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mercoledì 23 agosto 2023

La consacrazione di Guido del Piceno, imperatore Romano (889-891)

 

La consacrazione di Guido del Piceno,

imperatore Romano (889-891)

 


   Da Histoire générale de l'église depuis la creation jusqu'a nos..., 1881, Joseph Epiphane Darras, al paragrafo VI. Royautés Féodales, è scritto…

«I Franchi Australi lo deposero [Carlo il Grosso], dicono gli Annali di Saint-Waast, ed elessero re Arnolfo di Carinzia, figlio naturale di Carlomanno, re di Baviera. Si dice che Carlo fu poi strangolato dai suoi ex sudditi [Non è più tanto peregrina la mia idea che il teschio conservato ad Aaken, non sia quello di Carlomagno, ma quello del Grosso…].

[nota: D. Bouquet. Tom. VIII, Annal. Vedast. an. 887.]»

   Troviamo a pag. 129 della Histoire de France, représentée par figures accompagnées de ..., Volume 2, 1787,  Guillaume Germain Guyot

«Arnolfo, figlio di Carlomanno e nipote di Carlo il Grosso, era appena stato nominato re di Germania, per scelta di quelli dei Franchi, che erano chiamati Australi. Non era così facile provvedere al trono di Francia. I Grandi erano divisi: l’arcivescovo di Reims, Folco, voleva dare questa corona a Guido d'Italia; ma il partito di Thierry, conte d'Autun, in favore del figlio di Roberto il Forte, vinse; e il principe Eudo si recò, alla testa dei suoi partigiani, al palazzo di Compiègne; lì, Vautier o Gautier, arcivescovo di Sens, lo incoronò re dei francesi, mentre, con un piccolo numero di Borgognoni, Geïlon, vescovo di Langres, incoronò nella sua chiesa, Guido, duca di Spoleto, sotto lo stesso titolo.»

   Abbiamo una data di queste incoronazioni? Sempre Epiphane Darras scrive…

 «Un altro cronista contemporaneo Richerus (Richero, amico di Gerberto, papa Silvestro II), monaco di San Remi di Reims, ci dà qualche informazione più precisa. “Giovedì XVI delle calende di marzo (14 febbraio 888) Eudo, il valoroso conte fu consacrato nella basilica di san ..... a Compiègne, dall’arcivescovo di Sens Walterus [Richer. Historiar. Lib. 1, cap. V. Secondo gli Annali di Saint-Vast, Eudes fu incoronato re nel palazzo di Compiègne, quindi nella cappella della Vergine.]. »

 

   Guido del Piceno – come amo chiamarlo – ebbe così una corona che se fosse stata combinata a quella di ferro che è oggi conservata a Monza, lo avrebbe portato ad un passo da quella imperiale.

Come già scrissi era il tempo di regolare i conti con Berengario, suo nemico da sempre.

Prosegue Darras…

 

58. Quando Wido (Guido di Spoleto), respinto dai Franchi che non lo avevano voluto re, rivarcò le Alpi, si trovò faccia a faccia con un serissimo concorrente che l’Italia settentrionale gli aveva appena messo alla testa [Sbagliato! Erano nemici da anni…]. Era il duca del Friuli, Berengario, figlio del duca Everard e di una principessa franca, Gisla (Gisela), nipote di Ludovico il Pio. In virtù del principio feudale dei Longobardi perpetuato dai grandi vassalli d’Italia, Berengario, subito dopo la morte dell’imperatore Carlo il Grosso, si era fatto consacrare a Milano dall’arcivescovo Anselme, e aveva cinto la corona ferrea di Agilulfo e Teodolinda (888). Così, da un capo all’altro dell'Europa, trovarono applicazione le parole dell’annalista di Metz: «Ciascuna provincia si costituiva un re dalle proprie viscere». Se dobbiamo credere che Luitprando, meglio informato degli eventi in Italia che di quelli in Gallia, Guido di Spoleto e Berengario del Friuli, avevano concluso in anticipo, in previsione degli eventi, un trattato di alleanza offensiva e difensiva. "Si erano giurati fedeltà inviolabile", disse il cronista, ripromettendosi che, se entrambi fossero sopravvissuti all’imperatore Carlo il Grosso, Guido si sarebbe fatto re di Francia e Berengario re d’Italia. […] Fino ad allora le reciproche convenzioni erano state fedelmente eseguite. Ciò che attendeva il duca di Spoleto in Francia cambiò il volto degli eventi. Al suo ritorno in Italia Guido portò un certo numero di guerrieri franchi [C’è da credere, in realtà, che fossero Bretoni, come suo nonno.] fedeli alla sua causa; aggiunse ad essi i suoi vassalli di Camerino e di Spoleto, ne formò un formidabile esercito, e giunse sulle rive della Trebbia, a cinque miglia da Piacenza, per attaccare le truppe di Berengario, che fece a pezzi. Un’altra battaglia nella pianura bresciana, combattuta a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, pose fine definitivamente alla faida.

Berengario fu nuovamente sconfitto e fuggì dal nuovo re di Germania, Arnolfo, che gli diede asilo.

 

E’ scritto nella wiki francese…

«fu incoronato re a Pavia nella basilica di San Michele Maggiore il 16 febbraio 889»

 

Elezione per l’incoronazione di Guido di Spoleto a Pavia.

 

59. Guido di Spoleto era tanto noto agli Italiani [sarebbe meglio dire Italici, ma ormai scrisse così…] quanto poco lo era ai Franchi [Infatti sarebbe meglio Francesi, ma vabbé…]. Gli italiani lo hanno accolto con entusiasmo. Conservano ancora i verbali della dieta di Pavia che gli conferì la corona e lo scettro strappati con due vittorie al suo concorrente Berengario (gennaio 889). Ecco il testo del decreto di elezione

“Dopo la morte del glorioso Imperatore Carlo (il Grosso) nostro padrone e signore di lodevole memoria, il regno d’Italia è stato consegnato ai più orribili sconvolgimenti. Nessuna lingua può raccontare, nessuna penna può descrivere ciò che abbiamo sofferto. Sono arrivati ​​gli usurpatori, che ci hanno imposto con la forza il loro dominio, terrorizzando tutti, moltiplicando frodi, minacce e perfidie. Sconfitti due volte dal nobile principe Wido, fuggirono e svanirono come fumo nel vento. Riuniti oggi nel palazzo reale di Pavia, per deliberare in comune sulle misure calcolate per assicurare la pace e la prosperità dell’Italia, eleggiamo con voce e cuore unanimi il gran principe Wido come nostro re e signore. È Lui che, con la grazia di Dio, scegliamo di proteggere e difendere con la pienezza dell'autorità regale. Il braccio di Dio è con lui; è scoppiato in una doppia vittoria e l’ha fatta trionfare dei suoi nemici. Nella sua profonda umiltà l’eroe dichiara di dover il suo successo non ai suoi meriti personali, ma alla protezione divina. Ha giurato amore filiale a Santa Romana Chiesa, promette di difenderla ed esaltarla con tutta la sua potenza; osservare in tutto le leggi canoniche, rispettare la legislazione civile vigente in ciascuna delle province, reprimere disordini e ruberie in tutto il regno, restaurare e conservare ovunque la pace. Noi pertanto, all’unanimità e con lo stesso sentimento di amore e di gratitudine, gli abbiamo consegnato e gli consegniamo il governo di questo regno, gli abbiamo giurato e gli giuriamo di cuore una fedeltà inviolabile; lo abbiamo riconosciuto e lo riconosciamo come nostro re e signore, piissimo re, eccellentissimo signore, e con questi titoli, impegnandoci per noi stessi e per i nostri posteri, nel nome di Dio Onnipotente, abbiamo assegnato e consegniamo la corona reale [nota: Electionis Decretum. Patr. lat. , tom. CXXXVIII, col . 800].»

   Bisogna ammettere che la forma di elezione dei re feudali del IX secolo aveva una solennità che contrasta singolarmente con quella dei nostri regni moderni. L’eletto e gli elettori si trattavano rispettosamente da entrambe le parti; facendo intervenire la consacrazione religiosa nel patto fondamentale di una nascente regalità, ponevano i diritti del popolo e quelli del sovrano, nonché i reciproci doveri del monarca e dei sudditi, sotto la più alta garanzia, l’unica veramente effettiva. Abbiamo creduto ai nostri giorni di fare progressi sostituendo alla sanzione religiosa la possibilità dei colpi di stato o quella delle barricate. I popoli e i re stanno meglio? L’Italia, nell’investire il duca di Spoleto del potere regio, si preoccupò soprattutto di assicurare alla Santa Sede un devoto e fedele protettore. Il primo articolo della costituzione redatta dalla dieta di Pavia era concepito in questi termini: «Soprattutto desideriamo, vogliamo che la nostra madre, la santa Romana Chiesa, sia mantenuta perennemente nello stato di onore e nel godimento di tutti i suoi privilegi e tutta la sua autorità, quali gli furono riconosciute o dagli antichi Imperatori, o dai moderni Sovrani. La sede apostolica è il capo di tutto il corpo della Chiesa, rifugio e sostegno dei deboli e degli sfortunati; la sua prosperità assicura a tutti la salvezza: sanitas ipsius nostrorum omnium est salubritas. Sarebbe quindi un crimine terribile perseguitare e insultare il sovrano pontefice. Al contrario, egli deve essere onorato da tutti i cristiani al di sopra di tutti i principi della terra, e gli deve essere reso l’omaggio di preeccellenza che gli è dovuto. Tale è il primo articolo della Carta di Pavia. Quanto segue prevedeva l’obbligo per il nuovo re di rispettare i beni delle chiese, dei vescovadi, degli ospizi (xenodochia) e delle abbazie; di lasciare intatta la legislazione di cui gli "uomini plebei, plebei homines" avevano uso in ogni provincia, di non aggiungere nulla al peso dell’imposta legale, di non esercitare su di essi alcuna estorsione o violenza, e se avvenisse che ingiustizie di questo si impegnassero, ad ammettere per ripararli l’intervento dei conti di ciascuna località con l’espressa riserva che nel caso in cui essi stessi trascurassero il dovere del loro ufficio, il vescovo avrebbe diritto di scomunicare fino a quando non abbiano soddisfatto completamente. Meritano di essere menzionati anche gli ultimi quattro articoli di questa carta costituzionale. Danno un'idea molto esatta del nuovo stato sociale inaugurato dal feudalesimo, degli eccessi di cui fu occasione o pretesto e infine del mandato veramente imperativo di cui gli elettori esigevano l'accettazione dal sovrano in cambio della loro voti.

“VI. I palatini, cioè gli ufficiali il cui ufficio li chiama a servire la persona del re, si asterranno da ogni genere di depredazioni e saccheggi, serviranno fedelmente il re, accontentandosi della loro paga regolare [Ahò ! Ma i palatini, non sono i funzionari del Palatium, e non dovrebbero stare in Germania??? Vabbé, Vabbé, mi sbaglio…].

VII. I signori chiamati al raduno nazionale non si arrogheranno naturalmente né nelle ville né nelle città in viaggio alcun tipo di immunità; pagheranno lealmente ed equamente, secondo l’antica consuetudine, tutto ciò che sarà necessario al loro mantenimento.

VIII. Chiunque indulge in esazioni, depredazioni o rapine all’interno del regno sarà personalmente, così come i suoi compagni, difensori o complici citati, all’udienza del re, dovrà riparare i danni causati da lui o dalla sua famiglia, sotto pena di essere escluso dalla comunione ecclesiastica fino alla piena e completa soddisfazione.

IX. Il glorioso Re Wido si è degnato di prometterci di osservare e far osservare ciascuno di questi articoli motivati ​​da urgenti necessità. Dio gli ha ispirato questa buona volontà, ed egli dimostra così il suo desiderio di assicurare la sua e la nostra salvezza. Di conseguenza, ciascuno di noi gli promette, nell’esercizio del suo potere regale, assoluta fedeltà, aiuto e devota assistenza.[Ibid. Capitul. VI-IX.]»

 

   Il resto lo sappiamo. Sempre la wiki francese scrive…

Il 21 febbraio 891 papa Stefano V lo consacrò imperatore d’Occidente e nel maggio successivo associò il figlio Lamberto al trono d’Italia.

[…]

Guido morì il 12 dicembre 894 e fu sepolto nel duomo di Parma. Lascia a suo figlio Lamberto un trono conteso…

§§§

    Il formidabile Guerriero (anche un guerriero e condottiero può essere stanco della guerra e scendere a patti con i suoi nemici e per questo essere considerato un traditore dal suo imperatore), riunì sopra la sua testa le tre corone indispensabili per arrivare con la sua donna al trono imperiale, al contrario dei suoi feroci nemici Arnolfo e Berengario, che potevano averla per diritto di famiglia;… e questo poi senza mai andare in Germania.

    Per l’imperatrice Ageltrude, alla morte del figliolo imperatore, un po’ troppo sospetta come scrive Darras a pag. 281 “Incidente o delitto, il risultato fu lo stesso, e l’Italia ridiventò teatro di guerre sanguinose.” e prosegue…

Berengario tornò dal suo esilio e conquistò le province settentrionali. L’imperatrice Ageltrude, madre dello sfortunato Lamberto, tentò invano di resistergli. Ha dovuto piegarsi alla legge del conquistatore. Conserviamo ancora l’atto di sottomissione redatto a Pavia alle Calende del dicembre 898. In basso, scritti di pugno dallo stesso Berengario, si trovano i seguenti versi: “Io Berengario, re, ti prometto Ageltrude, vedova di Wido (Guido), già imperatore, per esserti da questo momento e per sempre tuo amico, e trattarti come dovrebbe fare un amico. Ti sono conservati tutti i beni ed i domini a te concessi dagli Imperatori Wido e suo figlio Lamberto; Non li prenderò e non permetterò a nessuno di staccarne nulla. La maggior parte dei grandi feudatari italiani seguirono l’esempio di Ageltrude e riconobbero Berengario come re.  

L’imperatrice riprese il suo abito monacale che per l’amore verso Guido aveva in gioventù lasciato e se lo rimise per rinchiudersi nella sua casa, a Camerino, come religiosa, dove ancora viveva nel 907.

Le ultime notizie sulla principessa di Benevento ascesa al trono imperiale, ci dicono che nel 924 era ancora viva a Varsi in Romagna, dove poteva spostarsi per andare a visitare i suoi cari, sepolti a Parma e a Piacenza.

 

Marco Pugacioff

[Disegnatore di fumetti dilettante

e Ricercatore storico dilettante, ma non blogger

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