Un po’ di Spettri da
ANNALI DELLO
SPIRITISMO IN ITALIA
anno XXXIII
(trentesimo) 1896
«Chi, fuor delle matematiche pure,
pronunzia la parola impossibile, manca
di prudenza.»
ARAGO, Annuario del 1853.
Sarà san
Valentino, però piove, perciò…
Sul numero 1 della rivista si parla di una
figura spettrale apparsa nel maniero inglese di Clandon-Park, purtroppo le
prime notizie erano in un numero precedente mai messo in rete da gogole libri
allora ho scovato questo…
Lo spettro di
Clandon-Park
da pag. 685 de
Vittoria Colonna periodico scientifico, artistico,
letterario per le donne...
Treviglio 1896
«Tre spettri in un
castello inglese. I giornali inglesi s’occupano d’un avvenimento
singolarissimo.
Il fantasma d’una donna vestita di color crema
appare nella villa detta Clandon Park, che il
conte d’Onslow, ex governatore della Nuova Zelanda, possiede presso Guilford,
in Inghilterra, e che questo gran signore aveva affittata ad un abitante di
quella città.
Lord Onslow si recò sul luogo, accompagnato
dal, famoso governatore sir George Lewis per controllare i rumori strani che
correvano in proposito e per dimostrare, quando fosse possibile, l’assurdità
delle sue pretese al locatario, il quale chiedeva la rescissione del contratto
di affitto. Ma quale non fu il suo stupore e quello del suo procuratore accertandosi
che le dicerie erano fondate!
Videro entrambi coi propri occhi la signora
color crema che s’aggirava verso mezzanotte nei viali del parco, ove il suo
passaggio non lasciava alcuna traccia. Ma c’è di meglio: il conte scorse due
fantasmi non ancora denunciati: quello di una giovane in lutto e d’un vecchio
barbuto; sembravano conoscersi, si rivolgevano saluti, si facevano segni d’intelligenza:
non si curavano delle fucilate che venivano loro dirette e che non ottenevano
alcun risultato.
Si annunziava testè a Londra che lord Onslow,
anche per consiglio del suo procuratore, consente alla rescissione del
contratto d’affitto e che ritornerà alla capitale per pregare alcuni scienziati
di venire con lui a Clandon Park par osservare seco
i suoi visitatori d’oltretomba.»
Torniamo agli annali…
Ancora degli Spettri
di Clandon-Park.
Nella Cronaca del Fascicolo di Ottobre 1895 ho
già parlato dei tre spettri, che infestano il castello di lord Onslow chiamato
Clandon Park o Clandon House. Ora, secondo nuovi particolari usciti ne'
giornali inglesi, i domestici di quella tenuta vedono avanzarsi traverso le
aiuole una donna vestita di raso color giallognolo con un cintolo di cuoio, da
cui pende un coltello da caccia. I guardiacaccia tirarono già parecchie schioppettate
sul fantasma, che li lascia fare senza curarsene e senza riceverne alcun danno,
il che si capisce, vedendo com’egli entra a suo libito nel castello penetrando
e trapassando incolume il granito delle muraglie o la quercia massiccia de'
portoni. Un ministro protestante ( clergyman ) ha tentato di tagliar la strada
all’apparizione col piantarsele davanti brandendo un crocifisso di bronzo; ma
essa, senza scomporsi, gli strappò il crocifisso di mano, e si dileguò nell’aria,
portando via seco quel simbolo religioso, di cui non si è mai più potuto
trovare alcuna traccia. Il periodico londinese Light del 2 di Novembre 1895
narrava, che un informatore ( reporter ) del Surrey Times si è recato sul luogo
del fenomeno. Dopo di aver riscontrato la verità delle voci, che corrono sul
castello infestato, egli seppe, che un’abitatrice di esso, la signora Blaine,
ne aveva pregato un’altra, la signora Merritt, notissima in Inghilterra per la
sua ferma convinzione spiritica, di andar a investigare la cosa.
Questa, poich’ebbe acconsentito, sarebbe
riuscita ad evocare lo Spirito, che si manifesta in quel modo, e avrebbe
raccontato la sua storia, da cui risulta, che, madre prima di essere moglie,
aveva ucciso la sua innocente creatura, e che, sposatasi di poi con un altro,
questi, venuto a conoscere la cosa, indusse la cameriera della moglie ad
avvelenare la sua padrona. Quindi si spiegherebbe. come tutti e tre gli
assassini ritornino sulla terra a errare nel luogo del loro misfatto, e perchè
la dama spesso si mostri tenendo in mano una coppa, che sarebbe quella, in cui
le fu propinato il veleno.
Il
fantasma color crema (insieme ad altri) è citato anche su: https://www.paranormaldatabase.com/surrey/surrdata.php?pageNum_paradata=7&totalRows_paradata=182
Qui
ho scovato un’altra notizia tra tante altre, ve la metto senza ritoccare gran
che della traduzione fatta in rete…
Un grande gatto da un bestiario medievale.
Il
cardinale
Posizione: abbazia di Waverley
Luogo: Abbazia di Waverley
Tipo: Manifestazione inquietante
Data/ora: Fantasma sconosciuto, avvistamento di un gatto il 27 ottobre 1825
Ulteriori commenti: Apparendo nella sala da pranzo, questo ex cardinale è stato visto molte volte vagare in giro. Si ritiene che potesse fare la guardia a un tesoro nascosto. Lo scrittore William Cobbett ha riferito di aver visto un grosso gatto grigio durante la visita all'abbazia, forse uno dei primi incontri con un grande felino alieno. [Alien Big Cat].
Un’ultima cosa… Il castello o villone di
Clandon su cui giravano queste sinistre voci, è andato distrutto da un incendio alla fine di aprile del 2015. v. https://thecountryseat.org.uk/tag/clandon-park/
ωωω
Spiriti Perturbatori
in un Convento.
Il 5 di Ottobre prossimo passato scrivevano da
Madrid al giornale Le Petit Marseillais quanto segue: “Da cinque giorni qui non
si parla di altro se non de' romori notturni e inesplicabili, che si fanno
udire nel convento delle suore della Immacolata Concezione. Non appena son
sonate le dieci ore di sera colpi da prima leggieri, ma che poi aumentano d’intensità
con la durata, son battuti ne' muri: con lo approssimarsi del mattino vanno
scemando, e cessano totalmente col sorgere del sole. Talvolta si direbbe, che
vengono dal suolo, e ne paiono scosse insino le fondamenta dell’edifizio. Nel
convento non dormono più per la paura.
L’abbadessa, suor Maria Filar, si è rivolta
all’elemosiniere, il quale, riscontrata ch’ebbe la verità della cosa, nè riferì
al suo vescovo. Questi, per bene sincerarsi, passò a sua volta una notte al convento,
e ne fu persuaso. Le podestà civili hanno mandato sul luogo due ingegneri, che
non seppero dare alcuna spiegazione del fenomeno, quantunque avessero
diligentemente scandagliato tutti i muri, e fatto scavare profondi qua e là nel
suolo diversi pozzi.
Il convento è guardato notte e dì da una
squadra di agenti di polizia.
ωωω
Dal numero 2
PRESENTIMENTO E
VISIONE PROFETICA
( Dalla Revue des
Revues di Parigi )
Circa dieci anni fa il signor Alessandro
Bérard ( abitante sull’Avenue Kléber, N. 52 ), allora non ancor Deputato, com’è
oggidì, ma solamente giudice istruttore, era andato per diporto in un luogo di
bagni su' monti. La sera di una sua gita alpestre, nella quale si era allontanato
di troppo dalla cittaduzza, non si sentendo, perché morto di stanchezza, di
ritornarvi, pensò di cenare e dormire in una remota osteria, che incontrò in
mezzo di un romantico bosco su un sentiero certo non guari frequentato.
La osteria aveva nella insegna sopra la porta
l’attraente iscrizione “Al Ritrovo degli Amici”; ma gli ostieri, due coniugi di
età, con la lor aria schiva e sospetta, non invitavano troppo ad entrarvi.
Stracco e affamato com’era, il signor Bérard
non badò punto all’aspetto sinistro della casa e de' suoi padroni, entrò,
mangiò, e tosto dopo cena si fece condurre nella camera a lui destinata. Neppur
quivi da vero uno scorgeva cosa, che accennasse a ritrovo amichevole : una
miserabile branda serviva da letto, due povere seggiole zoppicanti e una tavola
di legno rozzo con sopravi una catinella fessa e slabbrata per lavarsi ne formavano
tutta la mobilia. Stranamente impressionato da quella squallidezza, l’ospite si
affrettò a dar due giri di chiave nella toppa dell' uscio, e poi si mise a visitare
minutamente la stamberga. In fondo di essa, astutamente nascosto in un angolo,
egli scoprì un usciuolo, dietro a cui una scaletta metteva direttamente nel
cortile. Allora per prudenza spinse contro di esso la tavola, inanzi alla quale
mise ancora una delle seggiole, affinchè niuno potesse penetrare per di là
senza spingere con istrepito quella improvvisata trincea. Ciò fatto,
coricatosi, si addormentò.
Ma a un tratto, sobbalzando, fu ridesto. Gli
pareva, che qualcuno tentasse di aprire l’usciuolo, e così facesse strisciare i
mobili sul pavimento. Credette anzi di distinguere attraverso le fessure della porticina
stessa la luce di una lampada o di una lanterna. Sorpreso, com’era stato, nel
sonno, ed agitato con ragione allora egli gridò forte: Chi va là ? Nulla si
mosse. Non vide e non udì più nulla, sì che disse a sè stesso, che quello era
l’effetto di un incubo. Tuttavia sentiva una paura inesplicabile : rimase a
lungo sveglio, origliando, senza poter iscacciare da sè insistenti imagini
funeste. Soltanto dopo qualche ora si riaddormentò . E fece un sogno singolare.
In quella stessa camera occupata da lui e
sulla stessa branda, su cui giaceva disteso, vide una persona sconosciuta
immersa in profondo sonno. Ed ecco all’improvviso aprirsi l’usciuolo nascosto, e
comparire sulla soglia un uomo l’oste della taverna “Al Ritrovo degli Amici” in
carne ed ossa seguito da sua moglie, che con la mano protesa velava il lume di
una lanterna. Mentr’ella con precauzione rischiarava la camera, il marito si
appressò al dormiente, e gli cacciò un coltello nel petto. Quindi tolse la
lanterna, ne mise l’anello di presa fra' denti, e afferrò l’ucciso per i piedi,
la donna lo avvinghiò per la testa, e così la orribile coppia si dileguò con la
vittima giù per la scaletta. Il signor Alessandro Bérard si ridestò di nuovo in
uno stato di affanno tormentoso...
Tre anni dopo egli aveva da un pezzo
dimenticato quella brutta notte, allorchè lesse ne' giornali, che l’avvocato
Vittorio Arnaud, il quale villeggiava in quella stessa piccola città di bagni,
era di un subito scomparso senza che si riuscisse a trovare traccia di lui. Al leggere
il nome di quel luogo, ch’egli ricordava benissimo, il futuro Deputato, colto
da un singolare presentimento, tremò. Quella impressione crebbe di assai di lì
a due giorni, quando del fatto seppe altri particolari. Le gazzette
annunziavano, essere accertato il dove e il come l’avvocato Vittorio Arnaud
aveva passato il tempo nel giorno della sua scomparsa fino al momento ch’era
entrato in una osteria chiamata “Al Ritrovo degli Amici”. Da quel momento in poi
non se ne sapeva più nulla. Il taverniere assicurava, che l’ospite, dopo di
aver cenato, era partito la sera stessa. D’altra parte quell’uomo aveva in
paese cattiva fama. La gente vi parlava di un Inglese, che sei anni prima era
sparito nello stesso modo. E la giustizia imprese una inchiesta.
Allora il signor Alessandro Bérard smise ogni
ritegno. Partì, e si recò dal suo collega, il giudice istruttore in X, da cui
venne ricevuto proprio mentre si accigneva a interrogare la padrona della
osteria “Al Ritrovo degli Amici”. Il signor Bérard chiese la permissione di
poter assistere all’interrogatorio, il che naturalmente gli fu concesso di buon
grado.
La vecchia strega non lo riconobbe, non fece
attenzione alla sua presenza, e raccontò tranquillamente, come un viaggiatore,
la cui descrizione si attagliava abbastanza bene al perduto Vittorio Arnaud, fosse
entrato quella data sera nella sua taverna, e vi avesse mangiato. A dormire
però non vi era restato, perchè allora le due uniche camere della casa erano
state già prese da carrettieri. La quale ultima osservazione era di fatto
giusta, come la inchiesta giudiziaria aveva dimostrato.
Ma qui entrò improvvisamente in scena il
signor Alessandro Bérard.
E la terza camera ? ( domandò egli) la camera
sul di dietro ?
La donna si mise a tremare. Ciò veduto, con
istupore del suo collega, il signor Bérard proseguì: Ivi ha dormito Vittorio
Arnaud.
Durante il suo sonno voi e vostro marito siete
penetrati per l'’usciuolo nascosto, per l’usciuolo, che dà sulla scaletta. Voi
portavate una lanterna, e vostro marito un coltello. Questi ha ucciso il
viandante per rubargli l’oriuolo e il portafogli. Poscia voi avete ghermito il
cadavere per il capo, e vostro marito per i piedi, e così lo avete portato giù
dalla scaletta. Vostro marito, ciò facendo, portava la lanterna, stringendone
co' denti l’anello di presa.
Atterrita, schiacciata, battendo i denti, la
colpevole cadde in ginocchio, mormorando la confessione : - Dunque Ella ha
veduto tutto ?
La scena era proprio accaduta a lettera come
il signor Alessandro Bérard l’avea veduta in sogno tre anni prima.
Nella stalla dell’osteria, sotto un mucchio di
letame, si trovò il cadavere del povero Vittorio Arnaud, e vicino ad esso delle
ossa umane, forse quelle dell’Inglese, altra vittima degli stessi assassini.
GERMAIN.
ωωω
Un Castello infestato.
Nel Journal de Liège del 16 di Dicembre 1895
si leggeva : “Da Quimper scrivono al Petit Journal quanto segue : «Il castello
de la Coudrai,
posto a sei chilometri da Pont-l’Abbé, è in questi giorni il soggetto di mille
racconti. Lo si dice infestato dagli Spiriti. Tutti i dì, dalle ore 6 di sera
in avanti, i mobili, il vasellame,le stoviglie e le suppellettili di cucina vi
ballano una danza sfrenata. I gendarmi vi si misero in agguato; ma invano. Il
curato di Triméoc ha inondato inutilmente due volte di acqua santa il castello.
I curiosi vi accorrono in folla per assistere a quelle scene da medio evo.”
ωωω
Dal numero 3
GLI ECHI DELLA NOTTE
DI SAN BARTOLOMEO
Il
signor de Sainte- Foix, nella sua Histoire de l'Ordre du Saint-Esprit edita l’anno
1778, riporta da un libro del marchese Chrétien Juvénal des Ursins,
luogotenente generale di Parigi, scritto verso la fine del 1572 e stampato nel
1601, questo fatto.
“Il 31 di Agosto 1572, otto giorni dopo il
macello di San Bartolomeo, avevo pranzato al Louvre dalla signora di Fieschi.
Poichè il caldo era stato, durante tutta la giornata, fortissimo, andammo a sederci
nel capannuccio dal lato del fiume per respirare un po' di frescura.
Mentre eravamo là udimmo a un tratto nell'
aria uno spaventevole strepito di voci tulmultuose e di gemiti frammisti ad
urli di rabbia e di furore. Restammo immobili ed atterriti, guardandoci di quando
in quando silenziosi, perchè non avevamo la forza di parlare.
È certo, che anche il re Carlo IX udì que'
romori ; che ne fu tutto sconvolto, e che nella notte non chiuse occhio. Onde
la dimane, sebbene egli non dicesse verbo, si osservò , che aveva l'aria cupa, pensierosa
, abbattuta.
Se mai un prodigio ha dovuto trovar fede, gli
è sicuramente questo, perchè attestato dallo stesso Enrico IV. Questo Principe,
dice il d’Aubigné ( nel suo Libro I, Capitolo VI, a pagina 561 ), ci ha raccontato
parecchie volte, nel Circolo de' suoi più intimi familiari ( e ne ho ancor vivi
parecchi testimonii, che non lo hanno mai raccontato senza raccapricciarne
tuttora ), che otto giorni dopo le stragi del San Bartolomeo un vero stuolo di
corvi andarono a posarsi e a crocidare sul padiglione del Louvre; che quella
stessa notte Carlo IX, due ore dopo di essersi coricato, saltò giù dal letto,
fece alzare i valletti di camera, e li mandò a frugar da per tutto, perchè
sentiva un gran frastuono di voci lamentose simili a quelle udite la notte di
San Bartolomeo, e che tutte quelle diverse grida erano sì orribili e sì chiaramente
e distintamente articolate, che Carlo IX, credendo, che i nemici dei
Montmorency e de' loro partigiani li avessero sorpresi ed assaliti, mandò un
drappello delle sue guardie per impedire una nuova carnificina, le quali
guardie invece tornarono a riferirgli, che tutta Parigi era tranquilla, giacchè
gli strepiti, che s’intendevano, erano in aria.
ωωω
ed ora
al numero 5, torniamo a casa nostra, a Napoli…
UN CASO D'IDENTITÀ
SPIRITICA
All’onorando Direttore
degli ANNALI DELLO SPIRITISMO IN ITALIA.
Pregiatissimo Amico,
Vi
mando il seguente racconto, scritto e sottoscritto dal mio stimabile amico
signor Luigi Cennamo, pregandovi di pubblicarlo nei vostri Annali, e perchè
sufficientemente documentato con nomi di persone e di luoghi e indicazione di
tempi, e perchè credo possa destar qualche interesse nei lettori, come quello
che contiene, a mio avviso, un CASO DI MOLTO PROBABILE IDENTITÀ SPIRITICA.
Con reverente affetto
Napoli, 16 Febbraio 1896.
Vostro
V. CAVALLI.
____________________
Vivo
lontano dal mio paese nativo per ragioni d’impiego. Però non ho mai dimenticato
che ivi dimora la mia famiglia, che io amo, nè ho saputo liberarmi dalle
naturali influenze del suolo, che mi fanno considerare quei cari luoghi come i
più deliziosi della terra.
Ogni
anno, nel periodo delle vacanze estive, io mi vi reco a villeggiare, e soglio
passare un mese di relativa beatitudine tra l’affetto de' miei e l’incanto di
quelle placide colline verdeggianti, dimentico di ogni cura.
Nell’agosto
del 1894 vi andai, come al solito, e condussi con me l’unico mio figlio
Ottorino, un angioletto biondo di tre anni, bello e caro come la madre sua,
rapita al nostro affetto dalla morte nel fiore degli anni.
La
gioia dei parenti, quella volta, fu indescrivibile, e le loro cure verso di noi
erano ispirate ad una profonda pietà della gravissima sventura che c’era
toccata, proprio quando il mio bambino aveva maggior bisogno dell’amor materno.
Una
sera..... ( erano scorsi alcuni giorni dal mio arrivo ) io non volli uscire di
casa, pel caldo insopportabile, e pregai mio fratello Giuseppe di voler menare
a spasso il piccolo Ottorino, mentre io li avrei aspettati, fumando, nel
cortile.
Mi
sorrise, egli, di un sorriso significativo; ma a me non riuscì di comprenderne
il senso.
Al
suo ritorno, lo interrogai, ed egli ingenuamente mi rispose:
- Come ! non sai che nella nostra casa aleggia
costantemente lo spirito di un defunto ?
- Allora risi a mia volta.... e di un riso
così incredulo, che Giuseppe si vide costretto a spiegarmi subito le ragioni
della sua credenza.
- Mi meraviglio, egli riprese, che tu, nato in
queste mura, ignori la presenza di quello spirito irrequieto, che tante volte
riempì di terrore la povera madre nostra, morta innanzi tempo; e che, specialmente
dopo la lontananza di nostro padre, e dopo che io fui costretto, per le mie
speciali condizioni di famiglia, ad abitare da solo nella casa, non passa notte
senza che io non abbia una prova irrefutabile della misteriosa manifestazione.
Sappi,
dunque, che quanto affermo è vero, e sono lieto dell’occasione che mi si porge
di poterti far costatare de visu la verità
dei fenomeni.
È già
da gran tempo, che, rientrando in casa alla sera, soglio per abitudine costante
appendere il chiavino del portone a quel chiodo che tu vedi a destra dell’uscio
della camera da studio.
Ebbene, lo crederesti ? ... non una volta sola
ho trovato il chiavino al suo posto, ed alla mattina ho dovuto sempre cercarlo fra
le carte di cui è ingombro lo scrittoio ! ...
E
siccome io continuava a ridere di tutto cuore ( giacchè, è a sapersi, che in
quel tempo io propendeva apertamente pel materialismo, ed escludeva quindi
dalle mie credenze la continuità spirituale dell’universo come l’opera più
grandiosa della creazione ), così Giuseppe, quasi indispettito, mi disse con
vivacità insolita:
- Ne vuoi una prova ? .... Eccoti il chiavino
; appendilo tu stesso, e vedremo se domani lo troverai a posto...
Così facemmo; ma all’indomani il chiavino era
al suo posto, e mio fratello restò sconcertato da quel disappunto, che mi dava
un certo diritto di chiamarlo visionario.
Dopo
questa mancata prova mio fratello dimenticò, o fece mostra di dimenticare lo
spirito irrequieto, ed i nostri discorsi non si aggirarono più su quel tema. Ma
io, avido di conoscere la verità, e non potendo negar fede alle asserzioni di
Giuseppe, il quale ha avuto sempre coscienza precisa di tutte le cose sue,
continuai da me solo l’esperimento per circa una settimana; ma sempre con esito
negativo.
Qui è
necessaria una parentesi, per meglio precisare i fatti. Mio fratello, giovane
allora a 37 anni, era vedovo al pari di me, ed aveva affidato le sue quattro
bambine alle cure della nonna materna signora Chiara Petitti, che abita una
casa poco distante dalla nostra.
Alla
sussistenza delle bambine provvedeva naturalmente il padre, il quale soleva
mandare, ogni giorno, alla suocera tutto ciò che occorreva alle figliuolette.
Una
volta mancava il vino.
Giuseppe
ne fu avvertito a tarda ora, la sera del 21 agosto 1894.
Senza
por tempo in mezzo, chiamò a sè la domestica dei signori Petitti, ai quali io e
Giuseppe eravamo andati a far visita, e la pregò di volerlo accompagnare a casa
per riempirne una damigiana.
Come
ho detto, io era presente; e siccome avevo portato dalla campagna un grosso
mazzo di fiori, per liberarmi di quell' impaccio, volli accompagnare anche io
mio fratello.
Erano
circa le ore 22,30 ... Giuseppe ci precedeva di pochi passi; per cui, quando
noi fummo a' piedi della scala, egli vi si trovava alla sommità, e fu il primo
ad entrare nel corridoio d’ingresso dell’appartamento, il quale era
perfettamente all' oscuro.
Un
rumore insolito si fece allora udire nel corridoio..., un rumore così forte,
che pare mi rintroni ancora nelle orecchie.
Io e
la domestica Antonia ci soffermammo nel mezzo della scala, per un moto
istintivo; ma, vinta la prima impressione, quasi subito io gridai :
- Giuseppe, che è stato ? ..... che t’è
avvenuto ? ...
- Niente..., mi rispose lui evidentemente
commosso. Gli è che sono vivo per miracolo... È caduta una trave del soffitto,
ed ha infranto la tavola da pranzo, sulla quale io cercava a tentoni la chiave
della cantina !
Accesi
in fretta un solfanello, e lo raggiungemmo; ma quale non fu la nostra
meraviglia nel vedere che nessuna trave era caduta, che la tavola da pranzo era
intatta, e che tutto era intatto sopra di essa, per fino le bottiglie, le
lampade ed i piatti ? ! ...
Restammo tutti muti... ed io che, fino allora, aveva riso degli spiriti, ebbi da quella sera un senso
indefinito, non so bene se di meraviglia, o di paura...
Gli
altri pochi giorni del mio congedo annuale scorsero celeremente, senza alcun
altro incidente, ed al 1° di settembre ritornai a Napoli.
Non
poteva scacciare dalla mente il ricordo di quel caso, così straordinario,
capitato a mio fratello, e mi doleva che, con tutta la mia riflessione, io non
riusciva a dargli una spiegazione plausibile che non fosse in aperta
contraddizione con la mia teoria e con i miei principii.
Risaliva,
quindi, ostinatamente col pensiero agli scritti di Aristotile, Keplero, Newton
e Cuvier, i quali spiegarono il mondo, la sua origine, il suo movimento ed il
suo progresso ; e vi risaliva nella speranza di trovarvi quello sprazzo di luce
che mi era necessario; ma le mie speranze rimanevano deluse, perchè anche quei
sommi parlarono del mondo, e lasciarono nel mistero l’uomo, la cui natura e
destino sono a tutti sconosciuti ! ...
È
doloroso dover confessare a sè medesimo il proprio inganno, e dover distruggere
in un attimo le proprie convinzioni ; per la qual cosa io aveva paura di
conoscere la verità, perchè sentivo dentro di me che la verità mi sarebbe stata
contraria.
Ma i
casi della vita sono tanti, che, qualche mese dopo, e quanto meno me l’aspettava,
seppi che due miei amici, il Cav. Antonio Ghisolfi, capo d’ufficio nelle poste,
ed il Cav. Giulio Malvolti, colonnello di cavalleria, tenevano qualche seduta
spiritica con l’assistenza di Luigi Padrantonio, giovinetto quindicenne, medio
[il Medium].
Mi
rivolsi dunque ad essi, pregandoli a volermi ammettere nel loro circolo, e l’ottenni.
Per
le prime volte mi tenni nella più stretta riserva, limitando la mia parte a
quella di osservatore; ma, incoraggiato dalla cortesia loro, e tocco io stesso
dal succedersi dei fenomeni affatto sbalorditivi, sedetti al tavolino, e mi
provai anche io a rivolgere qualche domanda allo spirito tutelare, che, secondo
la credenza degli amici, si era manifestato tra noi.
Queste
furono le mie domande testuali :
D. - Spirito gentile, è vero che nella mia
casa a Mirabella Eclano si aggira lo spirito di un defunto ?
- R.
– Sì.
- D.
Di grazia, potresti dirmi il suo nome ?
- R.
– Sì. Alfonso D’Elia.
- D.
– C’è da temere danno dalla sua presenza nella casa ?
- R.
- No; è uno spirito buono.
- D.
- E perchè si manifesta ?
- R-
Per richiamare l’attenzione dei viventi, e per ottenere che preghino per lui.
( È
inutile dire che le risposte si ebbero con segni convenzionali del tavolo,
corrispondenti alle lettere dell' alfabeto italiano. )
Ecco
altre due incognite per me ! ... Chi è questo Alfonso D’Elia ? Quale valore morale
hanno le preghiere ? ...
Avrei
voluto scrivere subito a mio fratello Giuseppe per raccontargli il fatto; ma me
ne astenni, pensando che sarebbe stato meglio non intrattenerlo su cose alle
quali egli prestava fede cieca, e che potevano essergli cagione di turbamento.
Stetti
quindi in ansia dal mese di novembre 1894, tempo in cui ebbero luogo le prime
sedute, me presente, fino alla metà di agosto 1895, epoca in cui, sebbene
questa volta per pochi giorni, mi recai in famiglia a Mirabella.
Nel
frattempo imparai a memoria alcuni salmi dell’ufficio dei morti, e spesso li
recitava con dolce effusione del cuore, quantunque non convinto che le mie preghiere
potessero arrecar sollievo a chicchessia. Anzi, durante gli otto mesi che mi
separavano dalle vacanze estive, feci anche qualche elemosina, associando al mio
atto caritatevole il pensiero dello spirito
D’Elia.
Appena
mi fu dato rivedere mio fratello, gli feci una minuta relazione di quanto m’era
occorso di vedere, e gli domandai subito se egli conoscesse, o almeno, se
avesse mai sentito a parlare di un certo Alfonso D’Elia morto; ma la sua
risposta fu negativa.
Allora,
per ispirazione di Giuseppe, ci recammo entrambi da un nostro vecchio zio
prete, signor Francesco Paolo Cennamo, uomo dabbene e di costumi semplicissimi,
il quale vive da oltre quarant’anni separato dalla famiglia, in una modesta
casetta, e dopo averlo salutato cordialmente, domandammo a lui se potesse darci
qualche notizia intorno a ciò che desideravamo.
Raccolse
egli per un momento i proprii ricordi, e ci disse :
- Alfonso
D’Elia era il capo di quella famiglia, dalle quale, nel 1848, vostro nonno
paterno Luigi comprò la casa che ora voi abitate. Molti suoi discendenti vivono
anche oggi nel paese, ed alcuni altri nella campagna.
Aggiunse
inoltre :
- Quel
signor Alfonso ebbe una fine miserevole, perchè ( si racconta ) morto con mezzi
violenti, mentre una sera tovavasi a sedere nella ritirata.
Con
queste notizie potemmo costatare l’identità di uno spirito, del quale noi
ignoravamo l’esistenza precedente e perfino il nome che, un tempo, egli ebbe
fra gli uomini del suo secolo.
Ma,
ciò che è più sorprendente, fu l’aver saputo da Giuseppe che precisamente dal
novembre del 1894, mese al quale risalivano le mie preghiere, nessun’altra
manifestazione dello spirito si era più avuta nella casa.
Ora è
morto anche il mio caro fratello Giuseppe, la persona più affettuosa che io
avessi al mondo, e nella nostra casa, colpita dalla sventura, dimora
felicemente l’avvocato signor Alfonso Cerrati, marito della seconda mia
sorella.
LUIGI CENNAMO
Vicoletto del Fico a Foria, N° 11,
Napoli.
Marco
Pugacioff
[Disegnatore
di fumetti dilettante
e
Ricercatore storico dilettante,
Macerata
Granne
(da Apollo
Granno)
S.P.Q.M.
(Sempre
Preti Qua Magneranno)
14/02/’25
articoli
Fumetti