Le mura di
Paris
La notte del 12
agosto 1259, pochi mesi dopo un tremendo terremoto che secondo tradizione fu
preceduto da un infausto e raggelante strepito di cavalli, il conte camerinese
Ranieri Baschi, fedele all’imperatore Federico II – e quindi ora, a suo figlio
Manfredi – da un bastione fece con una torcia un segnale al vicario generale
della Marca di Ancona, del ducato di Spoleto e della Romagnola, il genovese
Princivalle Doria che attendeva alla torre di Beregna. E Baschi aprì poi la
porta Orientale di Camerino a ben 500 cavalli condotti da saraceni e imperiali che
si diedero alla rapina e alla strage.
Quattro giorni
dopo, l’antica città fondata dai Camerti Umbri fu atterrata; ma gli uomini di
Cingoli, Montecchio (Treia) e San Ginesio si rifiutarono di rovinare la parte
del centro abitato a loro destinata, e così rimase intatto quel quartiere verso
la Porta Orientale (poi Porta Giulia) che per essere sotto il duomo, si
chiamava Sub Santo, poi Sossanta. V.
Patrizio Savini, Storia di Camerino,
1859, pag. 54
«non molto tempo dopo […] il Dоria si annegò vicino a
Terni nel passaggio della Nera, ed il Baschi fu
ucciso vicino ad Orbisaglia.» Camillo Lilli,
dell’Historia di Camerino edizione
del 1835, pag. 306
Questa la fine
di Camerino. Poi nel 1872 Aristide Conti, nel suo libro Camerino e i suoi dintorni
a pag. 253 documenta una voce della tradizione orale che agli incolti e aridi
intellettualoidi di stile universitario fa ridere a piene ganasce, ma a chi
vuol cercare di illuminare i secoli oscuri della Storia, fornisce una fiaccola
inaspettata; il passo narra che: La porta altre volte detta Orientale, devesi a Giulio Cesare
Varano: il bastione, ricordato da un
vicolo a sinistra, fu fatto da Guidubaldo della Rovere nelle così dette « mura di Paris: »
M.P.
“Dio
vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verita”.
( 1 Timoteo 2, 4 )
Questo
inizio preso da una lettera di san Paolo non piacerà a qualche vecchio stalinista
mangiapreti. Ma questa ricerca della verità me la porto dietro da ragazzo,
quando appoggiandomi ai vecchi muri della chiesa di San Claudio al
Chienti, san Chiodu per gli aborigeni,
mi chiedevo: “Come è possibile che non si sappia niente di chi ha tirato su
questo edificio, che non è venuto su come un fungo, per cui certamente ci son voluti
sangue, sudore e lacrime?“
Oggi
posso dire di aver avuto una risposta insperata a questa domanda, grazie
all’intuito di un sacerdote salesiano, don Giovanni Carnevale. Non ebbi
immediata conoscenza del clamoroso "scoop” comparso nel 1993 sulla rivista
della provincia di Macerata, di cui l’assessore alla cultura responsabile, tal
Menichelli, si affrettò a lavarsi le mani come Pilato. Ne fui informato dopo diversi
mesi. Ma nel 1994 ero fra i quattro gatti convenuti in un auditorium della
città di Treia ad ascoltare il poliedrico professore.
Proprio
alle mie spalle avevo due noti presidi
di due scuole maceratesi, il prof. Vita e il prof. Caldarelli, purtroppo
oggi entrambi buone anime. Benché
fossero entrambi persone serie e di una certa età, non avevano scrupoli a
scompisciarsi dalle risate, come due scolaretti, nell’ascoltare le tesi del
loro collega più anziano. Normale
reazione della cultura ufficiale e
dell’ambiente accademico. Che fece anche di peggio, ignorando completamente la
teoria di Carnevale. Veramente ci fu una risposta di una, ( meglio che resti
anonima ), professoressa dell’Università
di Macerata, che riuscì a riempire il teatrino antistante la chiesa di san
Claudio con la promessa di pronunciarsi sull’argomento.
Dopo
oltre tre ore di tedioso sfoggio di cultura
ritrita, la grande cattedratica si pronunciò:
“La
teoria del prof. Giovanni Carnevale non sta né in cielo né in terra”.
Mi aspettavo che dopo la drastica sentenza
venisse anche data una logica
motivazione. La motivazione non fu proferita ma lasciata intendere:
“Perché
lo dico io che sono un’accademica!“
Il
marchese del Grillo ci avrebbe aggiunto anche una parolaccia, ma lasciamo
perdere.
Ritornando alla conferenza del 1994 a Treia
il professor Carnevale chiese aiuto alla platea, invito reiterato, “di
fronte ad un mare-magnum di bibliografia da rileggere e interpretare sotto una
nuova luce.” Io un aiuto lo diedi
subito, nonostante la soggezione che avevo per i due presidi che stavano
sghignazzando a mezzo metro da me.
Feci
presente che nel Capitulare de villis
si ordina esplicitamente di fare il vino cotto, prodotto tipico delle campagne
maceratesi, con epicentro a Loro Piceno.
Don
Carnevale questo capitolare non lo aveva ancora mai sentito nominare, ma prese
subito la palla al balzo. Un altro consistente aiuto lo diedi pubblicando nel 1997 “Aquisgrana
Restituta”.
In
quegli anni ho conosciuto una collega
biologa che si interessava anch’essa alla storia del territorio, Simonetta
Torresi, che mi disse di essere pervenuta alla scoperta di una storia diversa
dalla versione ufficiale
indipendentemente da Carnevale.
Dopo il 1997 io, per problemi in famiglia, smisi di interessarmi della
storia locale. La collega biologa invece è andata avanti come un treno, fino a
produrre un lavoro immane: “La storia dei popoli delle Marche ovvero l’origine
dell’Europa”.
Oggi
che sono pensionato ho ripreso ad interessarmi saltuariamente all’argomento,
che è un tentativo di riscrivere una storia del Medioevo più aderente ai fatti
realmente avvenuti in questo territorio.
Visto
che la storia va riscritta, su questo non ci piove, da qualche parte debbo
cominciare. Sono titubante a contraddire la ricostruzione di don Carnevale e del
suo collaboratore Antognozzi, anche perché
la loro ultima fatica è appena stata sfornata e non ho avuto ancora il
tempo di leggerla con calma.
Mi è
sembrato di capire che il professore salesiano localizza “saint Denis” con San
Ginesio ma evita di localizzare Parigi. Ma
mi sembra ovvio che se abbiamo in loco un doppione di Aquisgrana e di Roma ci
deve essere stato anche un doppione di Parigi, la capitale dei Franchi[1].
Nel
lavoro della professoressa Torresi, che ho letto e riletto, Parigi è
localizzata a Macerata. A me questa ipotesi non convince. Mi perdoni se
contraddico ma lo faccio a scopo costruttivo, non per voglia di litigare. Se
poi lei o qualcun’altro mi convince che sbaglio sono pronto a fare ammenda.
Secondo
me la Parigi primigenia, la
capitale della prima Francia, va
spostata a Camerino.
Mi ci ha
fatto pensare l’amico Marco Pugacioff, che mi ha informato della presenza a
Camerino delle “mura di Paris”, sottolineando che Camerino è molto più antica
di Macerata, e che Macerata è stata cinta di mura solo dall’Albornoz.
La
capitale dei Franchi doveva essere una roccaforte difesa da mura già ai tempi
di Guido e Lamberto e quasi sicuramente dai tempi preromani. Secondo me i
Vidoni ebbero il titolo di Imperatori del impero romano carolingio perché
stavano nella capitale dei Franchi. Ma oltre a Marco, che è di famiglia
Camerinese, Cicero pro domo sua, quello che mi aveva già convinto in
precedenza è fra’ Gregorio da Napoli.
Questo frate è il primo a cui frate Elia scrive una lettera per
comunicare il decesso del fondatore dell’Ordine, Francesco d’Assisi; siamo al 4
ottobre del 1226. Scrive a lui in qualità di Provinciale di
Francia dell’Ordine dei Minori, e lo era da due anni.
Di lui scrive Tommaso da Eccleston: “Quis enim Gregorio in praedicatione
vel praelatione in Universitate Parisius vel clero totius Franciae
comparabilis? Et tamen in fine meruit
perpetuum carcerem”. ( Chi fu pari a Gregorio nel
predicare o nel governare sia all’Università di Parigi che nel clero di tutta
la Francia? E tuttavia alla fine si meritò il carcere a vita.)[2]
Si riferisce al fatto che fra’ Gregorio, nonostante fosse
nipote del papa Gregorio IX, fu fatto incarcerare da Aimone da Faversham
perché, in ossequio a Frate Elia, se la prendeva eccessivamente con gli
Zelanti. Ora se frate Elia vuol far sapere a tutti i frati che è morto il
fondatore dell’Ordine scrive una lettera ad un Provinciale che sta in un posto
pieno di Francescani o no? E questo stava a Parigi. Ma i biografi di san
Francesco sanno benissimo, e lo scrivono pure, che la maggior parte dei
francescani a quella data stavano nelle Marche.
Carlo
Bo ha scritto: “San Francesco è nato ad Assisi ma il francescanesimo è nato
nelle Marche.”
Inoltre
Silvia Gabrielli, al capitolo X del suo e-book San Francesco: il giullare di Dio riferisce «Alla sua partenza per la Terrasanta aveva
affidato i fratelli a due vicari: Matteo di Narni e Gregorio di Napoli.
Gregorio doveva percorrere l'Italia per confermare e aiutare i frati, mentre
Matteo doveva restare nella Porziuncola per accogliere i frati che volevano
entrare nell'Ordine.» Questa, fra le
biografie del santo è la prima che ho trovato ad ammettere che praticamente
Gregorio da Napoli[3] esercitava il suo ministero in Italia.
Leggendo il noioso testo di frate Eccleston ho anche notato che
fra’ Gregorio si sposta da Sanctus Dionysius all’Universitate Parisius
senza mettere il naso altrove. Eppure la Francia è così vasta! Mi torna più
semplice pensare che il raggio d’azione del ministro francescano oscillasse tra
Camerino e San Ginesio.
Ma
ora spostiamoci nella Francia con il
Rodano e la Senna agli inizi del XIII secolo.
Dal
1209 al 1229 non ci fu la crociata contro i Catari, culminata col massacro di
Beziers?
Allora
come facevano a stare sulle rive della Senna tutti questi devoti di Sorella
Povertà? Se ben ricordo c’era poca differenza fra i seguaci di san Francesco e
i Catari, se si prescinde dal fatto che
i primi riconoscevano la supremazia del clero e i secondi no. Come potevano
stare la maggior parte dei francescani oltre le Alpi, in un posto dove
comandava Filippo Augusto, che appoggiava l’estirpazione dell’eresia Catara?
Non diceva Arnaldo di Citeaux ai suoi pietosi soldati: “Ammazzateli tutti che
Dio riconoscerà i suoi”?
Che poi nelle biografie di san
Francesco i Catari o Patareni o come li si voglia chiamare non compaiono in
alcun modo: come è possibile? Secondo me
alla morte di san Francesco la maggior parte dei francescani si trovava ad una giornata
di cammino da Assisi, dal versante opposto del monte Pennino, a Camerino e dintorni.
I
dintorni di Camerino pullulano di luoghi collegati al primo francescanesimo,
con una concentrazione che non ha eguali forse neanche ai dintorni di Assisi,
spesso ignorati dalle tante biografie del santo, perché supportati da
tradizione e non da documenti scritti.
A
– Sefro: grotta del beato Bernardo di Quintavalle.
B
– Monte San Vicino: grotta di San Francesco, dove avrebbe pernottato.
C
- Cerreto d’Esi: Eremo dell’Acquarella,
sede del 1° capitolo dei Cappuccini.
D
– Muccia: Eremo del beato Rizzerio, che incontrò S. Francesco a Bologna da
studente.
E
– Pontelatrave: dove il santo mutò l’acqua in vino, presso Beldiletto.
F
– Camerino: Convento di Renacavata, forse il primo dell’Ordine Francescano.
G
– Sarnano: dove il santo disegnò il serafino per lo stemma del comune.
H
– Eremo di San Liberato, sempre presso Sarnano.
I
– Eremo di Soffiano, anch’esso presso Sarnano.
K
- San Severino: incontro con frate
Pacifico e l’episodio della pecora dei Fioretti.
L
– Grotta dei Frati nella Valle del Fiastrone, con i Clareni.
E forse qualcuno mi sfugge.
Per
quanto mi risulta sulle rive della Senna l’Università fu fondata da Robert de
Sorbon nel 1253 circa e solo dopo questa data cominciò ad avere una certa
rilevanza. Certo, mi si potrebbe obiettare che prima di Sorbon già esisteva una
Università riconosciuta da re Filippo II Augusto e da papa Innocenzo III. Ma mi
suona strano che il papa dovesse riconoscere l’Università in cui aveva studiato
da giovane! Sarebbe come dire: «La scuola dove ho studiato non valeva niente,
ma ora è diventato un istituto serio!»
È
comunque probabile che per un certo periodo ci potrebbero essere state due
Università di Paris, ma per
distinguere a quale delle due si riferiscono i documenti, oggi ci vorrebbe la
macchina del tempo. Inoltre da quanto ha scritto il professor Carnevale, mi
sembra di aver capito che ai tempi di Filippo Augusto e dell’abate Sigerio di
Saint Denis si attuò una Translatio Regni Francorum, che non risulta dai documenti, ma che
ci deve essere stata per forza, se prendiamo per buona l’ipotesi storica del
professore.
E poi
alla Biblioteca Nazionale di Parigi si trovano documenti che non riguardano
solo l’attuale territorio francese, come quelli che riguardano Francesco di
Assisi o come in Germania sono finiti documenti riguardanti Francia e Italia. Ad
esempio il Capitulare de Villis fu
ripescato ad Helmstedt. Questo autorizza a dire che la terra del Capitulare si trovi fra l’attuale land
della Bassa Sassonia e Sassonia-Anhalt?
Prima della
data di fondazione della Sorbona, una miriade di personaggi andavano da Roma a
Parigi come fosse la passeggiata dell’orto. Tommaso d’Aquino, che fra l’altro
aveva un fisico corpulento, avrebbe seminato Reinhold Messner con la sua
falcata potente, nell’attraversare le Alpi.
Se
nel 1259 Percivalle Doria, che guidava le truppe di Manfredi, non avesse messo a
ferro e fuoco Camerino, bruciando tutto quanto c’era di combustibile, forse
oggi non sarebbe Bologna ad essere considerata la sede universitaria più antica
d’Italia e d’Europa. Ciononostante risorse e il termine ”Universitate Parisius”
continuò ad essere utilizzato anche dopo il 1259.
Da
qui l’enigma di Dante, che visitò Parigi senza valicare le Alpi. Per me il “vicolo degli strami” sarebbe più
facile da trovare a Camerino che presso
le rive della Senna. La diocesi di Camerino tornò ad essere la più estesa delle
Marche, come ai tempi di santo Ansovino, vescovo di Camerino che fu consigliere
e padre spirituale di Ludovico il Pio.
Siccome
leggo un sacco di cose e poi le rimugino, quasi fossi un ruminante, mi ha dato
da pensare anche questo personaggio: Alcuino di York.
Ho letto la sua vita da un noiosissimo commento in latino
di un certo Abate Frobenius di Ratisbona, scritto nel 1777. Cerco di farla
breve senza ripetere tutta la vita di Alcuino detto anche Albino. Con lui
facciamo un passo indietro ai tempi di Carlo Magno. Il famoso re, futuro
imperatore, conobbe Alcuino a Parma mentre questi tornava da Roma nel 781.
Carlo, entusiasta della sua cultura, lo invitò a trasferisci in Francia e a
stabilirsi a corte, come “maestro della Scuola Palatina” di Aquisgrana. Ritornò
in Inghilterra nel 786 e 790. Fu di nuovo in Francia nel 792. Partecipò al
sinodo di Francoforte dove confutò l’eresia adozionista[4]. Fino al 796 risiedette perlopiù alla corte di Carlo
Magno, seguendolo spesso nei suoi spostamenti. Dopo il 796 chiese al suo amico
re di ritirarsi nel monastero di Fulda, ma il sire “per tenerselo vicino” lo
mandò all’abbazia di San Martino di Tours.
Da
questa abbazia continuò ad essere il più ascoltato consigliere del re, anzi in
qualche caso si spostò “il Grande Carlo” da lui, all’abbazia di San Martino.
Alcuino morì nella sua abbazia nell’804.
Ora
ragioniamo. Tours dista da Aachen circa 750 km. C’era da attraversare la Mosa,
la Senna, la Loira e foreste quasi vergini. Solo ad andare ci sarebbero voluti
quasi dieci giorni, ad un cavaliere che fosse andato di fretta, ma di molta
fretta. Un tempo con cui da Aachen si poteva andare per fiume e per mare anche
a York.
Ma se
il santuario di San Martino era a Monte San Martino[5] e Aquisgrana nella Val di Chienti, sotto Macerata, con un
normale ronzino, anche a quei tempi si poteva andare e tornare in giornata. E
quindi non mi sorprende che l’abate Frobenius si chieda: “Non sarà che
l’università di Parigi sia stata fondata da Alcuino o da Carlo Magno”[6].
Gli
rispondo subito: “Sì, perché stavano tutti
e due nella Francia picena e l’università di Parigi fu fondata a
Camerino.” Alcuino per Carlomagno fu una specie di “ministro della pubblica
istruzione” e i suoi allievi furono determinanti per il sorgere di parecchi Studi
generali o università in embrione.
Ponendo
nel Piceno la prima Università d’Europa si scioglie un altro enigma, si comprende molto meglio la dinamica della
nascita della lingua italiana, che è nata qui, a cavallo dei monti Sibillini,
agli inizi del XIII secolo. Checché ne dica Dante Alighieri nel “De vulgari
eloquentia” l’idioma toscano è figlio e non padre della lingua che si parlava
nel Ducato di Spoleto, che ricordo a chi
non ne avesse idea che comprendeva sia l’ovest che l’est dei monti Sibillini.
Con un centro come l’Universitate Parisius, a cui convenivano le
menti più acute di tutta Europa, si spiega come il dialetto di Spoleto possa
essere diventato “cardinale, aulico e curiale”.
Questi personaggi colti fra di loro parlavano in latino ma non erano
fatti di puro spirito: dovevano interloquire anche con la gente comune.
Dante,
tanto di cappello, la fece diventare “illustre”, ma la lingua italiana ai suoi tempi era già
nata: E’ o non è il “Cantico delle creature” di san Francesco il primo
componimento scritto in Italiano?
Giovedi scorso mi son fatto un giro per Camerino, dove
mi sono laureato nel 1975, non in utroque
iure ma in Scienze Biologiche. Ci
venivano studenti dalla Puglia, dalla Calabria, dalla Grecia. Mi chiedevo a
quei tempi: “ Come ci può stare in questo piccolo paese una sede universitaria
quando ce n’è già una in provincia, a
Macerata?“ La risposta ora ce l’ho: “Perché c’era prima che a Macerata”. Ricordo che in una sala del palazzo ducale di
Camerino ci sono i ritratti dei rettori
di vecchia data dell’Università: qualcuno di questi era conte del Sacro
Romano Impero. Allora mi chiedevo” che ci azzecca?” ora mi pare abbastanza
chiaro.
Giovedì
scorso sono arrivato sotto la statua di Sisto V, che non si è spostato col
terremoto, ma la targa di bronzo non c’è più; c’è una copia fotografica
illeggibile da cui non si capisce che papa è. Avrei voluto fare un giro per le
vie del centro ma era zona rossa. C’era
una camionetta dell’Esercito; c’era un vigile del fuoco a cui ho chiesto se si
poteva andare, ma sapevo già la risposta: assolutamente no! C’era un gruppo di
ragazzi muniti di casco che stavano entrando. Avevano l’età che avevo io cinquanta
anni orsono, quando arrivai la prima volta a Camerino. Ma come è cambiata
l’atmosfera!
Potrà
tornare questo mortorio ad avere una vita normale? Potrà mai credere qualcuno che da questo
paesetto fra le montagne, messo in ginocchio dal terremoto, è nata l’Europa moderna? Sic transit gloria
mundi. Amen.
Macerata
4 maggio 2019.
Mancini
Enzo
[1] Dice la guida T.C.I.
delle Marche su Camerino «da Carlo Magno fu fatta capoluogo dell’omonima Marca
che si stendeva dall’Appennino all’Adriatico» ovvero la Francia primitiva. p. 505, Milano Quarta edizione 1979.
[2] Vedi: Francesco
Salvatore Attal, san Francesco d'Assisi,
Messaggero di S. Antonio del 1947, pag.452: Lettera di frate Elia "Al
caro fratello in Cristo Gregorio, Ministro dei frati che sono in Francia",
e pag. 487: Nota 2 su Gregorio da Napoli con testo in latino.
Thomas of Eccleston
era un cronista francescano inglese del XIII
secolo.
È conosciuto per De Adventu Fratrum Minorum in
Angliam. Si hanno notizie su di lui dal
1224, quando i frati francescani arrivarono per la prima volta in Inghilterra,
sotto Agnellus di Pisa, al 1258. Si
designa semplicemente come "Fratello Tommaso". L’appellativo di
"Eccleston" sembra essergli stato dato dallo storico inglese
John Bale
(1495 - 1563) vescovo di Ossory.
[3] Accesserunt ergo quatuor isti ad ministrum, fratrem scilicet Gregorium
de Neapoli, et ab eodem recepti [sunt] apud S. Dionysium, […] Fratrem Gregorium de
Neapoli Parisius Ministrum Franciae, […] vedi
Eccleston in pagg. 22 – 23 in Monumenta Franciscana, J. S. Brewer, London 1858
[4] Sotto Carlomagno l’eresia adozionista venne
sostenuta da Felice di Urgel ed Elipando di Toledo.
[5] Dice la guida T.C.I.
delle Marche su Monte San Martino «paese su un colle panoramico, strapiombante
con pareti rocciose sulla valle del Tenna. È circondato da lunghi tratti di
mura difese da torri. Pare venisse fondato nel sec. IX dai Franchi» p. 566,
Milano Quarta edizione 1979.
[6] Frobenius Forster
(1709 - 1791) un benedettino tedesco, scrisse un trattato sulle opere di
Alcuino [FROBENII COMMENTATIO DE VITA B. F. AlBINI SEU ALCUINI], apparso in due
volumi in folio (4 parti) a Ratisbona nel 1777; Poi
ristampato nella Patrologia latina del Migne (voll. C e CI) [Vedi per le
notizie: https://en.wikipedia.org/wiki/Frobenius_Forster]:
An scholae huic universitas Parisiensis
suos natales et Alcuino seu Carolo Magno suam originem debcat?
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
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