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sabato 14 settembre 2024

I Vidoni una stirpe bretone nella Francia delle origini

 

I Vidoni

una stirpe bretone nella Francia delle origini

 


Stampato da Youcanprint e richiedibile in rete

 

Leggete e cercate di capire

Dall’alto della loro scienza tecnologia le università non arriveranno mai comprender tutto!

 

Questo è il riassunto del libro

 ...

Introduzione

   Nel mio recente libro sulla famiglia dei Vidoni, in copertina ho voluto raffigurare Guido (che chiamo Guido del Piceno) consacrato Imperatore, in un immagine di fantasia.

Non è completa fantastoria, come si potrebbe credere: certo, la sua armatura, il suo elmo nascono dalle immagini delle pellicole con Giuliano Gemma in veste da centurione romano, con in più delle corna alla Conan il barbaro per indicare una discendenza transalpina.

Per l’edificio in sottofondo in copertina dove Guido è stato consacrato Imperatore Romano mi sono ispirato all’abbazia sita sotto la collina dell’attuale Macerata Grane, le cui dotte istituzioni tentano inutilmente di cancellare come favola, o bufala, la tesi di Aquisgrana in Val di Chienti.

Parliamoci chiaro: Aquisgrana può non essere qui, ma comunque non è in Germania, se non a partire dal Barbarossa... Comunque sarà dimostrato con l’espropriazione dei terreni dietro la chiesa a due torri e spazzando Via tutto ciò che archeologicamente non sia più recente dei Longobardi.

 

ωωω

 

Leo e Marina, a bordo della loro Fragola.

   Nel mio libro ho avuto un‘amichevole revisione del navigatore Galileo Ferraresi e nella sua prefazione mi ha sinceramente stupito.

   Circa una quarantina d’anni fa, Leo riportava a nuovo una barca a vela nel cantiere Merani di Civitanova Marche; un giorno il proprietario del cantiere viene a sapere che l’indomani sarebbe andato “alla capitale”!

Ma non si riferiva a Roma, casomai a Macerata, perché gli riferì “i vecchi l’hanno sempre chiamata così; una volta era la capitale non della provincia, di tutto”!

 

   Mica male! Un paesino che non ha nemmeno dieci secoli di storia, capitale di tutto, fa come minimo ridere (in effetti, qualcuno nella piazza centrale a Macerata, non molto lontano dall’Accademia di Belle Arti, lo fa…). Visto che qui in zona c’erano prima Romani (principalmente Piceni e Camerti Umbri) e poi i Longobardi, una capitale ci poteva essere se non nella oggi morta Camerino.

Già, perché all’epoca di Guido del Piceno Macerata granne sempre se esisteva, erano quattro schifose capanne di legno e fango.

E comunque i Franchi (i frank) merovingi e carolingi dell’attuale France, no!

Però qualche Aquitano esule dalla loro terra, ebbene sì!

 


Questi sono i Franchi del territorio italico, gente affrancata da fame e paura, derivate dalla espansione islamica. Gente che chiamò la loro nuova terra Francia! Non molto tempo fa ho parlato per telefono con la Signora Anna S. [la Signora mi ha chiesto di non citate il suo nome] di Macerata. La signora aveva una nonna a Mogliano nata nell’anno 1900, la quale si trasferì negli anni ’60 a Macerata.

La signora Anna sentiva da bambina la nonna parlare di loro conoscenti che abitavano in Francia, ma non — ripeto — la France oltralpe, ma la nostra Francia!

Rimasta stupita, chiese spiegazioni alla nonna di dove fosse la Francia di cui si parlava. La risposta fu alle piane di Chienti, sullo stesso percorso, la stessa strada che portava da Mogliano a Macerata, l’attuale San Claudio - Pieridipa.


Accesso storico all’auditorium di Carlo Magno, all’interno de Der Granusturn ad Aaken cioè la Torre Granus, non aperta al pubblico. La torre non è menzionata nelle fonti scritte carolingie sopravvissute; solo dal Rinascimento, quando si credeva che la torre fosse una reliquia di epoca romana e la dimora del leggendario fondatore della città, Granus Serenus, fratello dell’imperatore romano Nerone.

   E Granno da cui Macerata Granne? Forse ci si riferiva al leggendario fratello di Nerone, Granus Serenus [chissà se vendeva pur lui, fiammiferi a Roma?], la cui torre svetta ancora ad Aaken (la dicono carolingia, però a vederla dalle foto non la direi più antica dell’anno mille e solo dal rinascimento è stata a lui attribuita come sua dimora)… o forse si riferiva al grano, ma il professor Carnevale scrisse «grano si diceva in latino frumentum. La parola granum esisteva, ma significava chicco, granello; ancor oggi, riferendoci alla corona del Rosario, diciamo grani del Rosario.»

Comunque ci doveva essere un’aia, un area (da cui Ara, bo…?) del grano. Peccato che nel luogo del documento dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra situato in mezzo a un bosco, dove era un pianoro chiamato «plana de Ara Grani», ci hanno costruito una chiesa. Su un luogo dove si batte il grano non ci si costruisce una chiesa. Le chiese venivano erette dove vi erano i luoghi di culto delle antiche religioni, perciò venne costruita Santa Maria in Selva. E l’altare allora che fine avrebbe fatto?

Vabbé, non esisteva e buonanotte sia all’ara, sia alla “capitale”.

Questo popolino così fantasioso…

 ...

   Grazie alle ricerche della signora Elisabeth De Moreau, venni a sapere della chiesa dei  Santi Dionisio, Rustico ed Eleuterio a Riprantasone.

All’inizio non me lo ricordavo, ma poi la cosa mi ritornò alla mente: la foto della teca che ho riprodotto sui miei albi di Cucciolo era sua! Non me lo ricordavo, ma è lei che ha visitato la chiesa, ed ora capisco perché, attraverso una lettera elettronica, mi chiedeva in quale libro il professor Carnevale avesse parlato di questi santi… ma il professore non mi pare che ne abbia mai parlato, perlomeno son certo di no, nei libri che gli scrissi sotto dettatura.

   In un libro bilingue (inglese-francese) scovato in rete Paris and Its Environs p. 38, Londra 1820 leggo «IL serait difficile d’assigner la véritable étymologie du nom de Montmartre, près de Paris. Plusieurs écrivains lui ont donné celui de Mons martyrum, parce que c'est là disent-ils, que St. Denis et ses compagnons reçurent la couronne du martyr. Le plus probable est que Montmartre doit son nom à un temple de Mars, élevé autrefois sur cette montagne, et le nom de Mons Martis lui est donné par un moine qui écrivit, en 896, un poème sur le siège de Paris. […] Vers la fin du septième, ou au commencement du huitième siècle, il existait sur cette montagne une église dédiée à St. Denis, et une petite chapelle, ædicula, parva ecclesia, où l’on conservait les reliques de plusieurs autres martyrs dont les noms ne sont pas parvenus jusqu à nous.»

Ovvero « Sarebbe difficile attribuire la vera etimologia del nome di Montmartre, vicino a Parigi. Diversi scrittori gli hanno dato quello di Mons martyrum, perché è lì, dicono, che San Dionigi e i suoi compagni ricevettero la corona del martirio. La più probabile è che Montmartre debba il suo nome a un tempio dedicato al Dio Marte, anticamente costruito su questa montagna, e il nome Mons Martis gli fu dato da un monaco che nell’896 scrisse un poema sull’assedio di Parigi. […] Verso la fine del VII, o l’inizio dell’VIII secolo, esisteva su questo monte una chiesa dedicata a San Dionigi, e una piccola cappella, ædicula, parva ecclesia, dove erano conservate le reliquie di diversi altri martiri. i cui nomi non ci sono pervenuti.»

 


   A questo punto mi era venuto il forte sospetto che ha portare quelle ossa nel Piceno siano stati gli antenati dell’imperatore Guido.

Sulla chiesa o pieve di San Rustico le fonti confermano la presenza della pieve nella contrada rurale di San Rustico, lungo la valtesino. Solo nel XII secolo, fu trasferita sul colle San Nicolò, dove si trova ancor oggi la chiesa, dal 1899 privata e non visitabile.

Ai giorni nostri, la frazione San Rustico si trova a Monte San Pietrangeli (Ap).

 

La cosa da fare era una ricerchina sull’origine oltralpe famiglia franca di origine bretone; mi sono avvalso come guida della famigerata wiki, ovviamente quella francese abbastanza più affidabile di quella italiana. Ma solo come guida, perché poi le ricerche sono mie, al di fuori de ‘sta wiki.

 

In grigio, per non crear problemi, ho messo le mie ipotesi.

 

Veloce cronologia riassuntiva dei Widonides,

dalla wiki francese con integrazioni personali

 

Tullia Leporace – prima studiosa dell’imperatrice Ageltrude – a pag. 17 del suo libro, dà una genealogia del ramo principale dei Guidoni, basandosi sui scritti di Wüstenfeld del 1863, e mette per primo...



S. Leodoino (Liutwin) Liévin de Treves

 

Liutwin fu arcivescovo di Treviri (dal 697 al 718), e di Reims dal 715 al 722.

Era figlio di Gerwin o Saint Warin, conte di Poitiers e di Paris, sposato con Gunza, sorella dell’arcivescovo Basin di Treviri. La moglie di Liutwin era Willigard di Baviera. Ebbero come figli Milon, Conte di Trèves, Wido, conte di Hornbach e si pensa Rotrude, moglie di Carlo Martello e quindi nonnina di Carletto poi Magno.

 

Secondo la leggenda l’abbazia di Mettlach fu fondata dopo che Leudwinus partì per una città presso il fiume Sarra. Durante il Viaggio si addormentò all’ombra di un albero. Mentre dormiva, il sole cambiò posizione, esponendolo ai suoi caldi raggi, ma un’aquila passò volando sopra di lui e sì posò su di lui con le ali spiegate. Quando Leudwinus si svegliò il suo servitore raccontò come l’aquila lo aveva protetto dalle scottature. Per coincidenza, Leudwinus fece il suo pisolino sul luogo del Miracolo dell’Aquila, Vicino alla Cappella di Saint-Denis de Paris. Leudwinus vide questo prodigio come un segno inviato da Dio per fargli fondare un monastero benedetto in quel sito. La chiesa parrocchiale di Saint-Gangolf a Mettlach si trova oggi sul sito dell’antica cappella di Dionisio (Denys).

Visto che le ossa dei Sanctorum Dyonisii, Rustici et Eleuterii riposano nel Piceno anche questo è un dato che avvalla che Aquisgrana era nel Piceno, come esposto nel secondo libro che scrissi sotto dettatura per il Professore [Il libro è Il rinvenimento delle sepolture di Pipino il Breve e di sua moglie Berta nell’attuale collegiata di San Ginesio, Simboli, 2010.], e che c’è le abbiano portate a Ripatransone  i Vidoni.

   A proposito dei Vidoni, il libro Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung del 1907 dice a pag. 349 «Il duca Wido (I) di Spoleto viene menzionato per la prima volta il 29 agosto 842, quando l’imperatore Lotario I restaurò alla chiesa di Treviri il monastero di Mettlach, assegnato a Wido durante le lotte interne degli anni precedenti. E alla nota relativa: M2. 1092 (1058): cuidam ex procerihus nostris Witoni Spolitanorum duci cuius origo ad prefutam ecclesiam propter Dei amorem memorutum contulit monusterium.

Il traduttore in rete mi dà: «uno dei nostri capi, i Witoni degli Spoletini, la cui origine portò alla suddetta chiesa, per amor di Dio, il menzionato monastero.»

Liutwin, fedele sostenitore di Carlo Martello, gestì oltre alla sua diocesi anche la chiesa di Reims e forse anche la chiesa di Laon e trasmise questa carica, inammissibile secondo il diritto canonico, a suo figlio Milo, ucciso da un cinghiale nel 753.

Leodoino fu sepolto nel Monastero di Mettlach.

 

ωωω

 

Guy de Nantes

 

   detto Wido (nato intorno al 750, morto prima dell’818), conte di Nantes e marchese della marca di Bretagna da prima del 799 a prima dell’818.

Ebbe come fratelli Frodoald e Werner; come figli sono accertati Lambert I di Nantes e Gui II di Vannes, conte di Vannes da prima dell’814 al 831 poi divenne conte del Maine dal 831 al giugno 834 quando fu ucciso.

   Figlio di Lambert e Teutberge, discende dalla famiglia ”Widonides", detta anche famiglia ”Guy, Garnier, Lambert”, originaria dell’Austrasia [L’Austrasie è un regno franc del periodo merovingio. Questo regno copre, oltre al nord-est dell’attuale Francia, il resto dei bacini della Mosa e della Mosella, fino al bacino del medio e basso Reno e sembra sia considerato la culla della dinastia carolingia.].

Il conte Guy prima del 796 fece importanti donazioni a Fulrad di Saint-Denis prima del 768. Ricevette il comando delle marche di Bretagna e prima del 799 della contea di Nantes, mentre suo fratello Frodoald gli era subordinato come conte di Vannes.

Guy morì prima dell’818, lasciando come successore il figlio, il conte Lamberto I di Nantes, marchese della Marca.

 

Lambert I di Nantes

 

Lambert I (morto il 30 dicembre 836) conte di Nantes prima dell’818—831 e marchese di Bretagna dall’818 all’831, poi duca di Spoleto 834-836.

Fratello di Gui II di Vannes, sposò Adelais che forse era un’anonima figlia illegittima di Pipino d’Italia, oppure una certa Rotrude. Se la consorte non è certa, certi sono i figli; Guido I di Spoleto, Lambert II di Nantes, Garnier (che fu conte ucciso nel 852) Dova, che fu abbadessa di Craon e di Nantes, deceduta dopo l’846 e infine Itta.

Lambert I succedette a suo padre Guido prima dell’818 divenendo Conte di Nantes e prefetto della marca di Bretagna.

Durante la ribellione del primogenito dell’imperatore Ludovico il Pio, si schierò dalla parte di Lotario I, fu “disonorato” poi esiliato all’inizio dell’831 con quest’ultimo in Italia dove divenne duca di Spoleto. Bernhard Simson nei suoi annali del 1876 scrive «Tra i grandi che seguirono Lotario, il conte Lamberto fu considerato il più potente [Prudent. Trec. Ann. 837 p. 431: Lantbertus, fautorum Lotharii maximus].»

 

Sempre il libro Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung riferisce «Suo padre, il conte Lambert, come suo padre Wido prima di lui, governò le Marche bretoni sotto Ludovico il Pio. Nell’834 seguì il giovane imperatore Lotario attraverso le Alpi e qui terminò prematuramente la sua vita nell’837.»

Scomparse durante l’epidemia dell’836/837 che devastò la nobiltà franca.

Ma Lambert pur essendo duca di Spoleto morì... nel Caton Ticino.

 

Lambert II di Nantes

Lambert II morì nel 852, fratello di Guido I di Spoleto, ebbe come consorte Rothrude (circa 835/840 - †?) figlia di Lotario I. Ebbe come figlio accertato Wicberto che fu assassinato nell’883 dal cugino duca Ugo d’Alsazia, figlio illegittimo di Lotario II di Lotaringia.

Lamberto II di Nantes è senza dubbio il secondo figlio dell’ex conte Lamberto I di Nantes e di sua moglie, di cui non si conosce il nome. Secondo la Cronaca di Nantes [una raccolta di racconti storici in latino (Chronicon Namnetense) riguardanti la storia della città e della contea di Nantes tra il 570 e il 1050] «sarebbe stato allevato ed educato secondo i costumi dei Bretoni [il aurait été nourri et instruit selon les mœurs des Bretons

Lambert, la cui sorella Dova era badessa di Saint-Clément a Craon, cercò di trovarsi un nuovo dominio, ma fu ucciso il 1° maggio 852 in un’imboscata tesa da un Rorgonide [una famiglia della nobiltà frank in cui molti membri si chiamarono Rorgon (ou Roricon)], Gausbert “il Giovane” (juvenculus), che era preoccupato per il patrimonio della sua famiglia.

Lambert è sepolto a Savennières.

 

Witbert

  Una nota storica sui Vidoni arriva dal testo del 1969 di Eduard Hlawitschka “Gli imperatori Guido e Lamberto, discendenti di Carlo Magno? [WAREN DIE KAISER WIDO UND LAMBERT NACHKOMMEN KARLS DES GROSSEN ?] scovato in rete; qui a pag. 386 è scritto in italiano «In base ad un documento finora poco studiato, proveniente dal mo­nastero die Tournus in Borgogna, si dimostra che Rotrude, figlia dell’imperatore Lotario I, aveva sposato Lamberto II, conte di Nantes, ucciso nell’852 [Il documento dice: pro libercitione Lanberti genitoris mei necnon et Rutrudis genetricis meae et mea am 28. Januar 870, vedi alla pag. 368.]. Poiché questi era figlio del marchese Lamberto I di Nantes, esiliatosi in Italia nell’834, è escluso, in base alle norme sul diritto matrimoniale, che il primo Lamberto abbia avuto per moglie una figlia di Pippino re d’Italia, come è stato spesso sostenuto sulla scorta di fonti evidentemente insuffi­cienti. Poiché anche un altro figlio di Lamberto I, Guidone marchese di Spo­leto - morto nell’858 circa e padre a sua volta dell’imperatore Guidone - per analoghi motivi d’ordine giuridico-matrimoniale, non può aver sposato una figlia di Lotario I (come analogamente da altre parti è stato ritenuto), se ne deduce che gli imperatori Guidone e Lamberto, che regnarono in Italia nell’ul­timo scorcio del IX secolo, non sono stati in alcun caso discendenti di Carlo magno. Questo contrasta con un principio spesso sostenuto per cui sarebbero stati eleggibili a re soltanto i consanguinei di Carlo Magno.»

 

Foulques le Vénérable o Folco il Venerabile

 

Rappresentazione di Foulques le Vénérable

vetrata della basilica Saint-Remi di Reims.

 

   Dall’anno 883, fu il 33° arcivescovo di Reims (carica poi ricoperta dal 991 al 995 come quarantunesimo arcivescovo, dall’aquitano Gerbert d’Aurillac, più famoso come papa Silvestro II morto nel 1003).

Nell’887, dopo la deposizione dell’imperatore Carlo III il Grosso, cercò di portare sul trono di Francia il suo parente Guido di Spoleto, e lo fece addirittura incoronare a Langres nell’888. Sono sconosciuti i loro rapporti di parentela; forse Guido era un suo nipote...

In effetti, ipoteticamente, l’alta carica vescovile potrebbe averla raggiunta se fosse stato un figlio di quel Witbert, figlio di Rotrude di sangue imperiale e sposa di Lambert II; data la discendenza carolingia il metropolitano di Reims avrebbe avuta l’idea di far salire al trono imperiale il nipote italico.

In seguito Folco appoggiò il re Carlo il Semplice contro Eudas, tanto da incoronarlo a Reims nell’893, riuscendo poi a riconciliare i due rivali. Per gratitudine Carlo lo nominò suo cancelliere [Da Dictionnaire universel d’histoire et de géographie, Bouillet et Chassang, Parigi 1878, p. 684].

Foulques fu assassinato il 17 giugno 900 nei pressi di Compiègne per ordine di Baldovino II di Fiandra, conte delle Fiandre, che bramava l’abbazia di Saint-Bertin, di cui Foulques era abate dall’878.


   A questo punto nel libro prendo a parlare delle vicende dei Vidoni, ormai Marchesi di Camerino e Duchi di Spoleto.

  Dal padre dell’Imperatore franco di origine bretone, alle vicende dello stesso Guido, che per amore di una fanciulla longobarda (forse da bambina data in ostaggio ai Saraceni) chiamata Ageltrude, divenne un grande difensore della terra dove era nato, le cui vicende narro nel libro.

    Come della audace tecnica di battaglia dei cavalieri bretoni dell’Imperatore, che seppur stanchi potevano incutere timore agli spietati austriaci del re barbaro Arnolfo…

La mancanza fisica di documenti, fa soffrire enormemente la ricerca.


I luoghi dove l’Imperatore andò… naturalmente non a Paris, né ad Aaken,

allora sì che si inventano gli eventi storici!

 

Ma arriviamo al momento in cui l’Imperatrice vedova [Guido morì nell'894] deve difendere Roma dalla minaccia di un avventuriero tedesco, un certo Arnolfo di Carinzia che aveva fatto deporre suo zio, l’imperatore Carlo il Grosso.

Vuole il trono imperiale e una carogna (da vivo, come da morto) che ebbe il nome di Formoso (il professor Carnevale ipotizzava essere di origine sassone) chiama Arnolfo per incoronarlo (anti)imperatore al posto del legittimo imperatore Lamberto, di appena quindici anni d’età.  

Ageltrude, da madre avveduta, spedisce il figlio in Borgogna a chieder rinforzi e tenta di convincere i “Romani” ad ostacolare l’entrata nella città all’usurpatore.

   È scaturito dalle ricerche di Massimo Orlandini, un testo particolare, che scoprii poi esser piuttosto tardo, del 1656. Si tratta de Theatrum historicum di Christianus Matthiae, in cui si legge chiaro e tondo che la Roma in questione, non è quella di Giulio Cesare, ma un’altra città! E il documento è inequivocabile!   

«Leoninam urbem (quae et civitas nova Roma vocabatur»

E il ricercatore seicentesco lo ribadisce due volte, sia per i tempi di Carletto Magno, sia per Ageltrude. Aveva accesso a dei documenti non più disponibili.

 

Ageltrude e Lamberto

Dove sia questa città non possiamo saperlo, ma di sicuro non è nel Lazio. È in piena zona picena! Che sia la cosiddetta città longobarda dietro l’edificio di San Claudio, sia la “Roma” della tradizione orale storica [che fa parte della mia tradizione di famiglia] non lo sappiamo e non lo sapremo mai.

La mancanza di documenti o l’occultamento degli stessi, va avanti da molti anni.

Se si sa, per esempio, il nome dell’autore degli affreschi del castello di Beldiletto che era vergato in una particolare pergamena. Scrissi «tale maestro Antonio di Giovanni Allegri da Santa Anatolia, il cui nome e qualifica appaiono nei rogiti notarili stilati dal notaio ser Matteo di Mastro Marano negli anni che vanno dal 1452 al 1474 [V. il capitolo Beldiletto, nel mio Ageltrude tra i Carolingi e Napoleone].»… ma il documento non si trova più.

Se sono stati studiati e trascritti i diplomi dell’imperatore Lamberto per l’abbazia di Santa Croce al Chienti, custoditi nell’archivio di Sant’Elpidio a Mare… guarda caso neanche questi si trovano più.

Che dire, se che ben più di un legittimo sospetto mi nasce spontaneo: i due archivi erano stati riordinati da un certo… ricercatore tedesco. E più in là non vado. Chi HA orecchie per intendere, capisce cosa voglio dire. 

 

    Per tornare all’Imperatrice,  parlo di un fatto che non ho narrato nel libro; l’assalto alla “capitale”, vorrei paragonarlo alla calata dei Lanzichenetti nel 1527 che in pratica distrusse la popolazione di Roma e vennero poi tanti toscani e lombardi a ripopolarla; ma vorrei anche collegarla al processo di Formoso che non si sa dove è stato fatto, a “Roma” o nella fantomatica Ornat, per colpa di un terremoto.

Un terremoto che però deve  esser avvenuto poco prima dell’assalto e non durante il processo. Tanto che i “barbari” penetrarono superando con scale oppure a forza di selle da cavallo ammonticchiate le une sull’altre o abbattendo le porte a colpi di ascia o coll’ariete. Una città credo proprio già colpita appunto da un… terremoto e difficilmente difendibile, questa ovvio è solo una mia congettura, una mia fantasia scaturita da tutti i terremoti che funestano il Piceno da secoli.

   Gli uomini dell’avventuriero barbaro commettono molte violenze: i sacerdoti vengono trascinati in catene, le vergini violentate, le spose stuprate e le chiese, da sempre considerate asilo inviolabile, diventano luoghi per banchetti, canti osceni, baccanali e bordello per le donne che si prostituiscono. Questa visione da incubo ci è data da Liutprando di Cremona, nel suo Storia di Roma nel Medioevo, libro I, ai capitoli 28 e 33.

Al che mi domando chi ha voluto realmente il processo alla carogna di Formoso. Davvero Ageltrude? Stefano VI? Oppure...

una inestinguibile sete di vendetta del popolo romano.

 

   Con l’assalto della soldataglia di Arnolfo, Ageltrude deve fuggire. Non può tornare alla città in cui fece crescere suo figlio, ovvero Camerino, perciò è giocoforza dirigersi verso il mare e cioè a Fermo. Con tutto ciò che ne consegue, ovvero la porzione avvelenata per il barbarico anti-imperatore che lo fa tornare «stupido e infermo» in Germania (o meglio in Austria) dove morirà divorato dai vermi nel suo letto.

Doveva essere l’anima demoniaca di Formoso – che per anni, mangiò a sbafo nella casa dei Vidoni a Spoleto – che voleva vendicarsi di Arnolfo e di Lamberto, ucciso nei boschi di Mastrengo. A Mastrengo nel nord Italia? Ecco perché l’imperatrice madre e il giovane imperatore non erano presenti al processo. Se il territorio italico al sud e al centro, riuscivano bene o male a tenerlo sotto il loro controllo, non così era al nord (la lunga mano di Berengario?); ed ecco perché al processo era invece presente Guido IV.

Infatti anche il processo di riabilitazione a Formoso promosso dal giovante Imperatore avvenne a Ravenna e guarda ancora il caso… i documenti non si troverebbero più.

   Alla morte del figliolo imperatore, (per una banale caduta da cavallo (come fosse vero…) nelle selva di Mastrengo, l’Italia ridiventò teatro di guerre sanguinose.

Berengario del Friuli antico nemico di Guido del Piceno, tornò dal suo esilio e conquistò le province settentrionali.

Ageltrude, madre dello sfortunato Lamberto, tentò invano di resistergli.

L’imperatrice deve piegarsi alla legge del conquistatore, riprende il suo abito monacale che per l’amore verso Guido aveva in gioventù lasciato e se lo rimette per rinchiudersi nella sua casa, a Camerino, come religiosa, dove ancora viveva nel 907.

   Ma a Camerino, Ageltrude non può rimanere. L’ambizione di Alberico detto di Spoleto, ma in realtà di spe camerina come recita una glossa (una nota) sui Gesta Berengarii, da ipotetico conte di Fermo [e grazie alla Professoressa Licini ora sappiamo che «i conti di Fermo esistevano, eccome (lib. p. 113)! Il titolo viene da Firmanus Comitatus costituito da Carlo Magno, come leggiamo nelle  capitolazioni di Carlo Magno e di Ludovico, Re dei Franchi (cfr. Étienne Baluze / Spephanus Balutius, Capitularia regum Francorum. Additae sunt Marculfi Monachi & aliorum Formulae veteres, et Notas doctissimorum Virorum; Tomus Secundus, Parisiis, Ex Typis Benedicti Morin, 1780, Firmanus Comitatus, col. 1548; Lupus Comes Firmanus, col. 1538; Tomas Primus, 1677, coll. 755 e 1188)».] divenne duca di Spoleto uccidendo Guido IV; la vendetta del malefico Formoso inizia da qui.

Alberico dà inizio a una stirpe di… papi. Suo nipote Ottaviano, diventa papa Giovanni XII, e sembra che Ottaviano-Giovanni venisse scaraventato da una finestra da un marito tradito, che lo aveva trovato a letto con la propria moglie; e dopo di lui, il successore del pontefice dell’anno mille, Gerberto da Aurillac, papa (gatto)Silvestro II… che venne da Rapagnano di Fermo (il caso arriva davvero per caso?). Regnò pochi mesi con il nome Giovanni XVII e se andò il 31 ottobre 1003.

 

  E l’ex imperatrice dove va? Il ricercatore Roberto Mancuso ha realizzato un libro intitolato La pieve di San Nicomede e L’imperatrice Ageltrude — Da Benevento a Rambona e Salsomaggiore Terme.

L’autore si chiede il perché del trasferimento dell’ex imperatrice e ipotizza su presunti propositi politici di alto livello; può essere benissimo, dai tempi in cui l’imperatore era ancora vivo, ma è vicina la realtà di voler essere vicina alle tombe del marito e del figlio e di essere anche che sui suoi possedimenti come appunto la stessa pieve di San Nicomede.

E la leggenda vuole che sia sta sepolta, non a Varsi, ma a San Nicomede, per di più in un sarcofago d’oro massiccio.

Vabbé, fantasie del popolino…

 

  Ma la maledizione del malefico Formoso ha colpito a fondo: la tomba dell’Imperatore era nella cattedrale di Parma che venne distrutta da un incendio nel XI secolo (un secolo prima della Translatio imperii), la tomba di Lamberto forse è a Varsi, e la tomba dell’Imperatrice deve esser già stata violata da molto tempo…

 

    Comunque vorrei fermarmi qui, con queste ricerchine. Il potere di tipo massonico di chi ride (coi loro denti da caimano), in piazza a Macerata, ostacola troppo, ti fa passare per un povero imbecille, insomma non ti fa vivere.

Anzi mi sembra di essere negli anni venti, non del 21° secolo, ma in quelli del nostro, anzi mio 900, dove chi comandava era a Roma e soprattutto a Berlino.

Oggi, nel ’24, da come ne parlavano in famiglia, si respira proprio quello stesso fetore.

 

I contenuti dello scritto “I Vidoni”, con le immagini ivi contenute, di Marco Graziosi in arte Marco Pugacioff pubblicato su questo blog non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all'autore, che ne detiene tutti i diritti.

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Qui sopra la bella illustrazione dell'artista

Roberto "Gaspar" Gonzales di Buenos Aires.

Vi saluto.

 

Marco Pugacioff

[Disegnatore di fumetti dilettante

e Ricercatore storico dilettante,

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

14/09/’24

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