Supremo sacrificio
Racconto di Lupo Rosso
Pubblicato a puntate su Robin Hood dal
n. 8 del 15-06-1949 al n. 10 del 15 -08-1949
Una
lunga colonna di carrozzoni si snodava attraverso la selvaggia e desolata
pianura del New Mexico. Erano pionieri che si avventuravano in quella landa
deserta in cerca di nuove terre da fecondare e civilizzare.
Risalivano
le sponde del Rio Grande do Nord e si dirigevano verso Fort Suarez. Il Texas
era stato troppo ingrato con loro, e sebbene fosse una terra feconda e ricca,
era troppo pericolosa per la presenza di numerose bande di indiani.
Due
fratelli guidavano quegli ardimentosi coloni. Blake e George Hopkins, due
giovani pieni di coraggio che erano conosciuti in tutte le pianure del Far West
per il loro indomito valore e per l’astuzia che avevano nel trarsi d’impaccio.
Gli indiani e i fuorilegge soprattutto li conoscevano, perché numerose volte
avevano da loro subito amare lezioni. Blake il più grande, era
stato per cinque anni nell’esercito americano
ed aveva partecipato a numerose azioni militari contro gli Indiani del Nord, ed
era stato uno dei più valorosi difensori di Fort Grant, e per questo aveva
meritato una ricompensa al valore che sempre gli fregiava il petto e di cui si
gloriava con tutti. Chi ne andava più orgogliosa però era la sua adorata Marta
Harding, che viveva nel lontano Kansas e che attendeva con ansia il suo ritorno
per poterlo sposare. George, non aveva
certo la fama del fratello maggiore, ma era reputato un bravo e forte ragazzo
che in momenti difficili aveva saputo dar prova di ardimento.
Il
sole stava per calare dietro i lontani picchi delle Rocciose, quando Blake fermò
il suo pony facendo cenno ai compagni di arrestare la marcia dei carrozzoni.
__ Perché ci fermiamo, Blake? Non abbiamo
forse fatto provvista di acqua questa mattina. Credo che per questa notte non
ne avremo bisogno — Chiese Padre Mac Donald.
__ No, reverendo, non è per questo che ci
fermiamo. Non sarebbe affatto prudente viaggiare di notte, potremmo avere delle
cattive sorprese da parte di quei maledetti indiani.
— Per carità. Dio, allontana da noi quei
demoni — implorò con enfasi Padre Mac Donald.
— Ho saputo che queste parti pullulano di
Navajos. Ma por questo non c’è da preoccuparsi, padre, se eventualmente ci
attaccassero, quegli infami avranno pane per i loro denti. E il pane che gli
daremo non è per niente digeribile! Le bocche dei nostri fucili li terranno a
bada. Siamo più di duecento fra donne e uomini, tutti bene armati, mentre quei
luridi vermi non hanno che pessime armi.
— Ma essi sono in molti — intervenne George —
e si dice che li comandi quel famigerato Tabo.
— Sempre pessimista tu, George — riprese Blake
— Piuttosto pensa a far sistemare la colonna a cerchio, questo per noi è un
posto ottimo. A lei, reverendo Mac Donald, vorrei dare il compito di far
accendere i fuochi per i bivacchi.
— Farò del mio meglio, figliolo!
Il
cielo intanto si andava trapuntando di tremule stelle, ormai era notte. Attorno
al campo tutto era silenzioso, solo di tanto in tanto si udivano le lugubri
urla dei coyotes. Nel campo c’era ancora un po’ d’animazione. Alcuni pionieri
giocavano a dadi, altri parlavano sommessamente, alcuni attendevano a pulire le
canne dei fucili. Da un lato, solo, stava passeggiando Padre Mac Donald:
pregava.
I
fratelli Hopkins si diressero allora verso il carrozzone di Haddy Williams,
uno dei più vecchi ed influenti scouts da
tutti amato per la sua saggezza e bontà. Udendo che qualcuno si avvicinava, il
vecchio Harry uscì dal carrozzone discendendo la rozza scaletta.
— Salute, ragazzi — disse con voce catarrosa
ai due fratelli — Quale diavolo vi porta qui?
— Siamo venuti da te, vecchio, per organizzare
i turni di sorveglianza — disse Blake.
— Benone! A proposito ragazzi non avreste un
pugno di tabacco per soddisfare la mia povera pipa?
— Eccoti servito! — rispose George porgendogli
una sacchettina di pelle — Questo è del Kansas, un po’ forte ma buono.
— Grazie, George. Facciamo bene a sorvegliare
il campo questa notte. Sento odore, di polvere da sparo, io. Con questi Indiani
non si può stare un minuto tranquilli. Accomodatevi — disse il vecchio,
indicando un grosso ciocco di legno. — Starete più comodi.
Parlarono
per circa mezz’ora e decisero di vegliare tutta la notte finché non
si fosse lavato il sole. Ormai tranquilli, gli
altri pionieri si ritirarono nelle loro tende. La luna brillava alta nel cielo
e la sua argentea luce si rifletteva sinistramente sull’accampamento. Era quasi
mezzanotte, quando l’alto silenzio che incombeva sulla prateria fu rotto da un
nuovo grido di un coyote, al quale rispose subito un altro più vicino ma più
roco.
— Blake! Non ti sembra strano questo urlo? —
disse Harry Williams avvicinandosi ai due fratelli che in quel preciso momento
avevano terminato il giro del campo.
— Infatti, vecchio mio. La bestia mi sembra un
po’ raffreddata. E direi piuttosto che l’urlo sia uscito più dalla bocca di un
uomo che da quella di un coyote! — rispose Blake.
— Guardate i cavalli — interloquì George —
Sembra che sentano qualche cosa nell’aria: nitriscono e scalpitano in modo
insolito. Mi preoccupa un poco il pensiero dei Navajos.
L’urlo
del coyote, diversamente modulato si fece udire più vicino e distinto,
e quasi contemporaneamente una nube di frecce
si abbatté sul campo, andando ad infiggersi contro le pareti dei carrozzoni.
Erano i Navajos! Blake, scaricando in aria il suo fucile, diede l’allarme, e
gli altri due, urlando come ossessi, si preparavano alla prima difesa. Un
immediato panico, si sparse per tutto il campo, e le urla di rabbia dei coloni
si intrecciarono alle grida paurose delle donne. Nello stesso tempo numerose vampe
di armi da fuoco si videro accendersi nell’immensa prateria seguite da forti e
laceranti detonazioni, e una pioggia di pallottole si abbatté sui pionieri che
risposero con numerose ben nutrite scariche di fucileria. Ma non si poteva nulla
contro quell’orda di selvaggi inaspettatamente armati di centinaia di fucili.
Cantando
i loro peana di guerra alcuni Navajos si slanciarono contro le difese del
campo, mentre numerosi altri, caracollando focosi destrieri, formavano un
cerchio attorno all’accampamento, cerchio che andava sempre di più
inesorabilmente stringendosi. Già numerosi bianchi erano morti, altri feriti,
la difesa del campo subiva irreparabili vuoti e gruppi di coloni accorrevano
dove più esisteva minaccia di una penetrazione indiana. Molti carri erano in
preda alle fiamme, avendo i Navajos fatto uso
anche di frecce infuocate, numerose donne intervenivano con secchi d’acqua; ma
era ben poca cosa. Ad un tratto si udì un urlo lacerante, la cavalleria dei
pellirossa si arrestò come d’incanto. I fucili Navajo tacquero.
Un
maestoso indiano, la testa ornata da un grosso diadema di penne multicolori, si
avanzò verso il campo cavalcando un magnifico poney bianco.
Dal
campo si poteva distinguere bene. Era Tabo in persona! Un nuovo urlo seguito da
alcuni gesti e tutti i guerrieri si slanciarono come un sol uomo contro i
pionieri, i quali alla vista di ciò ripresero fuoco con più accanimento e
disperazione. La distanza che separava gl’indiani dal campo andava sempre di più
scemando. Seguì il violentissimo urto. I Navajo, abbattute le ultime difese,
entrarono con grida infernali dentro il campo, abbattendosi come una rovinosa e
devastatrice valanga.
Molti
coloni cercarono un qualsiasi scampo, il panico si era impossessato di
quei saldi cuori; ma il Padre Mac Donald non
li seguì. Ormai era suonata l’ora a cui egli da tempo si era preparato, e in
abito sacerdotale si fece incontro ai Navajo come per fermarli. Protendeva
verso l’alto un crocefisso. Trafitto da frecce e palle cadde a terra con il
nome di Dio sulle labbra.
Quei
malvagi si precipitarono sul corpo inanimato, lo scotennarono, lo mutilarono
orrendamente e poi lanciando delle grida di gioia si bagnarono il volto col
sangue di quel valoroso, per diventare valorosi come lui.
Incendiarono
i carrozzoni rimasti sani dopo aver depredato merci ed animali. Il vecchio
Williams poiché uccise con la sua Colt uno dei capi indiani, finì subito tra i
fendenti imperdonabili di numerosi tomahawk. Gli uomini sopravvissuti, fra cui
i fratelli Hopkins, decisero di arrendersi. Forse potevano cessare quella
carneficina, d’altronde era inutile sperare in un capovolgimento della
situazione. Assieme alle donne e ai bambini furono fatti camminare verso Nord.
Dietro a loro i miseri resti di quello che fu il campo ardevano ancora.
POSTA DEL C.A.F. (Club Amici di Fantax)
Da Robin Hood dal n. 8
del 15-06-1949
Dicono
che tra il dire ed il fare ci sta di mezzo il mare, per conto mio, cari ragazzi,
fra il dire ed il fare ci sono di mezzo tutti gli oceani messi insieme. Mi
ero raccomandato nei numeri scorsi di non
scrivere allegando francobolli per la risposta e sollecitando magari con
cartoline, il più delle volte illeggibili, una lettera personale.
Credetemi,
cari amici, mi è assolutamente impossibile rispondere a tutti, dovrei prendere
in affitto un paio di dattilografe che scrivessero notte e giorno
ininterrottamente, questo le mie magre finanze non me lo permettono ed allora
dovete rassegnarvi (come mi rassegno io per le dattilografe).
Aspettate
un momento; si è aperta la porta e voglio vedere chi è entrato. Porca l’oca!
Come stai vecchio amicone dei tempi d' oro. Permettete ragazzi che vi presenti
un vecchio amico? Sì? Grazie, io sapevo che tutti i miei amici sono pure, i
vostri. Ecco qui: Red Killer, questi sono gli iscritti ai C.A.F. tutta gente in
gamba e piena di fegato, ma dimmi un po’, che cosa fai da queste parti? Anzi,
aspetta un momento a rispondere facciamo una bella intervista per i ragazzi del
C.A.F.
— Allora, che sei venuto a fare in Italia?
— Sono venuto in Italia per consegnare al tuo
direttore l’ultimo reportage delle mie avventure westerniane che verranno
pubblicate nei prossimi numeri di « AVVENTURE » la rivista che conta tanti milioni
di lettori in America e che ora sta imponendosi anche in Italia.
— E quando conti di ripartire per il Far-West?
— Il più presto possibile, caro il mio Lupo
Rosso, è una terra dalla quale non si può stare lontani e tu lo sai.
— E' vero quanto circola in determinati
ambienti, che una importante casa americana ti ha proposto di girare alcuni
films per lei?
— Verissimo, ma non ho accettato. La gloria
del regno della celluloide non mi
attira menomamente, per ottenerla sarei
costretto ad abbandonare la prateria e questo... beh, or debbo proprio
scappare, il piroscafo parte fra due ore e debbo ancora fare un sacco di cose.
Arrivederci
Lupo Rosso e speriamo tu possa liberarti presto da tutte queste scartoffie.
Non sono riuscito ad aggiungere parola, la
visione della prateria mi ha velato gli occhi e stretto un nodo alla gola.
Fortuna a te, Red, buono e generoso, eroico e scanzonato, possa tu far
trionfare sempre il tuo intramontabile ideale di giustizia e di libertà.
POSTA DEL C.A.F.
Da Robin Hood dal n. 9
del 15-07-1949
Cala
la sera ed una malinconia infinita mi scende nel cuore. Il treno corre rullando,
quasi volesse concigliare le palpebre sbarrate nella luce rossastra del
tramonto con il sonno che la stanchezza suggerisce ma al quale il cervello non
riesce ad abbandonarsi.
Fra
dodici ore sarò a Costantinopoli, davanti agli occhi mi si parano immagini
vecchie di quasi quarant’anni fa, quando scalzo e male in arnese scesi da un
vecchio trabiccolo di brigantino per recarmi nel quartiere ebreo alla ricerca
di un abito sempre usato ma un poco più decente. Di quella prima
sosta in quei paesi che allora, i primi
reporters dei grandi giornali, si divertivano a definire «del sole» ne serbo un
ricordo orribile anche se terribilmente confuso.
Credo
d’aver imparato a bere proprio quella notte. Malgrado tutto, però, credo che
quando scenderò in quella stazione un nodo di commozione mi stringerà la gola.
Tornando
in certe viuzze, tanto strette da non permettere il passaggio di due persone
affiancate, alla ricerca di una piccola bettola che per porta aveva delle
collane di bambù sonore come nacchere, unte dal contatto e da centinaia di mani
di ogni razza, mi sembrerà di udire il fruscio di un paio di piedi scalzi che
poi tante strade del mondo dovevano conoscere, di vedere l'ombra furtiva di uno
sparuto ragazzo con gli occhioni spalancati e pieni di sgomento, davanti a
tante cose nuove e per lui incomprensibili.
Questo
ero io e così cominciai la mia lotta per la vita, la mia conquista per un posto
nel mondo.
Non sono arrivato molto in alto forse,
considerando gli schemi su ci è basata la gerarchia della società comunemente
intesa, ma la mia vita ragazzi, vi posso garantire che l’ho vissuta forse,
meglio di tanti altri, certamente molto più intensamente di milioni di persone.
Ora
torno dopo tanti anni, verso questi luoghi che mi videro ragazzo, alla ricerca
di un comune amico, il più sincero, il più cordiale, il più simpatico, il più
forte, Fantax del quale da più di un mese siamo privi di notizie.
Fra
alcuni giorni mi recherò nelle terre infuocate dove quei visi di limone stanno
suonandosele come forse non è mai accaduto nel corso della loro storia
plurimillenaria.
La
notte è scesa con la caratteristica rapidità di queste regioni, i miei occhi stanchi
indovinano, più che vedere, le parole che scrivo, penso con malinconia, con
tutta la malinconia propria delle persone d’età che lì nella nostra bella
penisola avete forse ancora il sole alto sull’orizzonte e con questa visione
nel cuore, più dolorosa di tutto ciò che l’immaginazione può suggerirmi di
dover prevedere nel corso di questo mio viaggio, socchiudo gli
occhi al sonno riparatore.
A presto ragazzi e speriamo con buone notizie.
Lupo
Rosso
Nel 1949
Giovanni Luigi Bonelli collaborava con lo stesso editore con cui LucianoBottaro – arrivando in bicicletta da Rapallo – stampava il suo Aroldo il bucaniere. E ho proprio idea che Lupo Rosso era il nom de plume con il quale firmava quel gran dio del
fumetto popolare ed erede di Emilio Salgari: Gianluigi Bonelli… e per averne conferma
– oltre a nominare come popolo pellerossa, i navajo – basta vedere il “marchio
di fabbrica” nell’esclamazione di Robin Hood: peste !
Marco Pugacioff
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Molto utile e interessante. Sei molto bravo. Ciao
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