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venerdì 24 novembre 2023

Leggenda di Orlando germanica

 

Leggenda di Orlando germanica

 


   Sapevo che in Germania circolavano delle leggende – vere e proprie fantasie, bisogna dirlo – su Orlando e il mondo carolingio.

   Poi sul romanzo dell’abile John Dickson Carr “Sfida per Bencolin”,  dei Capolavori del giallo Mondadori n. 241 del 19 gennaio del ’64, rileggo dopo anni che lo scrittore Jeff Marle, aiutante dell’investigatore francese con la “Faccia-di- Diavolo”, deve arrivare sul luogo nefasto – il castello Teschio – dove è stato compiuto un delitto in un battello sul fiume.

 


   Mentre si trova imbarcato descrive il paesaggio a pagina 13…

«Il vaporetto scivolava sul Reno sotto un cielo blu scuro, denso di grosse nuvole. Ho sempre preferito viaggiare sui battelli, quando è possibile; hanno qualcosa di primitivo che mi affascina. Quando a Bingen il Reno lascia la sua ampiezza spumeggiante per diventare più stretto, tutto si incupisce; il verde sfuma quasi nel nero, e, sulle colline che chiudono il fiume, le rocce grigie sostituiscono le viti. Pare un mondo immobile di fantasmi.

[…]

Seduto sul ponte, con quel misterioso vento umido sul viso, mi pareva di vivere in un mondo diverso. Alla stazione di Mainz avevo comprato un libro in inglese di un certo Brian Gallivan intitolato “Leggende del Reno”. Lo sfogliai distrattamente, ma a poco a poco mi immersi nella lettura: vi lessi di Drachenfelds e Carlomagno; di Rolando e della Cattedrale di Colonia, dove, come sempre nelle leggende popolari, perfino il Diavolo è un gentiluomo.»

   Allora ho provato a cercare queste leggende, in lingua originale, ovvero in tedesco (che il traduttore in rete mi traduceva). Quello che è venuto fuori mi ha sconcertato… Va bene le leggende, ma quando andavano su una parte storica, parlavano di Carlomagno come, insomma mi sembrava più capo barbaro dei tempi di Giulio Cesare che un Re dell’ottocento medievale.

Del resto il professor Carnevale mi disse che i Germani, quando trovavano una quercia, vi costruivano una casa intorno… e questo mi ricorda Jacques Yonnet, il quale scrive a pag. 219 del suo Rue des Maléfices, storia segreta di Parigi, EDT 2016 che proprio nella città dove visse il grande imperatore Giuliano, vi era la… «rue des Marmousets […] In quel punto, fino al 1884, era possibile ammirare i resti di un monumento quasi dimenticato, la torre di Dagobert. Questa aveva, incorporata dalla muratura, una scala a chiocciola del IX secolo il cui piantone centrale, alto dieci metri, era stato ricavato dal tronco di una quercia gigantesca.» Un monumento legato ad una tremenda storia di un barbiere e di un pasticciere e più avanti non vado! Il piantone della scala sarebbe conservato al’interno del Hôtel de Cluny, nel museo del medioevo…

 


Un inquietante e bel di segno a puntini  di Stephen Fabian per Conan

dall’albo n. 3 del settembre dell’80

 

   Ba’! andiamo direttamente a Orlando. Se vi erano queste leggende tanto vale cercare un testo in italiano e… lo trovato. Un libro in cui è descritto un mondo che mi pare più adatto ai mondi descritti da Robert Howard per i suoi Re Kull e Conan il Barbaro.

 


Il libro di Giuseppe La Farina è La Germania renana coi suoi monumenti e le sue leggende, Firenze Luigi Bardi editore 1842,  e alle pagine 119-122 trovo…

«NONNEWERT (STATI PRUSSIANI )

  Trovansi degli uomini che s’elevano al disopra di tutti i loro eguali o per le prodezze o per le virtù; questi sono celebrati nei canti popolari e nelle novelle, ove il vero è misto al falso, ove la poesia viene in aiuto della storia: più tardi queste novelle, questi canti si collegano, si aggruppano tra di loro, si fondono in uno: l’uomo è divenuto un eroe epico, la sua storia un poema. Così certamente Achille e Ulisse divennero gli eroi dell’Iliade e dell’Odissea;

così Ermanrico ed Attila dell’Edda e delle Niebelungen, così Carlomagno della Cronaca di Turpino .

   Ma intorno all'eroe principale vengono sempre a schierarsi un gran numero di eroi subalterni, e sopra di essi si volge con più libertà la fantasia del romanziere. Gli eroi storici son troppo conosciuti, hanno sempre attorno un’aureola di luce che se giova al meraviglioso del romanzo, nuoce alle nuove invenzioni di esso. Anche oggi un poeta tragico che si crede autorizzato ad inventare un personaggio secondario, dubiterebbe molto d’inventare un protagonista. Così Ermanrico, Attila, Carlomagno servono, come bene osservava un critico francese, più di centro che di soggetto all’epopea: ne' poemi germanici e ne' romanzi carlovingi, Attila e Carlomagno restano indietro nel fondo del quadro, come seduti sopra i loro troni d'oro, lasciando agli eroi secondari lo strepito e l’agitazione della vita.

   Il più celebre de' romanzi carlovingi è la Cronaca di Turpino: questa fu scritta ai tempi delle Crociate , e lo scrittore ei dipinge Carlomagno come l’eroe che ci difende l’Occidente contro gl’infedeli. L’influenza delle Crociate si rivela nell’entusiasmo religioso, nel supposto viaggio di Carlo a' Luoghi Santi, nel voto di liberare il sepolcro di santo Iacopo di Galizia. Tutti gli eroi della Cronaca non sono solamente guerrieri che con un colpo di spadone spaccano un cavaliere e il suo cavallo tutti coperti di ferro, ma sono anche teologi che sanno disputare co' Saraceni su' punti fondamentali della fede cristiana: Orlando interrompe il suo combattimento con Ferragu per disputare con argomenti scolastici sul mistero della Trinità, e stanco alla fine di sillogismi chiude la discussione ammazzando il suo avversario.

   Orlando appunto fu uno degli eroi secondari de' romanzi carlovingi, intorno a'quali con più profusione si accumularono le leggende e i racconti, e Ariosto che lo scelse a soggetto del suo canto divino non lascia mai di citare la Cronaca sopradetta; non certamente perch’ei vi prestasse fede, ma per dare alle sue invenzioni il carattere poetico che conduce con seco l’antichità.

   Racconteremo qui la leggenda di Orlando ed Adelaide, poichè si collega a due monumenti del Reno, la badia di Nonnenwerth e la Rolandfels.

   Fioriva sul Reno una giovinetta di nobile nascita chiamata Adelaide, secondo altri Ildegonda; una regina nel suo castello, una fata per bellezza, un angelo per virtù. Tre baroni nobili e potenti erano i suoi fratelli, e la tenevano sotto la loro tutela; il primo abitava il castello di Drachenfels, il secondo quello di Wolkenburg, il terzo quello di Lowenburg.

   V’era nel paese dell'altra sponda del Reno un nobile cavaliere detto Orlando, il più prode e il più forte di quanti fossero in tutti i regni de' Cristiani: egli era ancor giovine, ed aveva condotto varie imprese arditissime degne d’essere raccontate e cantate da' trovadori; ed era divenuto il terrore di

mille cavalieri, l’amore di mille dame. Ma Orlando ardeva d’amore per la bella Adelaide, e ne chiese la mano ai fratelli: questi che per antiche nimicizie odiavano Orlando, e che molto temevano della sua spada, dissero ch’eglino acconsentirebbero al matrimonio, ma che bisognava pria il cavaliere si distinguesse nell’esercito di Carlomagno, sotto la cui bandiera conveniva allora il fiore de' prodi. Orlando fu lieto della risposta, e dato un addio alla bella Adelaide, che per lui si struggeva d’amore, corse in Francia per combattere al fianco di Carlo, e lui seguì al di là de' Pirenei.

   Orlando in poco tempo acquistossi gran nome in tutta la Francia e nelle Spagne, e le sue avventure non erano ignote sul Reno. Adelaide si consolava colla gloria di lui, e quando un pellegrino di Francia o di Spagna giungeva al suo castello ospitale, ella stava delle intere giornate a chiedere novelle del suo amante, piangendo de' suoi pericoli, esultando delle sue vittorie. Ad ogni cavallo che udisse scalpitare nella corte correva ansante alla finestra; ad ogni nuvoletta di polvere che vedea sorgere sulla via, ad ogni barca che vedeva approdare alla sponda del fiume, ella sperava rivedere l’amante.

   Una sera giunse al castello uno sconosciuto, e richiesto delle sue avventure, prese a raccontare la battaglia di Roncisvalle, nella quale diceva aver egli combattuto; parlò di quelli che avevano lasciato la vita sul campo, e tra questi nominò Orlando. Adelaide svenne per dolore, ma tornata a' sensi, il primo suo pensiero fu quello di edificare un monastero nell’isola di Nonnenwerth posta tra i feudi de' suoi fratelli e quelli del suo amante, e quivi sacrarsi a Dio per tutto il tempo della sua vita.

    Adelaide prese il velo. Passò un anno, e Orlando ritornava cinto di gloria e di speranza: coi colori della sua fidanzata sullo scudo, coll’immagine della sua fidanzata nel cuore egli giunse al Reno; ma qual fu il suo dolore allorchè seppe che Adelaide s’era chiusa in un convento, e che il suo amore era perduto per sempre!

   Orlando, per emulare la fedeltà della sua bella, edificò un piccolo castello sulla punta della terra che guarda l’isola, ov’egli si consumava per amore, cogli occhi intenti a quelle mura che lo dividevano dalla sua fidanzata. Una sera, in cui stava al solito innanzi alla torre, vide tutte le suore uscire in processione dalle grandi porte del Monastero, ed indirizzarsi verso l’entrata dei sotterranei posti sotto la chiesa: quivi si fermarono. Un feretro fu tratto fuori dalle loro file, e su di esso giaceva la bella Adelaide con una corona di biancospino in capo e un Crocifisso d’avorio in mano: al malinconico salmeggiare delle suore rispondeva il malinconico mormorio del fiume, nelle cui onde raddoppiavansi le facelle del funebre corteo. Orlando rimase privo di sensi. Al ritornare della sua mente la notte era ricaduta nelle tenebre consuete; le porte del monastero eran chiuse; solo il lume di qualche cella brillava nella gran massa oscura del monastero; solo il fremito delle onde pareva continuare le nenie degli estinti.»

   

    Questa è la versione più romantica, in un’altra versione ho letto invece che messer Orlando ammazza il padre della fidanzata; però la struttura è questa.

 

 

    Ho poi trovato alle pagine 274-276 de Unser Deutsches Land und Volk: Bd. Bilder aus den Landschaften des Mittelrheins, del 1881 questo scritto tipico del romanticismo tedesco…

 

   «Ma se tu, o viandante, vuoi immergere nella tua anima la magia del paesaggio tanto da conservarne l'immagine nel petto come un ricordo bronzeo, allora lascia con noi la barca fumante alla casa di campagna che circonda Rolandseck. Graziosi sentieri conducono in cima all’ombra di robusti boschi di faggio con viste mutevoli sugli audaci centauri del Siebengebirge. Un arco circondato da edera corona la sporgenza del colmo. Si tratta del famoso e cantato Arco di Roland, l’ultimo resto della Feste Rulecheseck o Rulcheseck, che si dice abbia preso il nome dal paladino Rolando. Una delle viste più deliziose è offerta dall’imponente arco, che crollò in una tempestosa notte di dicembre del 1839 e fu poi ricostruito su suggerimento di Freiligrath e con l’aiuto del suo album Roland. Delimitato dalla cornice dell’arco, il Drachenfels si trova di fronte a voi; a sinistra Godesberg innalza la sua ardita fritta e la cerchia di mura cinta da mezze torri; Più a nord, lo sguardo si posa sulla torre principale della cattedrale di Bonn, e sullo sfondo la cattedrale si erge maestosa dalla “collina Cöllen” [„hilligen Cöllen"], che un occhio attento può vedere quassù. Che un paesaggio così fortemente romantico abbia costituito la base per la crescita e la fioritura della leggenda tedesca è facilmente comprensibile a chiunque presti solo un po' di attenzione ai rapporti tra il paese e la gente, tra le caratteristiche della fantastica regione e il suo interprete, il volgare.

Proprio come la leggenda dell'uccisione della bestia malvagia da parte del cornuto Siegfried era legata alla grotta nel mezzo dei Drachenfels, la leggenda più bella della Renania è qui legata al nome del castello Rolandseck e del tranquillo e idilliaco monastero di Nonnenwerth come Ephen, che racconta del corteggiamento del cavaliere Rolando per la piccola figlia del burgravio di Drachenfels, la "bella Ildegonda".

L'ambientazione della leggenda, che racconta della partenza del cavaliere dall'esercito, del dolore dell'amata, che crede morto lo sposo e prende il velo, e che annuncia inoltre che l'eroe è tornato vittorioso per prendersi cura dell'amata, che soggiorna a Nonnenwerth Per inciso, sul Rolandseck fu costruito un castello, questo tragico atto nel suo insieme ha inequivocabili collegamenti con la ballata di Schiller “Ritter Toggenburg”. Come è noto, Simrock ha dato al materiale della tradizione popolare la seguente forma:

 

Rolandseck.

 

Eine junge Gräfin, ein edler Held,
Sie schwuren sich Lieb und Treu';
Er kam aus der Schlacht, er zog zu Feld,
Die Liebe war immer neu.

In Spanien stritt die fränkische Kraft,
Roncesval, blutiges Thal!

Da fiel die Blüte der Ritterschaft,
Da fiel Held Roland zumal.

„Nun ade dir, Welt! dein süßer Gewinn,
Betrüglich ist er fürwahr:
Maria, himmlische Königin,

Dir weih ich mein goldenes Haar.“

 

Una giovane contessa, un nobile eroe,

Si giurarono amore e lealtà l'uno all'altro;

Veniva dalla battaglia, andava al campo,

L'amore era sempre nuovo.

In Spagna combatterono le forze franche,

Roncisvalle, valle insanguinata!

Allora il fiore della cavalleria cadde,

Poi l'eroe Rolando cadde.

“Ora arrivederci, mondo!

La tua dolce vittoria,

È davvero ingannevole:

Maria, regina del cielo,

A te consacro i miei capelli d’oro”.

 

Das Kloster beschaut sich mitten im Rhein,
Noch hallen die Glocken im Thal.
Da schallt ein Huf, wer mag es sein?
Der Todte von Roncesval?

Nein, Roland selbst, er leibt und lebt:
Ja wärest du, wärest du todt!
Denn wisse, daß sie das Kloster begräbt,
Die dir zu leben gebot.

„Und begräbt das Kloster schön Hildegund,
So sey' ich mich hier auf den Stein
Und schaue, zeitlebens zum Tode wund,
Hinab auf das Kloster im Rhein.“

Im Kloster betete Hildegund,
Held Roland saß auf dem Stein
Und schaute zeitlebens zum Tode wund,
Hinab auf das Kloster im Rhein.

 

Il monastero si affaccia in mezzo al Reno,

Le campane risuonano ancora nella valle.

Suona un battiporta, chi può essere?

Il morto di Roncisvalle?

No, Rolando stesso, è vivo e vegeto:

Sì, se lo fossi, saresti morto!

Perché sappi che seppellisce il monastero,

Questo ti ha comandato di vivere.

“E seppellisci Ildegonda

magnificamente nel monastero,

Quindi sono qui sulla pietra

E guarda, dolorante da morire per tutta la vita,

Giù al monastero sul Reno.»

Ildegonda pregava nel monastero,

L'eroe Rolando si sedette sulla pietra

E sembrava dolorante da morire per tutta la vita,

Giù al monastero sul Reno.

 

 


   Ma una simile storia d'amore, si chiede il ricercatore, non avrebbe dovuto formarsi altrettanto facilmente lassù alle spumeggianti sorgenti del Reno e qui vicino all'antico castello perduto del monastero circondato dal Reno?

 Naturalmente non esiste alcuna prova documentata che il castello Rolandseck sia stato fondato dal paladino del grande carolingio; Naturalmente, secondo lettere e scritti, un monastero femminile fu fondato sull'isola di Rolandswerth o Ruleicheswerd dall'arcivescovo Federico I di Colonia solo all'inizio del XII secolo: ma Chr. von Stramberg ci ricorda giustamente che la contea di Roland, l'Engersgau , una volta ampliato qui, ampliò che ai suoi tempi esistevano già diversi monasteri femminili sul Reno e che il piccolo monastero sull'isola del Reno potrebbe essere caduto vittima della distruttività dei predoni marittimi e fluviali normanni nel IX e X secolo prima della approfittando della sua posizione divenne una nuova fondazione intorno al 1111.

E felici di aver ricevuto un substrato storico per la perla delle leggende renane, saliamo il crinale della montagna che ci porta dall'anello distrutto del castello Rolandseck, attribuito anche all'arcivescovo Federico I di Colonia, alla torre del Rath , che dal 1848 adorna l'ultima altura sulla riva sinistra del Reno.»

§§§

 

   Insomma davvero romantico, ma è davvero irreale… E le università e i cosiddetti “dotti” italiani, dicono è tutto lassù e a noi ci sono rimaste un mare di leggende perché uno stron… traslò le ossa de Carletto e la sede dell’impero da un ambiente mediterraneo a un ambiente freddo, dove gente senza cuore vuole a tutt’oggi governare in tutta europa (lo scrivo apposta minuscolo) e farci diventare dei nuovi servi della gleba; e dire che la cara, vecchia lira la creò Carlo Magno.

   Addio speranza, sei proprio morta. È proprio vero che chi vive sperando, muore (direbbero i Puffi)… puffando.

 


 

Marco Pugacioff

[Disegnatore di fumetti dilettante

e Ricercatore storico dilettante, ma non blogger

(Questo è un sito!)]

Macerata Granne

(da Apollo Granno)

S.P.Q.M.

(Sempre Preti Qua Magneranno)

24/11/’23

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