò. – Sono un uomo ora, non un frate! State giù cani!
Cominciava a picchiare con la frusta. Sfregiò in faccia uno dei militari. Colpì due nativi che saltarono
contro di lui. Ma poi la folla fu su di lui, picchiandolo forte, con calci e pugni.
Diego si mosse veloce. Non poteva vedere il suo amico trattato in questo modo nonostante la sua indole
apparentemente docile. Si precipitò in mezzo alla folla, costringendo i nativi a farlo passare. Ma sentì una
mano afferrargli il braccio, si voltò e vide gli occhi del magistrato su di lui.
– Queste non sono azioni degne di un caballero del vostro rango. – fece il giudice a bassa voce. – L'uomo è
ormai stato condannato. Chiunque alzi la mano per dargli aiuto, alzerà la mano contro sua eccellenza. Non
dimenticatelo, Don Diego Vega?
Diego rifletté. E si rese conto anche che non avrebbe potuto fare nulla di buono al suo amico, agendo così.
Fece un cenno con la testa al magistrado e si voltò.
Ma non andò lontano. I soldati avevano soprafatto frate Felipe ormai e lo avevano preparato per scagliato
la fustigazione. Un ulteriore insulto,infatti la fustigazione era solo per i nativi insubordinati. La sferza oscillò
in aria, e poi Diego vide il sangue schizzare dalla schiena nuda di frate Felipe.
Voltò la faccia allora, perché non poteva sopportare di guardar oltre. Ma poteva contare il canto che faceva
la frusta attraverso l'aria, e sapeva anche che frate Felipe era un vecchio orgoglioso e non avrebbe gettato
nessun lamento a costo di morire.
Sentì i nativi ridere e tornò indietro per scoprire che la fustigazione era ormai alla fine.
– Il denaro deve essere rimborsato entro due giorni, oppure avrete quindici frustate in più. – fece il
magistrato.
Frate Felipe fu sciolto e lasciato cadere a terra, ai piedi del palo. La folla ha cominciato a sciogliersi. Due
frati che aveva arrivati da San Gabriel aiutarono il fratello a rimettersi in piedi e mentre lo portavano via, i
nativi gli fischiavano dietro. Diego tornò a casa sua.
– Mandami Bernardo. – ordinò al cameriere.
Il maggiordomo si morse le labbra per evitare di sorridere mentre andava a fare come gli era stato
ordinato. Bernardo era un nativo sordo-muto al quale Diego era molto legato, che si presento subito nel
grande salotto e si prostrò davanti a lui.
– Bernardo, sei un gioiello. – disse Diego. – Non puoi né parlare né sentire, non puoi scrivere né leggere. Tu
sei il solo uomo al mondo a cui posso parlare senza dover avere risposta.
Bernardo chinò la testa come se avesse capito. Faceva sempre così quando Diego muoveva le labbra.
– Questi sono tempi turbolenti, Bernardo. – continuò Diego. – Un uomo non può avere un luogo dove
possa meditare. Un luogo dove possa calmare i suoi nervi a pezzi. Anche l’altra notte da frate Felipe ci fu un
gran sergente che bussò alla porta. E poi la fustigazione del vecchio frate Felipe, Bernardo, ci lascia l’augurio
che Zorro, vedendo chi compia ingiustizia, agisca di conseguenza.
Bernardo chinò di nuovo la testa.
– Per quanto mi riguarda, mi trovo in una bella salamoia. – continuò Diego. – Mio padre mi ha ordinato di
prender moglie, e la signorina che desidero mi ha respinto. E mio padre mi tirerà gli orecchi.
– Bernardo, è tempo per me di lasciare questo pueblo per alcuni giorni. Andrò alla fattoria di mio padre, a
dirgli che non ho nessuna donna da sposare ancora, e chiedere la sua indulgenza. E lì, sulle larghe colline
dietro casa, sperare di trovare qualche posto dove possa riposare e consultare i miei poeti preferiti per un
giorno intero senza che briganti, sergenti e magistrati ingiusti possano infastidirmi. E tu, mio caro Bernardo,
mi accompagnerai, naturalmente. Posso parlarti senza far uscire le parole dalla mia bocca.
Bernardo chinò di nuovo la testa. Ha intuito ciò che stava per venire. Era abitudine di Diego parlargli così a
lungo, solo quando era in programma un viaggio. Cosa Che a Bernardo piaceva, perché adorava Diego, e
perché gli piaceva visitare la fattoria del padre di Diego, dove è sempre stato trattato con gentilezza.
Il cameriere aveva ascoltato tutto nella stanza accanto, e aveva dato gli ordini perché fosse preparato i
cavalli e qualcosa che i due avrebbero portato con sé.
In breve tempo Diego partì a cavallo e dietro di lui, Bernardo lo seguiva con un mulo. Si affrettarono
lungo la strada maestra e dopo una svolta, videro i due francescani su un carrettino che accompagnavano
frate Felipe, che cercava di trattenere i gemiti di dolore. Diego smontò accanto al carrettino che si era
fermato. Si avvicinò e strinse le mani di frate Felipe mani nelle sue.
– Diego!
– Mio povero amico. – rispose il giovane.
– Oggi Diego, hai assistito ad un altro esempio di ingiustizia. – fece frate Felipe. – Per venti lunghi anni
abbiamo visto le nostre missioni sottoposte a questi sorprusi, cercando comunque di prosperare. Quando il
santo Junipero Serra arrivò in questa terra selvaggia, di cui tutti avevano paura, costruì la prima missione a
San Diego de Alcala. la prima missione di quella che sarebbe diventata una catena, dando così un impero al
mondo. Il nostro unico errore è stato quello di prosperare. Abbiamo fatto il lavoro, e gli altri raccolgono i
vantaggi.
Diego annuì, e l'altro continuò:
– Hanno iniziato a prendere la terra delle missioni, a noi che avevamo le terre coltivate, lì dove era un
deserto e che i miei fratelli hanno trasformato in giardini e frutteti. Ci hanno derubati dei beni materiali. E
non contenti ora ci stanno perseguitando.
Ma presto tutto finirà, Diego. Non è molto lontano il tempo in cui i tetti della missione crolleranno e le loro
pareti si sbricioleranno. Un giorno la gente guarderà quelle rovine e si chiederanno come una cosa del
genere sia potuta accadere. Ma noi possiamo fare nulla tranne che essere presenti. È uno dei nostri principi.
E per un attimo l’ho dimenticato in piazza a Reina de Los Angeles, quando ho preso la frusta e ho colpito un
uomo. È il nostro fato Diego, che ci impone di essere presenti.
– A volte… – rifletté Diego. – …io vorrei essere un uomo d'azione.
– Tu doni tanta simpatia, figliolo, che vale il suo peso in pietre preziose. E ricordati che un'azione espressa
in maniera sbagliata è molto peggio che non fare nessuna azione. Dove andate?
– Alla fattoria di mio padre, padre. Devo chiedere il suo perdono e la sua indulgenza. Mi ha ordinato di
prender moglie, e lo trovo un compito difficile.
– È strano, figliolo. Questo dovrebbe essere un compito facile per un Vega. Ogni fanciulla sarebbe
orgogliosa di assumere questo nome.
– Avevo sperato di poter sposare la signorina Lolita Pulido. Ma mi è andata male.
– Una fanciulla degna! Suo padre, inoltre, è stata sottoposto ad una ingiusta oppressione. Se tu unisci la tua
famiglia alla sua, nessuno avrebbe osato alzare la mano contro di lui.
– Questo è vero, padre. Ma sembra che io non abbia abbastanza spirito.
– Credo sia solo difficile da accontentare, Diego. O forse gioca a essere una civetta con la speranza di
aumentare il tuo ardore. Le ragazze amano stuzzicare gli uonimi, figliolo. È loro privilegio.
– Gli ho mostrato la mia casa nel pueblo con la mia grande ricchezza e avrei acquistato una vettura nuova
per lei.
– Ragazzo mio, hai provato a mostrare il tuo cuore, hai cercato di farle capire il tuo amore, per poi poter
essere un marito perfetto?
Diego lo guardò un attimo senza capire, poi sbattè rapidamente i suoi occhi, e si grattò il mento, come
faceva quando era perplesso.
– Che idea perfettamente stupida! – esclamò dopo un po’.
– Provaci figliolo. Può avere un ottimo effetto.

Capitolo 22: Una veloce punizione

Frate Felipe alzò la mano benedicente, su Diego e Bernardo e poi lui e i suoi confratelli ripresero la strada, e
così fecero i due cavalieri.
Nel pueblo, intanto, il commerciante era al centro dell’attenzione nella taverna. Il grasso posadero gli stava
servendo del vino, che sarebbe stato pagato con una parte del denaro che aveva truffato a frate Felipe. Con
lui c’era anche il magistrato.
Ci fu una risata chiassosa quando raccontò come schizzò il sangue di frate Felipe.
– Non lanciò un solo lamento! – gridò il commerciante di pelli. – È un vecchio coyote coraggioso! Pensate,
il mese scorso ne abbiamo frustato un’altro di frate a San Fernando, e lui urlava chiedendò pietà, ma qualcuno
ha detto che era malato e debole, e forse era vero. Ah! Questi frati. Sono davvero bravi nel lanciare i loro
ululati. Più vino, padrone di casa! È frate Felipe che sta pagando!
Ci fu uno scoppio di risate, e l’assistente del commerciante, che aveva dato testimonianza spergiura, lanciò
una moneta per pagare il vino a tutti gli avventori, con grande soddisfazione del posadero.
– Sei forse un frate, con tutte quelle monete indosso? – gli disse il posadero.
Quelli nella taverna ulularono di nuovo con allegria, e il posadero, che aveva preso più denaro del dovuto,
sorrise mentre tornò al suo lavoro. Era una buona giornata per il posadero.
– Aspetta! Chi era quel cavaliere che ha mostrato misericordia verso il frate? – Chiese il commerciante.
– Era don Diego Vega. – rispose il padrone di casa.
– Ba! Si è voluto mettere nei guai.
– Non don Diego. – fece il posadero. – Hai sentito parlare della grande famiglia Vega, non è vero, signore?
Sua Eccellenza stessa gode del loro favore. I Vega sono talmente potenti che ad una loro sola parola, ci
sarebbe una sollevazione politica da queste parti.
– Allora è un uomo pericoloso? – Chiese il commerciante.
Un fiume di risate gli rispose.
– Pericoloso? Don Diego Vega? – gridò il posadero, mentre le lacrime scorrevano sulle sue guance grasse. –
Ah! Tu mi ammazzerai! Don Diego non fa altro che sedersi al sole e sognare. Porta quasi sempre una lama,
ma solo per una questione di prestigio. Egli geme se deve fare pochi chilometri a cavallo. Don Diego è tanto
pericoloso quanto una lucertola che prende il sole.
Ma comunque è un grande signore! – aggiunse poi in fretta, non sia mai che sue parole fossero arrivate alle
orecchie di don Diego e perdere poi un così buon cliente.
Era quasi buio quando il commerciante lasciò la taverna con il suo assistente, ondeggiando nel camminare,
per il troppo vino bevuto.
Misero piede nella loro carrozzino, sventolato un amichevole addio al gruppo di persone che ancora
stazionavano davanti alla porta della taverna, e presero lentamente il sentiero verso San Gabriel.
Iniziarono il loro viaggio senza fretta, continuando a bere da un boccale di vino che s’erano portati dietro.
Passarono la cresta della collina, e il pueblo di Reina de Los Angeles scomparve alla loro vista, e tutto ciò che
potevano vedere era solo la strada tortuosa davanti a loro che si snodava come un grande serpente
polveroso tra le colline brune, e alcuni edifici in lontananza, dove alcuni nobili aveva la sua fattoria.
Fecero una svolta e si trovarono davanti un cavaliere, seduto comodamente in sella, con il suo cavallo in
piedi dall'altra parte della strada in modo tale che non potevano passare.
– Togli da lì il tuo cavallo oppure passeremo sopra la tua bestia! – fece il commerciante.
L'assistente diede una esclamazione di paura, guardando più da vicino il cavaliere. La sua bocca si
spalancò come i suoi occhi.
– Zorro! – esclamò. – Che i santi ci proteggano! La maledizione di Capistrano, qui vicino a San Gabriel. La
prego signor Zorro, io sono solo un povero uomo, e senza soldi. Solo ieri, una frate mi ha truffato, e sono
stato dal magistrato de Los Angeles in cerca di giustizia.
– Ma davvero? – chiese Zorro.
– Il magistrato ha ordinato al frate di rimborsarmi, ma non so quando riavrò i soldi.
– Scendete dalla carrozzina! – ordinò Zorro.
– Ma non ho soldi. – protestò il commerciante.
– Fuori dalla carrozzina, se non volete finire sotto terra! Non lo ripeterò più!
In quel momento il commerciante vide spianata davanti a lui la pistola e strillando dalla paura, scese al più
presto possibile seguito dal suo assistente, fermandosi sulla strada polverosa e implorando pietà.
– Non ho soldi con me, gentile bandito, ma te li farò avere. – piagnucolò il commerciante. – Li darò a chi
vuoi.
– Silenzio, bestia! – fece Zorro. – Non voglio i tuoi sporchi soldi, spergiuro. So tutto del processo farsa di
Reina de Los Angeles. Ho avuto modo di scoprire tutto rapidamente, bugiardo e ladro! Sei tu il truffatore.
Quel povero vecchio ha avuto ben quindici frustate sulla schiena nuda per le menzogne che avete detto. E tu
e il magistrato vi dividerete pure i soldi che gli avete truffato.
– Giuro per i santi…
– Non farlo! Hai già fatto troppi giuramenti falsi oggi. Fate un passo avanti.
Il commerciante tremava come se avesse una malattia, e anche l’assistente non stava meglio vista la faccia
bianca.
– Avanti! – comandò di nuovo Zorro.
Improvvisamente il commerciante incominciò a chiedere pietà, perché Zorro aveva preso nella sua mano
destra una frusta da sotto il suo lungo mantello, mentre continuava teneva a tenere la pistola nella sinistra.
– Voltate le spalle!
– Misericordia, buon bandito! Non merito d’essere picchiato e derubato. Non si può colpire un
commerciante onesto a causa di una frate ladro?
Il primo colpo colpì con enorme violenza, e il commerciante urlò di dolore. La sua osservazione di poco
prima aveva fatto colpire ancora più forte. Poi partì un secondo colpo e il commerciante di pelli finì in
ginocchio sulla strada polverosa. E continuò, continuò fino a ridurgli gli abiti a degli stracci e la schiena a
una massa sanguinolenta.
Poi Zorro rinfoderò la sua pistola nella cintura, si fece avanti e afferrò i capelli dell’assistente con la mano
sinistra, in maniera da tenerlo su, e con la destra fece piovere dei colpi pesanti con la sua frusta sulla schiena
del giovane, fino a far cadere a pezzi il suo cappotto di tela dura e la camicia che finirono fradici di sangue.
Zorro si fermò e andò davanti a loro.
– Questo perché con i tuoi spergiuri hai fatto punire un frate onesto. – disse al commerciante. Poi rivolse la
sua attenzione all'assistente. – Senza dubbio, giovanotto, tu hai eseguito gli ordini del tuo padrone quando
hai mentito davanti al magistrato. Ma devi imparare ad essere onesto e leale, in ogni circostanza.
– Misericordia, signore! – urlava l'assistente.
– Non eri forse tu che ridevi quando il frate veniva frustato? Sarete pieni di vino, ma dovete capire che per
mano mia avete ricevuto il castigo divino che l'uomo riceve sempre per ciò che fa d’ingiusto!
Zorro afferrò il giovane per la nuca, girò intorno a lui, e gli mollò uno schiaffone sul cranio, pesante come
un pugno. Il ragazzo urlava e piagnucolava. Cinque altri schiaffoni gli mollò, poi si fermò per non renderlo
incosciente. E infine lasciò il ragazzo.
– Spero abbiate imparato la lezione – fece. – Rimontate nel carrozzino e andatevene. E quando parlerete di
questo evento, dite la verità. Che io non a sapere che si dica in giro che ero circondato da quindici o venti
uomini, mentre lavoravo con la frusta… – aggiunse poi con occhi carichi d’odio – …altrimenti vi ritroverò e
vi punirò di nuovo!
L'apprendista saltò sul carrozzino, e il suo padrone lo seguì, e scomparvero in una nuvola di polvere in
direzione di San Gabriel. Zorro si tolse il cappello e poi la maschera e si asciugò il sudore dalla fronte,
tremando ancora per il furore. Poi rimontò a cavallo fissando la frusta al pomo della sella e spinse il suo
cavallo al galoppo.

Capitolo 23: Altre Punizioni

Zorro salì rapidamente la cresta della collina sotto la quale vi era il pueblo, e poi fermò il suo cavallo e
guardò giù verso il paese:
Era quasi buio, ma ci vedeva abbastanza bene per il suo scopo. Delle candele erano state accese nella
taverna, e dall'edificio venne il suono dei canti rauchi e degli scherzi fatti ad alta voce. Altre candele
ardevano al presidio, e da alcune case veniva l'odore di cottura degli alimenti.
Zorro cavalcò giù dalla collina. Quando arrivò nella piazza fermò il cavallo e si precipitò fino alla porta
della taverna, prima che fosse notato da una mezza dozzina di uomini riuniti lì davanti, quasi tutti sotto
l'effetto del vino.
Posadero! – gridò.
Nessuno degli uomini davanti alla porta gli fece una particolare attenzione in un primo momento,
pensando che era solo qualche cavaliere che cercava ristoro dopo un lungo viaggio. Il posadero uscì in fretta,
fregandosi le grassi mani con soddisfazione, e si accostò al cavallo. E poi si accorse che aveva davanti a lui
un uomo mascherato, con in mano una pistola che lo minacciava.
– Il magistrato è dentro? – chiese Zorro.
– Si, signore!
– Resta dove sei e chiamalo. Digli che qui c'è un caballero che vuole parlare con lui in merito a una
particolare questione.
Il posadero terrorizzato urlava verso l’interno della taverna per chiamare il magistrato. Il giudice venne
fuori barcollando, gridando a gran voce di sapere voler sapere chi fosse che lo aveva distolto dal suo
piacevole intrattenimento.
Barcollò fino al cavallo, e mise una mano su di lui, alzò lo sguardo e trovò due occhi scintillanti che lo
fissarono con odio, attraverso una maschera. Aprì la bocca per gridare, ma Zorro lo avvertì in tempo.
– Non è un suono o sei morto! – fece. – Sono venuto a punirti. Oggi hai dato una ingiusta sentenza sopra
un uomo pio che era innocente. Io sò della sua innocenza, e il suo processo non era altro che una farsa. Per la
vostra ingiustizia riceverai un certo numero di frustate, come pagamento.
– Tu oserai…
– Silenzio! – Comandò Zorro. – Tu, sulla porta vieni qui.
Chiamò uno dei peones che erano sulla porta e questi accorse pensando che fosse un cavaliere che voleva
un servizio e che lo avrebbe pagato in oro. Nel crepuscolo non vide la maschera e la pistola fino a quando
non si fermò accanto al cavallo, ma ormai era troppo tardi per ritirarsi.
– Stiamo per punire questa ingiusto magistrato. – Zorro disse loro. – Cinque di voi lo prendano e lo
portino al palo in mezzo alla piazza, e legatelo lì. Il primo uomo che non ubbidirà riceverà un proiettile di
piombo della mia pistola, e poi la mia lama si occuperà della altri. E che sia fatto tutto in fretta.
La paura stava facendosi strada nel magistrato.
– Ridete ad alta voce, che non si sentano le sue grida – ordinò Zorro, e gli uomini risero più forte che
potevano, anche se le loro risate avevano una qualità particolare: la paura.
Presero il magistrato per le braccia e lo portarono al palo legandolo alle cinghie.
– Tu! – fece Zorro ad uno di essi. – Prendi questa frusta. Ognuno di voi frusterà quest'uomo cinque volte. Io
starò a guardare, e se verò cadere una sola volta la frusta leggermente, vi punirò pesantemente. Iniziate.
Buttò la frusta al primo uomo, e la punizione iniziò. Le parole di Zorro furono di sprone per i peones, che
colpirono con grande forza il magistrato.
– Ora anche tu, posadero! – fece Zorro all’oste.
– Ma così mi mettete nei guai… – piagnucolò costui.
– Preferisci il carcere o una bara ?
Era evidente che il posadero preferiva il carcere. Prese in mano la frusta, e superò i peones nel colpire la
schiena del magistrato.
Il magistrado ormai pendeva semisvenuto pesantemente dal palo. L’incoscienza era subentrata in lui dopo
l’ultimo colpo e aveva agito più della paura.
– Staccare quell'uomo. – ordinò Zorro.
Due uomini si fecero avanti per eseguire i suoi ordini.
– Portatelo a casa sua. – disse loro il giustiziere mascherato. – E dite alla gente del pueblo che questo è il
modo in cui Zorro punisce coloro che opprimono i poveri e che, con verdetti ingiusti, rubano in nome della
legge.
Il magistrato, gemendo, riprese coscienza grazie al dolore, mentre veniva portato via. Zorro si rivolse
ancora al posadero.
– Torna alla taverna. – disse. – E vammi a prendere un bicchiere di vino, poi resterai accanto al mio cavallo
mentre bevo. Sarebbe solo uno spreco di fiato per me dire cosa accadrà a voi se mi si tenta un tradimento
lungo la strada.
Ma nel cuore del posadero vi era paura sia del magistrato, sia di Zorro. Quindi tornò alla taverna solo per
dare l'allarme.
– Fuori c’è Zorro! – sibilò a quelli più vicini al tavolo. – Mi ha mandato a prendere un po’ di vino dopo che
aver fatto frustare a sangue il magistrato.
Poi passò alla botte del vino e cominciò a versare la bevanda il più lentamente possibile.
Ci fu un'attività improvvisa all'interno della taverna. Vi erano una mezza dozzina di caballeros, tutta gente
fidata del governatore. Tirarono fuori le loro lame e avanzarono lentamente verso la porta. Uno di loro che
possedeva una pistola e l'aveva nella sua fascia, la trasse fuori, e si accodò al gruppo.
Zorro, seduto sul suo cavallo una ventina di metri dalla porta della taverna, improvvisamente vide venire
verso di lui una folla e il bagliore delle loro lame. Sentì anche uno sparo e una palla gli sfiorò la testa.
Il posadero era in piedi sulla porta, pregando che il bandito venisse catturato, cosicché, forse il magistrato
non lo avrebbe punito.
Zorro colpì Tornado coi suoi speroni. Il superbo animale balzò in avanti, in mezzo ai caballeros,
disperdendoli.
Questo era quello che avrebbe voluto fare Zorro. La sua lama era già fuori dal suo fodero, e trapassò il
braccio di un uomo, facendo schizzar fuori il suo sangue.
Manovrava il suo cavallo in modo da tener separati i suoi nemici. Mentre l'aria si riempiva di urla e grida,
e gli uomini del pueblo si affacciavano dalle loro case per cercar di capire la causa di tanto fracasso. Zorro
sapeva bene che qualcuno di loro erano armato di pistola, e avrebbero potuto colpirlo.
Così buttò di nuovo il suo Tornado in avanti, e prima che il grasso posadero se ne rendesse conto, Zorro era
davanti a lui e l’aveva afferrato per un braccio. Il superbo stallone schizzò via, trascinandosi dietro il grasso
posadero, che urlava per essere salvato e implorando pietà nello stesso tempo. Zorro si preparò a fustigarlo.
– Passami la frusta. – gli comandò.
Il posadero ubbidì, e invitò tutti i santi a proteggerlo. E poi Zorro lui li fece calare la frusta in modo da
legarlo alla sua vita e poi iniziò a frustarlo. A volte frustava qualcuno del gruppo dei caballeros che accorsero
verso il palo, per tenerli a distanza, ma continuava con la sua punizione.
– Hai tentato di tradirmi! – gridò. – Cane di un ladro! Mi hai mandato un po’ di persone, per farmi
catturare, eh? E io ti punisco come meriti.
– Misericordia! – gridò il posadero, e poi cadde a terra.
Zorro poi buttò il suo Tornado sul più vicino dei suoi nemici. Un'altra palla pistola fischiò sopra la sua
testa, mentre un altro uomo balzava su di lui per infilzarlo come uno spiedo. Zorro allora gli trapassò la
spalla e poi spronò Tornado.
Galoppò verso l’uscita della piazza poi fermò Tornado e gridò ai suoi nemici:
– Spiacente! Ma non siete abbastanza per fare un gradevole scontro, signori
Sollevò il suo sombrero e si inchinò loro, in una bella e solenne presa in giro, e poi uscì dal pueblo a spron
battuto.

Capitolo 24: Alla Hacienda di don Alejandro

Zorro aveva lasciato dietro di sé letteralmente un gran bordello. Le urla del grasso posadero si udivano per
tutto il pueblo. Gli uomini benestanti arrivavano di corsa, accompagnato dai loro servi con delle torce in
mano. Le donne sbirciarono dalle finestre delle loro case. Mentre i nativi dentro di loro rabbrividivano,
perché, per atroce esperienza, sapevano che ogni volta che c'erano dei disordini, pagavano colpe non loro.
Molti giovani caballeros di sangue caldo erano lì, visto che da molto tempo non vi era stata più alcuna
emozione nel pueblo di Reina de Los Angeles. Questi giovani si accalca nella taverna e ascoltavano i lamenti
del posadero, e alcuni si affrettarono a casa del magistrato e vedendo le sue ferite, e lo sentirono declamare
dell'umiliazione che era stata data alla legge, e quindi a sua eccellenza il governatore.
Il capitano Ramon uscì dal presidio, e quando seppe la causa del tumulto sputò grandi giuramenti, e
ordinò al suo unico uomo valido di cavalcare dal sergente Gonzales e i suoi soldati, e dir loro di far ritorno,
dato che al momento stavano seguendo una falsa pista.
Ma i giovani caballeros videro in questa circostanza l'occasione per smuovere la loro noia, e chiesero
l'autorizzazione al comandante per formare una squadra e dar la caccia a Zorro, un permesso che ebbero
immediatamente.
Una trentina di loro montarono a cavallo, e dopo aver dato un’occhiata alle loro armi, proposero di
dividersi in tre gruppi di dieci persone ognuno, e prendere le tre direzioni del sentiero.
I loro concittadini gli applaudirono dietro, come si avviarono al galoppo rapidamente su per la collina e
verso la strada di San Gabriel, facendo un gran fracasso e felici che la lana si era aperta, sicuri che questo
avrebbe permesso loro di vedere.
Subito dopo si separarono, dieci in direzione di San Gabriel, dieci prendendo il sentiero che portava alla
fattoria di frate Felipe, e gli altri dieci, verso una strada che curvava verso valle dove v’erano una serie di
ricche fattorie.
Proprio lungo questa strada, Diego aveva cavalcato poco tempo prima, insieme a Bernardo. Diego
gironzolò a lungo, e fu solo dopo il tramonto, che ritornò sulla strada principale e di seguito ad una più
stretta che portava verso la casa di suo padre.
Don Alejandro Vega, il patrono della famiglia, sedeva solo al suo tavolo, i resti del pasto serale erano
davanti lui, quando sentì arrivare un cavaliere alla porta. Un domestico corse ad aprire, e Diego entrò,
accompagnato da Bernardo.
– Ah, Diego, figlio mio! – gridò don Alejandro, aprendo le braccia.
Diego abbracciò il padre, poi si sedette accanto al tavolo e afferrò un boccale di vino. Dopo averlo lasciato
bere, Don Alejandro restò in attesa che Diego parlasse, e infatti subito dopo.
– Che viaggio faticoso.
– E perché l’avresti fatto, figlio mio?
– Sentivo che avrei dovuto venire in fattoria – fece Diego. – Non c’è modo di restare al pueblo. Dovunque
non c’è altro che violenza e spargimenti di sangue a cusa di questo Zorro.
– Ah! Ancora lui?
– Per favore, non “Ha!”, papà. Non facevo altro che “Ha!” dalla mattina alla sera in questi giorni, sono
tempi turbolenti.
– Questo Zorro ha fatto pure una visita alla fattoria dei Pulido e sono tutti spaventati. Sono andato alla mia
hacienda per sbrigare del lavoro, e da lì sono andato a vedere il vecchio frate Felipe, pensando che potrei
avere la possibilità di meditare in sua presenza. E chi fa la sua apparizione, un grosso sergente e suoi soldati
in cerca di questo Zorro.
– Lo hanno preso?
– Credo di no, papà. Al giorno dopo sono tornato al pueblo. E sapessi cosa è successo lì. Ci hanno portato
frate Felipe, accusato, lui!, di aver truffato un commerciante, e dopo la beffa di un processo farsa lo hanno
frustato legato al palo al centro della piazza. Gli hanno dato una quindicina di frustate sulla schiena.
– Mascalzoni! – urlò don Alejandro.
– Io ne potevo più, e così ho deciso di venire a farti visita. Ovunque mi giro c'è fermento. È più che
sufficiente per far diventare un uomo folle. Puoi chiederlo a Bernardo se non lo è così
Don Alejandro diede un'occhiata al sordomuto e un tenero sorriso si disegnò sul suo volto. Bernardo
sorrise anche lui come risposta, non sapendo che non si poteva in presenza di un Don. Ma Don Alejandro
non era certo così maligno, e lo lasciava fare. Poi fissò intensamente suo figlio e gli fece:
– Hai qualcosa da dirmi?
– Oh santi! Proprio adesso. Speravo di evitarlo, papà.
– Voglio sapere!
– Ho fatto una visita alla fattoria Pulido e ha parlato con Don Carlos e sua moglie, ed anche con la
signorina Lolita.
– Eri soddisfatto della signorina?
– Lei è bella come qualsiasi ragazza di mia conoscenza, anzi di più. – fece Diego. – Ho comunque parlato
con Don Carlos della questione del matrimonio, e lui sembrava essere felice.
– Ah! Sarebbe.
– Ma il matrimonio temo non possa avvenire.
– Che significa? C'è qualche ombra sulla signorina?
– Non che io sappia. Lei sembra essere una fanciulla dolce e innocente, papà. Avevo fatto in modo che
venissero a Reina de Los Angeles per trascorrere un paio di giorni a casa mia. Così che la signorina potesse
vedere l'arredamento e vedere la mia ricchezza.
– E 'stata una saggia disposizione, figlio mio.
– Ma lei non ne vuole sapere di me.
– Come? Rifiuta di sposare un Vega? Rifiuta di diventare alleata alla famiglia più potente del paese, con il
miglior sangue sulla faccia della terra?
– Mi ha lasciato capire, papà, che io non sono il tipo di uomo per lei. Lei è incline alla follia, credo.
Avrebbe voluto vedermi suonare la chitarra sotto la sua finestra, forse, e fargli gli occhi dolci, e tenerci per
mano quando la madre non sta guardando, e tante altre stupidità.
– Ma per tutti i santi! Sei un Vega, oppure no? Non sei un uomo degno di fare cose del genere? Delle
serenate al chiaro di luna come qualsiasi caballero? Queste piccole cose stupide sono l'essenza stessa
dell'amore. È naturale che la signorina era scontento di te.
– Ma non pensato che la questione fosse necessaria.
– E così sei andato dalla signorina e a sangue freddo gli hai chiesto di sposarla, vero? Avevi già l'idea, eh!
signorino, di acquistare quella fanciulla come si acquista un cavallo o un toro? Per tutti i santi! E così ora non
hai alcuna possibilità di sposare quella ragazza? Una fanciulla con il miglior sangue nelle vene dei dintorni.
– Don Carlos mi disse di avere speranza. Quando sarebbe tornata alla loro hacienda, e fatto il confronto tra
la sua casa e la mia forse lei potrebbe cambiare idea.
– Lei potrebbe esser tua, se giochi bene la partita. Sei sempre un Vega, e quindi il miglior partito del paese.
Ma non se sarai un mezzo amante. Che tipo di sangue hai nelle vene? Ho una mezza idea di aprirle e
vederlo.
– Non possiamo metter da parte questo matrimonio d'affari per il momento? – chiese Diego.
– Tu hai ormai 25 anni. Ed io ero già avanti con l’età quando sei nato. Presto me ne andrò via dei miei
padri. Tu sei il mio unico figlio, l'erede, e devi avere una moglie e prole. La famiglia Vega deve forse morire
perché il tuo sangue è acqua? Ho ti trovi una moglie, o lascio il mio patrimonio ai francescani, quando
passerò a miglior vita.
– Ma papà!
– Dico sul serio. Trova un po’ di vita dentro te! Vorrei che tu avessi la metà del coraggio e dello spirito di
questo Zorro, di quel bandito da strada, ha! Lui ha nel suo cuore dei sani ideali. Egli aiuta gli indifesi e
vendica gli oppressi. Ora ti saluto! Avrei preferito che mio figlio corra il rischio di morire o di finire in
prigione come Zorro, piuttosto che avere un sognatore senza vita!
– Ma padre mio! Sono sempre stato un figlio rispettoso.
– Vorrei che tu fossi stato un po’ più selvaggio. – sospirò Don Alejandro. – Invece sei senza vita. Risveglia
te stesso, giovanotto! Ricordati che sei un Vega. Quando avevo la tua età, non ero uno zimbello. Ero pronto a
combattere per una strizzatina d'occhio di una bella fanciulla, contro qualsiasi caballero. Ah!
– Ti prego, non fare “Ah!”, papà. Ho i nervi a fior di pelle.
– Devi essere più uomo.
– Cercherò di esserlo immediatamente. – fece Diego, raddrizzandosi sulla poltrona. – Speravo di evitarlo,
ma sembra che non si può. Farò la corte alla signorina Lolita come fanno tutti gli altri uomini. Volevi dire
questo quando ti riferivi alla tua fortuna?
– Infatti.
– Allora agirò. Non sia mai che la fortuna, i nostri averi lascino la nostra famiglia. Mediterò su questi
argomenti in pace e tranquillità stasera. Forse, potrò essendo lontano dal pueblo. Con l’aiuto dei santi!
Ma subito dopo l'esclamazione ci fu un improvviso tumulto di fuori della casa. Don Alejandro e suo figlio
sentirono l’arresto un certo numero di cavalieri al di fuori, nel cortile.
– Non c'è pace in tutto il mondo – disse Diego con tristezza profonda.
– Sembrano una decina di uomini. – fece don Alejandro.
Un domestico aprì ai caballeros la porta, e costoro entrarono nella sala grande con le lame al fianco e pistole
alla cintura.
– Ah, Don Alejandro! Moriamo dalla voglia di avere la vostra ospitalità! – Piagnucolò il primo di essi.
– Ve la darò senza problemi, caballeros. Che sorta di viaggio è questo che fate?
– Inseguiamo Zorro, il bandito.
– Per tutti i santi! – piagnucolò Diego. – Nemmeno qui posso sfuggire alla violenza e allo spargimento di
sangue!
– Ha invaso la piazza a Reina de Los Angeles – continuò il portavoce. – Ha fatto frustare il magistrato per
aver condannato frate Felipe. E dopo di lui ha frustato il posadero, e lottato contro una decina di uomini. Poi
si è allontanato, e abbiamo formato un gruppo per inseguirlo. Lui non è stato in questo zona?
– Non che io sappia, – disse don Alejandro. – Mio figlio è arrivato da poco, e non so se…
– Non ho visto nessuno, per mia fortuna. – fece Diego.
Don Alejandro fece portare da mangiare per i caballeros. Diego capì subito che loro ricerca del bandito era
al termine, il loro entusiasmo era scemato. Restarono alla casa di suo padre fino al mattino, cantando e
raccontando delle storie per poi ritornare a Reina de Los Angeles, come tanti eroi.
Era l’usanza. L'inseguimento di Zorro, era solo un pretesto per passare un di tempo in allegria. E nella casa
di Don Alejandro potevano farlo. La madre di Diego non c’era più da anni e queste smargiassate piacevano a
don Alejandro e i giovani caballeros potevano far rumore tutta la notte.
Nel momento in cui misero da parte le pistole e coltelli, cominciarono a vantare e vantarsi, e Don Alejandro
fece nascondere dai suoi domestici tutte le armi, perché non ci scappasse dopo un litigio un morto o due in
casa sua.
Diego beve e parlò con loro per un certo tempo, e poi si sedette ad un lato e restò ad ascoltare, come se
fosse annoiato.
– Se avessimo visto questo Zorro. –piagnucolò uno di loro. – Ognuno di noi è pronto per scontrarsi con lui.
Se avessimo dei bravi soldati sarebbe stata preso molto tempo prima.
– Ah, e senza dargli una possibilità! – strillò un altro. – Come ululava il posadero quando veniva frustato!
– S è diretto in questa direzione? – chiese don Alejandro.
– Non ne siamo sicuri. Zorro ha preso il sentiero di San Gabriele, e trenta di noi si sono messi al suo
inseguimento. Ci siamo separati in tre gruppi, ciascuno andando una direzione diversa. La fortuna di
imbattersi in lui l’avrà una delle altre bande ora, suppongo. Ma è la nostra fortuna è di essere qui.
Diego si alzò davanti a tutti.
– Signori, sono certo di essere scusato, se mi ritiro. Sono molto affaticato con dal viaggio.
– Ritirati pure. – piagnucolò uno dei suoi amici. – E quando ti sarai riposato, ritorna di nuovo e far festa.
E risero tutti di gusto, alle spalle del buon Diego che si inchinò cerimoniosamente, e uscì dalla sala seguito
da Bernardo.
Entrava in una stanza che era sempre pronta per lui, e in cui una candela già stava bruciando, e chiuse la
porta alle spalle, mentre Bernardo si sdraiò sul pavimento appena fuori dalla porta, per fargli la guardia
durante la notte.
Nel grande soggiorno, don Alejandro era accigliato e si torceva i baffi, perché suo figlio, non era come gli
altri giovani. Nella sua giovinezza non si ritirava mai presto la sera. E ancora una volta sospirò che non
aveva un figlio con il sangue rosso nelle vene.
I caballeros cantavano ora, unendosi al coro di una canzone d'amore popolare, e le loro voci discordanti
riempiva la grande sala. Don Alejandro sorrise mentre ascoltava, perché ritornava giovane.
I giovani erano stravaccati su sedie e panche ai lati del lungo tavolo, battendo le loro tazze mentre
cantavano, ridevano chiassosamente di tanto in tanto.
– Se questo Zorro fosse qui adesso! Gli faremo… – uno di loro gridò.
Una voce dalla porta gli rispose.
– Signori, sono qui!

Capitolo 25: Si forma una lega.

Tacquero di colpo le canzoni e le risate. e tutti guardarono dall'altra parte della stanza. Zorro, dopo essere
entrato dalla veranda, era ora sulla porta. Indossava il suo lungo mantello e la maschera, e in una mano
teneva la sua pistola verso il tavolo.
– Quindi sareste voi che mi inseguite e che sperate di prendermi. – disse Zorro. – Non fate una mossa,
altrimenti sparerò immediatamente. Vedo che le vostre armi sono in un angolo. Avrei potuto uccidere
qualcuno di voi e poi me ne sarei andato prima che poteste reagire.
– È lui! È lui! – piagnucolava uno caballero brillo.
– Il vostro rumore poteva essere sentito un miglio di distanza, signori. Che maniera schiocca per un
drappello di inseguire un uomo! Questo sarebbe la vostra dedizione al dovere? Perché fate festa, mentre
Zorro galoppa lungo la strada?
– Datemi la mia lama e lasciatemi duellare lui! – gridò uno di loro.
– Potrei permettere a qualcuno di duellare con me. – rispose Zorro. – Se c’è questo qualcuno in allegra
brigata che sia in grado di duellare con me?
– Qualcuno c'è! – gridò Don Alejandro, a voce alta, balzando in piedi. – Io dico apertamente che ho
ammirato alcune delle cose che avete fatto, signor mio, ma ora siete entrato in casa senza permesso e state
abusando miei ospiti, e me ne dovrete rendere conto!
– Non sono venuto per litigare con voi, don Alejandro, e non intento incrociare le mia lama con la vostra.
Sono venuto a vedere se questi uomini intendono mantenere ciò che urlavano ad alta voce contro di me!
– Per tutti i santi, certo che lo faranno e così anch’io!
– Un momento, don Alejandro! Signori, per l’età che ha il padrone di casa, se lottasi con lui una minima
ferità potrebbe significare la morte per lui. Non lo permettere, spero?
– Don Alejandro non deve combattere le nostre battaglie! – gridò uno di loro.
Per tutta risposta don Alejandro avanzò risolutamente in avanti, ma due dei caballeros saltarono avanti a lui
e lo invitarono a tornare indietro, dicendo che il suo onore era al sicuro, perché ha offerto combattimento. A
questo punto, don Alejandro si fermò.
– Un degno gruppo di lame giovani. – sogghignò Zorro. – Bevete vino e fate festa mentre io rimedio
all’ingiustizia. Prendete le vostre spade in mano e venite all’attacco! Date libero sfogo al vostro sangue blu! E
associatevi a quei politici che rubano la terra, invece di proteggere i frati che vi hanno donato un’enorme
quantità di acri grazie al loro sacrificio! Siate uomini, non figurini ubriachi!
– Per tutti i santi! – sbraitò uno di essi balzando in piedi.
– Indietro, o sparo! Io non sono venuto qui per combattere contro di te in casa di don Alejandro. Io ho
troppo rispetto per l’ospitalità che vi ha recato. Sono solo venuto a sputarvi queste verità in faccia.
– Il potere delle vostre famiglie potrebbe distruggere una vita umana! Formate una lega contro il corroto
governatore, tutti voi insieme per una buona causa, caballeros, e farete un buon uso della vostra vita. Potrete
farlo, se non avete paura. Cercate avventura? Eccone un mare di avventura: combattendo le ingiustizie.
– Per tutti i santi, canta come un’allodola! – gridò uno in risposta.
– Dì pure come un fringuello se ti piace, ma si deve fare qualcosa di buono. Sapete che i politici osano
prendere posizione contro di voi, rampolli delle famiglie più potenti? Formate un lega tra di voi e datevi un
nome. Lottate per la vostra terra.
– Sarebbe tradimento!
– Non è tradimento rovesciare un tiranno, caballeros! Non mi direte che avete paura?
– Per tutti i santi, no! – gridarono in coro.
– Allora agite di conseguenza!
– Tu ci guiderai?
– Si, signori!
– Ma sei di buon sangue?"
– Io sono un cavaliere, di sangue buono come qualsiasi altro qui presente. – disse loro Zorro.
– Il tuo nome? Dove risiede la sua famiglia?
– Queste cose devono rimanere segreti per il momento. Io vi ho dato la mia parola.
– Il tuo volto.
– Deve rimanere dietro la maschera per ora, signori. – Zorro stava per andarsene quando lo acclamarono
selvaggiamente.
– Aspetta! – gridò uno. – Stiamo facendo una scortesia a chi ospita e potrebbe non avere in simpatia la
nostra causa.
– Avete la mia simpatia, caballeros, ed anche il mio sostegno. – disse don Alejandro.
Il rumore degli applausi riempì la grande sala. Nessuno poteva andare contro di loro se don Alejandro
Vega era con loro. Nemmeno il governatore stesso avrebbe osato opporsi a lui.
– E sia! – gridarono. – Da oggi in poi saremo i Vendicatori! Andremo lungo El Camino Real e daremo terrore
a coloro che derubano gli uomini onesti e maltrattano gli indigeni! Dobbiamo buttare i politici ladri fuori
dalla porta!
– Così sarete caballeros, cavalieri protettori dei deboli. – esclamò Zorro. – Mai vi pentirete di questa
decisione, signori! Avrete la mia lealtà e mi aspetto anche l'obbedienza ai miei ordini.
– Che cosa dobbiamo fare? – gridarono.
– Questa riunione dovrà rimanere un segreto. Domani mattina, ritornati a Reina de Los Angeles e dite che
non siete riusciti ha catturare Zorro, che in fondo è la verità. Siate pronti a riunirvi, al momento in cui vi
chiamerò.
– In che modo?
– Conosco tutti voi. Farò in modo di informare uno di voi che poi avvertirà gli altri. Siete d'accordo?
– D'accordo! – gridarono.
– Allora ora vi lascio. Restare in questa stanza, e nessuno di voi provi a seguirmi. È un ordine. Buenos
nocte, caballeros! – Si inchinò davanti a loro, poi si girò verso la porta aperta, vi si precipitò e la sbatté alle
sue spalle.
Si sentì il rumore di zoccoli di un cavallo sul viale, che svanì in lontananza. tutti Sollevarono i loro boccali
di vino e bevvero alla formazione della loro nuova lega per la soppressione dei truffatori e dei ladri e alla
salute di Zorro, la maledicion de Capistrano, e di Don Alejandro Vega, ben conscio dell'accordo raggiunto
nella sua casa e di cosa significasse. Si sedette di nuovo e cominciò a parlare di torti che dovevano essere
raddrizzati.
Ma don Alejandro Vega sedeva in un angolo, addolorato, perché il suo unico figlio dormiva e aveva
sangue rosso non basta prendere una parte in una simile impresa, quando ne avrebbe avuto tutto il diritto.
Avrebbe dovrebbe essere uno dei leader.
Per colmo del suo dispiacere, comparve in quel momento nella sala suo figlio Diego, stropicciandosi gli
occhi e sbadigliando e guardando tutti come se fosse stato disturbato.
– È impossibile per un uomo dormire in questa casa stasera. – disse. – Datemi un bicchiere di vino, e
prenderò posto insieme a voi. Per chi fate tanto chiasso?
– Zorro è stato qui. – fece suo padre.
– Il brigante? È stato qui? Per tutti i santi! È più di quanto un uomo possa sopportare.
– Siediti, figlio mio. – lo esorto suo padre. – Sono avvenute delle cose importanti. Avrai la possibilità di
mostrare che tipo di sangue scorre nelle tue vene.
Don Alejandro parlo in maniera molto determinata.

Capitolo 26: La comprensione

Il resto della notte fu speso dai caballeros vanitosi di quello che avevano deciso di fare, e facendo progetti
da sottoporre a Zorro per la sua approvazione, anche se sembravano tanti fringuelli in cerca di avventura,
c'era però un fondo di serietà nel loro modo. sapevano bene che tempi correvano e già avevano tutti pensato
di far qualcosa, ma non si erano mai riuniti insieme, ma ora avevano un capo. Un giovane cavaliere
mascherato che avrebbe guidato ognuno di quei giovani, che era comparso al momento giusto.
Diego fu informato di tutto dal padre che voleva che dimostrasse che tipo di uomo era. Diego dichiarò che
una cosa del genere avrebbe causato la sua morte, ma avrebbe agito per amore di suo padre.
La mattina presto i caballeros dopo aver fatto una rapida colazione offerta da don Alejandro, fecero ritorno
a Reina de Los Angeles. Diego cavalcò con loro per far piacere al padre. Nulla doveva essere detto riguardo i
loro piani. però avrebbero ricercato delle reclute dal resto dei trenta che erano partiti alla ricerca di Zorro.
Sapevano che alcuni si sarebbero subito uniti a loro subito, ma altri troppo fedeli al governatore, dovevano
essere tenuti all'oscuro su tutta la faccenda.
Cavalcarono piacevole, cos a che fu grata a Diego. Bernardo lo seguiva sul mulo, ma era un po’ dispiaciuto
perché non si era rimasti di più alla fattoria. però aveva capito che qualcosa di importante bolliva in pentola
e avrebbe voluto essere come gli altri uomini, poter udire e parlare.
Quando raggiunsero la piazza, videro che le altre due parti erano già lì, scornati per la caccia andata a
male. qualcuno dichiarò di averlo visto in lontananza, e uno che aveva sparato un colpo di pistola contro di
lui, i caballeros che erano stati ospitati da don Alejandro non dissero niente e si guardarono l'un l'altro in un
modo particolare.
Diego lasciò i suoi compagni e si precipitò a casa sua, dove ha indossato abiti freschi e ben curati. Lasciò
libero Bernardo, e lui andò a sedersi in cucina in attesa di venir richiamato. Poi Diego ordinò di preparare la
sua carrozza per fare un giro. La carrozza era una delle più che si fossero viste lungo il Camino Real, ma
restava un mistero sul perché Diego l’aveva acquistata, visto che non la usava mai. Qualcuno diceva per
mostrare la sua ricchezza, Ci sono stati alcuni che ha detto lo ha fatto per mostrare la sua ricchezza, mentre
altri dichiararono che il rivenditore aveva assillato così tanto Diego che la comprò solo per liberarsi di lui.
Diego uscì da casa sua con indosso il suo vestito migliore ma non entrò in carrozza. Ancora una volta ci fu
un gran caos nella piazza, causato dal sergente Pedro Gonzales e dai suoi soldati. L'uomo che il capitano
Ramon aveva inviato loro li aveva raggiunti facilmente, visto che non avevano percorso molti chilometri.
– Ah, Don Diego, amico mio! – piagnucolò Gonzales. – sei ancora vivo, in questo mondo turbolento?
– Per necessità. – rispose Diego. – Hai catturato Zorro?
– L'uccello ci è sfuggito, caballero. Sembra che quella notte si era diretto verso San Gabriel, mentre noi gli
davamo la caccia verso Pala. Ah, bene, abbiamo fatto un piccolo errore. La nostra vendetta sarà maggiore
quando lo troveremo.
– Che cosa fai ora, mio caro sergente?
– ho portato i miei uomini a rinfrescarsi, e poi li guiderò verso San Gabriel. Si dice che il bandito sia in
quella zona, anche se una trentina di giovani di sangue nobile non sono riusciti a trovarlo ieri sera dopo che
aveva fatto frustare il magistrato. Senza dubbio era nascosto tra i cespugli e ridacchiava nel vedere quei
caballeros alla loro caccia.
– Che il vostro cavallo vi dia la velocità e il vostro braccio la forza per tener la spada. – gli disse Diego e
poi salì sulla sua carrozza.
Due magnifici cavalli erano attaccati a questa mentre un cocchiere in una ricca livrea si faceva strada tra i
nativi. Diego si distese sui cuscini e socchiuse gli occhi come iniziò il viaggio. Il conducente attraversò la
piazza, uscì dal pueblo e si avviò verso l'hacienda di don Carlos Pulido.
Seduto sulla sua veranda, Don Carlos vide la splendida carrozza si avvicina, e ringhiò tra sé, poi si alzò e
corse in casa, per affrontare la moglie e la figlia.
– Figlia mia, arriva don Diego. – disse. – Ti ho già indicato cosa dovresti fare con quel giovane, e ho fiducia
che mi darai retta come dovrebbe fare una ragazza perbene.
Poi si voltò e uscì sulla veranda di nuovo, e la signorina si precipitò nella sua stanza e si gettò su un divano
a piangere. I santi sapevano che lei che lei avrebbe voluto sentire un po’ di amore per Diego e prenderlo
come marito per aiutare le fortune di suo padre, ma non ci riusciva. Perché quell'uomo agiva come un
caballero? Perché non mostrava una certa misura di buon senso? Perché non dimostrava che era un giovane
pieno di salute, invece di agire come un vecchio con un piede nella fossa?
Don Diego dalla carrozza salutava, poi disse al conducente di portare in un luogo riparato. Salutò don
Carlos languidamente, e don Carlos fu sorpreso nel vedere che don Diego aveva una chitarra sotto un
braccio. Diego mise la chitarra a terra, si tolse il sombrero, e sospirò.
– Sono stato da mio padre. – gli disse.
– Ah! Don Alejandro sta bene, spero?
– È in ottima salute, come al solito. Egli mi ha spronato a continuar a far la corte alla signorina Lolita. Se
sposo entro un certo tempo, dice, lui lascerà, dopo la sua scomparsa, la sua fortuna ai francescani.
– Davvero?
– L’ha detto eccome, e mio padre non è un uomo che spreca le parole. Don Carlos, devo vincere la
signorina. Non conosco nessun altra donna giovane che sia gradita a mio padre.
– Un po’ di corteggiamento, don Diego, non ti farà male.
– Ho deciso di corteggiarla come farebbero gli altri uomini, anche se senza dubbio non sarò un gran che.
Potete provare a darmi suggerimento per iniziare?
– È difficile dare consigli in tal caso. – rispose don Carlos, cercando disperatamente di ricordarsi cosa aveva
fatto per conquistare Dona Catalina. – Un uomo in realtà dovrebbe averle già vissute, non può certo
pretendere che sappia subito come agire.
– Temo sarà impossibile. – disse Diego, sospirando ancora una volta e alzando gli occhi stanchi sulla faccia
di don Carlos.
– Poteva essere stata un'ottima cosa non parlar subito di matrimonio in un primo momento, ma piuttosto
dirle parole d’amore. Provate a parlare a voce bassa e ricca. Dire delle paroline dolci a una donna giovane
può dare buoni risultati.
– Temo che sia una cosa oltre le mie possibilità. Ma devo provare, naturalmente. Potrei vedere la signorina
ora?
Don Carlos si avviò verso la porta e chiamò la moglie e la figlia. Lei sorrise con timore a Diego che si sentì
un po’ rincuorato. Ma Lolita aveva donato il suo cuore a Zorro, e non poteva amare, né sposare nessun altro
uomo, nemmeno per salvare il padre dalla povertà.
Diego condusse Lolita verso una panchina ad una estremità della veranda, e parlò di cose in generale,
pizzicando intanto le corde della sua chitarra, mentre don Carlos e sua moglie si misero all'altra estremità
della veranda e sperando che le cose fossero andate bene.
Lolita era contenta però che Diego non parlava di matrimonio come sempre. Infatti, gli raccontò ciò che era
accaduto nel pueblo, delle frustate date ingiustamente a frate Felipe, e di come Zorro aveva poi punito il
magistrato, e come lottò contro una dozzina di uomini prima di fuggire. Nonostante la solita aria languida,
Diego parlò in maniera interessante, e Lolita lo trovo piacevole.
Diego gli disse anche di come fosse andato alla hacienda di suo padre, e della visita dei caballeros durante la
notte e della festa che seguì, ma non disse nulla della visita di Zorro e della lega che si era formata.
– Mio padre minaccia di diseredarmi se non mi sposo entro un termine preciso – disse poi Diego. –
Dimmi, vorresti vedermi perdere il patrimonio di mio padre, Lolita?
– Certo che no. – rispose lei. – Ci sono molte ragazze che sarebbero fiere di sposarti, Diego.
– Ma non è vero!
– Certo che sì, ne sarebbero orgogliose. Ma una ragazza non potrebbe farci niente se il suo cuore è già
occupato? Non ti augurerei mai una moglie che non ti ama. Pensa ai lunghi anni che dovresti passare
accanto a lei, sarebbe insopportabile.
– Cosa vuoi dire con queste parole?
Improvvisamente la ragazza mise il suo visino di fronte a lui e parlò in toni bassi, e seriamente.
– Tu sei un cavaliere di buon sangue, Diego. Posso fidarmi di te?
– Fino alla morte, signorina.
– Allora ho qualcosa da dirti. E ti chiedo di lasciare che rimanga il vostro segreto. Si tratta di una
spiegazione in un certo senso.
– Parla, Lolita.
– Se me lo dicesse il mio cuore, niente mi farebbe più piacere che diventare tua moglie, Diego, perché
riporterei la fortuna a mio padre. Ma ritengo di essere onesta per sposare un uomo che non amo. E c'è un
ottimo motivo per cui non posso amarti.
– C'è qualcun altro nel tuo cuore, vero?
– Hai indovinato, Diego. Il mio cuore è pieno di amore per questo uomo. E spero che tu manterai il mio
segreto di fronte ai miei genitori, io giuro per i santi che ho detto la.... verità.
– L'uomo è degno?
– Sono certo che lo sia, caballero. La dimostrato di fronte a me, e non potrei mai amare un altro uomo. Hai
capito ora?
– Capisco appieno, signorina. Posso esprimere la speranza che potrai amare degnamente quest’uomo.
– Sapevo che saresti stato un vero caballero.
– Ma se le cose dovrebbero andar male, e avrai bisogno di un amico, ricordati di me, Lolita.
– Mio padre non deve sospettare di tutto ciò. Dobbiamo fargli pensare che ancora mi vogliate. E a poco a
poco potrai cessare le visite.
– Capisco, Lolita. Ma certo tutto ciò mi lascia in un a brutta situazione. Ho chiesto a tuo padre il permesso
di corteggiarti, ma se vado a corteggiare un'altra ragazza ora, provocherò la sua rabbia. Ma se non lo faccio
provocherò la rabbia di mio padre. Che pena!
– Forse non sarà per molto tempo, Diego.
62
– Ah! Ma certo! Che cosa fa un uomo quando è deluso in amore? Fa un viso lungo, si rifiuta di partecipare
alla vita mondana. Lolita, mi hai comunque salvato. Io continuerò a languire, perché non trovo più il mio
amore. Allora le persone mi lasceranno in pace quando sognerò sotto il sole e mediterò invece di cavalcare e
combattere come un pazzo. Mi sarà finalmente permesso di andare in pace per la mia strada, e un fascino
romantico sarà gettato su di me. Un pensiero eccellente!
– Diego, sei incorreggibile! – esclamò Lolita, ridendo.
Don Carlos e Dona Catalina nel sentirla ridere, si guardarono intorno, e poi si scambiarono un'occhiata
veloce. Don Diego Vega va finalmente d'accordo con la signorina, pensarono.
Poi Diego continuato l'inganno suonando la chitarra e cantando una strofa di una canzone che aveva a che
fare con gli occhi luminosi e l’amore. Don Carlos e sua moglie guardò di nuovo, questa volta in
apprensione, e desiderò che smettesse presto, visto la brutta voce e temendo così che potesse perdere tutto
ciò che aveva guadagnato in simpatia con Lolita.
Ma a Lolita importava poco, del canto sgraziato di Diego. Subito dopo conversarono ancora un po’ e poco
prima della siesta Diego li salutò e se ne andò con la sua splendida carrozza.

Capitolo 27: Ordini di arresto

Il corriere che il capitano Ramon aveva inviato a nord con la lettera per il governatore, sapeva di una certa
signorina a San Francesco de Asis, la cui bellezza gli aveva rubato il cuore.
Così gallonò come un demonio dopo aver avuto l’incarico dal suo comandante, cambiò monta a San
Fernando e ad una hacienda lungo la strada, e poi di nuovo al galoppo verso Santa Barbara sotto al
crepuscolo.
Ma Santa Barbara, il povero ragazzo vide infrangersi la sua speranza di rivedere la sua fidanzata a San
Francisco de Asis. Davanti alla porta del presidio vi era una sontuosa carrozza che faceva apparire quella di
Diego come un povero carretto dei contadini, insieme ad una ventina di cavalli legati ai pali. Il ragazzo vide
anche più soldati di quelli regolarmente di stanza a Santa Barbara che ridevano e scherzavano tra di loro sulla
strada.
Era chiao: Il governatore era lì a Santa Barbara.
Sua Eccellenza aveva lasciato San Francisco de Asis, alcuni giorni prima per un viaggio di ispezione, per
arrivare più a sud fino a San Diego de Alcala, per rafforzare le sue alleanze politiche, premiando i suoi amici e
assegnando punizioni ai suoi nemici.
Aveva raggiunto Santa Barbara un'ora prima, e stava ascoltando la relazione del comandante del presidio,
prima di andar a passar la notte da un amico, per poi proseguire il suo viaggio l’indomani.
Il corriere capitano Ramon comunicò alle guardie che la lettera portava era della massima importanza, e
così egli si affrettò verso l'ufficio del comandante e vi entrò come se fosse un uomo di rango elevato.
– Vengo da parte del capitano Ramon, comandante a Reina de Los Angeles, con una lettera di grande
importanza per Vostra Eccellenza. – riferì restando rigidamente in piedi dopo aver salutato.
Il governatore grugnì e prese la lettera, e il comandante fece cenno al corriere di ritirarsi. Sua Eccellenza
lesse velocemente la lettera, e quando finì, un bagliore empio bruciò nei suoi occhi, e si lisciò i baffi con
evidente soddisfazione. Rilesse di nuovo la lettera e aggrottò la fronte.
Gli piaceva il pensiero di poter schiacciare definitivamente don Carlos Pulido, ma non amava pensare che
Zorro, l'uomo mascherato che lo aveva offeso, fosse ancora in libertà. Si alzò e inizio a camminare sul
pavimento per un po’, poi si girò verso il comandante.
– Partirò per il sud al levar del sole. – gli disse. – La mia presenza è richiesta urgentemente a Reina de Los
Angeles. Fate sapere al corriere che farà il viaggio di ritorno insieme alla mia scorta. Ora vado a casa del mio
amico.
E così, al mattino, il governatore prese la via per il sud, con la sua scorta di venti soldati per protezione, e
con il povero corriere in mezzo a loro. Viaggiarono in fretta, e pochi giorni dopo a metà mattina entrò nella
piazza di Reina de Los Angeles. Era la stessa mattina stessa in cui Diego, con a fianco la sua chitarra, partì
verso la hacienda Pulido con la sua bella carrozza.
La sontuosa diligenza si fermò davanti alla taverna, e al grasso posadero, ancora dolorante per la punizione
inflittagli da Zorro, venne quasi subito un colpo apoplettico perché non era stato avvisato della venuta del
governatore, e aveva paura che il governatore si lamentasse del pavimento sporco della taverna.
Ma il governatore non scese dalla sua carrozza e non entrò quindi nella taverna. I suoi occhi rapaci stavano
guardando tutt’intorno la piazza, osservando molte cose. Non era mai stato sicuro della fedeltà degli uomini
di rango elevato di questo pueblo. Non era mai riuscito ad avere un controllo serio su di essi.
Guardò con attenzione come si sparse la notizia del suo arrivo e di come i caballeros si affrettarono a dargli
il benvenuto. Notò bene quanti di loro erano veramente sinceri, e notò anche che molti erano assenti.
Ai presenti spiegò che sarebbe stato ben volentieri loro ospite ma che ora doveva proseguire verso il
presidio. Ricordando la lettera del capitano Ramon, notò fin troppo bene che Don Diego Vega non era in
piazza.
Il sergente Gonzales e i suoi uomini erano ancora via alla caccia di Zorro, e fu così che solo il capitano
Ramon ad attendere Sua Eccellenza all'ingresso del presidio, e lo salutò gravemente, e si prostrò davanti a
lui ordinò al comandante della scorta di disporsi in guardia davanti al presidio, in onore del governatore.
Infine condusse sua eccellenza nel suo ufficio privato, e il governatore si sedette.
– Quali sono le ultime novità? – chiese subito.
– I miei uomini sono a caccia del bandito. Ma, come vi ho scritto, questo parassita di Zorro ha molti amici,
una legione di amici, il mio sergente ha riferito che due volte ebbe uno scontro a fuoco con una banda di suoi
seguaci.
– Devono essere trovato, ucciso! – gridò il governatore. – Un uomo di quel genere potrà trovare altri
seguaci, talmente tanti altri, fino a farci avere enormi problemi. Quali altre atrocità ha commesso?
– Sì, eccellenza. Ieri un frate di San Gabriele è stato frustato per truffa. Zorro ha catturato i suoi accusatori
sulla strada maestra, e li frustati quasi a morte. Non contento di questo è arrivato, qui nel pueblo e ha
riservato la stessa sorte al magistrato che aveva emesso la sentenza. I miei soldati erano sulle sue tracce in
quel momento. Sembra proprio che Zorro conosca i movimenti dei nostri uomini visto ch e colpisce sempre
al momento opportuno.
– Allora ha davvero delle spie che lo avvertono dei nostri movimenti?
– Sembrerebbe proprio di sì, eccellenza. La scorsa notte diedi la mia autorizzazione a che una trentina di
giovani caballeros gli dessero la caccia, ma sono tornati questa senza aver trovato una sola traccia di quel
mascalzone.
– Don Diego Vega era con loro?
– Non era in paese ieri sera, ma è tornato con loro. Sembra che fosse ritirato presso l’hacienda di suo padre.
Forse avrete indovinato che volevo indicare i Vega nella mia lettera. Anche se sono ora convinto, eccellenza,
che i miei sospetti in questo senso sono stati ingiusti. Questo Zorro ha anche invaso la casa di don Diego, una
notte, mentre don Diego era fuori.
– Che storia è questa?
– Don Carlos Pulido e la sua famiglia erano lì.
– Ah! In casa di don Diego? E qual’era il motivo?
– È una cosa divertente. – fece il capitano Ramon, ridendo leggermente. – Ho sentito dire che Don
Alejandro abbia ordinato, pochi giorni fa, al figlio di trovarsi una moglie. Ma il giovane non è tipo da
corteggiare le donne. È senza spina dorsale.
– Conosco quell'uomo. Andiamo avanti.
– Così cavalcò subito alla fattoria di Don Carlos per chiedere il permesso a don Carlos di corteggiare la sua
unica figlia. Zorro era ancora alla macchia, e don Diego, andando alla sua hacienda per i propri affari, chiese
a don Carlos di venire al pueblo con la sua famiglia, dove sarebbe stato più sicuro, e di occupare la sua casa
fino al suo ritorno. I Pulido non potevano ovviamente rifiutare. E Zorro, a quanto pare, li ha seguiti.
– Ah! Vada avanti.
– È davvero ridicolo pensare che don Diego li accolse in casa sua per fargli sfuggire all'ira di Zorro,
quando, in realtà, i Pulido sono a braccetto con il bandito. Se ben ricorda, venivamo avvisati da un nativo che
Zorro era a cena alla hacienda Pulido e quasi i nostri soldati lo stavano per catturarlo. Si era nascosto in un
armadio, e mentre ero lì solo, con i miei uomini sulle sue tracce, è sbucato dall’armadio, si precipitò su di me
ferendomi alla spalla da dietro e poi fuggì.
– Volgare mascalzone! – esclamò il governatore. – Ma pensate che ci sarà un matrimonio tra Don Diego e la
signorina Pulido?
– Immagino che non dovrete avere nessuna preoccupazione riguardo a questo, eccellenza. Io sono del
parere che il padre di don Diego ha messo una pulce nell'orecchio, richiamato l'attenzione del figlio sul fatto
che don Carlos non ha più la simpatia di vostra eccellenza, al contrario delle figlie di altri gentiluomini.
Credo sia questo il vero motivo. In ogni caso, i Pulido tornarono alle loro hacienda dopo il ritorno di don
Diego, e lui venne a cercarmi qui al presidio. Sembrava ansioso di farmi sapere che fosse certo un uomo tale
da macchiarsi di tradimento.
– Sono felice di sentirlo! I Vega sono molto, troppo potenti. Non sono mai stati miei sinceri sostenitori, ma
non hanno mai alzato le mani contro di me, quindi non mi posso lamentare. Sarebbe buon senso tenerseli
amici, se possibile. Ma questi Pulidos?
– Anche la signorina sembra dare aiuto a questo brigante. – disse il capitano Ramon. – Si è vantava con me di
quello che lei definiva il suo coraggio. Ha anche deriso i soldati alla sua ricerca. Don Carlos Pulido e
qualcuno dei frati stanno proteggendo quel bandito, dandogli cibo e nascondendolo, e dandogli notizie dove
sono dislocati i soldati. I Pulido stanno sicuramente ostacolando i nostri sforzi per catturare il ladro.
Personalmente avrei dato avvio a misure opportune, ma ho pensato che fosse meglio prima informare voi e
attendere la vostra decisione.
– È inutile, bisogna prendere una decisione, per quanto dolorosa che sia. – disse altezzosamente il
governatore. – Non importa quanto sia antico il sangue di un uomo, o che abbia un alto rango, non si può
commettere atto di tradimento senza subire le conseguenze. Avevo pensato che don Carlos avesse imparato
la lezione, ma sembra proprio di no. Qualcuno dei vostri uomini è ancora nel presidio?
– Pochi e malati, Eccellenza.
– Il vostro corriere che è ritornato con la mia scorta, conosce bene i dintorni del vostro paese?
– Certamente, Eccellenza. È di stanza qui da un bel po’ di tempo.
– Allora potrà fare da guida. Inviate subitola metà della mia scorta alla fattoria di don Carlos Pulido. Fatelo
arrestare e incarceratelo. Sarà un duro colpo per la sua dignità. Ne ho abbastanza di questi Pulido.
– E la superba moglie che mi ha deriso, e l’orgogliosa segnorina che disprezzava i nostri soldati?
– Ah! Fate incarcerare anche loro due. È davvero una buona idea. Sarà una buona lezione per tutti quanti
in questa località. – disse il governatore.

Capitolo 28: L'oltraggio

Diego era appena arrivato davanti casa sua, quando il drappello di soldati passarono in una nuvola di
polvere, diretti verso la casa dei Pulido. Non riconobbe nessuno di loro.
– Ah! Così ci sono nuovi soldati sulle tracce di Zorro? – chiese a un uomo in piedi vicino a lui.
– Sono una parte della scorta del governatore, caballero.
– Il governatore è qui?
– È arrivato poco tempo fa, caballero, ed è andato subito al presidio.
– Suppongo che devono avere notizie fresche di questo bandito per mandarli a cavallo furiosamente nella
polvere, sotto questo pesante sole. È davvero un mascalzone imprendibile. Per tutti i santi! Ora che penso, se
fossi stato qui, quando arrivò il governatore, avrei potuto alloggiarlo in casa mia. Ora qualcun’altro avrà
l'onore di ospitarlo. È deplorevole.
Detto questo Diego entrò in casa, e l'uomo con cui aveva parlato non sapeva se dubitare della sincerità di
quella osservazione.
Intanto, guidati dal corriere, che conosceva la via, la squadra di soldati galoppava veloce lungo la strada
maestra, per svoltare poi sul sentiero che portava alla casa di Don Carlos. Andavno con la stessa carica con
cui sarebbero andati a catturare un desperado. Mentre entrarono nel vialetto, si sparsero a destra e a sinistra,
stracciando le aiuole di Dona Catalina e facendo starnazzare le galline dalla paura, circondando la casa in
breve tempo.
Don Carlos era seduto sulla veranda nel suo solito posto, in dormiveglia, e non notò l'avanzata dei soldati
finché non sentì il battito degli zoccoli dei cavalli. Si alzò in piedi allarmandosi, chiedendosi se Zorro fosse
nelle vicinanze e i soldato fossero sulle sue tracce.
Tre di loro smontarono prima che la nuvola di polvere scendesse a terra, e il sergente che li comandava si
fece strada, spolverandosi con i guanti la sua uniforme.
– Siete voi don Carlos Pulido? – chiese a gran voce.
– Ho questo onore, signore.
– Ho l'ordine di mettervi in stato d’arresto.
– Arresto! – urlò don Carlos. – Chi ti ha dato questi ordini?
– Sua Eccellenza, il governatore. Che ora si trova a Reina de Los Angeles, signore.
– E l'accusa?
– Tradimento e aiuto ai nemici dello stato.
– Ridicolo! – fece don Carlos. – Sono accusato di tradimento quando, anche se vittima di oppressione, ho
trattenuto la mia mano contro chi detiene il potere? Quali sono i particolari delle accuse?
– Dovrà chiederlo al magistrato, signore. Non so nulla della questione se non che ho l’ordine di arrestarvi.
– Devo venire con voi?
– Purtroppo sì, signore.
– Sono di sangue nobile, un caballero.
– Ho i miei ordini.
– Così devo venire immediatamente? Ma forse l'udienza si terrà prontamente. Tanto meglio, per tutti i
Santi. Faremo chiarezza più rapidamente. Andiamo al presidio?
– Signore, andate in prigione! – disse il sergente.
– In prigione? – urlò don Carlos. – Come osate? Come potete buttare un caballero in un carcere sporco?
Nello stesso posto di nativi insubordinati e criminali comuni?
– Questi sono i miei ordini, signore. Preparatevi ad accompagnarci.
– Devo prima dare le mie istruzioni al soprintendente per quanto riguarda la gestione della fattoria.
– Devo venire con voi, signore.
Il volto di don Carlos divenne rosso sangue. Le sue mani strette come a volesse prendere il sergente alla
gola.
– Dovrei essere insultati ad ogni mia parola? – gridò. – Pensate davvero che fuggirei come un criminale?
– Ho i miei ordini, signore. – ripeté il militare.
– Almeno posso dare questa notizia a mia moglie e mia figlia senza avere un estraneo alle mie spalle?
– Vostra moglie è Pulido Dona Catalina Pulido?
– Certamente.
– Mi è stato ordinato di arrestare anche lei, signore.
– All’inferno! – sbottò don Carlos. – Osereste mettere le mani su una donna? E per di più cacciarla dalla sua
casa?
– Questi sono gli ordini. Anche la signora viene accusata di tradimento e di aiuto ai nemici dello stato.
– Per Dio! Questo è troppo! Mi batterò contro di voi e i vostri uomini finché avrò respiro in corpo!
– Il che non sarà per molto, don Carlos. Devo eseguire i miei ordini.
– La mia amata moglie messa agli arresti come una fanciulla nativa! E dove vorreste portarla, sergente?
– Anche lei verrà in prigione.
– Mia moglie in quel luogo infame? Non c'è giustizia in questo paese? Lei è una signora di nobile sangue.
– Basta così, signore. I miei ordini sono ordini, e li devo eseguire. Io sono un soldato e obbedisco.
Ora Dona Catalina arrivò di corsa sulla veranda, dopo aver ascoltato tutto dietro la porta. Il suo viso era
bianco, ma v'era stampato anche un grande orgoglio. Temeva che suo marito attaccasse il militare, e poteva
finire ferito o ucciso.
– Avete sentito? – chiese don Carlos.
– Ho sentito, marito mio. Sì, ma non siamo troppo orgogliosi per l’ordini di questi soldati, che stanno
ubbidendo ai loro ordini. Un Pulido resta un Pulido, marito mio, anche dentro ad un carcere.
– Ma che vergogna! – fece don Carlos. – Che cosa significa tutto questo? Dove andrà a finire? E nostra figlia
che resterà sola qui con i servi. Non abbiamo parenti, né amici.
– Vostra figlia è la signorina Lolita Pulido? – chiese il sergente. – Allora non piangete, signor mio, non vi
separeremo. Ho un ordine di arresto anche per vostra figlia.
– Anche lei?
– Lo stesso, senor.
– E dove volete portarla?
– In prigione.
– Un innocente, una nobile, una ragazza così dolce?
– Questi sono i miei ordini, signore. – disse il sergente.
– Che i santi possano dannare l'uomo che li ha rilasciati! – urlò don Carlos. – Hanno portato via le mie
ricchezze e le mie terre. Hanno gettato la vergogna su di me e la mia famiglia. Ma, grazie ai santi, quei cani
non spezzeranno il nostro orgoglio!
Poi don Carlos con gli occhi umidi, ma a capo dritto, prese sua moglie per un braccio ed entrò in casa, con
il sergente alle calcagna. Diede poi la notizia alla signorina Lolita, che rimase dapprima muta, e poi scoppiò
in un torrente di lacrime. Ma poi l'orgoglio della sua famiglia tornò in lei, e si asciugò gli occhi, e guardò con
disprezzo il sergente, passandogli accanto.
I domestici portarono il carrozzino davanti alla porta, don Carlos e la moglie e la figlia vi salirono, e il
viaggio della vergogna iniziò.
Il loro cuore era pieno di dolore, ma non uno dei Pulido lo mostrarono. Le loro teste erano alte,
guardavano diritto, fingevano di non sentire gli insulti dei soldati.
Per la strada si affollò gente che, meravigliata, non parlava. Alcuni guardavano con colore, ma altri
sorridevano, a seconda di chi era leali verso il corrotto governatore e ha chi invece aborriva l’ingiustizia.
E così, finalmente, sono arrivarono a Reina de Los Angeles, e lì i Pulido furono insultati senza mezzi termini.
Il governatore aveva fatto diffondere la notizia del loro arrestato dai soldati e in più aveva pagato i peones e
i nativi per far deridere i prigionieri. Secondo il governatore era un esempio per impedire alle altre famiglie
nobili di andare contro il suo potere, e in maniera che i Pulido fossero odiati da tutte le classi.
Furono accolti dalla folla ai margini della piazza. Ci furono crudeli fischi e lazzi, alcuni dei quali un
innocente signorina non avrebbe dovuto sentire. Il volto del furioso don Carlos era una maschera di sangue,
e Dona Catalina e sua figlia aveva le lacrime agli occhi, le loro labbra tremavano, ma restarono fisse nel loro
atteggiamento orgoglioso.
L'arrivo alla piazza del Carcel, la prigione, fu fatta volutamente lenta. Alla porta della locanda c'erano una
folla di monelli che avevano bevuto vino a scapito del governatore, e le loro urla si aggiunsero al frastuono.
Qualcuno gettò del fango sul petto di Don Carlos, ma lui rifiutò di accorgersene. Aveva un braccio intorno
a sua moglie, l'altro intorno a sua figlia, come per dare loro l’unica protezione che aveva, il suon affetto, e
continuava a guardare dritto davanti a sé.
Ci sono furono anche dei gentiluomini che assistettero alla scena, ma non presero parte nel tumulto.
Alcuni di loro avevano la stessa età di don Carlos, e questo nutrì nel loro cuore l'odio per il governatore.
Ma altri erano giovani, con il sangue che scorreva caldo nelle loro vene, e rivolgendo lo sguardo al volto
sofferente di Dona Catalina immaginarono con rabbia la loro stessa madre al suo posto, e così vedendo il bel
viso della signorina vedendoci la sorella o la fidanzata.
E alcuni di loro si scambiarono un'occhiata furtiva, e anche se non parlavano stavano chiedendo la stessa
cosa, se Zorro, saputo di questa infamia, avrebbe inviato parola in giro per radunare i membri della nuova
lega.
Il carrozzino si fermò infine davanti al carcere, circondata dalla folla dei chiassosi nativi e peones. I soldati
fecero finta di far in modo di calmarli poi il sergente smontò da cavallo e costrinse don Carlos, insieme a sua
moglie e a sua figlia a scendere a terra.
Gli uomini rozzi ed ubriachi li urtavano mentre camminavano su per le scale fino alla porta. Venne gettato
altro fango, che schizzò l’abito di Dona Catalina. Ma se la folla aspettava un'esplosione di rabbia da parte
dell’anziano caballero, rimase delusa. Don Carlos restò a testa alta, ignorando completamente la folla.
Il sergente batté con forza sulla porta, usando l'elsa pesante della sua spada. Un spioncino venne aperto, e
in esso apparve maligno, il volto sorridente del carceriere.
– Che cosa abbiamo oggi? – chiese.
– Tre prigionieri sotto accusa di tradimento. – rispose il sergente.
La porta si spalancò. Ci fu un ultima sequenza di fischi dalla folla, e poi i prigionieri furono dentro, e la
porta fu rinchiusa e sprangata di nuovo.
Il carceriere aprì la strada lungo un maleodorante corridoio e spalancò un'altra porta.
– Dentro voi. – disse poi alla famiglia Pulido.
I tre prigionieri vennero spinti all'interno, e la porta fu chiusa e sbarrata. Gli occhi sbatterono le palpebre
nella semioscurità. A poco a poco si cominciò a vedere due finestre, alcune panchine, e alcuni relitti umani
distesi contro i muri.
Non avevano dato ai Pulito neanche la cortesia di un ambiente pulito, o di una cella privata. Don Carlos
con la moglie e la loro unica figlia erano stati gettati insieme con la feccia del pueblo, con ubriaconi e ladri
con donne disonorato e nativi offensivi.
Si sedettero su una panchina in un angolo della stanza, il più lontano possibile dagli altri. E poi Dona
Catalina e sua figlia cedette alle lacrime, e le lacrime percorse anche il volto dell’anziano don Carlos mentre
cercava di confortarle.
– Come sarei grato ai santi se don Diego Vega fosse stato il tuo fidanzato, ora Lolita. – sospirò don Carlos.
Sua figlia strinse il suo braccio.
– Forse, padre mio, un amico verrà. – sussurrò. – E forse l'uomo malvagio che ha causato questa sofferenza
avrà la sua punizione.
In quei attimi di sofferenza apparve alla fanciulla il volto mascherato di Zorro, a dargli quella fiducia che
scaturiva dal suo cuore innamorato.


Marco Pugacioff
  

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