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venerdì 17 gennaio 2025

Cronaca dell’insolito 22 - Prodigi vari tratti “Dalle Historie del mondo” – 1598

 

Cronaca dell’insolito 22

Prodigi vari tratti “Dalle Historie del mondo” – 1598

 

La copia ripresa dalla rete, che mi son fatto stampare su carta

 

    Non so se i fatti narrati siano reali o no. Da che è il mondo la storia – come si sa – viene manipolata a uso e consumo del vincitore: ma le notizie, vere o false, sono lì!

    Avrei voluto iniziare dai fatti dell’antichità Romana, dalla nascita di Giulio Cesare in particolare. Già Giulio Ossenquente è esplicito: nell’anno della sua nascita (654 a. U. c. – 100 a. c.) sotto il consolato di Gaio Mario e Lucio Valerio “A Tarquinia un fascio di luce fu visto per largo tratto mentre precipitava con rapida caduta. Al tramonto un oggetto rotondo simile a uno scudo fu visto attraversare il cielo da occidente a Oriente”.

E al suo assassinio: “Gaio Ottavio venne a sapere a Brindisi di essere entrato a far parte della gens Iulia per disposizione testamentaria del padre adottivo Cesare. Mentre entrava a Roma all’ora terza del giorno con una folla che lo attorniava da ogni parte, il sole racchiuso da un orizzonte di cielo terso e limpido di modesta ampiezza gli tracciò intorno un contorno con la circonferenza esterna, come accede quando tra le nubi si distende l’arcobaleno, durante i giochi in onore di Venere Genitrice, che celebrò per conto del collegio sacerdotale, una cometa apparsa nella regione settentrionale del cielo all’ora undicesima attirò gli occhi di tutti: fu stabilito di dedicare al divo [sarebbe meglio Divino] Giulio come segno distintivo della sua persona questa stella, poiché apparve durante i giochi in onore di Venere. [...] Una stella fulgente brillò per sette giorni. Brillarono  tre soli e intorno al sole più basso una corona come di spighe sfavillò assumendo la forma di un disco e in seguito, ritornato il sole a un’unica orbita, per molti mesi vi fu una pallida luce”.  [Per non aver problemi, che molti potrebbero dire che ho preso le traduzioni in rete, embé sappiate che le ho riprese su carta: Ossequente – Il libro dei prodigi, saggio introduttivo, nuova traduzione e note a cura di Mariella Tixi, Rusconi, Maggio 2017]

   Bien! Iniziamo a divertici con altri prodigi, leggende varie, fenomeni aerei, Clipeo ardenti [i classici O.V.N.I., ben diversi dagli uap. Se si vede in cielo un oggetto volante di metallo e non è un Mig sovietico o un drone der 21° secolo, devi sperare che non atterri e ne esca qualcuno o qualcos’altro].

 

Delle historie del mondo

di M. Giovanni Tarcagnota

le quali contengono quanto

dal principio del Mondo è successo, fino

all’anno MDXIII.

Cavate da i più degni, e più gravi Autori, che habbino nella lingua

Greca, ò nella Latina scritto.

Parte Seconda.

Con privilegi

In Venetia, MDXCVIII

Appresso i Giunti

§§§

 Una curiosità: in rete oltre questa copia del

Tarcagnota, nato a Gaeta e morto ad Ancona nel 1566

mi è venuta fuori una continuazione fatta da

Bartolomeo Dionigi di [ma dai!]… Fano.

 

Per una bibliografia di Tarcagnota vedi:

http://dsu.uniroma3.it/cinquecentoplurale/bibliografie/giovanni-tarcagnota/

 

   Ho giocoforza iniziato con un periodo che conosco, ovvero con le vicende carolingie. Il testo è enorme e leggerlo tutto è pesante.

A pag. 313, trovo un fatto che poi colpirà il nemico più grande dell’Imperatore Guido, Arnolfo di Carinzia…

“Haveva fra l’altre cose buone Pipino, riposto Lamberto persona di molta santità nel suo Vescovado, onde era stato dall’empio Ebroino deposto. Ma mentre che vuole costui all’aperta riprendere Pipino che anteponesse Alpaide sua concubina alla propria moglie, ne fu dal fratello stesso di Alpaide morto. Il quale pagò presto di questo suo omicidio la pena: perciò che uscendogli miracolosamente da tutto il corpo gran copia di vermi, non potendo ne la puzza, ne il dolore soffrire, si gittò [gettò] come arra[b]biato nel fiume Mosa. Essendosi anco [anche] Grimoaldo dato tutto in potere di una sua concubina, fu per ordine del Re Rabodo suo suocero tagliato a pezzi. Mori anco [anche] finalmente Pipino havendo con titolo di Maiordomo retto a sua voglia ventisette anni il regno di Francia;”

Passiamo a pag. 320…

“In Italia nel pontificato di Gregorio secondo crebbe il Tevere in modo, che da ponte Molle a S. Pietro, come per Prodigij per come per sopra al mare, si navigava, e durò questa inondazione sette giorni continui con grandissimo danno della città. Percioche [Perciocché] non solamente gli alberi ne mandò, ma le case anco per terra. Fu anco un grande, e spaventevole eclisse della Luna, che per la maggior parte di una notte si mostrò tutta sanguigna. Si vide medesimamente per molti giorni una gran cometa. E ne furono per ciò fatte fare dal pontefice, per placarne la ira del Signore, molte processioni per tutta Roma.”

Dalle pagine 321, 322. Intanto in Gallia (dovrebbe essere il 723) si forma una lega contro i Saraceni…

“Alla quale lega Eudone, che vedeva la sua Aquitania essere da questi barbari peggio, che da nemici trattata, pentito di havergli giamai chiamati, volontieri venne. Non molto lungi di Turone [Tours] si erano Abdimaro, Carlo co' loro eserciti fermi. Onde quivi presso al fiume Ligeri [la Loira], del quale Francesi si havevano da una parte fatto scudo, fu finalmente fatto il sanguinosissimo fatto d’arme. Erano bruni molto Saracini nel viso, & havendo turbanti di tela in testa con veste lunghe a loro modo,per ispauentare per ogni via il nemico entrarono con ispaventevoli strepiti, & urli nella battaglia. Quelli, che combattevano a pie, erano per lo più armati di certe haste lunghe a guisa di picche, e con ferri acutissimi in punta; gli altri, che erano a cavallo (e ve ne era un gran numero sopra camelli) ò lunghe spade havevano, ò saette, che maneggiavano con grande attezza [attitudine ovvero abilità]; come facevano ancor de lor destri cavalli, che, come piu lor piaceva, hora a questa parte, hora a quella gli rivolgevano. Ma la salda cavalleria di Francesi era di altra importanza in una battaglia salda, come era questa; nella quale non si vedeva ancora avantaggio alcuno, quando Eudone col prendere con un subito assalto gli alloggiamenti di Saracini, dove indistintamente di ogni età, è sesso gran Sangue si sparse, fu cagione, che i barbari quasi perdendo le forze rallentassero la zuffa; e i Francesi quasi già vinto havessero raddoppiassero le forze. Ma all’ora i barbari all’aperta volsero altrove il viso, quando uscito Eudone da i loro alloggiamenti d’un subito, ne venne tutto altiero a battere lor sulle spalle. Ne già molto questa fuga lor valse; percioche furono in quel luogo stesso come pecore tagliate a pezzi. Alcuni pochi soli, che hebbero destri i cavalli, scamparono. Restarono in questa battaglia morti trecento settantacinque mila Saracini, nè di Francesi più che mile cinquecento morirono. La maggior parte de i baroni Saracini morì dalla calca de' suoi Stessi oppressa, & il Re Abdimaro fu ritrovato sotto i monti de corpi morti sepolto. Questa giornata per così bella vittoria fu non solamente alla Francia, ma a tutto il cristianesimo gloriosa, e lieta. Percioche ogn’un conosceva, che se questi barbari havessero così la Francia occuppata, come havevano già della Spagna fatto non si sarebbono quivi fermi; che havrebbono anco havuto animo di porre a tutto il resto di Europa il giogo. E se n’erano già prima vedute due gran comete verso Aquilone per quattordici giorni continui, l’una nel principio della notte, l’altra nel fine assai presso l’alba, che in gran spavento posto i cristiani ne havevano.”

 

   Aquilone indica il nord perché è il vento che soffia verso il nord. Informazione avuta da Diego Baratono.

 

Sempre interessante Diego, che associa la figura di Carlo Martello con quella dei sionisti Maccabei, però è altrettanto interessante l’ipotesi della Signora belga Elisabeth de Moreau d’Andoy, già discendente di Carlo Magno.

La signora ha individuato  su un capitello di colonna nella chiesa Santa Croce dei Conti a Sassoferrato, la rappresentazione della vicenda di Carlo Martello, che da bambino aveva ucciso un orso. Nel capitello sono rappresentati i resti dell’orso e gli attributi sessuali di Carlo Martello, nonno di Carlo Magno, con cui senza camicia incitava i suoi guerrieri alla lotta.

   Embé, dopo sì – se si segue quest’idea – che veniva chiamato “Martello”! ma torniamo al libro…

A pag. 324, inizia il Libro Nono. Ed a pag. 331 troviamo che Liutprando, re dei Longobardi muore…

“Ildebrando il nepote gli successe nel regno; ma egli ne fu poco appresso da' Longobardi deposto, solamente perche quando Liutprando il zio publicamete il fece il suo nel governo compagno, gli s’impose nella cima di una asta, che in mano haveva, un cuculo, il quale uccello insiemo con un lamentevole strido, che fatto haveva, ne era stato da quelle genti in sinistro augurio tolto. Per questo adunque non molto dopo la morte di Liutprando fu questo giovane della dignità Regia privo; e ne fu à Rachisio Duca del Friuli, di cui si è ragionato di sopra, dato lo Scettro.”

Passiamo a pag, 335. Pipino…

“stringendo Pipino di assedio il nemico dentro Pavia, lo sforzò in brieve à chiedere la pace con quelle stesse condizioni, che altra volta accettate contra sua voglia, ma non osservate haveva. Onde perche non fossero anche hora parole, mandando Fulcado Abbate di S. Dionigio con gli Oratori di Aistulfo, perche fossero interamente le condizioni della pace essequite, esso nel Piemonte si stette con l’esercito molti dì saldo. Furono prima restituite le città del Pentapoli (così tutta quella contrada chiamavano, che queste cinque città conteneva, Ravenna, Cesena, Classe, Furlì, Forlimpopoli) poi quelle della Emilia, che erano Bologna, Reggio, Modena, Parma, Piacenza con l’altre, che fra l’Apennino, e 'l Pò da questa parte erano. Percioche in queste due parti principali gli antichi l’Essarcato divisero: che da Arimino fine a gli stagni di Venetia si stendeva ancora. Di più dell’Essarcato fu per ordine di Pipino consegnato anche al Pontefice Arimine, Conca (che fupoi coperta dal mare) Pesaro, Fano, Vrbino, Agubio [Gubbio], e nella Marca Esi [Jesi], e la Serra [credo proprio sia Serrapetrona] con molte altre terre, e castella da questa parte”

 

Se fosse davvero Serrapetrona, sotto Camerino, ad circa 53 chilometri c’è Belmonte Piceno (scusate l'involontaria pubblicità, ma capitemi)

dove si produce (Slurp!!!) il formaggio Fonte Granne…

Ci sarà di mezzo Apollo-Granno? E chi lo sa?

 

Passiamo a pag. 358. qui vi è non un prodigo, ma un miracolo chi mi ricorda quello de San Gennaro e parla anche di Aquisgrana, dovunque essa sia…

 

“Lione Pontefice in questo mezzo, ritrovandosi molto per cagione di alcuni sediziosi, e suoi contrari travagliato, sotto colore di andarne in Mantova, a vedere prefenzialmente i miracoli del sangue di Cristo, che ivi era; di che haveva già Carlo scritto al Pontefice, che l’avisasse; si uscì di Roma. E veduto il sangue, & approbato il miracolo ne passò in Francia.  questo sangue miracoloso si legge, che havendo pochi anni avanti in Soria uno Ebreo, in dispreggio di Cristiani percosso con una punta di lancia una imagine di Cristo, uscì copioso sangue dalla ferita. E l’Ebreo, che restò tutto attonito a questa vista, perche non versasse quel sangue in terra, in un vaso il tolse. Et essendosene in que’ luoghi veduti molti miracoli (e se ne erano perciò molti Ebrei battezzati) era stato poi (non si legge per che via) trasferito in Mantova. Dove anco del continuo molti miracoli se ne vedevano. Alcuni vogliono, che questo sangue fosse una particella di quello stesso, che Cristo su la Croce versò. Ora havendo il Pontefice ragguagliato Carlo di questo miracoloso sangue, consacrò un bellissimo tempio, che haveva Carlo in Aquisgrano, a nostra Signora drizzato; e per farlo magnifico, si haveva fatto di Ravenna, e di Roma portare colonne antiche, e marmi di varie sorti. Da Grano antico barone di que’ luoghi, e dalle acque calde che ivi sono, e che egli con superbi edificij nobilitò, tolse la città di Aquisgrano il nome. Nella quale città, quando non guerreggiana, soleva (come si è altrove tocco) Carlo fare piu che in altra parte del regno, Stanza.”


Pag. 366, inizia il libro decimo… e a pag. 369 si legge…

 

“E come colui [Lodovico Pio], che amava la modestia con tutto il cuore, nel Sinodo che nell’ottocentotrenta, con volontà di Gregorio Pontefice in Aquisgrano di molti Vescovi ragunò, fra l’altre cose, cose che determinate vi furono, volle che vi fosse anco, che non potesse prelato alcuno, fuori che ne’ sacrificij, havere vesta di seta indosso, ò di altra preziosa materia, ne gemma in dito, ne oro, ò argento nelle lor cintole, ò scarpe, come portare prima solevano. Ma egli il quarto anno dopo questo Sinodo in una strana, & impensata calamità si ritrovò, e fu da duo suoi figliuoli stessi privo del regno, e posto a guisa di un  scelerato, prigione. Di che vogliono, che alquanto prima nella Francia, e nella Germania se ne vedessero molti prodigi, come furono spaventevoli tremuoti [terremoti], fuochi celesti, che fecero incredibili danni, e così fatte grandini nel mese di Giugno, che ne fu misurato alcun grano dodici pie lungo, sei largo, e due alto; e ne seguì per ciò di alberi, e di animali gran Strage.”

 

Pag. 373…

 

Lo scultone – da Martin Mystere n. 34 del ’85, disegni dei gemelli Cassaro – drago che imperversava in Sardegna e che sconfitto da San Pietro! 

 

“egli [Michele Imperatore Greco] haveva di bassissima parte tanto innalzato, [Basilio] che l’haveva anco dichiarato suo nell’Imperio compagno. Or questo Basilio, che era già stato in Costantinopoli venduto con gli altri prigioni per servo (cosi ci fa la fortuna de i suoi miracoli vedere) tolse perso solo l’Imperio; […] Ma noi siamo qui trascorsi soverchio avanti, ritorniamo un poco ora in Roma, dove Lione Pontefice per alcuni spessi, e gran tremuoti, che erano stati, fe fare alcune devote processioni, per placarne l’ira divina. Perciò che egli fu di tanta santità, che vogliono, che col legno della croce smorzasse un gran fuoco, che in Borgo nelle case de i Sassoni, e de i Longobardi fatto gran danno haveva, e si accostava gia verso San Pietro. Vuole anco il Platina, che con le sue orazioni cacciasse via un Basilisco, che in Santa Lucia in Orfea haveva col suo pestifero abito [dovrebbe esser alito, ma vi è una b, quindi sarà così… fatto accaduto anche al primo Silvestro] ammazzati molti. Il Basilisco (come in Plinio si legge) è un serpe lungo di dodici diti, e di cosi mortifero abito, che ne secca l’erbe, e ne spezza i sassi, e nella contrada di Cirene nell’Africa solamente si truova, che se in questo dice egli il vero, non debbe essere propriamente Basilisco quello, che il Pontefice Lione estinse, ma è qualche altra specie di serpente velenosissimo, che quasi i medesimi effetti faceva. Compì Lione, e rifece, & ornò molte chiese imperfette in Roma. [… pag. 374] Egli rifece di argento le porte di S. Pietro, che erano già state tolte da Saracini via; e cinse Vaticano di mura, chiamandone perciò Borgo, che dicono oggi, la città Leonina. Il che egli fè, per assicurare la chiesa di San Pietro dagl’insulti de Barbari.”

 

Pag. 378…

 

“Egli morì finalmente Adriano havendo santamente pressò a cinque anni la chiesa retta. Nel suo tempo vogliono, che sul Bresciano piovesse tre dì continui un liquore, come sangue; e che uno incredibile numero di locušte facessero nella Francia nelle biade, e negli alberi un strano danno, finché spinte da un gran vento nel mare di Bertagna vi perirono tutte, e furono cagione, che se ne corrompesse con la lor puzza l’aria. Altri nel Pontificato di Nicolo questi prodigij ripongono.”

 

Pag. 381, siamo al tempo che…

 

“Ritornarono i Normanni, che erano molto potenti alla rovina della Francia venuti: […] Mandò anche il Crasso [l’imperatore Carlo III, il Grosso] i suoi Cap.[capitani, presumo] contro Normanni che di Lovanio, che già prima occupato si havevano, erano sopra Parigi andati. E dopo alcune zuffe diede anche loro una parte della Neustria per istanza. In questi tumulti fu di Turone [Tours], perché rubato non fosse, portato il corpo di S. Martino in Altisiodoro, e Martino nella chiesa di S. Germano riposto. Si legge, che nata fra li monaci discordia, da quale di questi due Santi si dovesse quella chiesa chiamare, vi menassero un lebros[s]o dentro; e che da quella parte, che era a S. Martino volta, guarisse. Onde perche ricuperasse del tutto la sanità, anche con l’altro fianco nel volsero.”

 

Intanto a pag. 382 e alla successiva, arrivano gli Ungari che…

 

“In questi tempi ne vennero di Scitia a gran schiere nella Pannonia nuovi Unni, e cacciandone con la punta del ferro gli Ungheri loro parenti, essi vi si restarono: e da costoro vogliono alcuni, che prendesse la Ungheria il nome. Platina vuole, che i Gepidi, e gli Avari dalla contrada, che quivi possedevano, ne cacciassero. Questi nuovi Sciti la cui fierezza era grande, e si diceva, che mangiassero carne humana, non contenti di haversi la Ungheria occupata; con incredibile impeto corsero la Germania, ponendola tutta a fuoco, e saccheggiandone molte città. E passato il Reno rovinarono anche nella Fiandra molti altri luoghi. Alcuni vogliono, che questi fossero gli Ungheri antichi, che nella Pannonia abitavano, e che havendo nella guerra de Moravi servito Arnulfo, perche non erano pagati, questa tanta rovina nella Germania facessero. E dicono che Arnulfo, che assai travagliato se ne ritrovò, gli urtasse finalmente a dietro, egli tenesse nella loro contrada a freno. In questo mezzo Italia era tutta in armi per cagione di Berengario Duca del Friuli, e di Guidone Duca di Spoleto, ogn'un de quali il regno d’Italia voleva. […] Et havendo [Arnolfo] a molti altri disordini d’Italia rimediato, e postala tutta in terrore, se ne venne in Roma al dritto, dove havevano gia gl’inimici del Papa tolte l’armi, per difenderla. Ma egli fu tanto lo spavento del popolo, quando si vide l’esercito Germano su gli occhi, che col favore de’ partigiani di Formoso, fu tosto posto Arnulfo con tutto il suo esercito dentro. Gastigati, che hebbe costui molti degli av[v]ersari, che hebbe in mano, fu da Formoso con molta pompa, e solennità incoronato. Quietate le cose di Roma ne passò pochi dì appresso sopra il Duca Guidone [l’imperatore Guido era già morto due anni prima, questo è il nipote Guido IV], che non sentendosi nel suo Ducato sicuro, si era tutto dato in potere della fuga. Arnulfo toltegli molte terre, assediò finalmente Fermo, dove [l’imperatrice Ageltrude] la moglie [in realtà zia acquisita] del Duca nimico si ritrovava; e fu da questa donna con arte vinto. Percioche havuto ella destramente seco un gran servitore di Arnulfo con grosso premio il subornò, perche ne desse al suo signore a bere un liquore, che ella dato gli havrebbe, dandogli ad intendere, che ella questo faceva per placarne lo sdegno di Arnulfo, che senza cagione se tanto ne travagliava; percioche diceva, havere questo liquore virtù di fare ilare, e lieto il cuore, & amorevole, & umano colui, che il beverebbe, verso se, gliele dava. E per mostrare a questo servitore, che non era per fare quel liquore alcun danno, ne fece ad un suo servo bere, che mostrando di essere infermo fra poco spazio le sue intere forze rihebbe. Ritornatosi il servitore di Arnulfo con la bevanda, che egli credeva, che quella stessa fosse, della quale haveva veduta la pruova, la diede, quando tempo gli parve, al suo signore, che in tanto sonno, e stupore perciò ne venne, che non ne poté tre dì di lungo aprire mai gli occhi, benché da suoi assai scosso, e tormentato ne fosse. Risentitosi finalmente, in modo se ne ritrovò maldisposto, che lasciando e l’assedio di Fermo, & Italia stessa, credendo potere nel suo aere guarire, se ne ritornò tosto in Germania. Non molto poi morì Formoso in Roma…”

 

Prosegue nella pagina successiva, sul processo alla carogna di Formoso…

 

“E fu dopo lui fatto Pontefice Stefano sesto Romano, il quale benché ne fosse stato fatto Vescono di Anagni, & esaltato molto, perseguitò in modo la memoria di Formoso, che non solamente quanto del già colui fatto haveva, annullò, ma fattolo anco cavare dal sepolcro, torgli di dosso l’abito pontificio, il fece con una veste secolare avolgere, & in una sepoltura di laici riporre, havendogli anco prima fatte troncare le duo dita della mano destra con le quali soleva consecrare, e gittarle nel Tevere.”

 

Nel frattempo nella stessa pagina parla del destino capitato all’anti-imperatore Arnolfo…

 

“havendo Arnulfo dodici anni tenuto il titolo dell’Imperio, di una schifa infermità morì, e fu da pidochi, che a gran copia da tutte le parti del corpo gli uscirono, divorato. Egli, che si vedeva nelle sue imprese abbandonato dalla fortuna, si era tutto alle rapine, e a sacrilegij volto; ma egli ne hebbe, come dicevamo, nella sua morte il gastigo divino.”

 

Andiamo a pag. 386 e torniamo a Formoso…

 

“Né contento [Sergio terzo,] di questo fece anche cavare dal sepolcro il corpo di lui, e gittarlo nel Tevere, come indegno di Formoso sepoltura. Vogliono, che havendolo i pescatori preso, e portato in San Pietro, mentre che gli si celebravano l’esequie, l’imagini che ivi erano, gli s’inchinasero; e forse perciò creduto, che a gran torto quello oltraggio fattogli fosse. Ma in vita di Sergio, che perseguitato tanto l’haveva, come avenire questo puote, che preso da pescatori fosse in San Pietro portato, & onorato con nuove esequie? Questo odio di Sergio contra Formoso vogliono, che nascesse, che se nella sua elezione non havesse Formoso male arti usate [manco fosse Gerberto…], sarebbe esso stato eletto Pontefice.”

 

Proseguiamo a pag. 394 dove muore Stefano  settimo e…

 

fu in suo luogo eletto Giovanni Undecimo; che Platina vuole, come si è detto di sopra, che fosse di Sergio Terzo figliuolo. Tenne presso cinque anni il manto di Pietro; e nel primo anno sorse (come vogliono) in Genova un fonte di sangue, che parve, che quella rovina accennasse, che poco appresso in quella città seguì. Perciò che venuti i Saracini dell’Africa a predare nelle marine di Toscana passarono poi sopra Genova; & assediatala strettamente, la presero finalmente a forza; e sparsovi gran sangue se ne menarono poi via con la preda quante donne, e fanciulli vi ritrovarono. Questi prigioni nondimeno, ò che fossero tolti di mano de i barbari nel loro ritorno in Africa, ò per quale altra via si avenisse; ritornati fra poco tempo nella lor patria la riabitarono con quegli altri, che ò erano da quel flagello scampati, ò se ne erano ritornati in quel tempo fuori.”

 

A pag. 401  e poi alla 402 arriviamo ai tempi di Ottone primo e di Ottaviano, figlio di Alberico di Spoleto che divenne papa Giovanni dodicesimo, il quale…

 

“Allora Otone a persuasione del clero, e del popolo di Roma creò Pontefice Lione cittadino romano: e prete di santa vita, che fu tosto dall’Imperatore, e da tutti gli altri adorato come vero Pontefice. Ma a pena era Otone di Roma uscito, che i parenti, e gli amici di Giovanni duodecimo cacciando Lione via ricchiamarono Giovanni per doverlo nella antica sua dignità riporre. Lione fuggendo se ne andò in Spoleto, dove giunto l’Imperatore era. E fattogli il suo caso intendere gli si raccomandò. Mentre che si pone Otone in ordine per ritornare in Roma, morì per volontà divina Giovanni; e come alcuni scrivono, fu essendo ritrovato in adulterio, dal marito stesso di quella donna, che egli adulterava morto.

[…]

Percio che i Romani tosto, che videro Giovanni morto, crearono in suo luogo Pontefice un certo Benedetto, Romano medesimamente, e quinto di questo nome, e fecero tosto all’Imperatore, che era ancora in Spoleto, instanzia, che confermare il volesse. Quando Otone udì questo, acceso di doppio sdegno tosto verso Roma si mosse. E, perche vide i Romani ostinati in volere la elezione di Benedetto difendere con l’armi, fece cosi gran danno, e rovina nel contado, che vogliono, che ne sentissero gli assediati suprema fame, e ne fossero perciò sforzati ad aprirne ad Otone le porte. Entrato Otone dentro, e deposto Benedetto, ripose nel Pontificato Lione, che fu l’ottavo di questo nome, e che per quello, che era stato a se fatto, ne trasferì nell’Imperatore (come vogliono alcuni) tutta l’autorità, che il clero, e ‘l popolo havevano nella creazione del Pontefice. Ma egli non visse in questa dignità più che sedici mesi. Benedetto, che era stato sei mesi Pontefice, fu confinato in Germania, dove di affanno poco appresso morì. In queste turbolenze della Chiesa molti spaventevoli prodigi apparvero; e fra gli altri in una tempestosa pioggia si vide un gran sasso cadere dal cielo; e nelle vesti di molti, senza sapere come, ne donde, croci come fatte di sangue si ritrovarono.”

 

A queste vicende è collegata uno strano prodigio che riassumo nei miei fumetti di

Cucciolo, il bambino della Selva, dove compaio con un mio autoritratto insieme alla mia gattina Luna. Sembra che Ottone,  al tempo dell’assedio di Camerino,

fece gettare in un pozzo nei pressi della chiesa dell’Annunziata a Montecosaro, con un peso al collo, Benedetto nel 964.

Benedetto ne uscì miracolosamente, ma non gli servì a niente perché morì poi in Germania.

 

A pag. 409 inizia il libro Undecimo… e a fondo pagina 410…

 

“A Giovanni quartodecimo seguì il quintodecimo del medesimo nome, e Romano medesimamente. Il quale mostrando un grande odio al clero non ne fu perciò esso meno odiato, tanto più, che lasciato da parte l’onore di Dio, tutto in sodisfare alle voglie de' parenti, & in fargli ricchi si volse. Il quale costume con non picciolo danno di S. Chiesa fu dagli altri Pontefici seguito. Ma morì Giovanni nell’ottavo mese del suo Papato, che di pestilenzia, e di fame fu molto calamitoso; e ne fece in Benevento, & in Capoua [Capua] un tremuoto gran danni.”

 

Subito dopo Ottone III fa pontefice (secondo l’idea del prof. Carnevale) il fratellastro…  

 

“E perche in questo tempo il Pontefice Giovanni nell’undecimo anno del suo Papato morì, senza aspettare, che ne eleggesse il clero un’altro, di sua autorità creò egli Pontefice un certo Brunone di Sassonia suo parente, che fu chiamato Gregorio quinto; dal quale fu egli solennemente incoronato, & unto.”

 

Quest’immagine è troppo simpatica, non potevo, non metterla.

 

Intanto ragazzi, arriva san gatto Silvestro Secondo, al secolo Gerberto di Aurillac, sentiamo come la racconta messer Tarcagnoti… 

“si fe’ con molta solennità Ugo Ciappetta incoronare; che, perché era e per l’ufficio del contestabilato, e per la grandezza di casa sua di soprema autorità, fu da tutti giurato, & accettato per Re [di Francia o Gallia che sia]. E, perche non havesse il suo successore controversia, per essere nel regno nuovo; fece anche seco incoronare Roberto suo figliuolo, che era giovane di rare parti. E, per torre per ogni via l’occasioni nocive, percioche vedeva essere Arcivescovo di Remi un suo figliuolo illegitimo di Lodovico Oltramarino chiamato Arnolfo, in un Sinodo, che di molti Prelati congregò, sotto colore, che egli illegittimo fosse, il privò di quella dignità; e diede quell’Arcivescovado ad un Gilberto Aquitano, che era un gran dotto, ma di non molta lodata vita, per haverne Gilberto gran tempo perduto dietro alle cose Magic[h]e. E, per la sua molta dottrina era prima stato maestro di Otone, poi di Roberto figliuolo di Ciappetta. Giovanni sestodecimo, che mandò a questo effetto un Legato in Francia, quando il negozio intese, facendo irrito quanto era stato in quel Concilio fatto, ripose Arnolfo nella sua dignità; & a Gilberto in grazia de’ Principi suoi creati, perché non restasse in vita privata, diede l’Arcivescovado di Ravenna.”

La vicenda continua alle pagine 413-414…

“Gregorio quinto non visse più, che duo anni e cinque mesi Pontefice, e fu col favore di Otone il suo maestro Gilberto eletto, che (come si è tocco di sopra) era Arcivescovo di Ravenna, e fu chiamato Silvestro secondo. Costui era nella sua gioventù stato monaco, e fastidito di quella vita haveva lasciato l’abito, & haveva fra le altre scienzie, che in Siviglia apprese, fatto un gran Studio nella Magia; anzi vogliono, che egli havesse di se fatto al nemico della natura umana un dono; e che col mezzo di questo Spirito al Pontificato montasse. E che desideroso di vivere molto in questa dignità; facendogli un di molta instanzia, per saperne quanto doveva andarne in lungo la vita sua, ne intendesse, che fin che non andava a celebrare in Ierusalem, non sarebbe egli morto. E che andato nel quinto anno del suo Papato, a celebrare in Santa Croce in Ierusalem, non più tosto celebrando di quella risposta si ricordò, che tenendosi morto, tutto pentito della malvagia, e scelerata vita passata, al popolo, che haveva intorno, il suo gran peccato, che haveva sempre tenuto occulto, confessasse, pregasse tutti, che lacerassero dopo la morte il suo corpo, e postolo sopra una carretta là dove da se stessi i cavalli, che la guiderebbono, si fermassero, gli dessero sepoltura. E soggiungono, che i cavalli senza essere da persona alcuna guidati, se ne andassero in Laterano, e che credendo ogn’uno, che questa fosse volontà divina, in questa Chiesa il sepelissero. […] Hanno anche alcuni scritto, che ogni volta, che quel sepolcro quasi sudare si vede, ò vi si sente dentro, come se le ossa si percotessero insieme l’un l’altro, sia chiaro segno, che debba il Pontefice, che  si ritrova in quel tempo, morire. Visse Silvestro nel Pontificato, come si è detto, poco più di quattro anni. Ne molto prima, che egli morisse, fu Otone terzo avelenato in Italia, dove era gia ritornato. Alcuni dicono, che egli da che in favore di Gregorio vi venne, non ne partisse. […] Fu tenuto buon Principe, e nel mille, morì; che era il decimosettimo anno del suo Imperio, trigesimo della sua vita. Alcuni vogliono, che egli fosse sepolto in Roma, altri che in Germania portato da li suoi ne fosse. Si erano alquanto prima molti prodigij veduti; e fra gli altri un gran tremuoto con non poco danno di molti popoli; & una cometa di disusata grandezza.”

Pag. 418…

“Egli era in Roma già nel terzo anno del suo Papato morto Sergio Quarto, & era dopo lui stato eletto Benedetto Ottavo Tuscolano, nel cui tempo si legge, che molti prodigij si vedessero, e di sanguinosi eclissi e spaventevoli fuochi per l’aria, e di tremuoti. Nella Lotoringia un fonte di chiara acqua, e dolce vogliono, che in sangue si convertise, e che uscisse in modo da li suoi termini il mare, che ne sentirono non poche città gran danno. Et a questi prodigij seguì poi la fame & una così fatta pestilenza ,che molte piu genti morirono, che non ne restarono vive. Alcuni vogliono, che una parte di questi prodigij in quell’anno stesso, che andò Ierufalem in mano dei Turchi, come si è già tocco, apparisse.”

A pag. 419…

“E Benedetto havendo poco più di undici anni retta la chiesa, finalmente morì. Dicono che gli apparisse dopo la morte ad un certo Vescovo nell’eremo sopra un nero cavallo, e 'l pregasse che dispensasse a' poveri una gran somma di denari, che egli nascosi sotterra haveva (& insegnolli il luogo) perché le limosine, che egli haveva fatte in vita per essere state di denari di rapina, gli erano poco giovate. E vogliono, che dispensato, che hebbe il Vescovo questo denaio, rinunziasse il Vescovado, e  si vestisse monaco.”

Pag. 421…

“morì Roberto Re di Francia figliuolo del Ciapetta havendo trentaquattro anni quel regno retto. Questi essendo di gran santità, e religione edificò per tutta la Francia in onore di vari Santi magnifiche chiese; & essendo assai dotto, e spezialmente nella scrittura sacra compose alcuni versi, & antifone, che approvate poi dalla chiesa fino a oggi ne gli uffizij divini si cantano. Egli soleva quasi sempre negli uffizÿ divini starsi con gli altri religiosi in coro, e cantare insieme con esso loro le consuete lodi al Signore. Onde si legge, che tenendo egli una volta assediata una terra, mentre che nel suo padiglione tutto devoto canta al suo solito gli inni sacri, ne cadesse miracolosamente giù a terra gran parte della muraglia della città nimica, che fu perciò tosto presa.

Con la sua gran bontà ne tenne Roberto incredibilmente i suoi Francesi contenti; e si vide sulla sua morte per molti dì una cometa nel cielo; e per la gran tempesta di acqua, che furono, in molte contrade ne traboccarono i fiumi con gran danno de i convicini.”

 

Passiamo alla pagina successiva, dove messer Roberto, duca di Normandia  vuol intraprender un certo viaggio per “visitare il Santo Sepolcro” e [se questo non è un prodigio, allora è un caso di – purtroppo – malasanità; ricordate la fine di Fausto Coppi?]…

“Fece il Duca Roberto questo viaggio con tanta pompa, e fasto, che ne andò fino al cielo la puzza. Onde percioche l’hebbe forse il Signore a sdegno, egli ne morì nel suo ritorno in Bitinia.”

Andiamo alla pag. 425, dove…

“Egli era [papa] Benedetto nono, per essere oltremodo al governo inetto, Stato da' Romani del Pontificato deposto; & era stato in suo luogo con grossa subornazione, come  vogliono, creato Pontefice un Cardinale Romano del titolo di Santa Sabina; il quale si era fatto chiamare Silvestro terzo. Ma egli ne era stato in capo di quarantanove giorni deposto; e riposto da li suoi partigiani nella sua dignità Benedetto. Il quale dubitando della incostanzia del popolo cedette, ò come alcuni vogliono, vendè il Pontificato a Giovanni Archidiacono di San Giovanni in Laterano, che fu chiamato Gregorio sesto. Perché adunque molti credevano, che havesse Benedetto venduta quella dignità, se ne concitò tanto odio, che ne fu fatto reo, e condennato in giudicio publico. Е vogliono, che dopo la sua morte fusse la sua ombra veduta assai spaventevole, e che dimandata, perche così brutta, & orrenda fosse, rispondesse, che egli haveva infin nell’apparenzia, e vista esteriore il castigo della sua inetta, e cattiva vita, con la quale haveva tanto la sedia di S. Pietro macchiata.

[…]

Era Benedetto continuatamente stato Pontefice diece anni, e quattro mesi: Silvestro quarantanove giorni: e Gregorio due anni, e sette mesi. E come sono i due primi biasimati; così del terzo dicono alcuni, che egli riponesse nell’antica sua dignità la fede Apostolica, che ne era cosi scorsa a dietro, e caduta; perciò che non potendosi pe' ladri uscire dalle porte di Roma, costui con le scomuniche prima, e poi con l’armi ne assicurò la città, e i pellegrini che vi venivano. Il perche ne fu da molti chiamato Sanguinario, e crudele. Ma egli ritrovandosi infermo, e presso al fine della vita, ripresi che hebbe (come vogliono) que Cardinali, che di se questa opinione havevano, per mostrare loro, che per invidia biasimato l’havessero, ordinò, che dopo la sua morte fuori della chiesa il ponessero, perche nostro Signore mostrasse, se egli per quello, che fatto haveva, era indegno di esservi sepolto dentro. E soggiungono, che essendo ciò stato fatto, fossero da un sforzato vento tosto le porte aperte; e ne fosse perciò giudicato di quello, che gli si apponeva, innocente.”

A pag. 426 si parla della morte di Leone nono…

“Fu questo Lione di gran bontà, e d’incredibile carità verso i poveri. Onde si legge, che ritrovandosi un dì sulla porta un lebros[s]o, il facesse per pietà sopra il suo proprio letto riporre; e che non essendo costui poi ritrovato giamai, fosse creduto, che fosse stato Cristo in habito di quel povero.”

 

Passiamo alla pag.  431, dove, dopo che Costantino divenne imperatore greco …

“venne agevolmente in odio a suoi, & in dispregio a barbari, che ne posero per ciò quello Imperio mezzo in ruina. Fece anche  calamitoso l’Imperio di Costantino un spaventevole tremuoto, che ne mandò in Costantinopoli molte chiese, & altri edificij per terra.

[…]

In Roma dopo la morte di Nicolò secondo, che nel terzo anno del suo Pontificato morì; fu, benché absente, per la sua molta umanità, e dottrina eletto Alessandro secondo Pontefice, che era Milanese, e chiamandosi prima Anselmo era Vescono di Lucca. Nel quale tempo havendo Roberto Guiscardo rihavute le genti, che haveva già date al Pontefice Niccolò per domarne i suoi ribelli, andò sopra alcune terre di Greci in Puglia, e ne hebbe Taranto, e Matera a patti. Di questo valoroso principe si legge, che havendo molto cerco per intendere quel, che si significasse un scritto, che in lingua latina notato si vedeva nella testa di bronzo di una statua marmorea, che era in un certo luogo di Puglia; e diceva, Nel nascere del Sole primo giorno di Maggio havrò il capo di oro; finalmente da un Saracino prigione, e molto nelle cose magiche esperto ne intendesse quel che importava: cioè che in quel luogo, dove la ombra della testa di quella statua il primo di Maggio feriva, fosse un tesoro ascoso. E, che facendovi per ciò cavare vi ritrovasse così gran copia di oro, che alle molte imprese, che egli fece; gli fu di non picciolo momento.”

 

Come a dire: dove andiamo a piantar maggio? e soprattutto da Roberto trapiantiamo la storia a Gerberto!

 

A pag, 433 passiamo dal suolo italico alla terra che diede i natali al mito di Robin Hood, che la cui festa – guarda un po’, lo scrisse Valter Scott – veniva celebrata proprio nel mese di maggio…

 

“Il quinto anno dopo la morte del Re Enrico, morì anche il Re Edouardo Re d’Inghilterra, che fu per la gran santità della vita sua posto nel numero degli altri Santi. Si legge, che havendo egli dato a un povero, per limosina uno anello, che haveva in dito; gli fosse poco innanzi che egli morisse, da un pelegrino, che rirornava [ritornava] di terra santa, questo anello restituito. Vogliono che questo anello, che fu poi nel tempio, dove egli fu sepolto, riposto; maravigliosi effetti contra il male caduco facesse; e che per ciò fossero gli Re d’Inghilterra soliti ogni anno di benedire con molta cirimonia un gran numero di anelli, e dispensargli al popolo. I quali anelli dicono, che hanno gran virtù in guarire gli attratti.”

 

Pag. 437, torniamo sul suolo italico…

 

“Negli ultimi anni di questo Pontefice [Alessandro] morì Giovanni Gualberto Fiorentino, & autore dell’ornine [Ordine] di Valle di Ombrosa. Costui perseguitando fieramente un suo nemico, che gli havea morto il fratello; perche ritrovandoglisi un dì quel misero fuori di Fiorenza fra le unghie, gittato per paura bocconi a terra caldamente per amore di Giesu Cristo il pregò, che gli perdonasse: commosso a pietà per questo atto, nella Chiesa di San Miniato, che era ivi presso, il menò [ovvio: lo portò]. Et offerendolo ad un crocifisso, che ivi era, e dicendo, che per suo amore a quel suo nemico perdonava, fu visibilmente da quanti ivi erano, quella imagine del crocifisso veduta inchinare il capo, quasi quella offerta accettasse. Perloquale miracolo lasciando tosto Giovanni Gualberto il secolo, in Valle Ombrosa luogo su l’Apennino con alquanti compagni si ritirò. Et edificatovi una Chiesa con un bel monastero vi fece santamente il restante della sua vita. E perche egli & in vita, & in morte fe di molti miracoli, fu da Gregorio settimo canozato [canonizzato], e posto fra ’l numero de’ beati”

A pag. 444 Roberto il Guiscardo, ovverosia l’astuto…

“Il Guiscardo in questo mezzo havendo già l’animo a dovere insignorirsi dell’Imperio de Greci, se ne era tosto con grossa armata ritornato in Dalmazia; dove il figliuolo Boemundo si ritrovava con esercito terrestre molto potente. E benché l’armata de' Greci, e de' Viniziani, che in favore dell’Imperatore Alessio venuti erano, gli si opponesse, per vietargli il porto di Durazzo; volgendo egli nondimeno loro animosamente il viso, vi fece in quel medesimo luogo, dove era già stato da Viniziani vinto, un sanguinoso, e gran fatto d’arme; e ne restò finalmente col valore de' suoi, e col favore delle genti di Boemundo, che si vedevano armate sul lito, vittorioso. Alessio verso il Peloponneso fuggì; Domenico Silvio, che i suoi Viniziani guidava, volse verso Vinezia le prode. Alcuni vogliono, che questo Duce perdesse in questa battaglia la maggior parte de' legni suoi, e se ne concitasse per ciò tanto odio de' cittadini, che ne fosse della dignità, che haveva tenuta tredici anni, deposto. Altri dicono, che la perdita di questa rotta non fosse molta, e che morisse il Silvio nella sua dignità. Dopo il quale fu creato Duce Vitale Falerio. E nel tempo apunto, che Roberto questa battaglia navale vinse, morì in Salerno il Pontefice Gregorio.

Il cui successore più che quattro mesi non visse; percioche mentre si mostra partigiano delle cose di Gregorio contra Enrico, fu per opera di costui (come vogliono) volendo celebrare avelenato nel calice. Altri dicono, che di disenteria morisse. Ne Roberto Guiscardo che havrebbe per aventura potuto vendicarlo, molto gli sopravisse; percioche havendo egli presso l’isola del Sasino vinti di nuovo in un’altro fatto d’arme navale l’Imperatore Alessio, e' l Duce Vitale Falerio, che era con un’altra maggiore armata

venuto in favore de' Greci; & havendosi per ciò con più salde speranze posta la impresa di Costantinopoli in cuore, di una acuta febbre, che nel mese di Luglio in Casopoli capo della isola di Corfu gli sopragiunse, nel sessagesimo anno della sua vita morì. Egli fu senza alcun dubbio questo Roberto di generosissimo cuore, come dalle imprese, e da gli acquisti, che egli fece, si vide assai chiaro. In questi tempi fu estrema fame in Italia; & un gran tremuoto fece in varij luoghi di molti danni: & in Sicilia spezialmente; dove rovinando giù la chiesa maggiore vi ammazzò quante genti vi si ritrovavano a udire messa dentro, fuori che duo clerici soli. Spaventarono anche molti prodigij il mondo.

In questo tempo anche si legge, che fosse da alcuni mercatanti portato in Bari il corpo di S. Niccola già Vescovo di Smirna.

[…] Guiglielmo Re d’Inghilterra, si aveva posto in cuore di muovere al Re Filippo la guerra […] egli era già passato a questo effetto in Normandia: ma mentre che un feroce cavallo, che egli haveva sotto, fa un sforzato salto nell’aria, gli si ruppero le interiora nel corpo, e morì.

[…] A Roberto, benché primogenito, perché gli si era già ribellato, e già perdonato gli haveva; lasciò il Ducato in Normannia; & tutto il suo tesoro ad Enrico, che era il terzo figliuolo. Nelle quali esequie di questo Re una cosa assai notevole avenne. Percioche essendo portato ad essere sepolto con molta pompa in un bel tempio, che egli in vita edificato sopra l’altrui terreno haveva, l’antico padrone di quel luogo, che essendo povero non ne haveva mai potuto havere un denaio, traponendosi fra la turba di coloro, che il corpo morto portavano, a gran voci diceva, che si arrestassero, perche quel luogo era suo, e non voleva, che vi fosse alcuno contra sua voglia sepolto. E non restando di gridare del continuo si appellava della violenzia, che gli era già stata fatta, ò che fosse per farglisi, a quel primo Rolone, dal quale havute i Normanni le leggi havevano. In questo tempo si attaccò un così fatto fuoco ivi presso, che molte case vi arse. Il perche tutti lasciando il morto ad estinguere quella fiamma ne corsero. Di che spaventato Enrico, quasi che questa fosse una chiara ira di Dio, tosto all’antico padrone piacque, quel terreno, doveva il Re suo padre, pagò.”

Prodigio oppur… frecce incendiare, scagliate da da ignoti precursori degli allegri compagni di Sherwood? 

 

      Bon! Per ora mi fermo qui. Spero vi siate divertiti…

 

Marco Pugacioff

[Disegnatore di fumetti dilettante

e Ricercatore storico dilettante,

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

05/01/’24

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