L’espansione carolingia sui Pirenei
Jean dit de Fontjoncouse [Giovanni di Fontedeigiunchi]
Questo scritto ripreso dal catalogo Barcelone – Carcassone: destins croisés de deux comtés (IXe – XIIIe siècles) del ’97, (un regalo di Bernard che vive in quelle regioni) mi permette di mettere in relazione ciò che era successo qui, nel Piceno, con gli stranieri detti Guargangi dalle malefiche leggi longobarde [le donne erano dette Guarganghe e «sembra che sarebbe stata la stessa condizione di San Colombano e degl’Irlandesi venuti con lui» V. p. 339 di Storia d’Italia del medio-evo, Carlo Troya, vol. IV, parte II, Napoli 1853 in rete], con ciò che poi avvenne sui Pirenei.
[riguardo quella grande civiltà dei longobardi e delle sue leggi, riferisco in pieno la nota 3 di Troya, a p. 564 «Permulta annorum curricula….. sine habitatore perinansit. La trista fama delle prime crudeltà de' Longobardi e della vasta solitudine da essi creata in Italia si mantenne viva nelle tradizioni popolari, e se ne ripeteva l'eco lontana per bocca d'uno de' pii nobili ed alti Longobardi qual fu Gregorio de' Conti Catinesi.»]
Lo stesso Tommaso di Morienna era «un Guargango o straniero al Regno Longobardo. Tali furono altresì alcuni de' successori di lui: Guargangi simili a' primi Abati di Bobbio.» [v. p. 564 sempre di Carlo Troya, succitato]
«Già nel il 680 il franco Tommaso di Morienna, di ritorno da un viaggio-pellegrinaggio a Gerusalemme, si era portato nella Sabina e aveva posto mano alla ricostruzione dell'antico monastero di Farfa, andato in rovina. […] verso l'inizio del secolo VIII, Faroaldo (duca di Spoleto) donò alla rinata abbazia ben dodici curtes, ciascuna di undicimila moggi. Di queste, tutte dislocate tra la Sabina e il Piceno, ove si snodava l'antica via Salaria col prolungamento della Salaria gallica, almeno quattro erano sicuramente nel Piceno stesso. […] Sappiamo, inoltre, da Paolo Diacono che nel 680, lo stesso anno in cui fu fondata Farfa, una terribile pestilenza aveva spopolato numerose località d’Italia, da Pavia in giù. Il felice inserirsi dell'abbazia tra Roma e il ducato di Spoleto si rivelò provvidenziale quando gli arabi, completata la conquista della Spagna, intorno al 715, tentarono quella della Gallia. […] agli Aquitani venne offerta solo la possibilità di trovar rifugio in Italia, sotto la protezione dell’abbazia franca di Farfa che offriva loro l’ospitalità sul territorio di quelle curtes ricevute in dono dal Duca de Spoleto. […] profughi che in Italia erano stati accolti come guargangi, cioè forestieri che si sottomettevano a un potere locale, mentre rivendicavano per se stessi il diritto di essere "franchi", cioè liberi…» [come scrissi sotto dettatura per il professor Giovanni Carnevale, nel libro dall’infelice titolo di L’Europa di Carlo Magno nacque in Val di Chienti. L’Europa è una entità malefica che pensa solo a dominare e a fare la guerra!]
È l’inizio della Francia delle origini, di cui oggi rimangono solo deboli echi che si stanno spegnendo…
Come quel detto riferitomi da Michele Maceratesi su Force. Force detto "Il paese dei ramai", è una località dell’ascolano che è elevata a 690 metri di altezza, a cavallo tra la media valle del Fiume Aso e la testata del Tesino. Il borgo viene citato per la prima volta in documenti risalenti al IX secolo, come possedimento dell'Abbazia di Farfa…
Ebbene di quel detto ricordo solo una delle 4 righe di cui è composto, ed è
«con la parlata mezza francese»
(Ricordatevi di San Francesco che cantava in… francese) [il perché parlavano “mezzo francese” forse è detto in wiki «In passato i ramai di Force avevano sviluppato un particolare linguaggio, o meglio un gergo, parlato solo tra chi commerciava il rame. Oggi tale linguaggio, chiamato baccagliamento forcese, non è più parlato. Le etimologie dei termini del baccagliamento sono spesso incerte ed oscure, si pensa forse che siano addirittura di derivazione zingara, poiché i primi ramai erano appunto di origine zingara.» https://it.wikipedia.org/wiki/Force ].
Erano in Francia, ma non ne parlavano bene la lingua… Come affermazione popolare, è di certo abbastanza singolare!
«La malattia di Carlo Magno
(en France Pépin)
chi se la prende
deve fare un bel bagno.»
il professor Occultis
ritorniamo sui Pirenei…
Lo scacco della spedizione intrapresa da Carlomagno [Charlemagne in francese, Carlemany in catalano] nel 778 e che termina col disastro di Roncisvalle [Roncevaux in francese, Roncesvalles in catalano] segna il punto finale del primo tentativo della conquista franca a sud dei Pirenei [Pyrénées in francese, Pirineus in catalano].
Alcuni cristiani che avevano dato il loro appoggio alla spedizione sono obbligati ad esiliarsi dietro la ritirata dei franchi. Nel 781, il raid che Abd al-Rahman lancia contro i ribelli della frontiera superiore dell’Al Andalus contribuisce ad accelerare la fuga dei rifugiati verso il regno carolingio.
Nel preambolo di un capitolare, nel gennaio dell’815, Ludovico il Pio [Louis le Pieux in francese, Lluís el Piadós in catalano] evoca questi uomini che «sono fuggiti dalla Spagna a causa dell’ingiusta oppressione e del giogo tanto crudele da loro imposto dai saraceni, questi nemici feroci della Cristianità», e che «hanno abbandonato tutto, le loro case e i loro diritti, per rifugiarsi in Settimania [Septimanie in francese, Septimània in catalano], sotto la sua protezione».
Questi immigrati, indicati in genere sotto il nome di Hispani [in catalano hispans] usufruivano di un trattamento di favore. La ragione di questo statuto giuridico privilegiato è semplice: insediati nelle regioni sulla frontiera ancora sottomessa alle incursioni musulmane, gli hispani potevano svolgere un ruolo militare, rinforzando così la sicurezza sulla frontiera sud dell’impero carolingio. Tenevano soprattutto una funzione economica e sono all’origine dei centri di popolamento e di colonizzazione agricola.
Con il sistema noto come “aprision”, in latino aprisione [L'Aprision (presura in Castiglia o aprisio in Aragona), è il nome dato a uno dei meccanismi di ripopolamento all'inizio della Reconquista, basato sul diritto romano. Nel sud del regno carolingio, questa usanza avvantaggiava sia i rifugiati ispanici ma anche i cittadini locali. V. https://fr.wikipedia.org/wiki/Aprision], i sovrani carolingi concedono agli Ispani il possesso di terre incolte a condizione che le dissodino e le sviluppino. All’aprisionnaire [l’aprisiador in catalano] viene riconosciuto inizialmente solo un diritto di possesso che può, dopo trent'anni, trasformarsi in un diritto di proprietà equiparabile all'alleu [alou in catalano];
Un alleu o proprietà libera è terra il cui proprietario non deve omaggio o riconoscimento a un signore. […] colui che possiede una proprietà libera non è soggetto ad alcuna sottomissione per marchio diretto della signoria, e al contrario, egli stesso è in qualche modo il signore diretto dell'eredità che possiede in proprietà libera. […] Alleu, alloux o franc-alleu deriva dal francique [la lingua originaria dei franchi salici] alôd, dal latino allodium.
https://fr.wikipedia.org/wiki/Alleu
ALLODIO (fr. alleu; sp. la parola è germanica e significa "piena proprietà" (al "intera"; od "proprietà alodio; ted. Alod; ingl. allodial tenure) La proprietà viene chiamata Alod dalla legge salica (tit. 59); con ogni probabilità la parola è germanica e significa "piena proprietà" (al "intera"; od "proprietà"). […]
Un ampliamento degli allodî avvenne poi col progressivo dissodamento dei terreni incolti spettanti ai villaggi. I "vicini", che ne avevano la proprietà collettiva, ingrandivano a danno di questa le loro proprietà private: è l'adprisio o proprisio dei documenti del IX e X secolo. Ne troviamo il ricordo, in Italia, nei documenti di Farfa.
https://www.treccani.it/enciclopedia/allodio_%28Enciclopedia-Italiana%29/
una regola che si ispira probabilmente alla legislazione derivante dal diritto romano. In cambio dei vantaggi e della protezione loro concessa, Carlo Magno e i suoi successori pretendevano fedeltà dagli aprisionnaires [aprisiadors in catalano].
Uno degli hispani più famosi è senza dubbio Jean dit de Fontjoncouse, nell’italiano pre-novecento potrebbe essere Giovanni di Fontedeigiunchi o comunque così lo denomino. Va detto che, su questo personaggio e sul figlio Teodefredo Teudefred, abbiamo una serie di documenti abbastanza singolare: sette atti sparsi in un periodo che va dal 793 al 963. La precisione e lo sviluppo cronologico di questa documentazione spiegano perché sia stata a lungo presentata come il modello e l'archetipo dell'insediamento ispanico in Settimania. Cosa sappiamo veramente di Giovanni? Prese parte molto attiva alle battaglie tra le truppe franche e i saraceni nei pressi di Barcellona intorno al 792: qui uccise un gran numero di infedeli, dicono i testi, e sottrasse ai nemici un cavallo pregiato, un usbergo (Cotta di maglia con maniche e cappuccio indossata dagli uomini d'arme nel Medioevo.) e una spada (indiana? Sarà un errore di copiatura del testo latino) con fodero rifinito [Aliquid exinde dilecto filio nostro obtulit, equum optimum et brunia optima et spatam indiam cum techa de argento parata (Dipl . 793). V. G. Mouynès, Cartulaire de la seigneurie de Fontjoncouse, Bulletin de la commission archéologique, de Narbonne, I, 1876-77, pag. 481]. Questo bottino, lo presenta a Ludovico, figlio di Carlo Magno, che gli concede, in cambio, un dominio incolto sul versante settentrionale del Corbières [Corberes in catalano], in una località chiamata Fontes (oggi Fontjoncouse) [Et petierat in pago Narbonense villare ..... quem dicunt Fontes (Dipl . 793). V. G. Mouynès, sempre a pag. 481 succitato].
Castello (già segnalato come distrutto nel XVIII secolo) e chiesa Sainte-Léocadie à Fontjoncouse
[Il luogo compare in un atto del 795, come designante una villa (tenuta agricola) nella forma Villare eremum… que vocant Fontes… in villa Fontejoncosa.
Più avanti il nome del paese ebbe poche varianti: Villare Fontes (815), In Fonteginoso=Fontjuncoso (992), In Fonte Joncoso (1056), Castrum quod vocatur Fonte Joncoso (1106), Fontjonquiosa…, Fontjoncoisa (1121-1149), Villa de Fontibus seu Sancta Maria de Fonte (1127), Funt junchusa (1156), Castrum de Fonte Juncoso (1157), Fontjonchosa (1160), In Fonte Joncoso (1161), Font Jancosa (1196), De Font Jonchoso (1196), Fongoncouze (1595), Fontjoncouze (1781).
È un tipo toponomastico meridionale in Fons- / Font- "sorgente" (tipo di composizione che non si trova a nord della Loira, dove si preferisce Fontaine- nel vecchio senso di "sorgente".). Questa interpretazione è avvalorata dalla presenza di una sorgente ancora oggi esistente ai piedi del nucleo abitato.
Il secondo elemento -joncouse è un aggettivo in -osa , un suffisso latino che continua in occitano, francesizzato in -ouse da allora in poi. Corrisponde al francese -euse. -jonc- rappresenta il vocabolo latino juncu(s) > occitano jonc “giunco”, da qui il significato complessivo di “fonte dove sono giunchi”, “sorgente con giunchi”.
stesso tipo di formazione toponomastica di Fontpédrouse “font pedrosa” = “fonte pietrosa” nei Pirenei Orientali.
Nel marzo del 793 (795, secondo Ramon
d'Abadal), Carlo Magno, su richiesta del figlio, concede questo dominio a
Giovanni in aprile. [Giovanni riceve da Ludovico il Pio in pago Narbonense villare eremum ad laborandum que dicunt
Fontes (A. badal, Diplomes 2, p 307, anno 795).] Il conte di Narbonne, Sturmion, incaricato dell'esecuzione
dell'atto imperiale pone Giovanni in possesso del feudo e si reca lui stesso a
Fontjoncouse, accompagnato dai giudici, per fissare con precisione i limiti della
terra concessa. Giovanni,
aiutato da altri Hispani venuti con
lui (suo fratello Vuillemir, diversi famigli e un prete), si è poi impegnato a
valorizzare il terreno affidatogli: costruzione di abitazioni e fattorie,
coltivazione di giardini, terreni e viti. Ma in seguito il feudo attirò la cupidigia: la prima volta fu nell'812,
Giovanni dovette recarsi a giustificarsi alla corte imperiale di Aquisgrana o Aix-la-Chapelle
[in catalano è detta la cort imperial
d’Aquisgrà] per far fronte alle pretese del conte di Narbonne, Ademar. [Et dum Johannes ipsum
villare ab omne integritate abuisset per suam adprisionem, sic Ademares comis,
cum mallavit quod ipse villares suus beneficius esse debebat, in Aquis palatii
ante Uvarengaude, comiti palatii, vel ante Gaucelmo, Berane, Giscafredo,
Odilone et Ermengario comites, seu etiam judices Cixilane, Jonatam, Vincentio
et Angenaldo, qui erant ad tunc judices dominici, seu etiam Archibaldo,
notario, et alios plures. V. pag. 503, G. Mouynès, succitato]
Infine, arriva il conte Liebulffe che si impadronisce della proprietà di Giovanni Usque quod Leibulfus, comis, eum abstulit ad Johanne, sua fortia, injuste et absque judicio. (con la forza, ingiustamente e senza giudizio).
Dichiarazione concernente i terreni di Fontjoncouse
Atto di dichiarazione di testimoni portati davanti ai giudici da Teodefredo in un processo in cui sostiene a Narbona contro Dexter sulla questione della proprietà del dominio di Fontes, sul territorio di Narbonna (Fontjoncouse). I testimoni [che avevano giurato nella chiesa di San Martino, la cui basilica è nel Palazzo di Aquisgrana Hoc juraverunt in ecclesia Sancti Martini, cujus baselica sita est in Aquis palatii V. pag. 115, G. Mouynès, sucitato] dichiarano che il dominio di Fontes era stato donato anni prima a Giovanni, padre di Teodefredo, da Ludovico il Pio, allora re d’Aquitania.
Et ibidem ostendit, jamdictus Johannes, epistolam scriptam ad relegendum quod domnus Ludouvichus, dum rex fuisset, ad Sturmioni, comiti, direxit, quod revestisset ipsum Johanne, condam patrem de isto Teudefredo jamdicto, villare Fontes, ab omne intégritatem, cum omnes suos terminos et ajacentias et pertinentias ipsius villare ut Johannes et habuisset per suam adprisionem, absque ullo socio vel erede, et per adictum domni imperatoris. [V. pag. 113, G. Mouynès, succitato]
Giovanni fu eletto dal conte Sturmion il quale fissò lui medesimo i limiti del dominio. La possessione di queste terre fu sempre a lui riconosciute finché il conte Leibulfe se ne impadronì ingiustamente. I testimoni domandano che il dominio ritorni a Teodefredo, erede legittimo di Giovanni.
Però nell'834, diversi testimoni vennero a testimoniare in favore di Teodefredo, figlio di Giovanni: il dominio di Fontjoncouse dovrebbe, dicono, tornare a Teodefredo che ne era stato indebitamente spogliato.
Carlo il Calvo, nell'844, conferma Teodefredo nei suoi diritti [Quapropter et has litteras nostras illi fieri jussimus; per quas volumus atque firmamus, ut prædictus qui moderno habet fidelis noster Teodefredus sæpedictam villam Fontes perpetuo tenere, habere et absque ullius inquietudine possidere. V. pag. 117, G. Mouynès, succitato]; gli concede addirittura nell'849 la piena proprietà del feudo. Alla fine del X secolo Fontjoncouse non era più un “deserto”: il luogo è abitato e prospero, vi sono state edificate tre chiese. La principale è dedicata a Santa Léocadie [Santa Leocàdia in catalano, S. Leucadiam in latino], un'altra a San Christophe [Sant Cristòfol, in catalano beati Christophori in latino] e un'altra a Saint Victor [Sant Vìctor, in catalano S. Victoris].
Fronte e retro di Sant Vìctor
Se è necessario uscire dalla visione mitica che talvolta viene data degli Hispani come "vittime sfortunate dell'oppressione islamica", uscenti dalla crisi economica delle regioni fino ad allora abbandonate, è innegabile che gli Hispani siano stati l'origine di un grande movimento di bonifica, disboscamento e creazione di “villaggi” e pievi, nei secoli IX e X. Questa azione economica non deve però far dimenticare il ruolo che ebbero alcuni Hispani in campo religioso, in particolare nella fondazione dei monasteri: aux Bains d'Arles (attuale Amélie-les-Bains. In catalano Banys d’Arles), Castellan, anch’egli proveniente dalla Spagna, fondò intorno al 778-780 un primo monastero [monastero in catalano è monestir], predecessore di quello di Arles-sur-Tech [Arles de Tec]; nel 782, un’altro Hispanus, Atala, fonda nel Razès [Rasès in catalano] l'abbazia di Saint-Polycarpe [Sant Policarp] che si sviluppò rapidamente grazie ai privilegi concessi sempre dai sovrani carolingi.
Aprisions et presuras au début du ixe siècle : pour une étude des formes d’appropriation du territoire dans la Tarraconaise du haut Moyen Âge
Di Juan José Larrea e Roland Viader
Scovato su:
https://books.openedition.org/pumi/30696?lang=it
«dal cap. 32
Per quanto riguarda l'aprision, in connessione più o meno diretta con il tema degli Hispani nella storiografia catalana, si potrebbe dire, ad esempio, che essa appare come "la figura giuridica centrale di tutta la spiegazione tradizionale dell'evoluzione economica e sociale della Catalogna nell'Alto Medioevo”
[…]
Dal cap. 36
L'aprision appare, infatti, come l'appropriazione e la delimitazione di terreni liberi la cui coltivazione è evidentemente un'operazione successiva e molto spesso parziale. In altre parole, include hermes [luoghi o località] che non sono stati tutti coltivati disboscando e che non tutti sono destinati a essere perciò resi idonei alla coltivazione. È vero che questo appare male nei diplomi imperiali degli anni 812-816. Possiamo notare, però, che il testo dell'812 definisce i possedimenti degli Hispani come gli erema loca [luoghi o località desolate] di cui presero possesso per lavorarli (ad laboricandum propriserant), il che non significa che siano già completamente coltivati. Si aggiunga, inoltre, che tali proprietà sono definite anche villae. Insomma, nulla impedisce, anzi, che il territorio sequestrato per l'aprision abbia ampiamente superato la struttura di ciò che è stato effettivamente arato. Prove successive lo confermano oltre ogni dubbio. Si possono, ad esempio, addurre al riguardo le testimonianze presentate nell'834 da Theodofred, figlio del famoso Giovanni, uno dei "quarantadue di Aix-la-Chapelle". I testimoni, infatti, raccontano come Giovanni acquistò il villar de Fonts cum omnes suos terminos et adiacenteias; narrano la costruzione di case, lo sgombero di terreni, e la delimitazione del villar per il conte: la descrizione dei confini mette in evidenza che essi comprendono anche hermes. Quindici anni dopo, inoltre, boschi sono ancora citati nel territorio di Fonts. Si potrebbero moltiplicare i casi di questo genere, ben attestati. [nota 65: Così le villas di Céret (Vallespir) e Villanova de la Raho (Rossiglione): C atafau , Hispani et aprisionnaires ; Id., « Hispani » ; Id. et Duhamel-Amado, « Fidèles », pp. 446-449. Céret, fatto prigioniero in virtù di un'autorizzazione di Carlo Magno, è descritto nell'814 cum ipsa ecclesia (...) silvis videlicet vel campis, vineis seu pratis, aquis aquarumve ductibus vel decursibus (A badal , Diplomes 2 , p. 318).].
[…]
Dal cap. 37
La terza caratteristica dell'aprision così come presentata nei capitolari è ben nota, e ha dato luogo a numerosi commenti: i testi riconoscono una gerarchia, differenziano diverse categorie di hispani, e i dibattiti sono stati notevolmente oscurati dall'allargamento delle forme di opposizione messe in atto. L'unico punto che dobbiamo ricordare qui è il seguente: gli Hispani possono attirare degli uomini per fargli coltivare la parte delle terre che hanno ottenuto per aprision (815, cap. 3). Questi dovranno fornire loro i servizi concordati e saranno soggetti alla giustizia del concedente per questioni che non rientrano nella giurisdizione del giudice di contea; potevano, nelle stesse condizioni, trasmettere ai figli la terra lavorata (816), ma essa tornava al padrone se i nuovi arrivati abbandonavano i loro appezzamenti (815, cap. 4). Questo fatto dovrebbe essere considerato da entrambe le parti. (a) Gli aprisionnaires difficilmente potrebbero attrarre questi ospiti o coloni a meno che non avessero una riserva di terra, un surplus di terra che non coltivassero essi stessi. In breve, un simile accordo ha senso solo se gli aprisionnaires sequestrano parte dell'hermes se non sgomberando, (b) Ma affinché il sistema funzionasse, bisognava anche impedire ai nuovi arrivati di eseguire l'aprision per proprio conto. Questo è esattamente ciò che sembra organizzare il diploma dell'816, il quale non sembra prevedere altra possibilità per i nuovi venuti che raccomandarsi ai conti, ai vassalli dei conti o agli Hispani aprisionnaires, al fine di ricevere dalle loro mani la terra desiderata. Ancora una volta, l'esempio di Fonts aiuta a capire meglio le cose. I testimoni riferiscono, infatti, di aver visto Giovanni "occupare" il villar, "costruire" case, curtes e giardini, e di "lavorare" la terra. Dichiarano poi che egli "mandò là i suoi uomini", uomini a lui raccomandati e che lo ebbero per "patron [capo]". Concludono infine che tutto ciò che questi uomini costruirono di case, curtis e giardini, tutto ciò che ararono di terra, lo fecero per beneficium di Giovanni, e non per illorum aprisione.
Facciamo una pausa. Se ci atteniamo agli elementi appena citati, è chiaro che all'inizio del IX secolo l'aprision serviva a riprodurre una forma di possesso aristocratico basata sull'appropriazione e la demarcazione di hermes, in quanto queste permettevano di promuovere e controllare l'estensione dello spazio coltivato. Il modello riprodotto potrebbe essere stato importato, poiché si trattava in linea di principio di immigrati (signori e dipendenti), ma anche di locali, poiché sappiamo che il villar non era una nuova forma di proprietà dei potenti.
[…]
Dal cap. 38
Senza andar più lontano, possiamo mantenere l'idea che la coltivazione di certe terre permettesse di far valere un diritto di possesso su uno spazio più ampio e delimitato. Quando questo diritto era riservato a una sola persona, l'insieme somigliava molto a un dominio o ad una proto-signoria.
È il caso del villar de Fonts, dove i testimoni presentati da Teodofredo [Théodofred] nell'834 si affrettano ad affermare che Giovanni possedeva tutto per suam adprisionem absque ullo socio vel herede. Ma appunto la loro dichiarazione rivela che altri aprisionnaires dovevano fare i conti con i loro associati.»
E mi tocca fermarmi qui per non rendere troppo tedioso lo scritto, anche se il resto del testo è molto interessante.
Chiesa Santa Leocàdia, portale e insieme
La prima foto in bianco e nero viene dall’Archivio del dipartimento dell'Aude, la seconda da wiki. La consacrazione della chiesa di Fontjoncouse a Santa Leocàdia, vergine martire di Toledo, ci ricorda che il paese fu fondato alla fine dell'VIII secolo dagli Hispani (hispans in catalano) in fuga dei Saraceni.
La chiesa è inclusa nelle fortificazioni che circondano il colle che domina il paese. Costruito alla fine del XII secolo, il portale con arco a volta quadrupla si apre a nord della prima campata della navata e costituisce la parte più interessante dell'edificio. I tre archi interni poggiano su capitelli decorati a foglie d’edera, uno dei quali, in marmo, sembra provenire dalla chiesa primitiva. Due cordiere a cui hanno donato ingenuamente la forma di un volto umano accolgono l'archivolto del portale.
Abbazia di Saint-Polycarpe.
834, 30 agosto. 1 pezzo di pergamena, originale. 72 x 44,5 cm. Latino.
Archivio dipartimentale dell'Aude, G 6.
Fu alla fine dell'VIII secolo che l'abbazia benedettina di Sant-Policarp fu costruita al limite occidentale del massiccio delle Corbières. Se prendiamo come riferimento un diploma carolingio sospetto sulla sua autenticità, possiamo collegare la fondazione di questo monastero al movimento d'emigrazione che vide, negli ultimi anni dell'VIII secolo, l'arrivo in Settimania di un certo numero di Hispani. Un uomo di nome Attala sarebbe venuto con una piccola comunità, coltivando dei terreni situati intorno al loro primo accampamento. In quello stesso periodo, il suo connazionale Giovanni stava lavorando le terre di Fontjoncouse. L'attuale chiesa, coeva alla seconda metà dell'XI secolo, illustra, con la sua decorazione di arcate longobarde, un'importante stile architettonico, noto come il primo arte romanica meridionale. Da segnalare la presenza, all'interno dell'edificio, di frammenti di un'importante decorazione parietale di epoca romanica. Il tema è ispirato ai primi capitoli dell'Apocalisse.
E qui finiva la prima parte del catalogo. Prosegue poi con altre figure storiche, come la figura de
Ermessenda I Almodis (975 circa – 1 marzo 1058),
che sposerà il conte di Barcellona Raymond Borrel nel gennaio del 993; con lui parteciperà alla spedizione armata di Cordova del 1016. Il marito morirà l’otto di settembre del 1016. Rimasta vedova, Ermessenda esercita il potere come contessa in nome del figlio Berenguer Ramon fino al 1023, quando si ritira a Girona, dove la sede episcopale è tenuta dal fratello Pere (Pierre) Roger de Carcassona.
Al decesso di suo figlio nel 1035, ritorna ad assumere il ruolo di contessa in nome del nipote Ramon Berenguer I, con cui avrà un conflitto già nel 1041, e di nuovo nel 1054. Si riconcilierà col nipote un anno prima della sua scomparsa. Venne sepolta nella cattedrale di Girona a sinistra dell’altare principale.
Alla fine di questo scritto mi rimane una ulteriore sfiducia negli storici ufficiali.
Come non rimanere stupiti nel vedere l’abside originale di Sant-Policarp (sviluppato poi in altezza nei secoli seguenti), la copia degli edifici altomedievali delle Marche. Le stesse, identiche decorazioni.
Sfiducia perché non sono carolingi, anche se nati proprio in quell’epoca per cui diventano longobardi … o certo, non ci sono documenti e se ci sono, son sospetti, dubbi e via dicendo.
La
verità storica non è per gli uomini, personalmente cerco ancora di sognare,
anche se la realtà è un incubo ad occhi aperti; una di queste realtà c'è la offre il caro Pif e il suo amico-nemico Ercole, che hanno ormai 75 anni. Vignetta ripresa da un libro regalatomi da François.
Non si può lottare contro i mulini a vento… Si fa tutto solo per riempire la giornata…
Marco Pugacioff
[Disegnatore di fumetti dilettante
e Ricercatore storico dilettante, ma non blogger
(Questo è un sito!)]
Macerata Granne
(da Apollo Granno)
S.P.Q.M.
(Sempre Preti Qua Magneranno)
15/05/’23
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