LE NAVI
DI NEMI
Articolo apparso sull'Enciclopedia
dei ragazzi Mondadori, volume VI, 1958
Libro
xx - il LIBRO
DELLE CURIOSITÀ - Pagg. 3949 - 3952
Nel 1895 vi fu una
importante ripresa delle operazioni di recupero delle navi di Nemi.
Fu allora che vennero sollevati dalle
acque mirabili bronzi riproducenti teste di leoni
e di lupi. Eccone qui un perfetto esemplare.
Seguire le varie fasi
attraverso cui, dai lontani tempi del Rinascimento ai primi trent’anni
del nostro secolo, si pervenne al recupero delle navi romane giacenti nel fondo
del lago di Nemi, è un po' come seguire un'avventura: tanto più interessante
quanto più primitivi sono, in relazione al tempo, i mezzi di scandaglio.
Fu nel 1441 che Leon Battista Alberti, per
incarico del cardinale Prospero Colonna, intraprese il tentativo, primo
della serie, di sollevare la nave più vicina alla cosiddetta Casa del
Pescatore, cioè la prima di quelle che saranno recuperate nel 1930.
L'Alberti, che riuscì a trarne su qualche pezzo, riferì che la nave da lui
ritenuta di Traiano ( altri ne faranno risalire la
costruzione a Tiberio e altri ancora,
in seguito ai definitivi ritrovamenti,
a Caligola ) «era fatta, dal lato di fuori, di tavole doppie e
impeciate di pece greca, con pezzami di pannilini e di sopra vi
avevano fatto una scorza di piastre di piombo, fermandole con chiodi di
bronzo». Altre notizie, tramandate da Biondo da Forlì, precisano che la
nave «di dentro poi era fatta talmente che non solo era sicura dalle
acque, ma si poteva e dai ferro difendere e dal fuoco». Interessante è la
relazione fatta dallo stesso Biondo circa il modo con cui le
operazioni furono eseguite.
Egli infatti narra come fossero stati mandati da Genova alcuni
marinai che nuotavano come pesci, i quali tuffandosi giù nel fondo del lago
sapevano dire la grandezza delle strutture e quanto fossero intiere o rotte.
Essi vi attaccavano poi tanti uncini di
ferro ed essendosene spezzato uno di quelli legati nella prora, ne venne su
solo una parte. A vedere come essa era fatta accorsero i più begli ingegni
della Corte romana.
Si accertò intanto che non una, come era credenza, ma
due erano le navi affondate.
Nel 1535 si procede nell'avventura con una importante
innovazione: l'architetto bolognese Francesco De Marchi con un «instrumento,
nel quale si entrava e si discendeva nel fondo del lago, dove potevasi
indugiare un’ora e più, sino a quando il freddo obbligava a salire», visita il
fondo del lago: questo «instrumento» potrebbe essere stato il primo scafandro e
il De Marchi potrebbe essere stato il primo palombaro. Il De Marchi riuscì a
rimuovere dallo scafo sommerso, a mezzo di argani posti sopra uno zatterone
sostenuto da botti galleggianti, grandi quantità di travi di vario legno,
insieme a smisurati chiodi di legno, di ferro e di metallo rilucente, con
capocchie raggianti d'oro e d'argento. Egli riscontrò minutamente la struttura
dello scafo, le fiancate, i pavimenti di «smalto», i mosaici, le «camere» nelle
quali, confessa, non osò entrare per la paura di perdersi.
Passano altri tre secoli e si arriva nel 1827
all'esperimento fatto dall'idraulico romano Annesio Fusconi: anch'egli usò uno
scafandro, anch'egli costruì una zattera su botti vuote, anch'egli trasse a
galla legname e qualche parte di metallo.
Nel 1895 vi è ben più importante ripresa delle
operazioni di recupero, dirette da Eliseo Borghi e compiute a mezzo di palombari.
Fu allora che vennero sollevate dalle acque tarsie di marmo e metallo, bronzi
meravigliosi riproducenti teste di leoni, di lupi e della Medusa. Finalmente
nel 1927 si decise di giungere alla fine dell'avventura: bisognava recuperare
completamente le due navi nemorensi, o scaricando parte delle acque del lago di
Nemi in quello di Albano mediante la costruzione di una galleria, o esaurendo
le acque del lago con pompe. Si preferì quest'ultimo mezzo e nel '28 ebbe
inizio la pompatura, che porterà in due anni all'abbassamento del livello del
lago sino a circa 14 metri sotto il livello primitivo. Già dopo un anno, nel
'29, la prima nave, la più vicina alla riva, cominciava ad emergere e si
iniziava subito la delicata operazione archeologica di scavo. Nonostante la
distruzione di tutte le strutture superiori dovuta soprattutto ai tentativi di
recupero del passato, vennero a galla in ottimo stato di conservazione bronzi
artistici di squisita fattura, una piattaforma girevole, un grande rubinetto in
bronzo perfettamente lavorato, meravigliosi mosaici, paste vitree, pavimenti di
marmi policromi.
Raggiunto nei 1930 l'abbassamento del livello già
detto, la prima nave venne a trovarsi del tutto scoperta. Si iniziò allora il
prosciugamento della zona circostante alla nave e infine si studiò il modo di
trasportare la nave sino all'antica riva del lago. Bisognava trainare, senza
arrecare danno, una mole il cui peso era stato stimato di 270 tonnellate! Il
trasporto fu realizzato avendo formato al disotto della nave una piattaforma a
ossatura metallica della larghezza e della lunghezza dello scafo, che potesse scorrere su rotaie ed essere trainata da
un argano. Non bisognava però ancora considerare chiusa l'avventura: restava da
esplorare e da liberare la seconda nave, che giaceva a una profondità da 15 a
21 metri. Riattivato il funzionamento delle pompe e abbassato il livello del
lago sino a 21 metri, tra il giugno e l'agosto del '31 anche la seconda nave
era scoperta.
Con il recupero della seconda nave era stato salvato
un altro prezioso documento della tecnica navale romana. Purtroppo, però, nella
notte del 31 maggio 1944, gli scafi lignei delle due imbarcazioni vennero
completamente distrutti da un incendio appiccato, sembra, da soldati di una
batteria germanica piazzata presso il Museo. Ad ogni modo, essi sono stati
subito ricostruiti in cemento armato, per cui, insieme alle preziose
suppellettili che erano state nascoste a Roma, questi due grandi cimeli sono
stati novamente restituiti alla nostra ammirazione e alla storia.
L'appassionante mistero che
si è creato attorno alle navi di Nemi durava ormai da parecchi secoli. Già
nel1441 fu intrapreso il primo tentativo di recupero delle due imbarcazioni. Ma
solo in epoca recente si riuscì a portare a secco i preziosi relitti.
A che servivano le navi di Nemi?
Ecco la fiancata di una naveportata a
galla: Un interessante interrogativo è legato alle navi recuperate nel lago di
Nemi: a che scopo esse furono costruite? In seguito ad alcune iscrizioni
trovate su certe fistole dell'imbarcazione, sembra ch'esse siano appartenute
all'imperatore Caligola che le avrebbe usate come riservatissima dimora estiva.
Un interessante interrogativo è legato alle navi
recuperate nel lago di Nemi: a che scopo esse furono costruite? Discordi sono
le ipotesi, come discordi sono stati i pareri circa l'imperatore che ne volle
la costruzione: opinione generale è però quella che ne attribuisce la
costruzione all'imperatore Caligola, cosi chiamato per i piccoli calzari
ch'egli portava.
Escluso che le navi fossero destinate all'uso mercantile o a
quello militare, alcuni hanno fondato la loro congettura circa il probabile uso
di questi grandiosi palazzi galleggianti basandosi sulla natura pavida e
sospettosa di Caligola, il quale può aver sognato di rifugiarsi, lontano dai
pericoli temuti, in mezzo alle acque di quel lago tanto famoso per il tempio e
il culto di Diana. Egli avrebbe fatto costruire per sé e per la sua corte un
vero palazzo galleggiante, che corrisponderebbe alla prima delle due navi
recuperate, la più ricca e adorna, mentre la seconda potrebbe avere avuto la
funzione di collegare il «palazzo» alla riva.
Altri studiosi hanno creduto di riconoscere nella prima nave le
caratteristiche delle terme, avendo notato i resti dei pavimenti con la
intercapedine, a dimostrare che si trattava di un edificio riscaldato,
e le grandi condutture di piombo, indice che la nave era fornita
abbondantemente di acqua. E hanno congetturato: quel Caligola che è
arrivato a tal punto di stranezza da nominare senatore il suo cavallo, da far
gettare un ponte di navi sul mare per passarvi sopra con grande apparato di
forze come un novello Serse, quello stesso imperatore avrebbe fatto costruire
una pseudonave per porvi sopra un elegante stabilimento di bagni.
Come nel lago di Albano ciascuna villa aveva il suo piccolo stabilimento e il
suo imbarcadero, cosi la villa di Caligola sulle rive del Iago nemorense
avrebbe avuto il suo stabilimento, costruito però, a
differenza degli altri, su una base galleggiante.
Un'altra ipotesi, legata al tempio e al culto di
Diana, ha trovato una smentita nella vastità della mole e nella conseguente
difficoltà di movimento e di approdo delle navi. Si era infatti pensato che le
due navi avessero potuto appartenere al tempio di Diana e che fossero usate per
il trasporto di visitatori da una riva all'altra o per cerimonie religiose o
per processioni nei lago. Ma come avrebbe potuto essere adatta a ciò quella,
soprattutto, delle due navi che era soverchiata di edifici e carica di bronzi,
di piombi, di mosaici? È più verosimile, dunque, che le navi fossero dì
proprietà di Caligola, a qualunque scopo egli le avesse destinate, e che dopo
la sua morte, avvenuta nel '41 d. C, abbandonate alle intemperie e senza
custodi che ne assicurassero la conservazione, l'acqua sia penetrata nelle
stive e le abbia fatte a poco a poco sommergere.
Ricostruzione
ideale d'una delle navi di Nemi, e precisamente della maggiore, quella che,
secondo una interpretazione degli storici, l'imperatore Caligola costruì per i
suoi svaghi personali e i suoi riposi.
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Come
cantava Ettore Petrolini negli anni '30 in Una gita pe' li Castelli Romani:
«Qua
c'è Ariccia, più giù c'è Castello
ch'è
davvero un gioiello con quel lago da incantà,
e
de fragole un profumo solo a Nemi puoi sentì,
sotto
quel lago un mistero ce stà,
de
Tiberio le navi sò l'antica civiltà...»
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