Diavoline,
diavoli e diavolerie varie
Kolosimo
era un gran bravo scrittore, ma siccome quello che di cui trattavano i suoi
libri esulava dalla nostra realtà, le sue opere letterarie erano etichettate
come “kolosimate”. A questo punto possiamo ben considerare le operine di coloro
che ci capiscono tutto, come
“angelate” dal nome del giornalistucolo che ha riunito un bel pò di dotti ignoranti per combattere queste
astrusità.
Personalmente amo di più chi studia queste cose senza paraocchi. Perciò
Kolosimo e Charroux hanno tutta la mia ammirazione.
Una
storia è particolarmente attraente; nella Scozia piena di fantasmi che Scott ci
ha fatto amare, vi è un maniero detto castello di Gramis. Come ogni castello
avrà passaggi segreti che portano a stanze che nessuno conosce.
Infatti in questo maniero vi è appunto una
stanza segreta che nessun mortale è mai riuscito a localizzare. Non ci riuserebbe
nemmeno Indiana Jones, con l’aiuto dei personaggi a fumetti italiani, Gordon Link e Martin Mystère.
Non
si può localizzarla perché è il luogo dove, da secoli, il conte di Baerdie gioca a carte con messer Belzebù, e
il personaggio rosso vestito non vuole esser disturbato.
Il nobile ebbe da lui certi favori per cui in
cambio avrebbe promesso al diavolo di seguirlo all’Inferno, se fosse stato
sconfitto in quel gioco… Come è da prevedere i due messeri si ritrovano sempre
pari, in effetti devono esser ambedue molto bravi nel barare, e inevitabilmente
le partite continuano senza tregua.
Ma
non faranno mica apposta? Girava la voce che in quei dintorni una bella
figliola sparisca per incanto, e che ciò sia dovuto con il desidero dei due
rivali di concedersi un diversivo alla fine delle partite.
È più
simpatica così che come si narra in alternativa che il conte avrebbe perso
tutto e il diavolo l’avrebbe condannato a giocare a carte e a perdere sempre… e
tra la due è davvero meglio la prima.
Che storiellina, eh? Oh, certo è solo una
storiellina però in fondo – vera o falsa che sia – stuzzichevole. Che altro
dobbiamo domandare ?
La trovate ne Cittadini delle Tenebre, M.E. B. Torino 1971, a pag. 24.
Da
Macaroneide
Ferdinand
Gregorovius, nel suo Storia della città
di Roma nel Medio Evo dal 5° al 16°, libro VI, alle pagine 432-433 ci fa
sapere che “In Cola di Rienzo (attore di teatro che fa la parte di eroe,
avvolto in istracci di porpora dell’antichità) s’accoglie una miscela di
ingegno e di pazzia, di verità e di menzogna, di esperienza e di inesperienza
dei suoi tempi, di fantasia grandiosa e di pusillanimità Dell’operare: e quella
mescolanza rappresenta al vero ed al vivo l’indole e l’imagine di Roma nel suo
decadimento più profonde. La storia di Cola sparge un raggio di poesia
fantastica sopra Roma deserta: dimenticarla non si potrà mai; ed i buoni successi
che egli ottenne parvero così misterioso enigma che si ebbe ad attribuirli ad
un demonio, il quale gli fosse stato a fianco a soccorrerlo. Ancora Rainaldo,
annalista della Chiesa, reputò che il tribuno avesse usato di arti diaboliche:
ogni uomo assennato invece, il quale creda alla efficacia che le idee
esercitano fra gli uomini, sa spiegare per via di esse l’ascendente che Cola
insegna. (nella nota: Il Petrarca parla del buon demone di Cola; e il popolo
credeva che egli tenesse chiuso lo spirito Fiorone in uno specchio di acciaio,
adorno di figure incise e di caratteri. Dopo la sua morte si rinvenne lo
specchio unitamente ad un catalogo di proscrizione, contenente nomi di
cittadini destinati al rogo (Vita,
II, e. 24). – Specchi etruschi erano usati nel secolo decimo terzo. Dalla
parola phleres che v’era scritta
sopra devono essere derivate (come pensa l’Orioli) le voci Florus, fiore e Fiorone: vedi la nota di Zefino Re a
quel capitolo della Vita. – Il
Raynald con serio viso appella Cola magorum
et daemonum societate inquinatile, e crede all’esistenza dello spirito
Fiorone (ad. A. 1347, n. XIII).”
Sempre
riguardo gli specchi, il professor F. Orioli, nel 1841, nel suo scritto Di un uso non conosciuto degli specchi
mistici [in Biblioteca italiana ossia
giornale di letteratura scienze ed arti compilato ..., Tomo I] a pag. 69 cita
Sparziano (In Didio Juliano 7.) “Quæ ad
speculum dicunt fieri, in quo pueri, incantato vertice, respicere dicuntur,
Julianus fecit. Tuncque puer vidisse dicitur et adventum Sereni, et Juliani
decessum.” Ovvero “Fece Didio Giuliano di quegli incantesimi de' quali è
fama che allo specchio si pratichino, dove narrasi che fanciulli, recitata loro
sul comignolo del capo la prece dello scongiuro, si volgono a guardare. E si
dice che un fanciullo allor vide l’arrivo di Sereno [dovrebbe esser Settimo
Severo successore di Didi, Puga] e la
morte di Giuliano.”
E ancora a pag. 72 cita Giovanni Wiero “Recenti
adhuc memoria, anno 1530, sacerdoti, in crystallo, thesauros
Noribergæ ostenderat dæmon. Hos cum, loco perfosso, ante urbem quæreret
sacerdos, adhibito amico spectatore, et jam in specue arcam vidisset , atque ad
eam cubantem canem atrum, ingressus sacerdos in specum, opprimitur
interficiturque, ruente cacumine, et specum rursus complente .....;”
“A nostra memoria, l’anno 1530, il demonio in
Norimberga mostrato aveva tesori sul cristallo ad un sacerdote, il quale,
scavato il luogo, presso la città cercolli, ammesso a vedere un amico. E già
manifestato s’era la grotta, e la cassa, e un cane nero che la guardava, quando
il prete, al primo introdursi nello speco, perì ucciso ed oppresso dalla volta
che sopra gli cadde riempiendo la cavità...”
Da
Macaroneide
E continua a pag. 88 parlando della brigata
notturna di Diana, che era congiunta ad Erodiade, “d’un antico epiteto di Diana
stessa, il fosse Hera Dia (la signora
divina, così chiamata dai maghi). […] S’immagini che, col solito ajuto della
catoptromanzia (una delle tante arti – spiega a pag. 69 – le quali dai supposti
maghi solevano con vana fiducia praticarsi molto comunemente), qualche fanatico
avesse creduto vedere in sogno, non pure un fiume sotterraneo (il Lete, l’Acheronte,
il Cocito, od alcuno de' fiumi dell’inferno di Dante), ma al di là del fiume la
reggia di Diana l’incantatrice, cò' suoi tesori, e Diana stessa, od una statua
di quella, simile alle statue che, negli Excerpta Muratoriana del
cronico di Giordano, sono descritte come trovate da papa Gerberto, o vogliam
dire da Silvestro II.

(nota 1 della stessa pagina) “Il volgo, nelle
vicinanze di Roma, oggi [siamo nel 1841, ricordiamolo, Puga] ancora giura talvolta per Diana de dia, che può esser
una corruzione d’un giuramento più antico e pagano per dianam deam diam, se
non è invece per Diana del die,
cioè per Diana la stella nunzia del dì, poichè in Italia il
pianeta di Venere mattutina è appunto chiamato col nome della dea cacciatrice.
Del resto Erodiade è anche nominata a questo proposito dal Sarisberiense nel Policratico,
l. 17.
(nota 2 per Gerberto) Scriptor. rer.
italicar., tom. IV, c. 220, col. 958. E forse nella imitazione della favola
qual si trasformò sotto le penne de’ nostri poeti la dea diviene una fata (la
fata Morgana), perchè Morgana nelle lingue teutoniche è la fata
del mattino, come Diana è la stella del mattino.
Dal papà di Condorito, René Rodolfo
Ríos Boettiger,
più conosciuto come Pepo (1911-2000), ecco una stupenda diavolina edita sulla
rivista cilena Pobre diablo nel 1947.
Mi
sono imbattuto in un’altra notiziola che mi ha aperto un libro pieno di…
diavolerie varie e… di diavoline – in questa succinta cronaca – degne della
nomea del Moulin Rouge parigino. Notiziola
che avevo letto dapprima senza nota a p. 111 sulla Storia della magia di Richard Cavendish nel 1985 sugli Oscar
Mondadori.
Jacob Burckhardt nel suo la civiltà del rinascimento in Italia, volume 2, Sansoni, Firenze
1876 cita a pag. 346 Ludovico Antonio Muratori che nel suo Rerum Italicarum scriptores ab anno aerae christianae..., Volume 1 pag.
897 scrive…
“Frater Joannes de Faëllis Veronensis Ordinis Servorum Prior Sancti Offani
in Montibus Bonomiae, invocatur Daemonum, & Haereticus, ab Inquisitore
Sancti Dominici comprehensus damnatus est. Hic enim composuit quemdam Librum
dictum Florem novellum, plenum multis erroribus. Cives Bononienses coire
faciebat cum Daemonibus in specie puellarum; Daemones venerabatur, & illi
oblationes faciebat.”
Ovvero tradotto da
quel macchinario infernale in rete e addattato alla buona: “Il
fratello Giovanni da Faellis, dell’ordine dei servi di Verona, priore di Sant’Offano
sui monti bolognesi, aveva invocato dei demoni, e l’eretico fu arrestato e
condannato dall’Inquisitore di San Domenico. Perché
ha composto un certo libro intitolato Florem
novellum, pieno di molti errori. Fece
giacere i bolognesi co' demoni in forma di fanciulle; Venerò
i demoni e gli fece offerte.”
Offerte ? I malefici sacrifici
di cui tutti parlano oppure… offerte di gioie, e abiti sfarzosi ? Anche se demonesse
– e nessuno ci vieta di pensare che ci fosse anche qualche dannata – son sempre…
donne.
Alberto Cousté nel suo
Breve storia del diavolo…, presente a
pezzi in rete scrive che “la leggenda narra che, non appena pronunciata la
sentenza, sia il postribolo sia le allegre figlie di Satana si volatilizzarono
e che nel luogo dove era esistita la casa restò soltanto la nuda terra.”
Sono sicuro che tra
tutte le belle diavolette, non c’era di certo Fiammetta, l’amabile fidanzata di
Geppo, il diavolo buono.
Burckhardt nella nota a p. 346, indica la 29°
novella della terza parte della raccolta di Matteo Bandello come esempio di
diavoli o comunque di diavolerie varie e aggiunge “Un riscontro a ciò in
Procopio, Historia arcana, c. 12, dove un lupanare vero è
frequentato da un demonio, che getta gli altri frequentatori sulla pubblica
via.”
Ecco il cap. 12, tratto da Anekdota ou histoire secrète de Justinien,
Volume 1, edito a Parigi nel 1856 che ho adattato alla meno peggio in italiano.
“4. Secondo i fatti che ho raccontato, molti dei miei amici
ed io non li abbiamo mai considerati come esseri umani, ma come certi demoni
insanguinati [Procopio sta parlando di Giustiniano], che i poeti chiamano
Vampiri, i quali, di concerto, e per arrivare a la forza necessaria, per
rovinare facilmente e rapidamente intere popolazioni e le loro opere, hanno
rivestito un corpo umano. Così, divenendo uomini-demoni, mettono in combustione l’universo
abitato. La prova di
ciò può essere fornita, tra l’altro, dalla potenza stessa dei loro atti.
6. Si dice che sua madre rivelò ad alcuni suoi intimi che
Giustiniano non era figlio di Sabbazio, suo marito, né di nessun altro uomo. Quando rimase incinta, le capitava
di entrare in contatto con un essere soprannaturale, che non vedeva con i suoi
occhi, ma di cui sentiva il contatto, come accade quando un marito si unisce
alla moglie, e che scomparve come in un sogno.
7. Alcuni de' servi di
Giustiniano, che soggiornarono molto prima del calar della notte nell’interno
del palazzo, e che erano sani di mente, credettero di aver veduto al suo posto
un’apparizione soprannaturale in forma d’un demonio. Si
diceva infatti che, levatosi d’un tratto dal trono regio, Giustiniano si mise a
fare una passeggiata intorno al suo appartamento; poiché
non era sua abitudine stare fermo a lungo; allora
la sua testa sarebbe scomparsa immediatamente, e il suo corpo sarebbe andato e
venuto ancora per molto tempo. L’ufficiale
che vede questi fatti rimane stupefatto, e pieno di terrore come se sognasse
davanti a una visione così incredibile. Ma
presto la testa di Giustiniano torna a posarsi sul suo corpo, e si unì alle
parti che sembrava avesse così stranamente abbandonato. Un altro disse che si era
trovato seduto vicino al principe, quando improvvisamente il suo viso divenne
come carne informe. Non riusciva più a
distinguere né le sopracciglia né gli occhi nel posto che avevano
precedentemente occupato, né qualsiasi cosa che renda riconoscibile un essere. Ma
qualche tempo dopo, la figura riprende il suo aspetto ordinario. [Un vero rettiliano.
Puga] Quello
che scrivo qui non l’ho visto, ma l’ho sentito dalla bocca di coloro che allora
hanno potuto esserne testimoni oculari.

8. Si dice anche che
un monaco, molto devoto a Dio, inviato da coloro che vivevano con lui in una
terra deserta, si recò a Bisanzio per sollecitare degli aiuti in favore delle
popolazioni vicine, che avevano subito grandi violenze. Appena arrivato,
ottenne udienza dall’imperatore. Ma, quando si è presentato nel suo gabinetto,
perde l’uso di entrambe le gambe, poi torna subito sui suoi passi. L’eunuco, il
suo presentatore e le persone ammesse all’udienza lo incoraggiarono con ogni
sorta di parole a tornare avanti. Quest’ultimo non risponde loro nulla; ma,
come un uomo colpito da paraplegia, torna al suo albergo. Le persone del suo
seguito si informarono sui motivi che lo avevano costretto ad agire in questo
modo. Si pretende che il monaco abbia loro risposto che entrato
nell’appartamento del palazzo riservato alle udienze abbia visto in faccia il
principe dei demoni, seduto sul trono e che quindi non poteva restare in quel
luogo e non poteva rivolgergli alcuna parola. Come non considerare al modo di
un demonio fatale l’uomo che, sebbene eccessivamente sobrio nel mangiare, bere
e dormire, e che, gustando solo il cibo che gli era servito, si aggirava
tuttavia nelle ore notturne indebite nel palazzo e si abbandonava furiosamente
ai piaceri venerei?
9. Alcuni di coloro
che furono amanti di Teodora, quando ella salì al trono, riferiscono a loro
volta di aver visto un demone che li cacciò dalla sua dimora [evidentemente il
lupanare che indicava Burckhardt, Puga], per passare la notte con lei.”
E per finire le ultime
righe del 10° paragrafo “Si aggiunge che Teodora gli rispose che ella stessa
aveva fatto un sogno quella notte, che le aveva consigliato di non preoccuparsi
della sua fortuna, e che al suo arrivo a Bisanzio sarebbe entrata nel letto del
principe dei demoni. che,
con l’abilità dei suoi mezzi, sarebbe diventata sua moglie, e che attraverso di
lui sarebbe stata padrona di tutte le ricchezze che poteva desiderare.”
Acciderba ! Come dice
capitan Miki; passare a delle belle diavoline a questo resoconti, brrr! Sembra
indicare personaggi odierni e non quelli di secoli fa… Forse non se sono mai andati da Roma o costantinopoli che sia!
Proseguiamo con Burckhardt ci và
giù col piede pesante e indica a pag. 258 che “A Bologna (1452) il prete Nicolò
da Verona era stato già, come negromante, scongiuratore di demonii e sacrilego
profanatore dei sacramenti, pubblicamente degradato sopra un palco di legno
dinanzi alla chiesa di san Domenico, e doveva esser condotto al rogo sulla
piazza maggiore, quando per via una schiera di armati lo libero, e tuttociò
accadeva per ordine del gioannita Achille Malvezzi,
noto fautore degli eretici e audace violatore di monache. Il legato (il
cardinale Bessarione) non potè avere nelle sue mani che uno dei complici, e lo
fe' impiccare [ma che sfiga, sarà stato il più fesso del suo seguito, se anche peggio. Ovvero
addirittura uno che passava per strada. Puga];
ma al Malvezzi non fu torto un capello.”
Da
Macaroneide
Il terrore del diavolo era tale che le
prediche degli uomini di fede – in genere i frati – erano frequenti e si
parlava in genere dei sette peccati capitali “[p. 266] Le conseguenze più
immediate, che ne sogliono emergere, dopoché s’è predicato contro l’usura, le
compere anticipate e le mode scandalose, sono l’aprirsi delle carceri, dalle
quali per vero non escono se non gli sventurati che
furono imprigionati per debiti, e la distruzione
per mezzo del fuoco di una quantità di oggetti di
lusso od anche di semplice passatempo, come, per
esempio, dadi, carte da giuoco, inezie d’ogni specie, maschere, strumenti e
libri musicali, formole magiche (in nota Infessura, presso Eccard, (Scriptor.
II, col. 1874). Egli dice: canti, brevi, sorti. I primi possono essere
stati libri di canzoni, quali furono arsi anche sotto il Savonarola. Ma il
Graziani (Cron. di Perugia, Arch. Stor. XVI, I, p, 314) in simile
occasione dice: brieve incante, che senza dubbio deve leggersi brevi
e incanti, e una simile emendazione è forse da accettarsi anche nell’Infessura,
le cui sorti accennano anche senza ciò a qualche cosa di
finte acconciature ecc. Tutto ciò veniva senz’altro elegantemente
disposto sopra un palco detto talamo, con sopra una figura di diavolo, e
poi vi si appiccava il fuoco.”
Insomma tutto si
risolve in un bel rogo di oggetti. Purtroppo “[p. 268] una predica di Bernardino, che egli tenne a Roma
nel 1424, ebbe, oltre alla distruzione di molti oggetti di lusso e strumenti di
magia, una conseguenza ben più terribile, vale a dire l’uccisione per mezzo del rogo della strega
Finicella, «perchè, dice il cronista (nota: Infessura, I. c. Sul giorno della
morte della strega sembra esservi un errore di scrittura. Come lo stesso Santo
abbia fatto distruggere un famoso boschetto presso Arezzo, ce lo narra il
Vasari, III, 148, Vita di Parri Spinelli: spesse volte lo zelo sembra essersi arrestato alla
distruzione di certe località, simboli e strumenti.), con mezzi diabolici
uccise molti fanciulli e ammaliò parecchie persone», e tutta Roma accorse a
quello spettacolo.” Ma era Finnicella oppure Barbablù
(Gilles de Rais)? Forse era solo una curatrice giovane e bella come l’attrice Eleonora
Giorgi e questa fu la sua rovina, chissà…

Finnicela (Eleonora Giorgi) torturata
dal’inquisizione e ingannata da quel demonio del cardinale (Renato Pozzetto)
A Firenze arrivò Savonarola e diede inizio a
una gran casino, ma di certo non nel senso del bordello bolognese pieno di
diavoline.
“[p. 278] Qual fiamma di
entusiasmo non deve aver divampato in lui per dargli la forza di trascinare i
Fiorentini a ripudiar quella cultura e civiltà, di cui erano stati così
vivamente innamorati! Una prova manifesta e parlante se ne ha nella enorme
quantità d'oggetti d’arte e di lusso, che furono spontaneamente sacrificati sui
suoi famosi roghi, di fronte ai quali si direbbero un nulla tutti i talami di
san Bernardino da Siena e d’altri” e per finire “[pp.
279-280] Per tal maniera nell’ultimo giorno di carnevale dell’anno 1497
e del seguente poterono aver luogo due grandi bruciamenti
sulla piazza della Signoria. In mezzo ad essa sorgeva una grande piramide a
gradinate simile ai roghi, sui quali solevano essere arsi i cadaveri degli
imperatori romani. Al basso in prossimità della base vedevansi maschere, barbe
e vestiti aggruppati insieme: più in su figuravano libri di autori latini ed
italiani, fra gli altri il Morgante del Pulci, il
Decamerone del Boccaccio e il Canzoniere del Petrarca, e in parte anche preziose pergamene e
manoscritti miniati; sopra questi vedevansi ornamenti muliebri e articoli di
toeletta, profumerie, specchi, veli, acconciature, e più in alto ancora liuti,
arpe, scacchieri, e carte da giuoco: finalmente i due gradini superiori non
contenevano che soli ritratti, specialmente di donne celebri per bellezza,
appartenenti in parte alla classica antichità, come per esempio, Lucrezia, Cleopatra
e Faustina, in parte all’epoca contemporanea, come la bella
Bencina, la Lena Martella e le celebri Bina e Maria
de' Lenzi. […] Al primo appiccare del fuoco la Signoria assistette,
affacciandosi alla loggia, e l’aria echeggiò di canti e del suono delle trombe e delle
campane. Poi la moltitudine
venne in massa sul piazzale di S. Marco, dove si ballò una danza concentrica: nella prima fila stavano i frati
del convento, che si
alternavano con fanciulli vestiti da angeli; nella seconda giovani
ecclesiastici e laici; nella terza vecchi, cittadini e sacerdoti, questi ultimi
incoronati di frondi d’ulivo.” Questa sì che è una diavoleria! Non per niente,
lo stesso Savonarola finì lui stesso al rogo…

Da
Macaroneide
Le diavolerie continuano con strane scoperte
archeologiche “[pp.333-334] Aggiungansi le meteore e i segni celesti, che ora
riguadagnarono il posto che aveano avuto per tutto il medio-evo, per cui ad esempio, certe immagini
della Vergine movevano gli occhi o piangevano [lo fecero pure all’arrivo dei
francesi di Napoleone a Roma, se non erro, Puga],
o allorchè certe pubbliche calamità susseguivano immediatamente a qualche vero
o preteso delitto, di cui il popolo domandava ad alta voce l’espiazione (in
nota; Come fece la Madonna dell’Arbore nel duomo di
Milano l’anno 1515; cfr. Prato, l. c. p. 327. Il medesimo cronista
racconta che nello scavare le fondamenta per costruir la cappella
dei Trivulzi (in S. Nazaro) si trovò un dragone
della grandezza di un cavallo; si portò la testa
nel palazzo dei Triulzi e si gettò via il resto.).”
“[p, 337] in Italia i fantasmi si chiamano
coll’antica denominazione di ombre. Anche oggidì [chiaro, l’oggidì è
quello dell’800, Puga], se qualcuna
di queste ombre si mostra, si fa celebrare un paio di Messe pel suo riposo. Che
le anime dei reprobi appariscano sotto forma spaventevole, é cosa che s’intende
da sè, ma quest’idea si associa ordinariamente ad un’altra, che i fantasmi dei
morti in generale sono sempre maligni.”

E cita la prima novella della seconda parte
della raccolta di Matteo Bandello, con un brano estratto molto pertinente «Domine,
Oimè che io son
quasi morto, imperò che foura il cimitero ho sentito i morti che fanno un gran romore. Io non anderei solo in
chiesa chi mi desse la Badia di Chiaravalle. Vi so dire, che ho havuta una de le belle paure del mondo, e che mai havessi da che
nacqui. Oh tu sei pazzo (rispose il
Prete) Fatti il Segno de la Santa Croce, e non ti
dubitare. Tu devresti pur sapere, che i morti fon morti, e non hanno sentimento, ne vanno à torno; Va va (figliuol mio caro) e recami l’Ampolla,
aciò che ungendomi cessi tanta doglia, e possa un poco riposare, Messere (disse
lo spaventato Chierico) voi non fate se non dir la vostra; Io no v’andarei per
tutto l’oro del mondo; So ben’io che ho sentito. Non havete voi udito dire, che
molte fiate i morti guastano le creature? E questi
dì, pur la ove fu morto Chiappino del Gatto da Monza, fu visibilmente visto un’huomo,
terribile, nero e sozzo, e ci sono di molti che affermano, che hora appare con
la testa, hora senza, e che spesso urla com’un cane. Voi non fate se non dire;
Io non ci vorrei incappare in questi spiriti, e che mi facessero male.»

Già, che molte fiate i morti
guastano le creature? Tanto che continua “[p. 338] Probabilmente egli separa nel suo pensiero l’ombra
dall’anima, perchè questa espía le sue colpe nel Purgatorio, e, se appare, d’ordinario
non fa che supplicare e lamentarsi. Altre volte ciò che
appare, non è tanto l’ombra di un uomo particolare, quanto un simbolo
personificato di un avvenimento, di uno stato di cose già passato. Cosi i
vicini spiegano l’apparizione del demonio nel vecchio palazzo visconteo presso S. Giovanni in
Conca a Milano: infatti quivi una volta Bernabò Visconti avea fatto torturare e
strozzare innumerevoli vittime della sua tirannide, e non era quindi
meraviglia, se qualcosa vi si mostrava.” e Burckhardt aggiunge in nota “Bandello, III, Nov. 20. Veramente non
era che un amante, il quale voleva spaventare il marito della sua bella e
distorlo dall’abitare un palazzo. Egli e i suoi si travestirono da demonii; e
fu fatto perfino venire da altro paese un tale, che era capace di contraffare la voce e il grido di tutti gli animali.”
Nella raccolta c’è una lettera che Badellio
scrive al gentilissimo Messer Domenico
Campana detto Strascino, a cui presenta la ventesima novella della terza
parte e scrive «E perché ne la novella intervengono cose di spiriti e paure che
per téma di quelli s’ebbero, ho io cominciato a dire degli spiriti, e tanto più
che si vede che talora l’imaginazione fa quello che farebbe il vero come in
questa novella intervenne.»
Lo stesso spirito con cui Pedrocchi & Anzi
finivano l’avventura La villa
dell’Allegria di Cucciolo & Beppe nel 1941, dove una villa infestata si
rivela un posto tranquillo.
Sempre da p. 338 “Ad un amministratore
infedele della Casa dei poveri in Perugia una sera, mentre egli stava
enumerando del danaro, apparve una
turba di morti con fiaccole nelle mani e danzò la
ridda intorno a lui; ma una figura più grande delle altre
parlò in tuono minaccioso per essi; era S. Alò, protettore delle case di
Ricovero. (nota:
Graziani, Arch. Stor. XVI, I, p. 640. ad a. 1467. L’amministratore morì
di spavento.)”
Secondo Burckhardt “[p. 338] In seguito l’Italia fu piena delle credenze
popolari intorno ai demonii, quali regnavano presso tutti i popoli.”
“[p. 339] La notte
della grande inondazione della valle dell’Arno nell’anno 1333 uno dei santi
eremiti dei dintorni di Vallombrosa udì dalla sua cella un tumulto infernale,
si fece il segno della croce, s’affacciò alla porta e scorse neri e spaventosi
cavalieri passare a cavallo armati di tutto punto. Dietro un suo scongiuro uno
di essi si fermò e gli disse: «andiamo ad affogare la città
di Firenze per le sue colpe, se Dio lo permette (Gio. Villani, XI, 2, Egli
intese la cosa dall’abate de' Vallombrosani, al quale l’aveva narrata l’eremita
stesso.).”
I monaci sono in genere abbastanza… diciamo carnali, buona panza e buoni denti, come i soliti templari che – se
volete credermi, vabbé, sennò non importa – all’inizio della loro carriera avevano pure le... sorelle
templare con cui andavano a due a due a cavallo, poi purtroppo arrivò la regola
di San Benedetto e le gioie cameratesche finirono. Ma vi erano sicuramente dei
monaci puri che si nutriva solo di preghiere e di astinenza con questi
risultati.
Come in quest’altro caso:
“Dimorando questo Religioso
Santo in un luogo detto Massa [Fermana, Puga];
F. Giacomo da Falerone, di cui ragionata habbiamo;
era nella Provincia della Marca
infermo, nel Convento di Mogliano, facendo F. Giovanni oratione per lui, vide
nell’aria sopra la sua Cella, che tenea nel bosco, gran numero d’Angeli, &
Santi, circondati da così gran splendore, ch’illuminava tutto quel paese; fra i
quali vi era il Padre San Francesco con le sacrate piaghe, attorniato da
maravigliosa luce […]”.
E la Peppa ! Una visione celestiale che
sconfina in ambito ufologico…
Dal libro di Marcos de’ Lisboa, Delle
croniche de gli ordini instituiti dal P. S. Francesco…, 1605, libro ottavo,
cap. V, pag. 365.
Parlando
della grotta della Sibilla sui Sibillini, Burckhardt in nota a pag. 343 dice
“Una specie di baratro infernale si conosceva nel secolo XVI non lungi da
Ansedonia in Toscana. Era una caverna, dove nell’arena scorgevansi tracce d’animali
e d’uomini, che, anche cancellate, tornavano a riapparire il giorno seguente.
Uberti, il Dittamondo, L. III, cap. 9.”
Là è la cava dove andar
a torme
Si crede i tristi,
ovvero le demonia.
E questo il manifesta,
perché l’orme
D’ogni animal là dentro
si ritrova
In su la rena, e
d’uomini le forme.
Io dico più, qual fa
questa prova,
Che quelle spegna e
pulisca la rena,
Se l’altro dì vi torna,
ancor le trova.
pp. 229-230 dall’edizione
in rete del 1826
Dalla sibilla, Burckhardt passa poi a parlar
di streghe, che se sono giovani, le si immagina sempre belle e attraenti…
“[p. 347] Le meretrici
romane, per esempio, cercavano di aiutare il prestigio della propria persona
anche con apposite malie, alla maniera della Canidia di Orazio.” E Canidia era amica e amante (così si capisce)
della strega Sagana, vabbé, lasciamo perdere. “Ora si fa innanzi, non
come aiutatore, ma come rivale della strega, il mago od incantatore, ancor
più esperto di tutte le arti le più pericolose. Talvolta egli è altrettanto, od
anche più astrologo, che mago: più spesso però sembra essersi egli spacciato
per astrologo per non essere perseguitato come mago, […] Sisto IV nel 1474
dovette con un Breve apposito (Septimo Decretal. 1. C.) chiamare al
dovere alcuni Carmelitani bolognesi, che dal pulpito predicavano non esservi
alcuna colpa nell’interrogare i demonii sulle cose future.” Certo che a Bologna
ci andavano forte…
Sempre
dei maghi riguarda la fondazione di un palazzo o di una città con riti antichi
che sfiorano la magia…
“[p. 352] Gli antichi una volta avean parlato
di sacerdoti addetti ai riti inaugurali, detti telesti, il cui ufficio sarebbe
stato quello di assistere alla solenne fondazione di alcune città, garantendone
la futura prosperità con appositi monumenti, ed anche col seppellire nelle
fondamenta, ma in via segreta e misteriosa, oggetti determinati (telesmata). Se
qualche cosa ancora sopravviveva per tradizione orale e popolare del tempo
romano, erano appunto ricordi di questo genere: salvo che l’augure antico
naturalmente nel corso dei secoli fu tramutato in un mago, perchè non si
comprendeva più il lato religioso dell’opera sua, quale era nell’antichità.”
Infatti non bisogna dimenticarsi di Virgilio
mago e stregone, non per niente “[p.
353] In alcuni prodigi attribuiti in Napoli a Virgilio
sopravvive evidentemente la ricordanza antichissima di un teleste, il cui nome coll’andare del tempo fu sostituito da quello del sommo poeta.”
“[p.355]
Ciò non ostante questa magia ufficiale, che non era per lo più che una
tradizione popolare, non agguagliò di gran lunga l’importanza, che ebbe la magia segreta usata per iscopi puramente privati e
personali.” Infatti un personaggio di Ludovico Ariosto fu il protagonista della
sua commedia Il Negromante. “[p. 356] Il suo eroe è uno dei molti ebrei espulsi
dalla Spagna, quantunque egli si spacci per greco, per egiziano, per africano,
e cangi continuamente maschera e nome. Egli ha bensì il potere di far abbuiare
co' suoi scongiuri il giorno e di rischiarare la notte,
di far muovere la terra, di rendersi invisibile, di
tramutar gli uomini in animali e cosi via, ma queste millanterie non sono che
una mostra esteriore: il suo vero scopo è di vivere a spese dei mariti gelosi e
delle mogli infedeli, e le tracce che in queste pratiche egli lascia dopo di
sè, somigliano alla bava di una lumaca e spesso anche al guasto, che lascia
dopo di sè la procella. Per giungere a' suoi
intenti egli porta le cose ad un punto, che si crede che il canestro, dove sta
nascosto un amante, sia pieno di spiriti, o ch’egli possa far parlare un
cadavere e simili. […]
Interessante è quello che scrisse
Gioachino Pepoli a p. 66 del suo Cenni
biografici sulla vita di Ludovico Aristo
“Il Negromante è il tipo dell’uomo
d’affari, del Cavaliere d’industria del Secolo XVI.
Egli con frottole e con promesse, fino a che non li abbia spolpati,
inganna i gonzi che si fidano di lui, e cerca perfino
«Di trarre lor la
pelle e mangiarserli.»
Un avvertimento che ci arriva dal 1875
e di cui non abbiamo mai fatto lezione…
Burckhardt infine nella stessa pagina, torna a
parlar di Matteo Bandello che non solo
dipinge le arti magiche di un frate lombardo come vere ribalderie, meschine
nell’invenzione e spaventevoli talvolta nelle loro conseguenze, ma mostra
altresì, non senza un senso di indignazione, tutti i danni e le sciagure, cui
si espongono coloro che vi prestano fede. Vedi la novella 52 della terza parte
e la 29 sempre della terza parte. Il negromante si fa promettere con solenni
giuramenti il segreto, in questo caso con promessa giurata sull’altare di S.
Petronio in Bologna, quando la chiesa era al tutto deserta.”
Da
Macaroneide
La nota prosegue con “Una buona raccolta di
scongiuri magici trovasi nella Macaroneide, Phantas. XVIII. Non solo
alla nota di pag. 347 Buchardt scrive che sugli schifosi ingredienti di cui si
compone la cucina delle streghe, veggasi la Macaroneide,
Phanta. XVI, XXI, dove si espongono
distesamente tutte le ribalderie.”
Naturalmente il poema comico è scritto in
latino, maccheronico, ma sempre latino è. Un poco difficilino da leggere, come
ormai è il suo figlio più diretto l’italiano, oramai stuprato da una lingua
infame, infatti un disegnatore viene detto designer…
Una diavoleria bella e buona; per dirla come
Totò: E ho detto tutto!
Marco
Pugacioff
Macerata
Granne
(da Apollo
Granno)
S.P.Q.M.
(Sempre
Preti Qua Magneranno)
21/02/'22
articoli