Gerberto
e il diavolo
Piccolo campionario dell’insolito 2
PRESAGI E STARNUTI
Da La route de l’ouest – n. 113 mars 1984
Una corrente d’aria, un colpo di freddo, un niente e noi
starnutiamo. Il più delle volte in maniera praticamente intempestiva! Or bene,
cosa credevano i nostri amici Greci… (quelli dell’antichità!) ?
Starnutire tra mezzanotte e mezzogiorno portava sfortuna. Ma se
per fortuna si starnutiva nel pomeriggio, non potevano che arrivare cose
deliziose e altrettanto impreviste.
Per i nostri avi, il presagio dello starnuto era differente. E più
complicato! Se qualcuno aveva tendenza a starnutire dalla parte sinistra, era
la fortuna assicurata. Ma se era dal fianco destro, allora si potevano temere i
guai peggiori.
D’altra parte, se il marito starnutiva il mattino delle sue nozze,
la famiglia navigava nell’estasi. Perché l’unione così celebrata… è pressoché
santificata! E resta senza la minima nuvola.
Il che, dopo
tutto, non è così divertente
perché il piacere delle baruffe, diceva Courteline, era decisamente di far la
pace.
Ai nostri giorni quando qualcuno starnutisce, sia a destra
che a sinistra, è piuttosto un brutto presagio. Vorrebbe dire che rischiamo di
averci buscato un raffreddore.
ωωω
Regolo e
il serpentone di Cartagine
Durante
la campagna del console Marco Attilio Regolo (di probabile origine ciociara)
contro Cartagine nella prima guerra punica, si era posto un accampamento
militare presso il fiume Bragada (l’odierno Mejerdah, che sfocia presso Tunisi).
Qui come narrano Vibio Sequestro[vedi nota 1 e 2], Aulio Gèllio, Valerio
Massimo e Plinio il vecchio vi era la tana di un gigantesco serpente che
attaccava e trangugiava i militi Romani. Regolo informato dei fatti, attacca il
serpente con soldati, baliste e arieti, ma la pelle del serpente è talmente
dura che stritola e schiaccia molti legionari.
Allora è lo stesso console a
cavallo che con la sua lancia a colpire il rettile, ferendolo alla testa. Dietro
di lui, Maro, un soldato venuto dall’Umbria, lo colpisce ancora, prima che si
cibi del cavallo del console e dopo di lui altri soldati colpiscono ancora il
capo del serpente. Infine un grosso macigno scagliato da una balista spacca la
testa del rettile.
Il rettile venne poi scuoiato e la sua pelle insieme alle fauci furono
portate a Roma e poste in uno dei templi sul Campidoglio. Plinio stesso ci
assicura che la pelle – e sicuramente sapeva distinguere tra pelle ed intestini
– era lunga centoventi piedi, cioè 35 metri; ed era ancora visibile almeno fino
alla guerra di Numanzia [Plinio, Stor,
nat., lib. VIII. 14,]
contro i Celti iberici. Aggiunge inoltre che si può credere a questi fatti
ricordando che si vide in Italia il serpente chiamato boa arrivare a tale
grandezza, che sotto il regno del Dio Claudio, si trovò un bambino nello
stomaco di uno di questi animali, ucciso al Vaticano.
Maro [o Marus], dopo
quest’impresa si illustrò l’elmo con un serpente, mentre Regolo, secondo la
storia – ormai considerata leggenda – prigioniero dei cartaginesi fu posto in una botte irta di
chiodi che venne rotolata da una collina fino al mare.
Da cui venne – macabra battuta finale – il detto odierno “siamo in una
botte di ferro”… e quando me lo dicono aggiungo “sì, come quella di Attilio”.
1 -
Vìbio Sequèstre
(lat. Vibius Sequester).
- Compilatore latino (4º-5º
sec. d. C.) di un lessico geografico con notizie storiche e mitologiche sui
luoghi ricordati da Virgilio,
Lucano e in parte da Silio Italico e Ovidio; il titolo è Vibii Sequestris de fluminibus fontibus
lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras; ma
forse V. S. è uno pseud. attinto alla Pro
Cluentio, 25, di Cicerone, o solo il Sequester è un'aggiunta
fatta in ricordo del passo ciceroniano. Da http://www.treccani.it/enciclopedia/vibio-sequestre/
2 - Vib. Seq., de
fluminibus , v. Bagrada : Bagrada Africae juxta oppidum Musti, ubi Regulus
serpentem longum pedes CXX exercitu abhibito interfecit.
ωωω
Da
un programma radiofonico spagnolo chiamato “Espacio in Blanco” vi è stata fatta
una puntata intitolata
“Las rutas del diablo”
Faust
nella cucina della strega 1848, Sir Joseph Noel Paton, Pennino, inchiostro marrone e acquerello su carta 24.00 x 29.90 cm, © National Galleries of Scotland
L’idea, il concetto dell’inferno dovrebbe derivare da un supplizio, detto
castigo del fuoco, dell’antica Babilonia in cui i condannati dovevano passare
su una passerella strettissima e lunga tanti metri quanto era grave il crimine.
Essa passava sopra una fossa piena di legna, che degli addetti facevano
continuamente ardere. L’incriminato, più era lunga la passerella più aveva
difficoltà a respirare, e infine cadeva sulle braci ardenti. Da questo
supplizio fu tratta l’immagine del castigo eterno.
Dal Liber
Floridum il diavolo bestia
Un fenomeno sociale tremendo in Spagna, come in Nord America è quello delle
molte associazioni, chiese, sette dedicate al diablo, al diavolo. Quasi
ogni regione spagnola ne ha una: Una dedicata a Lucifero in Coruña, los
Hijos del diablo in Vigo, El Toro o la setta del Toro
nel Leon, la Hermandad de Satan nel pireneo catalano, la hijia [o la setta]
del mal Belzebù in provincia di Barcellona, la Mano Negra in
Valenza, los Hermanos Diabolicos in Gandia, Satanis Hispanis a
Marbella, nella provincia di Malaga, il tempio di Seth in Madrid e la Luna
Negra in Toledo con il suo Papa, insomma una grande proliferazione di sette
in Spagna, che si dedicano seriamente al culto satanico.
Illustrazione
in La-Bas, di Huysmans
Paris, 1891
Paris, 1891
Esagerando si può anche dire che ogni regione spagnola ha il suo ponte del
diavolo. L’acquedotto di Segovia, seppur realizzato dai Romani è considerato un
ponte del diavolo.
In più da tempi antichi l’uomo ha utilizzato gli specchi per aver relazioni con
ciò che vi è mas allà, al di là. Molta gente scompariva attraverso uno
specchio. Si assicurava che esistesse un altro mondo oltre la superficie
lucida, un mondo che conosceremo solo quando cesseremo di vivere.
Lo specchio già esiste in natura, l’acqua riflette come uno specchio. Nello
specchio comunque si vedono fatti del passato e volti conosciuti o sconosciuti.
Era realizzato con un cristallo detto della luna, molto pulito, che fuso dava
una superficie atta a riflettere, e i migliori specchi erano gli specchi
veneziani, che erano quelli dove vi erano maggior quantità di fenomeni.
ωωω
…altra
puntata di “Espacio in Blanco” fu su…
Il cammino iniziatico di Santiago.
Si
attribuì a Carlo Magno lo scoprimento della tomba di Santiago di Compostella,
tanto che nella sua urna d’oro attualmente ad Aachen, appare impressa la storia
dell’apparizione di Santiago all’imperatore, che gli dice di seguire il cammino
delle stelle e che alla fine avrebbe incontrato la sua tomba.
Si
è detto che nel cammino di Santiago, poteva esistere, prima dello scoprimento
del sepolcro dell’apostolo, un cammino iniziatico, detto anche il cammino degli
architetti, perché erano coloro che detenevano il segreto delle vecchia
architettura.
Maestro cantero representado en un canecillo medieval.
[CanecilloParte del fascio di un edificio che si
estende all'esterno della facciata e tiene la cornice.]
E
si è detto anche che era il cammino degli scalpellini, o degli uomini della
pietra; questo cammino iniziatico arrivava fino al mare dei morti – dove
nell’antichità si credeva andassero le anime di chi moriva – un luogo
sconosciuto, e il luogo più occidentale della costa occidentale e la fine della
terra. È molto curioso il fatto che gli alchimisti chiamavano la ricerca della
pietra filosofale, “il cammino di Santiago”.
( 1550circa ).
la Chronique
de Turpin afferma che la chiesa è stata fondata da Carlomagno
Sembra
che Nicola Flamel venendo dalla Germania avrebbe iniziato il cammino di
Santiago, cercando non solo la tomba dell’apostolo, ma ricercando anche il
segreto dell’alchimia, il segreto della pietra filosofale che convertirebbe i
materiali meno nobili in oro. Nella regione del León, avrebbe incontrato
un vecchio alchimista giudeo, che gli avrebbe svelato la formula agognata.
Flamel avrebbe avuto così molta disponibilità di oro convertito, e restaurò con
essa la torre di Santiago, la torre Saint Jack a Parigi, ormai in rovina.
ωωω
Il Trickster
Una veloce risposta di José Antonio Caravaca a
una mia domanda mi fatto scoprire uno strano personaggio: Joseph Campbell
nel suo libro "Las máscaras de Dios" "Maschere
di Dio" definisce il "Trickster" mitologico, assicurando che
è un personaggio che: «ha esercitato sempre un grande fascino ed è universale,
inoltre è presente in tutte le culture e mitologie. Sembra sia stata la
principale figura mitologica del mondo Paleolitico nella storia. Uno sciocco e
un imbroglione crudele, lascivo e l'iniziatore del disordine; Tuttavia è anche
il portatore di cultura. Può essere uomo, donna, animale, spirito, dio, dea o
bestia antropomorfa, fa trucchi, disobbedisce alle norme e alle regole di
comportamento, è sempre in movimento e ha una intensa sessualità. Sua
caratteristica principale è la propria ambiguità, con due diverse nature
(divino e umano, umano e animale, celeste e infernale...). E’ un essere
ambivalente, che presenta nelle sue opposte nature, sia il bene sia il male,
l’ordine e il caos.»
ωωω
Carlo Magno e i ritornanti
nel
libro
Storia
dell’antica Abbazia e del Santuario di Nostra Signora di Vezzolano (Piemonte) di
Antonio
Bosio Torino, 1872
Si
legge:
Si
sa dalle storie che venne Re Carlo Magno nel 773 alla conquista della
Lombardia. Superato alle chiuse in Val di Susa e vôlto in fuga Desiderio Re dei
Longobardi, lo strinse d’assedio in Pavia, che molto durò. In quel tempo prese
varie città, fra le quali Torino, da cui si recò cacciando, come era solito,
sino alla selva di Vezzolano, forse neppure dieci miglia da quella città
lontana. Ed appunto la pittura rappresenta quel Sovrano a cavallo, accompagnato
da due scudieri parimenti a cavallo, e seguito dai cani, con uccelli che
svolazzano per l’aria; esso è in atto di grande spavento, sì che accenna di
cadere dal suo bianco destriere, e ciò per la vista di tre scheletri
(credendoli forse di persone fatte da lui uccidere), che escono da una tomba,
uno dei quali avvolto in funereo lenzuolo, che avrei creduto rappresentasse una
donna, se non si scorgesse ancora un po’ di barba sul mento: i due cavalieri
del suo seguito sono ugualmente spaventati, uno nasconde il volto fra le mani,
l’altro rivolge il capo altrove per non vedere: un pio monaco o romito si
presenta a confortarli, esortandoli a ricorrere alla Patrona di quel luogo,
alla Madonna venerata nella vicina chiesa, che indica, e dice di non
insuperbirsi, pensando che tutti dobbiamo morire. […]
Alcuni,
non so con quale fondamento, credono che Carlo Magno fosse soggetto
all’epilessia, e che per intercessione di Maria ne fosse libero, quindi in
ringraziamento a Dio della ricevuta grazia, abbia donati mezzi più che
sufficienti ad ampliare la chiesa ed il convento. Ma la pittura indica
piuttosto lo spavento per la vista dei morti.[…]
Vedendo
poi alcuni dipinto Carlo Magno che quasi cade dal cavallo, credono che sia
stato improvvisamente colto dal morbo epilettico alla vista dello scheletro, e
che quindi ne venisse dal monaco risanato, raccomandandolo alla Madonna, e
quindi in ringraziamento dell’ottenuta grazia ne rifabbricasse la chiesa ed il
convento. Ma di ciò la sola tradizione non corroborata dalla storia lo accenna
come già dissi.
piccola
ricerca di Marco Pugacioff
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va agli
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