Il gatto con gli stivali
di Carlo Perrault
Illustrato da GustavoDoré (Strasburgo 1832- Parigi 1883)
E da Roberto Sgrilli (Firenze, 23 ottobre 1897 – 1985)
Nella versione tratta da
I racconti delle fate, ovvero Novelle estratte dalle antiche leggende
Nuovamente raccolte e narrate da
Cesare Causa
edizione Salani, Firenze del 1884
C’ERA UNA VOLTA un Mugnajo che nel morire, lasciò a’ suoi tre figli un Molino, un Asino e un Gatto.
Le parti furon presto fatte nè ci fu pericolo di litigi.
Il maggiore ebbe il Molino; il secondo l’Asino; il più piccolo il Gatto.
Quest’ultimo però non fu troppo contento, e gli parve essergli toccata una parte troppo misera.
Pensandoci sopra, così rifletteva tra sè:
- Come farò io a tirarmi innanzi con un misero Gatto, utile a nulla? I miei fratelli, se non altro, potranno ingegnarsi onestamente: perchè un Molino rende, e da un Asino qualcosa si ricava. Dunque ?...
E discorrendo, mulinava nel suo pensiero quel che potesse far di meglio.
Il Gatto, che sentiva questi discorsi, e figurava di non darsi nemmen l’intesa di capire, lo lasciò sfogare un bel pezzo, poi aprì bocca e gli disse, serio serio:
- Figliol mio, non darti alla disperazione: tu non devi far altro che procurarmi un sacchetto e farmi cucire un pajo di stivali...
- Per farne cosa? interruppe tutto trasecolato il giovine.
- Serviranno per andare al bosco vicino, e dopo...
- Dopo?... riprese quello.
- Dopo farò vedere che la parte che ti è toccata, non è tanto brutta e disutile quanto credi.
Malgrado che quel giovine non ritenesse per oro colato quello che l’animale diceva, pure sapendolo assai destro nel chiappar topi, e far salti, capriolette, e altri versucci giocosi, finì col ritenere che da lui ci fosse davvero da sperar qualcosa di bono.
Perciò gli provvide il sacco e gli stivali, che il Gatto infilò subitamente, ponendosi il primo traverso le spalle, raccomandato a una funicella.
Andando in giro attorno, sbirciò una conigliera, dove c’erano molti conigli.
Posto dentro al sacco delle foglie di cavolo e della crusca, sdraiossi per terra a pancia all’aria, facendo il morto.
Non era molto tempo che trattenevasi chiotto chiotto in quella posizione, quando un giovine coniglio, non accorgendosi del tranello, e fiutato l’odore del cibo, avvicinatosi al sacco per mangiare, vi entrò dentro.
Il Gatto, che se ne stava avvisato, tirò la funicella che aveva davanti, e il poco esperto coniglio rimase prigioniero.
Egli, fatto il colpo, uccise senza pietà l’innocente animale indi, tutto pettoruto e gonfio della preda fatta, recossi alla reggia del Re vicino, chiedendo udienza.
Fattolo salire nella Sala del Trono, il Re, visto costui fargli tanti inchini e riverenze, gli chiese che cosa desiderasse.
Il Gatto così rispose:
- Sire augustissimo! L’illustre signor Marchese di Carabà, mio padrone, avendo ucciso il più bel coniglio della sua conigliera, mi ha dato incarico di presentarvelo in dono.
È da sapersi che cotesto titolo nobilesco, era stato da lui inventato per giovare al proprio padrone.
Il Re, accogliendo il dono del Gatto, disse:
- Di' al signor Marchese che lo ringrazio tanto tanto del suo bel regalo!
E gli fe’ dare un compenso ch’ei portò al giovine, perchè comprasse di che vivere.
Dopo questo primo successo il Gatto non mancò, collo stesso mezzo e colle medesime astuzie, di presentare al Re, ora un pajo di pernici, ora una gallina, ora un capponcello, e sempre ne riceveva qualche grossa mancia, che dava agio al preteso Marchese di campare discretamente tutti i giorni.
Ora avvenne che il Gatto, che stava sempre in orecchio per venire a conoscere le novità del giorno, seppe che questo Re, doveva recarsi una mattina a fare una passeggiata sulla riva del fiume, portando seco l’unica sua figlia, ch’era una bellissima Principessa, degna d’amore.
Disse allora al giovine padrone:
- Se date retta a quanto vi consiglio, potete dire che la vostra fortuna è fatta!
- E che debbo fare, secondo te? gli chiese quello.
- Dovete venire a bagnarvi nel punto che vi dirò, eppoi al restante ci penso io.
Il finto Marchese di Carabà fece quello che gli suggerì il Gatto, senza però indovinare il suo pensiero. Spogliatosi dei vecchi e rattoppati panni che aveva indosso, scese a bagnarsi nel fiume.
Mentre bagnavasi passa il Re; il Gatto che lo vide venire, comincia a urlare:
- Ajuto, ajuto! Affoga il signor Marchese di Carabà!
Il Re, che sente quelle grida, fa fermare la carrozza e manda la servitù a sentire quel ch’era successo.
Il Gatto allora, avvicinossi allo sportello, e il Re che lo riconobbe, gli domandò:
- Cos’è avvenuto, buon Micio, al tuo padrone?
- Ah Sire, se sapeste!....
E qui gli raccontò una sua favola, dicendo che mentre il Marchese si bagnava, i ladri avevano portato via gli abiti, e che sebbene avesse loro gridato dietro, quelli se n’erano fuggiti lontano lontano.
Il furbo però, mentre dava ad intender queste cose al Re, se la rideva tra’ baffi, perchè sapeva che quei panni gli aveva invece nascosti sotto un pietrone, in riva al fiume.
Il Re s’interessò assai della cosa, e siccome rammentavasi dei bei doni ricevuti dal padrone del Gatto, diè subito ordine ai suoi Maggiordomi che andassero a prendere al Palazzo gli abiti più sfarzosi, per rivestire il signor Marchese ch’era tuttora nell’acqua.
Quando quello fu vestito, essendo di figura un bel giovine assai ben fatto, il Re gli usò molti riguardi, e la Principessa, adocchiatolo, se ne innamorò pazzamente.
Il Gatto intanto, tutto allegro e contento della felice riuscita del suo stratagemma, cominciò a far da battistrada, correndo innanzi, e a quanti Contadini trovava a lavorare pei campi, a tutti diceva:
- Buona gente, qui dietro c’è il Re con sua figlia; se non dite che queste faccende le fate pei possessi del signor Marchese di Carabà, sarete legati ben bene, e quindi posti al martòro e squartati!
Impauriti i Contadini promisero di fare quanto egli diceva.
Difatti la cosa andò a seconda del Gatto; giacchè per tutto ove passava il Re, i Contadini, da lui interrogati che cosa facessero, rispondevano:
- Maestà, si lavora pei possessi del signor Marchese di Carabà!
- Per bacco! esclamò alla perfine il Sovrano, rivolgendo la parola al supposto Marchese. Avete dimolti e bei possedimenti a quel che vedo, Marchese? Certamente Sire, e non è nulla ancora!
E diceva così, indovinando che tutto questo era opera del Gatto, cui bisognava secondare, per non essere scoperto in fallo.
Questa faccenda si ripetè per molte e molte miglia: chi diceva di tagliare il grano pei granai del signor Marchese; chi mieteva, per le sue stalle, lunghe praterie di fieno; chi tagliava e segava legna nei boschi per le sue cucine; insomma tutti, spaventati dalle minacce del Gatto, dicevano al Re la stessa cosa.
Finalmente, trotta trotta innanzi la carrozza del Re, il Gatto giunse ad un bel Castello, di proprietà dell’Orco.
Costui era il vero padrone di tutti quei possessi, e il Gatto, informatosi sul conto suo, seppe che era un uomo gigantesco, bruttissimo, e oltremodo fiero, sebbene fingesse un carattere cerimonioso e mansueto. Fattosi spirito e coraggio, il Gatto bussò al Castello.
L’Orco gli fece aprire e l’accolse, adattatamente all’esser suo.
- Mi hanno assicurato, disse il Gatto, che voi possedete la virtù di cambiarvi in ogni specie di animali. Siccome sono assai curioso e incredulo per natura, vorrei saper da voi, se ciò è vero?
- Certamente, senza dubbio, rispose l’Orco con cera brusca. Anzi vedete, per darvene una prova, eccomi qui diventato un leone!
Il Gatto, vistosi apparire d'improvviso quel grosso e fiero animale, tutto tremante voleva arrampicarsi su per le mura, onde sfuggire al pericolo d’esser divorato.
Però quelli stivali gli facevano impedimento: onde pregò l’Orco a mostrarsi qual’era prima.
L’Orco acconsenti.
Allora il Gatto disse, tuttora impaurito, ma ben accorto sul da farsi:
- Eh non c’è che dire! Ora che ho visto da me, non posso più diffidare. Però mi hanno detto un’altra cosa: ma questa non la credo davvero davvero!
- E che vi han detto? chiese l’Orco accigliato.
- L’è troppo grossa ecco, e non ve la dico...chè, chè, non può stare...
- Ma pure?...
- Sentite, mi hanno accertato, che potreste trasformarvi anco in un animale molto più piccolo che non sia il leone, o altri. Sentite veh! Anco se me l’asseriste voi, non la beverei.
- Ed è tutta questa la difficoltà? soggiunse ironicamente l’Orco. Guardate, per farvi vedere son pronto a trasformarmi subito in quel che volete. Dite, dite pure?
- Per esempio, che sareste capace di diventare una talpa, un topo?....
- Chiacchiere inutili, guarda !...
E nel dir così l’Orco cangiossi in sorcio.
Il Gatto, però, appena lo vide, d’un salto lo ghermì, e l’ingojò.
Intanto il Re avvicinavasi al Castello.
Quando il Gatto lo scorse, fe’ calare il ponte levatojo, e aperto a due battenti il portone del Castello, introdusse la carrozza del Sovrano, dicendo:
- Ben venga la Maestà Vostra nel Castello del signor Marchese di Carabà!
- Come signore! disse il Re, rivolgendosi a lui. Anche questo bel Castello è vostro? Ma è una vera magnificenza!
E discesero tutti, ammirando le grandi ricchezze e le magnifiche suppellettili che v’eran dentro.
Il Gatto, che faceva gli onori di casa, invitò poscia il Sovrano e la Principessa in un ricco Salone, dov'eravi imbandita una lauta refezione.
Il Re rimase ammirato, e la Principessa, vieppiù invaghita del creduto Marchese, ne tenne parola al padre, che la offri in sposa al giovine.
Il finto Marchese di Carabà, che da tutto questo si accorse di aver fatto la sua fortuna, mercè l’aiuto del Gatto, accettò con gioja la proposta, e indi a pochi giorni nella residenza del Re si fecero le nozze.
Il Gatto, divenuto signore anch’esso, non ebbe più bisogno di chiappar topi, e se lo fece, non fu che per passatempo.
Marco Pugacioff
[Disegnatore di fumetti dilettante
e Ricercatore storico dilettante, ma non blogger
(Questo è un sito!)]
Macerata Granne
(da Apollo Granno)
S.P.Q.M.
(Sempre Preti Qua Magneranno)
23/03/’24
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