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lunedì 17 luglio 2017

Le navi di Nemi



LE   NAVI  DI   NEMI
Articolo apparso sull'Enciclopedia dei ragazzi Mondadori, volume VI, 1958
Libro xx   -   il  LIBRO DELLE CURIOSITÀ - Pagg. 3949 - 3952




Nel 1895 vi fu una importante ripresa delle  operazioni  di recupero delle navi di Nemi. Fu allora  che  vennero  sollevati  dalle   acque   mirabili bronzi  riproducenti  teste  di leoni e di lupi. Eccone qui un perfetto esemplare.  


   Seguire le varie fasi attraverso cui, dai lontani tempi del Rinascimento ai primi trent’anni del nostro secolo, si pervenne al recupero delle navi romane giacenti nel fondo del lago di Nemi, è un po' come seguire un'avventura: tanto più interessante quanto più primitivi sono, in relazione al tempo, i mezzi di scandaglio.
   Fu nel 1441 che Leon Battista Alberti, per incarico  del cardinale Prospero Colonna, intraprese il tentativo, primo della serie, di sollevare la nave più vicina alla cosiddetta Casa del Pescatore,  cioè la prima di quelle che saranno recuperate nel  1930. L'Alberti, che riuscì a trarne su qualche pezzo, riferì che la nave da lui ritenuta di Traiano ( altri ne faranno risalire  la  costruzione  a  Tiberio  e  altri ancora,   in  seguito   ai  definitivi  ritrovamenti,  a  Caligola ) «era fatta,  dal lato di fuori, di tavole doppie e impeciate di pece  greca, con pezzami  di pannilini e di sopra vi avevano fatto una scorza di piastre di piombo, fermandole con chiodi di bronzo». Altre notizie, tramandate da Biondo da Forlì, precisano che la nave  «di dentro poi era fatta talmente che non solo era sicura dalle acque, ma si poteva e dai ferro difendere e dal fuoco». Interessante è la relazione fatta dallo stesso Biondo circa il  modo  con cui  le operazioni   furono   eseguite.   Egli   infatti narra come fossero stati mandati da Genova alcuni marinai che nuotavano come pesci, i quali tuffandosi giù nel fondo del lago sapevano dire la grandezza delle strutture e quanto fossero intiere o rotte. Essi  vi  attaccavano  poi  tanti  uncini  di ferro ed essendosene spezzato uno di quelli legati nella prora, ne venne su solo una parte. A vedere come essa era fatta accorsero i più begli ingegni della Corte romana.
   Si accertò intanto che non una, come era credenza, ma due erano le navi affondate.
  Nel 1535 si procede nell'avventura con una importante innovazione: l'architetto bolognese Francesco De Marchi con un «instrumento, nel quale si entrava e si discendeva nel fondo del lago, dove potevasi indugiare un’ora e più, sino a quando il freddo obbligava a salire», visita il fondo del lago: questo «instrumento» potrebbe essere stato il primo scafandro e il De Marchi potrebbe essere stato il primo palombaro. Il De Marchi riuscì a rimuovere dallo scafo sommerso, a mezzo di argani posti sopra uno zatterone sostenuto da botti galleggianti, grandi quantità di travi di vario legno, insieme a smisurati chiodi di legno, di ferro e di metallo rilucente, con capocchie raggianti d'oro e d'argento. Egli riscontrò minutamente la struttura dello scafo, le fiancate, i pavimenti di «smalto», i mosaici, le «camere» nelle quali, confessa, non osò entrare per la paura di perdersi.
   Passano altri tre secoli e si arriva nel 1827 all'esperimento fatto dall'idraulico romano Annesio Fusconi: anch'egli usò uno scafandro, anch'egli costruì una zattera su botti vuote, anch'egli trasse a galla legname e qualche parte di metallo.
   Nel 1895 vi è ben più importante ripresa delle operazioni di recupero, dirette da Eliseo Borghi e compiute a mezzo di palombari. Fu allora che vennero sollevate dalle acque tarsie di marmo e metallo, bronzi meravigliosi riproducenti teste di leoni, di lupi e della Medusa. Finalmente nel 1927 si decise di giungere alla fine dell'avventura: bisognava recuperare completamente le due navi nemorensi, o scaricando parte delle acque del lago di Nemi in quello di Albano mediante la costruzione di una galleria, o esaurendo le acque del lago con pompe. Si preferì quest'ultimo mezzo e nel '28 ebbe inizio la pompatura, che porterà in due anni all'abbassamento del livello del lago sino a circa 14 metri sotto il livello primitivo. Già dopo un anno, nel '29, la prima nave, la più vicina alla riva, cominciava ad emergere e si iniziava subito la delicata operazione archeologica di scavo. Nonostante la distruzione di tutte le strutture superiori dovuta soprattutto ai tentativi di recupero del passato, vennero a galla in ottimo stato di conservazione bronzi artistici di squisita fattura, una piattaforma girevole, un grande rubinetto in bronzo perfettamente lavorato, meravigliosi mosaici, paste vitree, pavimenti di marmi policromi.
   Raggiunto nei 1930 l'abbassamento del livello già detto, la prima nave venne a trovarsi del tutto scoperta. Si iniziò allora il prosciugamento della zona circostante alla nave e infine si studiò il modo di trasportare la nave sino all'antica riva del lago. Bisognava trainare, senza arrecare danno, una mole il cui peso era stato stimato di 270 tonnellate! Il trasporto fu realizzato avendo formato al disotto della nave una piattaforma a ossatura metallica della larghezza e della lunghezza dello scafo, che potesse scorrere su rotaie ed essere trainata da un argano. Non bisognava però ancora considerare chiusa l'avventura: restava da esplorare e da liberare la seconda nave, che giaceva a una profondità da 15 a 21 metri. Riattivato il funzionamento delle pompe e abbassato il livello del lago sino a 21 metri, tra il giugno e l'agosto del '31 anche la seconda nave era scoperta.
   Con il recupero della seconda nave era stato salvato un altro prezioso documento della tecnica navale romana. Purtroppo, però, nella notte del 31 maggio 1944, gli scafi lignei delle due imbarcazioni vennero completamente distrutti da un incendio appiccato, sembra, da soldati di una batteria germanica piazzata presso il Museo. Ad ogni modo, essi sono stati subito ricostruiti in cemento armato, per cui, insieme alle preziose suppellettili che erano state nascoste a Roma, questi due grandi cimeli sono stati novamente restituiti alla nostra ammirazione e alla storia.



L'appassionante mistero che si è creato attorno alle navi di Nemi durava ormai da parecchi secoli. Già nel1441 fu intrapreso il primo tentativo di recupero delle due imbarcazioni. Ma solo in epoca recente si riuscì a portare a secco i preziosi relitti.  


A che servivano le navi di Nemi?



Ecco la fiancata di una naveportata a galla: Un interessante interrogativo è legato alle navi recuperate nel lago di Nemi: a che scopo esse furono costruite? In seguito ad alcune iscrizioni trovate su certe fistole dell'imbarcazione, sembra ch'esse siano appartenute all'imperatore Caligola che le avrebbe usate come riservatissima dimora estiva.


   Un interessante interrogativo è legato alle navi recuperate nel lago di Nemi: a che scopo esse furono costruite? Discordi sono le ipotesi, come discordi sono stati i pareri circa l'imperatore che ne volle la costruzione: opinione generale è però quella che ne attribuisce la costruzione all'imperatore Caligola, cosi chiamato per i piccoli calzari ch'egli portava.
Escluso che le navi fossero destinate all'uso mercantile o a quello militare, alcuni hanno fondato la loro congettura circa il probabile uso di questi grandiosi palazzi galleggianti basandosi sulla natura pavida e sospettosa di Caligola, il quale può aver sognato di rifugiarsi, lontano dai pericoli temuti, in mezzo alle acque di quel lago tanto famoso per il tempio e il culto di Diana. Egli avrebbe fatto costruire per sé e per la sua corte un vero palazzo galleggiante, che corrisponderebbe alla prima delle due navi recuperate, la più ricca e adorna, mentre la seconda potrebbe avere avuto la funzione di collegare il «palazzo»  alla riva.
Altri studiosi hanno creduto di riconoscere nella prima nave le caratteristiche delle terme, avendo notato i resti dei pavimenti con la intercapedine, a   dimostrare che si trattava di un edificio riscaldato, e le grandi condutture di piombo, indice che la nave era fornita abbondantemente di acqua.  E hanno congetturato: quel Caligola che è arrivato a tal punto di stranezza da nominare senatore il suo cavallo, da far gettare un ponte di navi sul mare per passarvi sopra con grande apparato di forze come un novello Serse, quello stesso imperatore avrebbe fatto costruire una  pseudonave  per porvi sopra un ele­gante stabilimento di bagni. Come nel lago di Albano ciascuna villa aveva il suo piccolo stabilimento e il suo imbarcadero, cosi la villa di Caligola sulle rive del Iago nemorense  avrebbe  avuto il  suo  stabilimento, costruito però, a differenza degli altri, su una base galleggiante.
   Un'altra ipotesi, legata al tempio e al culto di Diana, ha trovato una smentita nella vastità della mole e nella conseguente difficoltà di movimento e di approdo delle navi. Si era infatti pensato che le due navi avessero potuto appartenere al tempio di Diana e che fossero usate per il trasporto di visitatori da una riva all'altra o per cerimonie religiose o per processioni nei lago. Ma come avrebbe potuto essere adatta a ciò quella, soprattutto, delle due navi che era soverchiata di edifici e carica di bronzi, di piombi, di mosaici? È più verosimile, dunque, che le navi fossero dì proprietà di Caligola, a qualunque scopo egli le avesse destinate, e che dopo la sua morte, avvenuta nel '41 d. C, abbandonate alle intemperie e senza custodi che ne assicurassero la conservazione, l'acqua sia penetrata nelle stive e le abbia fatte a poco a poco sommergere. 


Ricostruzione ideale d'una delle navi di Nemi, e precisamente della maggiore, quella che, secondo una interpretazione degli storici, l'imperatore Caligola costruì per i suoi svaghi personali e i suoi riposi.
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   Come cantava Ettore Petrolini negli anni '30 in Una gita pe' li Castelli Romani:
«Qua c'è Ariccia, più giù c'è Castello
ch'è davvero un gioiello con quel lago da incantà,
e de fragole un profumo solo a Nemi puoi sentì,
sotto quel lago un mistero ce stà,
de Tiberio le navi sò l'antica civiltà...»

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