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venerdì 14 febbraio 2025

Un po’ di Spettri da ANNALI DELLO SPIRITISMO IN ITALIA 1896

 

Un po’ di Spettri da

ANNALI DELLO SPIRITISMO IN ITALIA

anno XXXIII (trentesimo) 1896

 



«Chi, fuor delle matematiche pure,

pronunzia la parola impossibile, manca

di prudenza.»

ARAGO, Annuario del 1853.

 

 

   Sarà san Valentino, però piove, perciò…

Sul numero 1 della rivista si parla di una figura spettrale apparsa nel maniero inglese di Clandon-Park, purtroppo le prime notizie erano in un numero precedente mai messo in rete da gogole libri allora ho scovato questo…

 

Lo spettro di Clandon-Park

da pag. 685 de

Vittoria Colonna periodico scientifico, artistico, letterario per le donne...

Treviglio 1896

 

 

«Tre spettri in un castello inglese. I giornali inglesi s’occupano d’un avvenimento singolarissimo.

Il fantasma d’una donna vestita di color crema appare nella villa detta Clandon Park, che il conte d’Onslow, ex governatore della Nuova Zelanda, possiede presso Guilford, in Inghilterra, e che questo gran signore aveva affittata ad un abitante di quella città.

Lord Onslow si recò sul luogo, accompagnato dal, famoso governatore sir George Lewis per controllare i rumori strani che correvano in proposito e per dimostrare, quando fosse possibile, l’assurdità delle sue pretese al locatario, il quale chiedeva la rescissione del contratto di affitto. Ma quale non fu il suo stupore e quello del suo procuratore accertandosi che le dicerie erano fondate!

Videro entrambi coi propri occhi la signora color crema che s’aggirava verso mezzanotte nei viali del parco, ove il suo passaggio non lasciava alcuna traccia. Ma c’è di meglio: il conte scorse due fantasmi non ancora denunciati: quello di una giovane in lutto e d’un vecchio barbuto; sembravano conoscersi, si rivolgevano saluti, si facevano segni d’intelligenza: non si curavano delle fucilate che venivano loro dirette e che non ottenevano alcun risultato.

Si annunziava testè a Londra che lord Onslow, anche per consiglio del suo procuratore, consente alla rescissione del contratto d’affitto e che ritornerà alla capitale per pregare alcuni scienziati di venire con lui a Clandon Park par osservare seco i suoi visitatori d’oltretomba.»

 

   Torniamo agli annali…

  

Ancora degli Spettri di Clandon-Park.

Nella Cronaca del Fascicolo di Ottobre 1895 ho già parlato dei tre spettri, che infestano il castello di lord Onslow chiamato Clandon Park o Clandon House. Ora, secondo nuovi particolari usciti ne' giornali inglesi, i domestici di quella tenuta vedono avanzarsi traverso le aiuole una donna vestita di raso color giallognolo con un cintolo di cuoio, da cui pende un coltello da caccia. I guardiacaccia tirarono già parecchie schioppettate sul fantasma, che li lascia fare senza curarsene e senza riceverne alcun danno, il che si capisce, vedendo com’egli entra a suo libito nel castello penetrando e trapassando incolume il granito delle muraglie o la quercia massiccia de' portoni. Un ministro protestante ( clergyman ) ha tentato di tagliar la strada all’apparizione col piantarsele davanti brandendo un crocifisso di bronzo; ma essa, senza scomporsi, gli strappò il crocifisso di mano, e si dileguò nell’aria, portando via seco quel simbolo religioso, di cui non si è mai più potuto trovare alcuna traccia. Il periodico londinese Light del 2 di Novembre 1895 narrava, che un informatore ( reporter ) del Surrey Times si è recato sul luogo del fenomeno. Dopo di aver riscontrato la verità delle voci, che corrono sul castello infestato, egli seppe, che un’abitatrice di esso, la signora Blaine, ne aveva pregato un’altra, la signora Merritt, notissima in Inghilterra per la sua ferma convinzione spiritica, di andar a investigare la cosa.

Questa, poich’ebbe acconsentito, sarebbe riuscita ad evocare lo Spirito, che si manifesta in quel modo, e avrebbe raccontato la sua storia, da cui risulta, che, madre prima di essere moglie, aveva ucciso la sua innocente creatura, e che, sposatasi di poi con un altro, questi, venuto a conoscere la cosa, indusse la cameriera della moglie ad avvelenare la sua padrona. Quindi si spiegherebbe. come tutti e tre gli assassini ritornino sulla terra a errare nel luogo del loro misfatto, e perchè la dama spesso si mostri tenendo in mano una coppa, che sarebbe quella, in cui le fu propinato il veleno.

 

   Il fantasma color crema (insieme ad altri) è citato anche su: https://www.paranormaldatabase.com/surrey/surrdata.php?pageNum_paradata=7&totalRows_paradata=182   

    Qui ho scovato un’altra notizia tra tante altre, ve la metto senza ritoccare gran che della traduzione fatta in rete…

 



Un grande gatto da un bestiario medievale.

Il cardinale

Posizione: abbazia di Waverley

Luogo: Abbazia di Waverley 

Tipo: Manifestazione inquietante 

Data/ora: Fantasma sconosciuto, avvistamento di un gatto il 27 ottobre 1825 

Ulteriori commenti: Apparendo nella sala da pranzo, questo ex cardinale è stato visto molte volte vagare in giro. Si ritiene che potesse fare la guardia a un tesoro nascosto. Lo scrittore William Cobbett ha riferito di aver visto un grosso gatto grigio durante la visita all'abbazia, forse uno dei primi incontri con un grande felino alieno. [Alien Big Cat].

 

   Un’ultima cosa… Il castello o villone di Clandon su cui giravano queste sinistre voci, è andato distrutto da un incendio alla fine di aprile del 2015. v. https://thecountryseat.org.uk/tag/clandon-park/

 

ωωω

 

Spiriti Perturbatori in un Convento.

Il 5 di Ottobre prossimo passato scrivevano da Madrid al giornale Le Petit Marseillais quanto segue: “Da cinque giorni qui non si parla di altro se non de' romori notturni e inesplicabili, che si fanno udire nel convento delle suore della Immacolata Concezione. Non appena son sonate le dieci ore di sera colpi da prima leggieri, ma che poi aumentano d’intensità con la durata, son battuti ne' muri: con lo approssimarsi del mattino vanno scemando, e cessano totalmente col sorgere del sole. Talvolta si direbbe, che vengono dal suolo, e ne paiono scosse insino le fondamenta dell’edifizio. Nel convento non dormono più per la paura.

L’abbadessa, suor Maria Filar, si è rivolta all’elemosiniere, il quale, riscontrata ch’ebbe la verità della cosa, nè riferì al suo vescovo. Questi, per bene sincerarsi, passò a sua volta una notte al convento, e ne fu persuaso. Le podestà civili hanno mandato sul luogo due ingegneri, che non seppero dare alcuna spiegazione del fenomeno, quantunque avessero diligentemente scandagliato tutti i muri, e fatto scavare profondi qua e là nel suolo diversi pozzi.

Il convento è guardato notte e dì da una squadra di agenti di polizia.

 

ωωω

Dal numero 2

 

PRESENTIMENTO E VISIONE PROFETICA

( Dalla Revue des Revues di Parigi )

Circa dieci anni fa il signor Alessandro Bérard ( abitante sull’Avenue Kléber, N. 52 ), allora non ancor Deputato, com’è oggidì, ma solamente giudice istruttore, era andato per diporto in un luogo di bagni su' monti. La sera di una sua gita alpestre, nella quale si era allontanato di troppo dalla cittaduzza, non si sentendo, perché morto di stanchezza, di ritornarvi, pensò di cenare e dormire in una remota osteria, che incontrò in mezzo di un romantico bosco su un sentiero certo non guari frequentato.

La osteria aveva nella insegna sopra la porta l’attraente iscrizione “Al Ritrovo degli Amici”; ma gli ostieri, due coniugi di età, con la lor aria schiva e sospetta, non invitavano troppo ad entrarvi.

Stracco e affamato com’era, il signor Bérard non badò punto all’aspetto sinistro della casa e de' suoi padroni, entrò, mangiò, e tosto dopo cena si fece condurre nella camera a lui destinata. Neppur quivi da vero uno scorgeva cosa, che accennasse a ritrovo amichevole : una miserabile branda serviva da letto, due povere seggiole zoppicanti e una tavola di legno rozzo con sopravi una catinella fessa e slabbrata per lavarsi ne formavano tutta la mobilia. Stranamente impressionato da quella squallidezza, l’ospite si affrettò a dar due giri di chiave nella toppa dell' uscio, e poi si mise a visitare minutamente la stamberga. In fondo di essa, astutamente nascosto in un angolo, egli scoprì un usciuolo, dietro a cui una scaletta metteva direttamente nel cortile. Allora per prudenza spinse contro di esso la tavola, inanzi alla quale mise ancora una delle seggiole, affinchè niuno potesse penetrare per di là senza spingere con istrepito quella improvvisata trincea. Ciò fatto, coricatosi, si addormentò.

Ma a un tratto, sobbalzando, fu ridesto. Gli pareva, che qualcuno tentasse di aprire l’usciuolo, e così facesse strisciare i mobili sul pavimento. Credette anzi di distinguere attraverso le fessure della porticina stessa la luce di una lampada o di una lanterna. Sorpreso, com’era stato, nel sonno, ed agitato con ragione allora egli gridò forte: Chi va là ? Nulla si mosse. Non vide e non udì più nulla, sì che disse a sè stesso, che quello era l’effetto di un incubo. Tuttavia sentiva una paura inesplicabile : rimase a lungo sveglio, origliando, senza poter iscacciare da sè insistenti imagini funeste. Soltanto dopo qualche ora si riaddormentò . E fece un sogno singolare.

In quella stessa camera occupata da lui e sulla stessa branda, su cui giaceva disteso, vide una persona sconosciuta immersa in profondo sonno. Ed ecco all’improvviso aprirsi l’usciuolo nascosto, e comparire sulla soglia un uomo l’oste della taverna “Al Ritrovo degli Amici” in carne ed ossa seguito da sua moglie, che con la mano protesa velava il lume di una lanterna. Mentr’ella con precauzione rischiarava la camera, il marito si appressò al dormiente, e gli cacciò un coltello nel petto. Quindi tolse la lanterna, ne mise l’anello di presa fra' denti, e afferrò l’ucciso per i piedi, la donna lo avvinghiò per la testa, e così la orribile coppia si dileguò con la vittima giù per la scaletta. Il signor Alessandro Bérard si ridestò di nuovo in uno stato di affanno tormentoso...

Tre anni dopo egli aveva da un pezzo dimenticato quella brutta notte, allorchè lesse ne' giornali, che l’avvocato Vittorio Arnaud, il quale villeggiava in quella stessa piccola città di bagni, era di un subito scomparso senza che si riuscisse a trovare traccia di lui. Al leggere il nome di quel luogo, ch’egli ricordava benissimo, il futuro Deputato, colto da un singolare presentimento, tremò. Quella impressione crebbe di assai di lì a due giorni, quando del fatto seppe altri particolari. Le gazzette annunziavano, essere accertato il dove e il come l’avvocato Vittorio Arnaud aveva passato il tempo nel giorno della sua scomparsa fino al momento ch’era entrato in una osteria chiamata “Al Ritrovo degli Amici”. Da quel momento in poi non se ne sapeva più nulla. Il taverniere assicurava, che l’ospite, dopo di aver cenato, era partito la sera stessa. D’altra parte quell’uomo aveva in paese cattiva fama. La gente vi parlava di un Inglese, che sei anni prima era sparito nello stesso modo. E la giustizia imprese una inchiesta.

Allora il signor Alessandro Bérard smise ogni ritegno. Partì, e si recò dal suo collega, il giudice istruttore in X, da cui venne ricevuto proprio mentre si accigneva a interrogare la padrona della osteria “Al Ritrovo degli Amici”. Il signor Bérard chiese la permissione di poter assistere all’interrogatorio, il che naturalmente gli fu concesso di buon grado.

La vecchia strega non lo riconobbe, non fece attenzione alla sua presenza, e raccontò tranquillamente, come un viaggiatore, la cui descrizione si attagliava abbastanza bene al perduto Vittorio Arnaud, fosse entrato quella data sera nella sua taverna, e vi avesse mangiato. A dormire però non vi era restato, perchè allora le due uniche camere della casa erano state già prese da carrettieri. La quale ultima osservazione era di fatto giusta, come la inchiesta giudiziaria aveva dimostrato.

Ma qui entrò improvvisamente in scena il signor Alessandro Bérard.

E la terza camera ? ( domandò egli) la camera sul di dietro ?

La donna si mise a tremare. Ciò veduto, con istupore del suo collega, il signor Bérard proseguì: Ivi ha dormito Vittorio Arnaud.

Durante il suo sonno voi e vostro marito siete penetrati per l'’usciuolo nascosto, per l’usciuolo, che dà sulla scaletta. Voi portavate una lanterna, e vostro marito un coltello. Questi ha ucciso il viandante per rubargli l’oriuolo e il portafogli. Poscia voi avete ghermito il cadavere per il capo, e vostro marito per i piedi, e così lo avete portato giù dalla scaletta. Vostro marito, ciò facendo, portava la lanterna, stringendone co' denti l’anello di presa.

Atterrita, schiacciata, battendo i denti, la colpevole cadde in ginocchio, mormorando la confessione : - Dunque Ella ha veduto tutto ?

La scena era proprio accaduta a lettera come il signor Alessandro Bérard l’avea veduta in sogno tre anni prima.

Nella stalla dell’osteria, sotto un mucchio di letame, si trovò il cadavere del povero Vittorio Arnaud, e vicino ad esso delle ossa umane, forse quelle dell’Inglese, altra vittima degli stessi assassini.

GERMAIN.

ωωω

 

 

Un Castello infestato.

 

Nel Journal de Liège del 16 di Dicembre 1895 si leggeva : “Da Quimper scrivono al Petit Journal quanto segue : «Il castello de la Coudrai, posto a sei chilometri da Pont-l’Abbé, è in questi giorni il soggetto di mille racconti. Lo si dice infestato dagli Spiriti. Tutti i dì, dalle ore 6 di sera in avanti, i mobili, il vasellame,le stoviglie e le suppellettili di cucina vi ballano una danza sfrenata. I gendarmi vi si misero in agguato; ma invano. Il curato di Triméoc ha inondato inutilmente due volte di acqua santa il castello. I curiosi vi accorrono in folla per assistere a quelle scene da medio evo.”

 

ωωω

 

Dal numero 3

 

GLI ECHI DELLA NOTTE DI SAN BARTOLOMEO

 



   Il signor de Sainte- Foix, nella sua Histoire de l'Ordre du Saint-Esprit edita l’anno 1778, riporta da un libro del marchese Chrétien Juvénal des Ursins, luogotenente generale di Parigi, scritto verso la fine del 1572 e stampato nel 1601, questo fatto.

“Il 31 di Agosto 1572, otto giorni dopo il macello di San Bartolomeo, avevo pranzato al Louvre dalla signora di Fieschi. Poichè il caldo era stato, durante tutta la giornata, fortissimo, andammo a sederci nel capannuccio dal lato del fiume per respirare un po' di frescura.

Mentre eravamo là udimmo a un tratto nell' aria uno spaventevole strepito di voci tulmultuose e di gemiti frammisti ad urli di rabbia e di furore. Restammo immobili ed atterriti, guardandoci di quando in quando silenziosi, perchè non avevamo la forza di parlare.

È certo, che anche il re Carlo IX udì que' romori ; che ne fu tutto sconvolto, e che nella notte non chiuse occhio. Onde la dimane, sebbene egli non dicesse verbo, si osservò , che aveva l'aria cupa, pensierosa , abbattuta.

Se mai un prodigio ha dovuto trovar fede, gli è sicuramente questo, perchè attestato dallo stesso Enrico IV. Questo Principe, dice il d’Aubigné ( nel suo Libro I, Capitolo VI, a pagina 561 ), ci ha raccontato parecchie volte, nel Circolo de' suoi più intimi familiari ( e ne ho ancor vivi parecchi testimonii, che non lo hanno mai raccontato senza raccapricciarne tuttora ), che otto giorni dopo le stragi del San Bartolomeo un vero stuolo di corvi andarono a posarsi e a crocidare sul padiglione del Louvre; che quella stessa notte Carlo IX, due ore dopo di essersi coricato, saltò giù dal letto, fece alzare i valletti di camera, e li mandò a frugar da per tutto, perchè sentiva un gran frastuono di voci lamentose simili a quelle udite la notte di San Bartolomeo, e che tutte quelle diverse grida erano sì orribili e sì chiaramente e distintamente articolate, che Carlo IX, credendo, che i nemici dei Montmorency e de' loro partigiani li avessero sorpresi ed assaliti, mandò un drappello delle sue guardie per impedire una nuova carnificina, le quali guardie invece tornarono a riferirgli, che tutta Parigi era tranquilla, giacchè gli strepiti, che s’intendevano, erano in aria.

 

ωωω

 

  ed ora al numero 5, torniamo a casa nostra, a Napoli…


UN CASO D'IDENTITÀ SPIRITICA

All’onorando Direttore degli ANNALI DELLO SPIRITISMO IN ITALIA.

Pregiatissimo Amico,

   Vi mando il seguente racconto, scritto e sottoscritto dal mio stimabile amico signor Luigi Cennamo, pregandovi di pubblicarlo nei vostri Annali, e perchè sufficientemente documentato con nomi di persone e di luoghi e indicazione di tempi, e perchè credo possa destar qualche interesse nei lettori, come quello che contiene, a mio avviso, un CASO DI MOLTO PROBABILE IDENTITÀ SPIRITICA.

Con reverente affetto

Napoli, 16 Febbraio 1896.

 

Vostro

V. CAVALLI.

____________________

 

 

 

   Vivo lontano dal mio paese nativo per ragioni d’impiego. Però non ho mai dimenticato che ivi dimora la mia famiglia, che io amo, nè ho saputo liberarmi dalle naturali influenze del suolo, che mi fanno considerare quei cari luoghi come i più deliziosi della terra.

   Ogni anno, nel periodo delle vacanze estive, io mi vi reco a villeggiare, e soglio passare un mese di relativa beatitudine tra l’affetto de' miei e l’incanto di quelle placide colline verdeggianti, dimentico di ogni cura.

   Nell’agosto del 1894 vi andai, come al solito, e condussi con me l’unico mio figlio Ottorino, un angioletto biondo di tre anni, bello e caro come la madre sua, rapita al nostro affetto dalla morte nel fiore degli anni.

   La gioia dei parenti, quella volta, fu indescrivibile, e le loro cure verso di noi erano ispirate ad una profonda pietà della gravissima sventura che c’era toccata, proprio quando il mio bambino aveva maggior bisogno dell’amor materno.

    Una sera..... ( erano scorsi alcuni giorni dal mio arrivo ) io non volli uscire di casa, pel caldo insopportabile, e pregai mio fratello Giuseppe di voler menare a spasso il piccolo Ottorino, mentre io li avrei aspettati, fumando, nel cortile.

   Mi sorrise, egli, di un sorriso significativo; ma a me non riuscì di comprenderne il senso.

   Al suo ritorno, lo interrogai, ed egli ingenuamente mi rispose:

- Come ! non sai che nella nostra casa aleggia costantemente lo spirito di un defunto ?

- Allora risi a mia volta.... e di un riso così incredulo, che Giuseppe si vide costretto a spiegarmi subito le ragioni della sua credenza.

- Mi meraviglio, egli riprese, che tu, nato in queste mura, ignori la presenza di quello spirito irrequieto, che tante volte riempì di terrore la povera madre nostra, morta innanzi tempo; e che, specialmente dopo la lontananza di nostro padre, e dopo che io fui costretto, per le mie speciali condizioni di famiglia, ad abitare da solo nella casa, non passa notte senza che io non abbia una prova irrefutabile della misteriosa manifestazione.

    Sappi, dunque, che quanto affermo è vero, e sono lieto dell’occasione che mi si porge di poterti far costatare de visu la verità dei fenomeni.

   È già da gran tempo, che, rientrando in casa alla sera, soglio per abitudine costante appendere il chiavino del portone a quel chiodo che tu vedi a destra dell’uscio della camera da studio.

Ebbene, lo crederesti ? ... non una volta sola ho trovato il chiavino al suo posto, ed alla mattina ho dovuto sempre cercarlo fra le carte di cui è ingombro lo scrittoio ! ...

    E siccome io continuava a ridere di tutto cuore ( giacchè, è a sapersi, che in quel tempo io propendeva apertamente pel materialismo, ed escludeva quindi dalle mie credenze la continuità spirituale dell’universo come l’opera più grandiosa della creazione ), così Giuseppe, quasi indispettito, mi disse con vivacità insolita:

- Ne vuoi una prova ? .... Eccoti il chiavino ; appendilo tu stesso, e vedremo se domani lo troverai a posto...

Così facemmo; ma all’indomani il chiavino era al suo posto, e mio fratello restò sconcertato da quel disappunto, che mi dava un certo diritto di chiamarlo visionario.

   Dopo questa mancata prova mio fratello dimenticò, o fece mostra di dimenticare lo spirito irrequieto, ed i nostri discorsi non si aggirarono più su quel tema. Ma io, avido di conoscere la verità, e non potendo negar fede alle asserzioni di Giuseppe, il quale ha avuto sempre coscienza precisa di tutte le cose sue, continuai da me solo l’esperimento per circa una settimana; ma sempre con esito negativo.

   Qui è necessaria una parentesi, per meglio precisare i fatti. Mio fratello, giovane allora a 37 anni, era vedovo al pari di me, ed aveva affidato le sue quattro bambine alle cure della nonna materna signora Chiara Petitti, che abita una casa poco distante dalla nostra.

   Alla sussistenza delle bambine provvedeva naturalmente il padre, il quale soleva mandare, ogni giorno, alla suocera tutto ciò che occorreva alle figliuolette.

   Una volta mancava il vino.

   Giuseppe ne fu avvertito a tarda ora, la sera del 21 agosto 1894.

   Senza por tempo in mezzo, chiamò a sè la domestica dei signori Petitti, ai quali io e Giuseppe eravamo andati a far visita, e la pregò di volerlo accompagnare a casa per riempirne una damigiana.

   Come ho detto, io era presente; e siccome avevo portato dalla campagna un grosso mazzo di fiori, per liberarmi di quell' impaccio, volli accompagnare anche io mio fratello.

   Erano circa le ore 22,30 ... Giuseppe ci precedeva di pochi passi; per cui, quando noi fummo a' piedi della scala, egli vi si trovava alla sommità, e fu il primo ad entrare nel corridoio d’ingresso dell’appartamento, il quale era perfettamente all' oscuro.

   Un rumore insolito si fece allora udire nel corridoio..., un rumore così forte, che pare mi rintroni ancora nelle orecchie.

   Io e la domestica Antonia ci soffermammo nel mezzo della scala, per un moto istintivo; ma, vinta la prima impressione, quasi subito io gridai :

- Giuseppe, che è stato ? ..... che t’è avvenuto ? ...

 

 

- Niente..., mi rispose lui evidentemente commosso. Gli è che sono vivo per miracolo... È caduta una trave del soffitto, ed ha infranto la tavola da pranzo, sulla quale io cercava a tentoni la chiave della cantina !

   Accesi in fretta un solfanello, e lo raggiungemmo; ma quale non fu la nostra meraviglia nel vedere che nessuna trave era caduta, che la tavola da pranzo era intatta, e che tutto era intatto sopra di essa, per fino le bottiglie, le lampade ed i piatti ? ! ...

   Restammo tutti muti... ed io che, fino allora, aveva riso degli spiriti, ebbi da quella sera un senso indefinito, non so bene se di meraviglia, o di paura...

   Gli altri pochi giorni del mio congedo annuale scorsero celeremente, senza alcun altro incidente, ed al 1° di settembre ritornai a Napoli.

   Non poteva scacciare dalla mente il ricordo di quel caso, così straordinario, capitato a mio fratello, e mi doleva che, con tutta la mia riflessione, io non riusciva a dargli una spiegazione plausibile che non fosse in aperta contraddizione con la mia teoria e con i miei principii.

   Risaliva, quindi, ostinatamente col pensiero agli scritti di Aristotile, Keplero, Newton e Cuvier, i quali spiegarono il mondo, la sua origine, il suo movimento ed il suo progresso ; e vi risaliva nella speranza di trovarvi quello sprazzo di luce che mi era necessario; ma le mie speranze rimanevano deluse, perchè anche quei sommi parlarono del mondo, e lasciarono nel mistero l’uomo, la cui natura e destino sono a tutti sconosciuti ! ...

   È doloroso dover confessare a sè medesimo il proprio inganno, e dover distruggere in un attimo le proprie convinzioni ; per la qual cosa io aveva paura di conoscere la verità, perchè sentivo dentro di me che la verità mi sarebbe stata contraria.

   Ma i casi della vita sono tanti, che, qualche mese dopo, e quanto meno me l’aspettava, seppi che due miei amici, il Cav. Antonio Ghisolfi, capo d’ufficio nelle poste, ed il Cav. Giulio Malvolti, colonnello di cavalleria, tenevano qualche seduta spiritica con l’assistenza di Luigi Padrantonio, giovinetto quindicenne, medio [il Medium].

   Mi rivolsi dunque ad essi, pregandoli a volermi ammettere nel loro circolo, e l’ottenni.

   Per le prime volte mi tenni nella più stretta riserva, limitando la mia parte a quella di osservatore; ma, incoraggiato dalla cortesia loro, e tocco io stesso dal succedersi dei fenomeni affatto sbalorditivi, sedetti al tavolino, e mi provai anche io a rivolgere qualche domanda allo spirito tutelare, che, secondo la credenza degli amici, si era manifestato tra noi.

   Queste furono le mie domande testuali :

   D. - Spirito gentile, è vero che nella mia casa a Mirabella Eclano si aggira lo spirito di un defunto ?

    - R. – Sì.

    - D. Di grazia, potresti dirmi il suo nome ?

    - R. – Sì. Alfonso D’Elia.

    - D. – C’è da temere danno dalla sua presenza nella casa ?

    - R. - No; è uno spirito buono.

    - D. - E perchè si manifesta ?

    - R- Per richiamare l’attenzione dei viventi, e per ottenere che preghino per lui.

    ( È inutile dire che le risposte si ebbero con segni convenzionali del tavolo, corrispondenti alle lettere dell' alfabeto italiano. )

    Ecco altre due incognite per me ! ... Chi è questo Alfonso D’Elia ? Quale valore morale hanno le preghiere ? ...

    Avrei voluto scrivere subito a mio fratello Giuseppe per raccontargli il fatto; ma me ne astenni, pensando che sarebbe stato meglio non intrattenerlo su cose alle quali egli prestava fede cieca, e che potevano essergli cagione di turbamento.

   Stetti quindi in ansia dal mese di novembre 1894, tempo in cui ebbero luogo le prime sedute, me presente, fino alla metà di agosto 1895, epoca in cui, sebbene questa volta per pochi giorni, mi recai in famiglia a Mirabella.

   Nel frattempo imparai a memoria alcuni salmi dell’ufficio dei morti, e spesso li recitava con dolce effusione del cuore, quantunque non convinto che le mie preghiere potessero arrecar sollievo a chicchessia. Anzi, durante gli otto mesi che mi separavano dalle vacanze estive, feci anche qualche elemosina, associando al mio atto caritatevole il pensiero dello spirito D’Elia.

   Appena mi fu dato rivedere mio fratello, gli feci una minuta relazione di quanto m’era occorso di vedere, e gli domandai subito se egli conoscesse, o almeno, se avesse mai sentito a parlare di un certo Alfonso D’Elia morto; ma la sua risposta fu negativa.

   Allora, per ispirazione di Giuseppe, ci recammo entrambi da un nostro vecchio zio prete, signor Francesco Paolo Cennamo, uomo dabbene e di costumi semplicissimi, il quale vive da oltre quarant’anni separato dalla famiglia, in una modesta casetta, e dopo averlo salutato cordialmente, domandammo a lui se potesse darci qualche notizia intorno a ciò che desideravamo.

   Raccolse egli per un momento i proprii ricordi, e ci disse :

   - Alfonso D’Elia era il capo di quella famiglia, dalle quale, nel 1848, vostro nonno paterno Luigi comprò la casa che ora voi abitate. Molti suoi discendenti vivono anche oggi nel paese, ed alcuni altri nella campagna.

   Aggiunse inoltre :

   - Quel signor Alfonso ebbe una fine miserevole, perchè ( si racconta ) morto con mezzi violenti, mentre una sera tovavasi a sedere nella ritirata.

   Con queste notizie potemmo costatare l’identità di uno spirito, del quale noi ignoravamo l’esistenza precedente e perfino il nome che, un tempo, egli ebbe fra gli uomini del suo secolo.

   Ma, ciò che è più sorprendente, fu l’aver saputo da Giuseppe che precisamente dal novembre del 1894, mese al quale risalivano le mie preghiere, nessun’altra manifestazione dello spirito si era più avuta nella casa.

   Ora è morto anche il mio caro fratello Giuseppe, la persona più affettuosa che io avessi al mondo, e nella nostra casa, colpita dalla sventura, dimora felicemente l’avvocato signor Alfonso Cerrati, marito della seconda mia sorella.

LUIGI CENNAMO

Vicoletto del Fico a Foria, N° 11, Napoli.

 

Marco Pugacioff

[Disegnatore di fumetti dilettante

e Ricercatore storico dilettante,

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

14/02/’25

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